I Misteri di Mithra

Nino Burrascano 1951    

 

Sommario. 1. Mithra nel Pantheon iranico-persiano. 2. Mitologia di Mithra 3. La Liturgia, il Culto, l'Ordine dei Sacerdoti 4. Il Rituale

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Mithra nel Pantheon iranico - Persiano


L'adorazione del Dio Mithra che in Roma è stata praticata fino al IV sec. dopo Cr. - risale ai remotissimi tempi in cui gli ascendenti dei Persiani erano uniti a quelli degli Indù.
Gl'inni Vedici, al pari che l'Avesta, malgrado la differenza dei loro sistemi teologici, celebrano Mithra come Divinità, sicché il Mithra Vedico e il Mithra Iranico conservano delle caratteristiche di somiglianza tali da far ritenere che non ci sia dubbio sulla identità della loro origine. Infatti, tanto la religione vedica, che quella iranica ci rappresentano Mithra come il Dio della Luce Celeste, invocato insieme al Cielo, che si chiama Varuna da una parte e Ahura dall'altra.


Nell'Avesta il Dio appare, prima del sorgere del Sole, sulle cime rocciose delle montagne; durante il giorno percorre sul suo carro, trascinato da quattro cavalli bianchi, gli spazi del firmamento, e, quando la notte cade, rischiara ancora d'una luce incerta la superficie della terra, sempre sveglio, sempre vigilante. Egli non è propriamente né il Sole né la Luna, né le stelle, «ma con l'aiuto di queste mille orecchie e di questi mille occhi» sorveglia il mondo. Protegge così la creazione di Mazda, combatte e disperde gli Dei delle tenebre ovvero le potenze malefiche, protegge i fedeli nelle loro spedizioni guerriere, e assicura la vittoria a coloro che «pietosamente istruiti (lei Bene, l'onorano con fede e gli offrono in, sacrificio le libagioni» (1).


L'antico Dio Luminoso degli Inni Vedici però, è stato alquanto diminuito dal sistema zoroastriano, perché la teologia di questo sistema ha elevato Ahura-Mazda alla sommità della gerarchia celeste e Mithra non fa nemmeno parte dei sei Amshaspandes che aiutano il Dio supremo a governare l'Universo. Egli invece fa parte della numerosa schiera dei geni inferiori, gli yazata creati da Mazda.

In questa sua posizione è stato messo a fianco a qualcuna delle astrazioni deificate alle quali i Persi rendevano un culto: così, come protettore dei guerrieri ha compagno Verethraghua, la Vittoria, come difensore della verità è unito a Sraosha, l'Obbedienza, a Bashnu, la Giustizia, ecc.
Nei testi sacri però si trova traccia di una concezione più antica, secondo la quale il portentoso Dio della Luce Celeste occupava nel pantheon iranico una posizione molto più elevata.
Spesso è unito ad Ahura nella stessa invocazione; le due divinità Mithra e Ahura, rappresentanti la Luce Celeste e il Cielo Luminoso, formano così una unità inscindibile. In altri punti dell'Avesta, è detto che Ahura ha creato Mithra come tutte le cose e l'ha fatto grande quanto il Dio creatore stesso. Mithra così è un Yazata, ma è il più forte e il più glorioso di essi. «Ahura-Mazda lo ha creato per proteggere tutto il mondo sensibile e vegliare su di esso». Per suo mezzo l'Essere supremo distrugge le potenze malefiche e Ahrimane stesso, lo spirito del male.


Plutarco nel suo trattato De Iside et Osiride (46, 47) espone la dottrina dualista dei Persi con queste parole: «Oromazes siede nella luce immortale. Ahrimane regna nella notte del mondo inferiore e Mithra occupa una posizione intermedia fra i due».
Da ciò il concetto eminente di Mithra nella religione degli antichi Persiani. I grandi Re avevano per lui una devozione speciale perché lo consideravano come protettore e garante della Vittoria in ogni combattimento. Da Mithra anzi discendeva sui Re quel sacro e misterioso splendore che, secondo la credenza mazdeana, era per i Principi la consacrazione della loro autorità e la garanzia di ogni successo. I nobili seguivano l'esempio dei Re; sicché Mithra aveva un largo posto nel culto ufficiale; tanto che, nel calendario, il settimo mese e il sedicesimo giorno di ogni mese erano consacrati a lui.


Il culto del Dio si estese fino ai confini del mare Egeo; e Mithra fu il solo Dio iranico che sia stato popolare nella Grecia antica.
Babilonia, residenza invernale dei sovrani, era popolata di numerosi sacerdoti, officiati quali Magi, che avevano la preferenza sui preti indigeni. La Teologia dotta e sistematica dei Caldei s'impose al mazdeismo primitivo che era un insieme di tradizioni anziché un corpo di dottrine ben definite. I simboli delle due religioni furono avvicinati: Ahura-Mazda fu confuso con Baal che regna nel Cielo; Anàhita fu assimilato a Ishtar che presiede al pianeta Venere, e Mithra divenne il Sole, Shamash.
Dopo la spedizione di Alessandro la civiltà greca si estese a tutta l'Asia anteriore, ma la religione iranica non subì degradazioni. I Magi non si lasciarono assorbire dalla religione dei conquistatori stranieri; i loro culti, anzi, si combinarono con quelli greci; e Ahura-Mazda fu confuso, come essere supremo, con Zeus; Verethraghua, l'Eroe vittorioso, con Ercole; Anàhita, cui era consacrato il toro, divenne Artemis Tauropola; Mithra, già considerato a Babilonia come equivalente a Shasmash, il Sole, fu associato al greco Helios.

