Il documento che segue è opera d'ingegno di Sri S. Subramanian, già apparso nel gennaio 1983 sul periodico "The Divine Lift", Tradotto da Vidya.

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Analogie fra l'Avesta e i Veda

Sri S. Subramanian 1983    


I Parsi viventi oggi in India discendono dai profughi persiani che vi trovarono scampo alle invasioni arabe della Persia nel VII e VIII secolo.
Anche se la vera ragione della loro emigrazione non è chiara, i Persiani non furono i primi a mettere piede in India; prima di loro vennero gli Indù della dinastia Pallava che instaurarono il loro impero nel Deccan, regione meridionale dell'India (1).
Il Bhavisya Purâna menziona i sacerdoti del sole chiamati maga che, con la loro adorazione del sole e la proibizione del cordone sacro, ricordano i sacerdoti-magi persiani. Essi si convertirono al Bramanesimo (2) e attualmente si trovano come brâhmana maga nel Marwar meridionale.
Nei secoli XVI e XVII, i Parsi vennero in contatto con lo yoga e il misticismo indù senza che ciò avesse la forza di influenzarne la religione e l'identità coscienziale di gruppo.
Il tedesco Meiners (3) notò che tra le idee dei Parsi e quelle dei brâhmana (e dei Musulmani) c'erano molti punti simili e ciò fu per lui una prova che il parsismo (4) non era che un intreccio di miti e racconti brâhmanici e musulmani in cui dèi e dèmoni coesistevano.

La ricerca moderna, muovendo dallo stesso punto di partenza, arrivò a una duplice conclusione e cioè che il parsismo fu uno degli elementi sui quali il profeta Maometto fondò la sua religione e che le antiche religioni dell'India e della Persia dovevano avere una sorgente comune.
Meiners fece rilevare l'identità del mitico monte Albond dei Parsi con il monte Meru (5) degli Indù e concluse che ciò era una prova che i primi derivarono la loro mitologia dai secondi. Tale conclusione è inesatta, mentre non lo è la tesi dell'identità delle due montagne.
Egli disse anche che in parsi il nome "dèmone" (daeva) era di origine indù e che entrambi derivavano dal latino "dio". Ciò non è esatto: la parola che in Persia significa dèmone, in India significa l'opposto.
Sir William James (6) scrisse: «Quando consultai il glossario zen (7), fui enormemente sorpreso di trovare che quasi sette parole su dieci erano puro sanscrito, e persino alcune delle loro flessioni derivavano dalle regole del Vyâkarana (8). Ne consegue che lo zend potrebbe essere stato un dialetto del sanscrito, tanto simile ad esso quanto il prakrit o altri idiomi popolari che venivano parlati in India 2000 anni fa».


Padre Paolo de St. Bartholemy (9), con un elenco di parole designanti gli arti del corpo e le idee più generali ed essenziali, dimostrò l'affinità dello zend con il sanscrito. Egli arrivò alla conclusione che in una antichità molto remota il sanscrito era parlato in Persia e in Media, che esso diede vita alla lingua zend e che l'Avesta raccoglie le autentiche sacre Scritture zoroastriane.
John Leyden (10) considerò lo zend come un dialetto prakritico al pari del pali e tanto simile al dialetto milgadhî quanto lo zend sauraseni.
L'idea di procedere a una comparazione della mitologia dell'Avesta con quella dei Veda ebbe origine dalla constatazione dell'identità di Yama, dio vedico della morte, con lo Yima avesta. Tale idea comparve per la prima volta nei Veda – la più antica codificazione delle forme poetiche e filosofiche indiane – e sottolineò la stretta affinità tra i Veda e le parole e idee dell'Avesta. Le lontane origini ormai dimenticate di molti dèi ed eroi parsi furono rivelate dai Veda. L'Avesta e i Veda sono due echi della stessa e unica voce; pertanto i Veda forniscono il miglior lessico e rappresentano il commento più fedele dell'Avesta.
Roth e Burnauf (11) hanno dimostrato che la storia epica dell'Iran deriva dalla stessa fonte dei miti dell'India vedica e fecero notare l'identità di Ahura Mazda (12), il supremo Dio dell'Iran, con Varuna, il supremo Dio dell'era vedica.

La religione dei magi, sia per quanto riguarda Ormazd (Ahura Mazda) che per Angra Mainyu (Ahriman) (13), derivò dalla stessa fonte di quella dei Rsi indiani, vale a dire dalla religione che professarono gli avi degli Iraniani e degli Indiani prima che i due gruppi si dividessero.
La religione indo-iraniana fu governata da due postulati generali:

  1. La legge della natura: tutto procede in un ordine sereno e potente, c'è un Dio che governa questa legge perfetta. L'alba sorge sempre

  2. La guerra in natura: un latente monoteismo e un inconscio dualismo messo in luce dagli dèi che operano il bene e i dèmoni che operano il male.

In seguito allo sviluppo del pensiero indiano, entrambi sparirono gradatamente ma il Mazdeismo li conservò.
Il supremo Ahura della religione indo-iraniana, il dio del cielo, fu chiamato Ahura Mazda nell'Avesta. L'altro suo nome iraniano, Varana, sopravvisse come il nome del cielo e quindi della mitica Varena, regione che fu il campo di battaglia tra il dio e il dèmone della tempesta.
In India, in pieno periodo vedico, Indra, il dio della folgore e della tempesta, prese la supremazia nel pantheon offuscando, con la risonanza e lo splendore delle sue imprese, Varuna, il dio del cielo e delle acque, prima di cedere a sua volta tale supremazia al Brahman impersonale.

