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Analisi della Lettera Ebraica

 

Per comprendere meglio il valore che il mondo ebraico assegna alla lettera, ci sembra cosa proficua analizzare più in dettaglio le lettere dell’Aleph Beth, anche se così facendo saremo costretti ad una breve divagazione che se pur ha valenza ed è fondamentale nella Qabalah ci discosterà temporaneamente dal testo in esame.

L’alfabeto ebraico porta in sé una serie di insegnamenti profondi, racchiusi nella triade Forma, suono (in cui l’ebraismo identifica il luogo del nome) e valore numerico.

Per la Qabalah, le lettere agiscono in modo sublimale sulla vista di chi le osserva o le visualizza, e suggerisce particolari associazioni simboliche capaci di arricchire la sfera d’azione spirituale e psichica delle stesse. Questo potere in Oriente è associato a disegni o immagini chiamate Yantra o Mandala. Ogni lettera dell’Aleph Beth è quindi un mandala, una forma capace di guidare l’attenzione di chi medita su di essa verso il centro dell’Essere e della Coscienza.

Il secondo elemento, quello del suono, racchiude in sé due particolarità: quella del nome che si riconosce alla lettera, e le proprietà della stessa nella pronuncia.

Ad esempio, Aleph significa "insegnare", Beth significa "casa", Gimel significa "donare", ecc. Questi nomi consegnano insegnamenti di vario tipo.

Circa la proprietà del "suono", la Qabalah sostiene che la lettera cantata o intonata in specifici esercizi di meditazione ha un potere mantrico magico.

Ogni lettera ha un valore numerico, dall’uno al quattrocento, che, esotericamente, esprime anche la qualità della "vibrazione" della lettera.

Tale proprietà numerica delle lettere (e, di conseguenza, anche delle parole e delle frasi da esse composte) permette di identificare con precisione la loro natura e identità, divenendo in questo modo, uno strumento insostituibile per tutta l’ermeneutica cabalistica.

I valori numerici possono essere differentemente analizzati creando un’interessante ramificazione di significati sia nelle lettere sia nel discorso. Riferirsi a più sistemi di riferimento numerico, non implica la separazione dei possibili significati che scopriamo con le tecniche dell’ermeneutica cabalistica, ma soltanto la loro stratificazione su diversi piani di lettura sempre più profondi.

É importante anche esaminare il "valore figurativo composto" delle singole lettere, al fine di rilevare come il significato del segno, dalla parola, scivoli all’interno della lettera stessa.

Il valore della lettera può essere calcolato anche dalla somma dei valori numerici delle lettere che la compongono per esteso, peculiarità unica della lingua ebraica, così ad esempio la lettera Aleph a, è costruita a sua volta dalle lettere Aleph (a), Lamed ( l ), Phe ( p ): pla = Aleph.

La somma dei valori numerici di queste tre lettere è 1 + 30 + 80, ossia 111. Ora, mostriamo la composizione della lettera Aleph, in quello che abbiamo chiamato il suo valore figurativo composto.

Possiamo considerare l’Aleph costituita da tre segni, due Yud (y) ed una vav (w). Le due Yud hanno il valore di 20, perché il valore di una sola Yud è 10. La vav vale 6, quindi, la somma del valore figurativo composto dell’Aleph è 26.

Utilizzando questa norma di calcolo, troviamo una profonda corrispondenza, che porta la lettera Aleph ad avere lo stesso valore del Nome Divino YHVH (hwhy), il cui valore numerico è appunto 10+5+6+5 = 26.

Per meglio rappresentare questa composizione, scomponiamo ed ingrandiamo la lettera nei suoi segni componenti.

a = y y w

Questo, com’è facilmente intuibile, apre importanti speculazioni sulla lettera Aleph, che, dai valori qui accennati brevemente, possiede la qualità dell’unità, l’unità espressa tre volte, vale a dire l’Unità Divina sui tre campi dell’esistenza.

I segni componenti la lettera Aleph (le due Yud e la vav), possono essere ancora esaminate nella loro estensione, tale tecnica nota nella Qabalah come "Plenitudine" è in uso principalmente per lo studio dei Nomi Divini. Questa tecnica consiste nel mettere in evidenza il rapporto che esiste tra le tendenze proprie alle lettere che compongono un Nome, e le realizzazioni che la nozione del Nome gli ha sostituito.

In definitiva, le lettere dell’alfabeto ebraico, agiscono su quella che per la Qabalah è la più importante triade cognitiva umana: Vista (forma della lettera), Udito (nome e suono), Intelletto (valore numerico). In Qabalah queste tre facoltà sono note col nome di: H’ocmâ (Sapienza - Vista), Binâ (Intelligenza - udito) e Da’at (Conoscenza - intelletto) [Da’at è l’undicesima Sephirâ dell’Albero della vita, detto anche Albero Sephirotico. Questa è occulta e non rientra, quindi, nelle dieci esplicitate. Si può intendere come una sorta di Sephirâ virtuale, il cui scopo consiste nell’unificare le due Sephiroth superiori: H’ocmâ e Binâ (l’intuizione e la ragione) ].

Detto in termini più comprensibili, per un linguaggio filosofico, possiamo tradurre il tutto in questo modo:

Sapienza (H’ocmâ): è l’intuizione, il paradosso, il lampo della rivelazione dei piani superiori di coscienza.

Intelligenza (Binâ): la ragione, la logica, il pensiero verbale.

Conoscenza (Da’at): riunisce intuizione e ragione, è la memoria, la capacità di unire conoscente e conosciuto e, spingendoci un po’ oltre nei significati, la capacità del pensiero di influenzare in modo positivo il flusso delle emozioni.

Il fatto che la Qabalah assegni il senso della vista alla sapienza e l’udito all’intelligenza, può essere spiegato perché il lampo dell’intuizione è collegato alla Sephirâ della Sapienza, H’ocmâ, ed il lampo è afferrato dalla vista. Probabilmente, la seconda Sephirâ, Binâ, essendo il contenitore del pensiero razionale e del linguaggio, è associato al senso dell’udito, partendo da una concezione originaria, pre storica, dove non essendo ancora in essere la scrittura, si identifica il processo razionale dell’uomo e il suo linguaggio con l’ascolto.

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