A Roma, i Misteri iranici conservarono sempre una gran carte delle formule rituali che il Mazdeismo aveva adottato in Asia Minore da tempo immemorabile. Alla lingua persiana e armena fu a mano a mano sostituito, come lingua liturgica, il greco e più tardi il latino. Il cerimoniale doveva però essere essenzialmente persiano.
Al culto mitriaco venne applicato il nome greco di Misteri; e, come nei culti ellenici, gli adepti costituivano società segrete, rimanendo riservato l'insegnamento religioso alla sola schiera eletta degli iniziati.
Presso i Romani, tutti i riti originari che caratterizzano il culto mitriaco, rimontano certamente alle origini asiatiche. Il fatto però che Mithra non abbia avuto molti seguaci nei centri di civilizzazione ellenica spiega il tardivo ingresso del suo culto in Roma.
Secondo Plutarco, infatti, i Romani sarebbero stati iniziati ai Misteri di Mithra dai pirati della Cilicia vinti da Pompeo nell'anno 67 av. Cristo. Il culto mitriaco si diffuse quindi in Roma verso il 66 av. Cr. ed assunse una notevole importanza verso la fine del I secolo. Ciò è confermato da Stazio, che scrisse il I° canto della Tebaide verso l'80° anno dell'Era Cristiana, (epoca in cui egli aveva già visto le tipiche rappresentazioni dell'Eroe tauroctono) e da Plutarco, che visse appunto in quell'epoca.


Mitologia di Mithra

La leggenda di Mithra è ricostruita dai documenti figurati che sono stati rinvenuti nelle località in cui il culto del Dio ebbe larga diffusione.
Essa si può riassumere, presso a poco, nei seguenti termini.
La luce che rischiarava il Cielo era concepita come una volta solida nella mitologia dei Magi (2). Mithra, nato da una roccia, era chiamato «il Dio venuto dalla pietra».
La tradizione diceva che questa «Pietra generatrice» di cui si adorava nei templi una immagine, gli aveva dato i natali sulle rive di un fiume, all'ombra di un albero sacro; e solo alcuni pastori, che si trovavano nella montagna vicina, avevano avuto la fortuna di osservare il miracolo della sua venuta nel mondo (3).
Essi l'avevano veduto staccarsi dalla massa rocciosa con la testa coperta da un berretto frigio, armato di un coltello e con una fiaccola nella mano sinistra per rischiarare le tenebre. Comprendendo che si trattava di un fanciullo divino, essi accorsero ad adorarlo e gli offrirono le primizie dei loro armenti e delle loro raccolte.
Il divino eroe, però, essendo nudo ed esposto al freddo e al vento, andò subito a ripararsi tra i rami di un fico, dal quale staccò poi i frutti per nutrirsi e le foglie per ricoprirsi il corpo. Così, equipaggiato per la lotta, egli poteva ormai misurarsi con le altre potenze che popolavano il meraviglioso mondo in cui era entrato.


Il Dio contro il quale Mithra provò dapprima le sue forze fu il Sole. Questi dovette rendere omaggio alla superiorità del suo rivale e ricevere da lui l'investitura. Il suo vincitore, Mithra, gli pose sulla testa la corona radiosa che egli porta da quel momento, e concluse con lui un solenne patto di amicizia. Così i due eroi alleati si aiutarono sempre scambievolmente in tutte le loro imprese.

Ma la più importante avventura di Mithra è la lotta col toro, il primo essere vivente creato da Giove Oromazes.
Questo meraviglioso duello, infatti, costituisce la base essenziale di tutto il simbolismo e di tutto il culto del Dio Mithra.
Il toro selvaggio passava in una prateria di montagna: il giovane eroe, ricorrendo ad uno stratagemma audace, lo afferrò per le corna e con un salto riuscì a metterglisi in groppa. Il focoso animale, slanciatosi in una corsa furibonda, trasportò per lungo tratto il giovane Dio. Questi, non potendosi più tenere a cavalcioni della bestia inferocita, s'attaccò alle sue corna e si lasciò trascinare, così sospeso, finché l'animale, sfinito, dovette darsi vinto. Allora il giovane Dio, afferrandolo per le gambe posteriori, lo trascinò nella caverna che gli serviva da dimora, attraversando una strada seminata di molti ostacoli (4).
Il toro però riuscì a scappare dalla sua prigione.
Il sole mandò allora il corvo, suo messaggero, per portare al suo alleato Mithra, il consiglio di uccidere la bestia.
Mithra accettò, contro il suo volere, questa missione crudele, e sottomettendosi alla volontà del Cielo, inseguì col suo agile cane la bestia errante, e, riuscito a raggiungerla, afferrandola con una mano per le narici, gli conficcò con l'altra il suo coltello da caccia nel fianco.
Ed ecco che si verificò allora uno straordinario prodigio. Dal corpo della vittima moribonda nacquero tutte le erbe e le piante salutari che coprirono la terra col loro verde manto. Dal suo midollo spinale germogliarono le spighe che danno il frumento: dal suo sangue sbocciò la vite che dà la sacra bevanda mistica (5).
Le forze del male lanciarono allora contro la bestia agonizzante le loro creature immonde per avvelenare in lei la sorgente della vita: lo scorpione, la formica, il serpente tentarono inutilmente di divorare le parti genitali e di bere il sangue del quadrupede; ma essi non poterono impedire che l'avvenimento miracoloso si compisse.


Il seme del toro, raccolto e purificato dalla Luna, produsse tutte le specie di animali utili, e la sua anima, protetta dal cane, il fedele compagno di Mithra, s'elevò fino alle sfere celesti, ove, divinizzata, diventò, col nome di Silvano, nell'antica Roma, il guardiano degli armenti.
In tal modo, per effetto di questa immolazione alla quale l'Eroe s'era rassegnato, egli diventò il creatore di tutti gli esseri benefattori; e dalla morte causata all'animale nacque una vita novella più ricca e più feconda.
In questo frattempo la prima coppia umana era venuta al mondo, e Mithra fu incaricato di vegliare e proteggere questa razza privilegiata.
Invano lo Spirito delle tenebre suscitò il flagello per distruggerla: l'eroe seppe sempre sviare i suoi funesti disegni.