Gli antenati degli Indo-iraniani parlarono di sette mondi, il settimo era rappresentato da Ahura Mazda.
In India il numero fu elevato a 12 per farlo corrispondere con gli aspetti di Àditya, il Dio-sole.
In Persia abbiamo gli amshaspend (14): bahman (il pensiero retto), ardibihisht (la virtù eccelsa), shahriver (la sovranità perfetta), sipendarmidh (la pietà divina), khordhah, (la salute) e murdad (l'immortalità) sui quali presiede il Dio supremo Ahura Mazda.
Nei Veda, Mitra, il dio della luce celeste, e Varuna venivano invocati in coppia, Mitra-Varuna.
Nell'Avesta, Mithra divenne una delle creature di Ahura Mazda. Malgrado il potere di Ahura, quando infuriava una tempesta nell'atmosfera, Mithra cercava soccorso in Vâyu, il dio del vento.
I Veda considerano gli dèi e i dèmoni poco più che creature dell'eterno Onnipotente. La Persia tenne in gran conto i dèmoni, ne ebbe timore e li combatté sempre.
I Veda descrivono la guerra nella natura come una battaglia combattuta da Indra, armato di fulmini e saette, contro il serpente celeste Ahi, il dèmone dell'oscurità e della siccità, che ruba le albe e i fiumi e li tiene prigionieri nelle pieghe delle nuvole.
Nell'Avesta fu semplicemente un combattimento tra il fuoco e il diabolico serpente Ahzi per il possesso della luce.
Traitrana o Trita Āptya, una divinità vedica di rango minore associato a Indra, è Thraetaona Athwya dell'Avesta.
Indra Vrtrahan (Indra in quanto uccisore di Vrtra, il dèmone della siccità) dei Veda è Verethraghna dell'Avesta che, benché venerato come il dio del fuoco, conservò le caratteristiche del dio della tempesta.
Nella mitologia indo-iraniana, Vâyu era il nome che entrambe le culture davano al dio che combatteva e conquistava. Nel Mazdeismo, Ahura Mazda invocava il suo aiuto contro Ahriman.
Il vedico Yâtu rimase inalterato nell'Avesta. Yâtu fu un dèmone che prendeva qualsiasi forma gli piacesse. Nell'Avesta, l'uomo-yâtu fu il mago (sciamano).
Poiché la parola "deva", che nei Veda significa divinità, nell'Avesta significa dèmone (daeva), si pensò che l'opera di Zoroastro fosse una reazione al politeismo indiano.
Che Zoroastro fondasse una nuova fede per combattere la religione vedica e che volesse liberarsi degli dèi più antichi non è plausibile perché il Mazdeismo si sviluppò chiaramente dalla religione più antica. Per esempio, la parola "âsura" (15) che nell'Avesta è molto sintomatica, veniva applicata pure a Varuna (Rg Veda, I 24 14), l'equivalente vedico di Ahura, sebbene nella letteratura brahmanica significasse "dèmone".
Quando gli Iraniani e gli Indiani migrarono dalla loro terra comune, il termine "âsura" li seguì in India e in Persia. Indra, il grande dio vedico, fu venerato sia in Iran che in India sotto il nome di Verethraghna.

Non esiste perciò alcun conflitto interiore tra le religioni vedica e avesta. In nessun luogo si può avvertire una rottura del legame che le unisce alla loro origine comune.
Il vago, incerto dualismo della religione indo-iraniana si trasformò, lentamente ma decisamente, nel ben determinato dualismo dei sacerdoti-magi.
Secondo Strabone, XV, 14 e Manu, IV, 53, spegnere il fuoco soffiandoci sopra era un crimine.
Nell'Avesta, la pena capitale veniva pronunciata espressamente soltanto contro peccati inespiabili. Lo spirito dell'antica legislazione ariana era saggio e chiaro: ai suoi occhi c'erano tante offese che meritavano di essere punite più severamente dell'omicidio.
La Bhagavadgitâ afferma che fare del bene è una parte essenziale dell'essere buoni. L'Avesta dice: pensa bene, parla bene e opera bene.

 

 

1 - D.A.N. Sastri, A History of South India, 1966, p. 101. I Pallava arrivarono in India intorno al III secolo e regnarono per circa cinque secoli.

2 - Gazetter of Bombay Presidency, 1901, IX part I, pag. 401.

3 - De Zoroastris Vita Institutis Doctrine et libris, Novi Commentarii Societatis, Goetingen, 1778-9.

4 - Nome moderno della religione di Zarathustra professata dai Parsi.

5 - La mitica montagna che rappresenta il centro dell'universo.

6 - The Sanskrit Grammar. "Asiatic Researches", II 3.

7 - Termine che nel XIX secolo fu usato per indicare, impropriamente, la lingua (l'avestico) in cui fu scritto l'Avesta.

8 - La grammatica, una delle sei scienze ausiliarie (vedânga) dei Veda.

9 - De antiquitate et affïnitate linguae sarnsoredmnicae et germanicae - Roma 1798.

10 - Asiatic Researches, X.

11 - Revue Critique — 1877, II 81.

12 - Da cui il mazdeismo, l'antica religione dell'Iran rivivificata da Zarathustra e il cui testo, rivelato dal Dio a Zarathustra, è l'Avesta.

13 - Sono i due princìpi, il primo del Bene e il secondo del Male, del mazdeismo.

14 - Dal persiano amesha spenta (i santi immortali). Sono i sei principi impersonali sui quali governa Ahura Mazda.

15 - Nel Rg Veda i termini "âsura" e "deva" indicano esseri divini in senso lato preposti a funzioni creative. Successivamente si differenziarono in dèi e dèmoni. Cfr. Chàndogya Upansad: VIII, 7-12. Nell'Avesta tali termini assumono significati opposti a quelli vedici.

 

 

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