Ahrimane desolò dapprima le campagne provocando una siccità persistente, e i loro abitanti torturati dalla sete implorarono il soccorso del suo vincitore. Mithra lanciò le sue frecce contro una roccia e ne venne fuori una sorgente di acqua viva alla quale gli uomini si dissetarono.
Ma un cataclisma più terribile aveva minacciata la natura intera. Un diluvio universale aveva spopolata la terra, invadendola con l'acqua straripata dal mare e dai fiumi. Un uomo, però, avvisato dagli Dei, aveva costruita una barca e insieme alle sue cose e al suo bestiame s'era salvato con essa, navigando sulla superficie delle acque.
Venne, infine, il fuoco a distruggere le case degli uomini; ma i devoti di Mithra sfuggirono anche a questo nuovo pericolo, sicché il genere umano aveva potuto finalmente crescere e moltiplicarsi.


Veniva così chiuso il periodo eroico e la missione terrestre affidata al Dio Mithra.
Prima però di risalirsene in Cielo, il Dio volle offrire ad Elios e ai compagni delle sue fatiche una cena suprema (6), per celebrare la fine delle lotte comuni.
Condotto dal Sole sulla sua quadriga radiosa, Mithra traversò l'Oceano che non riuscì affatto ad inghiottirlo, e andò ad abitare con gli altri immortali, senza però cessare di proteggere

Questa favola mitologica - in verità sorprendente per i vari punti di somiglianza con il Vecchio e Nuovo Testamento, scritti in epoca posteriore dimostra l'importanza eccezionale che il Dio tauroctono aveva nel culto dei pagani. Egli era considerato come un Dio «mediatore», pur essendo egli stesso creatore. Era il Logos emanato dall'Assoluto, che dopo aver creato l'Universo come demiurgo, continuava a vegliare su di esso.
La lotta tra il bene e il male, descritta nel mistico racconto, non è altro che la presentazione dei due principi opposti attraverso i quali avviene la manifestazione. Tale lotta è ripercossa nel cuore dell'uomo, abregé dell'Universo, microcosmo. Dalla fusione di queste due forze avviene la vita stessa e l'unità della vita.


La vita umana è una prova: bisogna saper trarre vantaggio da essa e realizzare l'Unità.
Non è facile conoscere quali obblighi il mitraismo imponeva ai suoi seguaci e quali erano i comandamenti che gl'iniziati dovevano osservare.
Dai documenti pervenutici è, ad ogni modo, accertato che gli iniziati ai Misteri avevano per scopo la purezza perfetta.
Il loro Rituale comprendeva lustrazioni e abluzioni ripetute, che avevano per simbolo la purificazione dell'anima in armonia con quella del corpo.
Questa catarsi era conforme alle tradizioni mazdeane.
Dovevano astenersi dal mangiare determinati cibi e dovevano esercitare una continenza assoluta (7). Va ricordata a questo proposito la rigorosa continenza esercitata dall'Imperatore Giuliano, fedele partecipante al culto di Mithra.
La resistenza alla sensualità era uno degli elementi essenziali. Essi perciò consideravano la vita come un dinamismo per combattere e distruggere, o, meglio, eliminare, con la trasmutazione, le forze basse e le passioni.
Per questa caratteristica dinamica, la religione di Mithra è stata considerata religione di soldati, anche perché essa esaltava soprattutto le virtù guerriere.

I Misteri di Mithra, nella loro narrazione cosmogonica, presentavano anche una idea di liberazione e di redenzione. Essi insegnavano la sopravvivenza cosciente dell'essenza divina che risiede nell'uomo.
Firmico Materno afferma che i seguaci della dottrina mitriaca dividevano l'anima in tre parti, poste - anche secondo la filosofia di Platone - la prima nella testa, la seconda nel cuore, la terza nel fegato. La dottrina mitriaca insegnava che le anime, che in numero infinito popolano le sfere superiori dell'Universo, discendono e si rivestono di un corpo umano sia per la necessità di foggiarsi sulla terra di un rivestimento materiale, sia per compiere, in tal modo, determinate missioni, in sostanza, l'attuazione delle legge della reincarnazione.
Quando, dopo la morte, per la corruzione del corpo, l'anima abbandona la sua prigione umana, gli spiriti infernali e gli inviati del cielo se ne disputano il possesso. Un giudizio decide se essa è degna di ritornare al cielo. Se è contaminata da una vita impura, gli emissari di Ahrimane la trascinano negli abissi infernali o anche la condannano ad incarnarsi di nuovo in animali immondi (metempsicosi). Se al contrario è pura di macchie, viene trasportata nelle celesti regioni.


I cieli erano divisi in sette sfere, ciascuna attribuita a un pianeta. Una specie di scala composta di otto porte sovrapposte (di cui le sette prime erano di sette metalli differenti) richiamavano simbolicamente nei templi l'itinerario da seguire per arrivare fino alla regione suprema delle stelle fisse.
(Nel pavimento del Mithreum, scoperto in Ostia, sono, infatti, disegnate chiaramente, queste sette porte simboliche).
Per passare da un piano a quello superiore bisognava ogni volta attraversare una porta guardata da un angelo di Oromazes. Solo i Misti; che conoscevano le formule adatte, potevano ammansire questi guardiani inesorabili. A misura che l'anima traversava questi diversi piani, si spogliava delle passioni e delle facoltà che aveva acquisite rivestendosi di materia. Essa abbandonava alla Luna la sua energia vitale e nutritiva, a Mercurio le basse cupidigie, a Venere i desideri erotici, al Sole le capacità intellettuali, a Marte l'ardore guerriero, a Giove le aspirazioni ambiziose, a Saturno le inclinazioni pigre.

Spogliacosì di tutti i vizi capitali, fatta pur da ogni sensibilità umana, essa penetrava finalmente nell'ottavo cielo per vivere e godere nella luce eterna ove soggiornavano gli Dei (8).
Mithra, protettore della Verità, presiedeva al giudizio particolare dell'anima dopo la morte. Egli era il mediatore e la guida dei suoi fedeli nelle loro ascensioni verso l'empireo: ed era anche il padre celeste che li accoglieva nella sua dimora luminosa.


La felicità riservata alle monadi quintessenziali in un mondo spirituale non era una prospettiva di dottrina alla portata di tutti.
Per il popolo alla dottrina della immortalità dell'anima era congiunta quella della resurrezione della carne.
La lotta tra il principio del bene e quello del male non doveva continuare in eterno. Quando sarebbe terminato il periodo dei secoli assegnato alla sua durata, i flagelli inviati da Ahrimane avrebbero fatto presagire la fine del mondo.
Un toro meraviglioso, analogo al toro primitivo sarebbe apparso di nuovo sulla terra, e Mithra sarebbe sceso nuovamente sulla terra a risuscitare tutti gli uomini. I morti sarebbero usciti dalle loro tombe. L'intera umanità sarebbe stata convocata in una immensa assemblea, e il Dio della Verità, Mithra, avrebbe subito separato i buoni dai cattivi.
Egli avrebbe allora - in supremo sacrificio - immolato il toro divino, offrendo ai giusti la bevanda miracolosa del vino ,consacrato, che avrebbe data a tutti la vita immortale.
Giove Oromazes avrebbe fatto cadere dal Cielo un fuoco divoratore che avrebbe annientato i malvagi.
La disfatta dello spirito delle tenebre sarebbe stata, così, compiuta. Ahrimane e i suoi demoni impuri sarebbero periti, e l'Universo, finalmente rinnovellato, avrebbe gioito in eterno di una felicità perfetta.
Tale la filosofia mitologica di Mithra; tale in breve, la dottrina della sua religione.


La Liturgia, il Culto, l'Ordine dei Sacerdoti

I libri sacri della liturgia mitriaca non sono pervenuti fino a noi. Non abbiamo traccia dei libri delle preghiere recitate o cantate durante gli offici, né dei rituali d'iniziazione e dei cerimoniali di feste, all'infuori di un brano mistico, inserito nel papiro magico di Parigi, che è l'unico Rituale pagano a noi pervenuto e di cui parleremo più innanzi.
Privi di queste indispensabili guide non avremmo alcuna idea delle discipline interne dei Misteri, se non ci fosse pervenuta qualche indiscrezione da alcune persone che vi hanno preso parte, in Roma, nel 10 secolo dopo Cristo. Giacché, come abbiamo accennato, i Misteri di Mithra, a Roma, ebbero larga diffusione anche dopo l'avvento del Cristianesimo, al quale si convertirono non pochi eletti personaggi che prima erano iniziati e fedeli all'Eroe tauroctono.
Un testo di S. Gerolamo (9), confermato da una serie di iscrizioni, ci fa conoscere che il misto (sacratus) passava per sette gradi d'iniziazione, che, con nomi desunti in parte dagli elementi della leggenda mitologica di Mithra, erano i seguenti: CORVO (córax) OCCULTO (cryphius) SOLDATO (miles) LEONE (leo) PERSO (perses) CORRIERE DEL SOLE (heliodromus) PADRE (pater).
Si è ritenuto che i sette gradi di iniziazione mitriaca siano stati derivati dai sette pianeti; e perciò sono stati creduti corrispondenti alle sette sfere planetarie che si dovevano traversare per raggiungere il soggiorno della beatitudine.


I titoli primitivi dell'iniziazione mitriaca erano Corvo e Leone, cioè novizio e iniziato: furono poi aggiunti gli altri gradi intermedi.
L'istituzione della gerarchia rimonta alle origini della religione persiana e sembra che la determinazione dei sette gradi non sia anteriore alla influenza astrologica di Babilonia.
Porfirio dice che le denominazioni animali sono in relazione ai segni dello zodiaco (10) e alla metempsicosi.
Sono da considerarsi come gradi inferiori della gerarchia i Corvi e gli Occulti. Porfirio dice, in termini abbastanza chiari che i Corvi sono degli "ausiliari". Nelle figurazioni di Mithra tauroctono, si vede spesso, infatti, un corvo voltato verso il Dio, e che Mithra stesso sembra guardare. Il Corvo dev'essere il messaggero che trasmette a Mithra, da parte del Sole, l'ordine di uccidere il toro.
Il primo ordine sacerdotale, quindi, era quello di messaggero, servitore.
Dopo l'ordine di Corvo si riceveva quello di Occulto.
Nulla si sa di questo grado gerarchico. Pare però che la funzione dei corvi fosse piuttosto negativa. Essi non si vedevano; e, difatti, non figurano nei bassorilievi che sono giunti fino a noi. Erano sempre nascosti; mostrandosi solo in determinate circostanze con una solenne cerimonia che doveva essere compiuta o al loro ingresso nell'Ordine degli Occulti, o alla loro uscita. In queste solennità veniva perciò usata la formula: "Mostrare gli Occulti" che sembra concernesse piuttosto la loro iniziazione. Secondo il Cumont il nome di Occulto derivava dal fatto che gli appartenenti a questo ordine erano nascosti da un velo.


Dopo questi due Ordini minori, si veniva nominati Soldato, e si entrava nella categoria degli iniziati propriamente detti.
Il Soldato faceva parte della sacra milizia del Dio invincibile, e doveva combattere, ai suoi ordini, le forze del male.
Porfirio designa, è vero, il Leone come colui che partecipava ai Misteri, ma egli non menziona affatto i gradi intermedi tra il Corvo il Leone. Nell'economia dei Misteri il titolo ha però un'alta significazione religiosa. Risulta infatti che nell'antico ordinamento delle classi degli iniziati, i Soldati erano dei veri e propri giovani guerrieri, che avevano funzioni inerenti alla caccia e al combattimento, ma, in senso simbolico, erano coloro che avevano presa la vita nelle proprie mani e con un'attitudine eroica erano decisi a qualunque costo a trasmutare le loro passioni e il loro essere.


Tertulliano, che sembra abbia ben conosciuto i Misteri di Mithra, si estende alquanto sulla iniziazione del Soldato. Egli che convertito al Cristianesimo, qualifica Mithra col nome di Diavolo, dice che i soldati venivano battezzati, e per mezzo di abluzioni ottenevano l'espiazione dei peccati. Erano quindi segnati in fronte e poscia ammessi al rito dell'oblazione del pane, simbolizzando la loro resurrezione nel regno dello spirito e raccogliendo la corona con la spada.
Tertulliano si dilunga abbastanza nella descrizione di queste cerimonie, rilevando la rassomiglianza di questi riti con quelli dei cristiani, e facendo notare che il battezzando veniva segnato in fronte con un ferro rovente (battesimo del fuoco). Si comprende quindi la simbologia delle parole: «Verrà colui che vi battezzerà col fuoco e con lo spirito santo...».
Tertulliano aggiunge ancora che la corona presentata al Soldato sulla spada, che doveva simboleggiare il martirio, veniva prima posta sulla sua testa; ma il soldato doveva levarla e restituirla con un atto solenne, affermando che... «la sua vera corona era lo stesso Mitra».
Rito in verità molto bello e solenne, che ben si addiceva alla iniziazione di un Soldato.


Il Loisy (11) dice: «Una corona è offerta, che il candidato sembra non poter conquistare che con il pericolo della propria vita. Egli la guadagna ciò nonpertanto; ma nel momento in cui gli viene posta sul capo, egli la leva dicendo che non desidera altra corona di protezione e di gloria che Mithra, il suo Salvatore».
Funzione altamente simbolica che rivela lo spirito di fede, di pietà e di devozione che i pagani sentivano nella pratica della loro religione.


Più scarse invece sono le notizie pervenuteci circa l'ordine del Leone. Tertulliano ne accenna incidentalmente quando tratta del culto degli elementi nelle religioni pagane. Egli constata questo culto nei Magi di Persia, presso gli jerofanti di Egitto e presso i gimnosofisti dell'India.

Porfirio invece ne parla quando fa notare l'impiego del miele nella consacrazione del Leone. «Quando viene versato il miele - egli dice - invece dell'acqua, sulle mani di coloro che ricevono l'iniziazione leontica, li si invita a tenersi le mani pure da ogni male, da ogni misfatto, da ogni lordura; ed è appunto nella loro qualità di misto (cioè di leone, che è l'animale simbolico del fuoco, essendo il fuoco purificatore) che viene presentata l'abluzione che è loro più conveniente e adatta, scartando l'acqua come nemica del fuoco. Col miele viene così purificata la lingua da ogni colpa».
Il miele quindi - al dir di Porfirio ha virtù di conservazione e di purificazione.
Queste indicazioni sono un poco vaghe; ma è certo che veniva messo del miele sulla lingua dei Leoni, e che col miele venivano anche consacrate le mani.
É anche certo che il Leone rappresentava il principio igneo, vale a dire il Fuoco Cosmico.
D'altro canto il miele veniva considerato come sostanza celeste, venuta dalla luna, ove venne raccolto il seme del toro divino che fu immolato da Mithra al principio del tempo e della creazione. Esso era ritenuto come elemento efficace di consacrazione e di rigenerazione, avendo qualità purificatrici superiori a quelle dell'acqua ed essendo paragonabile per le sue proprietà mistiche alla bevanda sacra dell'haoma.
La dignità del Perso richiamava l'origine primitiva della religione mazdeana. Sembra che anche nella consacrazione del Perso venisse impiegato il miele.
Porfirio dice che il miele veniva presentato al Perso «come al guardiano dei frutti», data appunto la virtù conservatrice, oltre quella purificatrice, che veniva attribuita al miele.
L'ordine sacro detto del Perso era molto elevato. Colui che aveva ricevuta tale consacrazione poteva essere ammesso alle cerimonie segrete, e indossava per questo il costume orientale con il berretto frigio che portava solo Mithra.
Al Perso seguiva, in scala sempre ascendente, l'ordine del Corriere del sole.
Il misto che raggiungeva questo grado era, come Mithra, assimilato al Sole.
Nella scena mitica corrispondente è spesso figurato il Sole, sul suo carro, che tende la mano a Mithra, il quale cammina al suo fianco. Mithra era dunque il primo heliodromus, e ciò definisce bene il significato dell'iniziazione, giacché il nome di heliodromus non era dato per la corsa che l'iniziato faceva col Sole (egli infatti non precede il Sole ma corre insieme a lui sul suo carro), ma per l'identificazione dell'iniziato col Sole, come già avvenuta l'identificazione di Mithra col Sole.


Il Sole è infatti il centro del nostro sistema planetario e l'espressione fisica del logos planetario (12). La identificazione però ha un significato simbolico molto più elevato, giacché nella economia dei Misteri il Sole era anche il simbolo dell'Assoluto e della Divinità Suprema. La corsa dell'iniziato insieme al Sole nei campi sterminati del cielo azzurro era quindi simbolo e guida del raggiungimento di questa unione suprema.


Il grado più alto della gerarchia mitriaca era quello del Padre. La dignità di Padre corrispondeva a quello effettivo rappresentante dello stesso Dio Mithra, il quale era ritornato al suo Primo Principio, al Padre, dopo di avere compiuta la sua missione col sacrificio mistico del toro.
Il Padre, era, nell'economia dei Misteri, il perfetto iniziato, pienamente partecipe della santità del Dio. Esso era anche detto Aquila.
Al disopra del Padre vi era, infine, il Padre dei Padri (pater patrum), il quale era il capo spirituale e supremo di tutta la comunità religiosa. Egli era l'alto maestro degli iniziati e conservava, fino alla morte, la direzione generale del culto.
I misti che erano posti sotto la sua autorità, si chiamavano fra loro fratelli, giacché i co-iniziati (con(se)cranei, cioè sacrali insieme) dovevano essere uniti in una comunione della grazia divina.
L'ammissione (acceptio) agli ordini minori poteva essere concessa anche ai fanciulli. Non si conosce però se fosse prescritto rimanere in questi gradi minori per un determinato tempo. Spettava, ad ogni modo, al Padre decidere quando il novizio era sufficientemente preparato a ricevere l'iniziazione superiore. Il Padre conferiva personalmente questa iniziazione con la solenne cerimonia del sacramentum, così chiamata a causa del giuramento imposto al neofita, il quale s'impegnava anzitutto di non divulgare le dottrine e i riti.


L'iniziazione al grado di soldato era la più importante negli ordini minori. Di essa, e specialmente del rito della corona, abbiamo già accennato in precedenza, secondo quanto è potuto giungere fino a noi da lievi indiscrezioni di misti convertiti poi al Cristianesimo.


Sulla liturgia poi dei sette sacramenti e sulla dottrina dogmatica che ad essi si riferiva abbiamo ancora più scarse notizie. Sappiamo che, al pari di quanto veniva praticato nei riti iranici, i neofiti venivano sottoposti ad abluzioni multiple che simbolicamente rappresentavano il «battesimo di acqua» ossia lavacro di purificazione interiore.
Al battesimo dell'acqua seguiva il battesimo col fuoco, accennato da Tertulliano, come abbiamo già detto. Questo consisteva nella impressione di un ferro rovente sulla fronte. Avveniva così la purificazione per virtù dello spirito, secondo come è detto nei Vangeli.
Al battesimo col fuoco seguiva l'altro simbolo di purificazione mediante l'unzione delle mani del neofita col miele, col quale veniva anche addolcita la punta nella sua lingua.
Veniva poscia celebrato il banchetto mistico.
Nel rito mazdiano il celebrante consacrava il pane e l'acqua che veniva mescolata al sugo inebriante dell'haoma da lui stesso preparato.
Durante il sacrificio il celebrante consumava poi il pane bevendo l'haoma consacrato e mischiato con l'acqua.
Nelle iniziazioni mitriache il rito era identico: soltanto, all'haoma - pianta sconosciuta in occidente - veniva sostituito il succo dell'uva. Dinanzi al misto veniva posto un pane e un calice pieno d'acqua: sopra di questo cibo il Padre, che possedeva la pienezza del sacerdozio, pronunciava le parole di consacrazione.
Questa comunione mistica che come evidentemente appare, era simile a quella cristiana - veniva offerta al neofita dopo un lungo periodo di noviziato e, sembra, dopo di aver
raggiunto il grado di Leone, che, per questo appunto, veniva detto anche "partecipante".
L'agape sacra rappresentava la comunione mistica dell'iniziato, che con l'alimento del pane (pane di vita) e del vino (essenza spirituale) veniva in contatto con Mithra, lo spirito universale (13).


Il banchetto mistico era preceduto da vari riti che rappresentavano delle prove attraverso le quali il candidato doveva passare. Egli doveva prepararsi a un'astinenza prolungata: doveva sottoporsi a certe espiazioni drammatiche di cui non si conosce il numero né le successioni.
Sembra che al neofita venissero bendati gli occhi e legate le mani: in tali condizioni egli doveva saltare un fossa pieno d'acqua.
Doveva poi prendere parte o assistere a scene terrificanti. Tutto ciò costituiva un complesso di figurazioni simboliche che rappresentavano gli stadi di purificazione graduali del neofita, il quale doveva spogliarsi di tutto ciò che costituiva l'io personale, il senso egoico, la paura, le passioni umane, per dare posto, invece, all'io divino, risvegliando in sé la scintilla di luce, principio di ogni vita e origine di tutta la manifestazione.
L'iniziato doveva esser posto in grado di ricevere la vera luce per mezzo della comunione mistica (il pane di vita disceso dal cielo).
La tradizione di tutto questo cerimoniale occulto era gelosamente conservata da un ordine sacerdotale pienamente edotto dalla scienze divina; ordine sacerdotale che pare fosse distinto dalle varie categorie di iniziati. É però constatato che colui il quale portava il titolo di sacerdos o ontistes faceva spesso, ma non sempre, parte della schiera degli iniziati che avevano raggiunto il grado di Padri (14).


Le funzioni del sacerdote comportavano l'amministrazione dei sacramenti e la celebrazione degli offici. Dalle iscrizioni pervenuteci si rileva pure che essi presiedevano alle solennità e alle consacrazioni religiose.
Il sacerdote aveva un servizio importante. Egli doveva vigilare e mantenere il fuoco sacro che era custodito nel tempio. Tre volte al giorno, all'aurora, al mezzogiorno e al tramonto, innalzava una preghiera al Sole, volgendosi al mattino verso il Levante, a mezzogiorno verso il Sud, alla sera verso il tramonto.
Il celebrante immolava delle vittime faceva le libazioni, tenendo in mano una specie di piccolo scettro sacro. Nulla di preciso si sa di tutto questo cerimoniale, che ad ogni modo era accompagnato da lunghe salmodie e da canti liturgici.
Le iniziazioni avevano luogo, di preferenza, verso il principio della primavera, ma nulla di sicuro si sa sulle cerimonie di questa solennità.
Le comunità mitriache non erano soltanto delle confraternite unite da un legame spirituale, ma erano anche associazioni con riconoscimento giuridico e con il diritto di proprietà. Erano delle specie di sodalizi religiosi con i loro Consigli e le loro Gerarchie che non bisogna confondere né con gli iniziati né con i sacerdoti.
Lo Stato non dava alcuna dotazione; esse perciò traevano i mezzi di sussistenza dalla generosità privata. Gli edifici erano costruiti a spese dei benefattori o con contribuzioni e fondi raccolti dalla beneficenza.
I templi, anche secondo le testimonianze di Tertulliano, S. Giustino Martire e S. Girolamo, che li avevano osservati in Roma, erano fatti a tipo di grotte primitive e si chiamavano perciò specus e qualche volta spelunca, antrum, o, più, genericamente, templum, aedes, sacrarium.


La disposizione del tempio era generalmente la seguente: sulla via pubblica si drizzava un colonnato sormontato da un frontone (porticus). Dalla porta si entrava dapprima in una sala aperta davanti e posta al livello del suolo (pronaos). Questo pronao era chiusi in fondo da una porta che dava accesso ad una seconda sala più piccola (apparatorium) detta sacrestia.
in questa sacrestia e qualche volta anche nel pronao dava una scala, per mezzo della quale si scendeva nel santuario propriamente detto crypta (luogo nascosto). La cripta, che raffigurava simbolicamente il mondo, era fatta a volta per imitare il firmamento. Penetrando in questa cripta si passava dapprima in una specie di pianerottolo che occupava tutta la larghezza della sala; al di là, la sala si divideva in tre parti: un corridoio centrale d'una larghezza media di m. 2,50, che era il coro riservato agli officianti, e due banchi di muratura che si estendevano lungo i muri laterali e di cui la superficie superiore, larga circa m. 1,5o, era leggermente inclinata. Su tali banchi s'inginocchiavano o si coricavano gli assistenti per seguire gli offici e prendere parte ai pasti sacri.
In fondo al tempio vi era d'ordinario un'abside sopraelevata (absidata exedra) ove si drizzava regolarmente il gruppo ieratico di Mithra tauroctono, talvolta accompagnato da altre immagini divine.
Davanti a questo gruppo ieratico erano situate le are dove bruciava il fuoco sacro.
La piccola capacità del tempio ci attesta che il numero dei fedeli doveva essere abbastanza ristretto, tanto da far supporre che solo i Partecipanti fossero ammessi nella cripta sotterranea, e che quelli dei gradi inferiori avessero accesso solo nel pronao.

Le donne non erano ammesse ai Misteri di Mithra. L'esclusione di esse fu praticata in tutto l'occidente, mentre nei culti orientali la loro partecipazione aveva carattere considerevole qualche volta preponderante.
Tuttavia, un testo di Porfirio afferma che le donne potevano ricevere certi gradi d'iniziazione: ciò forse avveniva in talune comunità d'oriente o in città in cui le donne partecipavano anche agli affari pubblici.
A Tripoli d'Africa (Oea) è stata scoperta la tomba di una lea, che sembra essere stata una «leonessa» mitriaca.

 

Il Rituale


Oltre quanto abbiamo detto circa il culto del Dio Mithra in Roma (ove, a parte il Mithreum di Ostia, e quello esistente sotto la Chiesa di San Clemente, si trovano ancora parecchi marmi che rappresentano il Dio assiso sopra un toro tenuto per le corna) noi possediamo un documento della massima importanza un RITUALE MITRIACO, che, mentre serve a illuminare, qua e là, la filosofia che i pagani avevano a base della loro religione, ci rivela la fede, la devozione e la pietà che essi impiegavano in tutte le pratiche di culto verso gli Dei.
Il testo, la cui traduzione integrale è raggiungibile con il link sopra riportato, è ricavato dalla traduzione inglese di G. R. S. Mead (A Mithriac Ritual, London a. Benares, 1907) e Si trova nel Gran Papiro Magico di Parigi (N. 574 del Supplément grec de la Bibliothèque Nationale).


Di esso noi riporteremo, in questo contesto, solo qualche brano per completare, così, la nostra breve dissertazione sul Dio iranico-persiano adorato a Roma fino a quattro secoli dopo l'avvento del Cristianesimo.

LA PREGHIERA DEL PADRE:
«O Provvidenza, o Fortuna, accordami la tua Grazia - impartendo questi misteri che solo un Padre può trasmettere, un Padre a un Figlio soltanto - la sua Immortalità - (un figlio) iniziato, degno della nostra Arte, della quale il sole Mithra, il grande Dio, mi ordinò di essere dotato dal Suo Arcangelo; cosicché io, Aquila, (quale sono da per me stesso) soltanto possa volare in Cielo e contemplare tutte le cose» (15).


L'INVOCAZIONE DEL CANDIDATO:
«O Origine primaria della mia Origine, Tu sostanza primaria della mia sostanza; primo Alito dell'Alito che è in me; primo Fuoco da dio dato per il mescolamento delle mescolanze in me; (Primo Fuoco) del fuoco in me; Prima Acqua della (mia) acqua, l'acqua in me; tu Corpo perfetto di me - N. N. ... figlio di M. M. (femminile) - formato dal Braccio onorato e dalla Incorruttibile mano destra in un mondo che è senza luce eppure radiante di luce, che è senz'anima eppure tutto d'anima ripieno!».


«Se, veramente, a voi sembra bene, trasportatemi, ora che sono tenuto dalla mia natura inferiore, alla generazione che libera della Morte; affinché di là dal bisogno insistente che preme su di me, io possa avere la visione della Sorgente Immortale, per virtù dello Spirito immortale, per virtù dell'acqua immortale, per virtù del solido (immortale); affinché io possa divenire rinato nella Mente; affinché possa divenire iniziato e che l'Alito sacro aliti in me; affinché possa ammirare il Sacro Fuoco; possa vedere la profondità della (nuova) Aurora, l'Acqua che fa fremere (l'anima); l'Etere che dona la vita e avvolge tutte le cose possa darmi l'udito».


«Poiché oggi devo contemplare con Occhi immortali - Io, mortale, nato da seno mortale, ma ora reso migliore dalla Possa del potere potente, anzi dall'Incorruttibile Mano destra l'Eone immortale, il Padrone dei diademi di fuoco...».


«Poiché è al di là della mia portata che io, nato sotto l'imperio della Morte, possa volare nelle altezze insieme con le scintille d'oro dello splendore che non conosce Morte».
«Sta in quiete o natura condannata a perire, natura umana soggetta alla Morte. Lascia che io subitamente passi oltre il bisogno implacabile che preme su di me; per questo io sono suo Figlio; io respiro; io sono!».


ALTRA INVOCAZIONE (All'Eone):
«Odimi, porgimi orecchi o Signore, che col tuo Alito hai chiuse le barriere di fuoco del Cielo. Tu dal Duplice corpo; Governatore del Fuoco, Creatore della Luce; Detentore delle chiavi; Inspiratore del Fuoco, il cui alito dà Luce; tu che gioisci nel Fuoco, Bello di luce; o signore di Luce...»


«Oh, apriti a me! Ecco, io a cagione di questa amara e implacabile necessità che preme su di me, invoco i tuoi Nomi immortali, tu che hai innata la Vita; adorabilissimo, che non sei ancora sceso fino alla natura mortale; che nessuna lingua umana, nessun grido o accento ha articolato!».


*    *    *


Tali e molte altre simili invocazioni ferventi sono dettate nel Rituale Mitriaco.
Questi passi frammentari bastano tuttavia a darci un'idea di ciò che fosse la devozione presso i pagani in genere, e presso gli iniziati ai Misteri di Mithra specialmente, prima e durante l'Impero dell'antica Roma.

 

 

1. Dall'Avesta, Yasht X, 39, ss., 19, ecc.

2. F. Cumont: Les Mystères de H. Lamentin Edit.

3. Bassorilievi danubiani.

4. Questa penosa «traversata s del Dio tauroforo, rappresenta un'allegoria delle prove umane.

5. Gli artisti hanno perciò espressa questa miracolosa fioritura facendo terminare la coda del toro con un mazzo di spighe.

6. Questa cena era commemorata poi dagli iniziati con una agape mistica, come vedremo.i fedeli che lo avevano servito e adorato con pietà e devozione.

7. Porfirio - De Abstin, IV,26.

8. Questa dottrina mitriaca, che sostanzialmente comprende le dottrine di molte altre religioni, è stata paragonata ad altre credenze analoghe e studiata dettagliatamente da M. Bousset, Die Himmelsreise (Archiv. of. Religionsiviss., t. IV) 1901, p. 160 ss. (Cumont, op. cit., p. 164).

9. S.Gerolamo, Epist. ad laetam, 107

10. Presso i Persiani Mithra era anche rappresentato con la faccia di Leone e una specie di tiara a due corna sulla testa, per indicare che il sole è nella sua forza allorché trovasi nel segno del Leone.

11. A. Loisy: Les Mystères Païens et le Mystère chrétien, p. 179.

12. I Galli, che pure adoravano il Dio Mithra, lo rappresentavano provvisto del sesso maschile e del sesso femminile, per significare che il Sole bastava da sé a riprodurre tutte le specie degli esseri viventi. Cosa che non sembrerà strana se si pensa che gli Ebrei diedero al Sole un nome che significava «madre degli esseri viventi» e precisamente «Regina del Cielo»; che gli antichi Greci della Mesopotamia rappresentavano, al contrario, la Luna sotto forma maschile.

13. Un bassorilievo esistente nel mithreum di Konyca, in Dalmazia, rappresenta questa interessante comunione mistica. Innanzi a due personaggi seduti su di un morbido sedile guarnito di cuscini è posto un tripode, su cui sono situati quattro piccoli pani sopra i quali sono impressi due segni a croce, in modo da poter essere facilmente spezzati. Attorno ai due personaggi sono raggruppati gl'iniziati dei differenti gradi. Uno di essi, il Persiano, presenta loro un calice a forma di rithon per bere, mentre un secondo rithon è tenuto per mano da uno dei comunicati. A sinistra si vede il Corpo e il Persiano; a destra il soldato (?) e il Leone.

14. Per gli studiosi della Storia delle religioni sarebbe interessante una erudita comparazione fra i diversi ordini minori e ordini maggiori sacerdotali della religione mitriaca con quelli di altre religioni. Quest'ordine sacerdotale, che custodiva e tramandava il cerimoniale occulto e il rituale mitriaco, pare che si avvicinasse alquanto a quello dei Padri che in altre antiche religioni disputavano in materia teologica. É notevole anche i fatto che il berretto frigio - con cui, secondo la leggenda mitologica, Mithra sarebbe venuto al mondo - era il distintivo dei misti che avevano raggiunta la pienezza del sacerdozio. Con la mitra a due corni a forma di mezzaluna usata anche dai Fenici, dagli Assiri, dai Babilonesi, dagli Ebrei, ecc. - pare che gli antichi volessero alludere al fatto che la luna, alla quale si usava sacrificare dei tori e di cui le corna erano il simbolo, non aveva luce propria, ma quella che le proveniva dal Sole.

15. Nei misteri Mitriaci il Padre era denominato anche Aquila.

 

 

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