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Il Culto di Mithra

Giuseppe Caturegli 1962  


Le due vallate, mesopotamica e nilotica, furono le culle delle più grandi sorgenti culturali dell'antichità.
Nella Mesopotamia l'umanità si mise in cammino dalle montagne, gli dei avevano schiuso la porta che nessuna forza avrebbe potuto richiudere. Il Sole mesopotamico, dalle spalle di fuoco, era partito alla conquista del cielo e del mondo. Questa vallata confina a settentrione col Mar Nero, a mezzogiorno comprende la penisola arabica anticamente conosciuta come Asia Occidentale e Vicino Oriente, ad oriente con le frontiere afgane e ad occaso col Mare Mediterraneo.
Nell'antico Vicino Oriente evvi la provincia mesopotamica ove, nel corso dei secoli, si succedettero razze e civiltà: Sumeri, Proto-Elamiti, Elamiti, Persi, Medi, Persiani, Acmenidi, Semiti, Assiri, Urriti ed, in Anatolia, gli Ittiti; Siri Aramei nella vallata dell'Oronte ed infine, sul Mediterraneo, Fenici e Cananeí. Orbene, fra gli dei comuni a questa civiltà, troviamo annoverato Mithra.
Probabilmente il culto di questa divinità è importato nell'Iran dalla civiltà indù; infatti, sopra una parte degli Urriti, regnava una dinastia di lingua indo-europea, con una religione diversa da quella dei sudditi. Il Pantheon di questa corte era composto da divinità paleoindiane e, fra di esse, Mithra.
Un parallelismo fra gli dei indiani e quelli della Mesopotamia è documentabile dalla circostanza che gli Indiani antichi nominavano insieme Varuna-Mithra, come pure gli Iranici associavano Mithra al nome di Ahurā ; si deve aggiungere anche che, nella civiltà paleoindiana, Mithra è il dio del Sole.
La analisi della letteratura relativa all'arcaico Pantheon iranico consente di riferire questa gerarchia:


Vāyu o Vāta
(dio del principio o del vento)


Ahurā Mazdā, Mithra (
*), Airyanaan
(dei con attributi sovrani)

Idra Verethghna
(dio con attributi guerrieri)

Nāhaithya, Ardivī Sura, Anāhitā
(dei con attributi guerrieri)

Ātār
(dio della fine, dio del fuoco)


(
*) Mithra compare sul palcoscenico della storia (Bussaglia), adorato come divinità ctonica, attorniato da Sraosa e da Rasnu; è raffigurato anche in alcuni bozzetti del Luristan.

Da tali dati appare che Mithra è, nel mondo mesopotamico, un dio più splendido ed appariscente, se raffrontato al culto a lui riservato in India. In questa regione egli rappresenta la giustizia, l'ordine sociale, l'armonia fra le varie classi, è anche la guerra e la vittoria, è la supremazia vincente del diritto, il destino, la felicità, la fertilità, la distribuzione.
Egli risplende nel firmamento, è la luce nel buio, le stelle sono i suoi occhi che vedono tutto, è come il sole nel cielo diurno.
A tal proposito è delucidativo ricordare che nella lingua neo-persiana il vocabolo «Mihr», diminutivo di Mithra, significa anche «Sole» e che nella leggenda sulla sua nascita egli appare sulla terra sotto forma di una stella che, cadendo dal cielo come una colonna di fuoco, entra nella grotta ove nasce.
Questa leggenda è forse la sintesi di un rito di ierogamia? Da quanto afferma Ghirschman, Mithra ha mille orecchie e decine di migliaia di occhi, egli è il principale collaboratore di Ahurā Mazdā nella distruzione dei nemici del Giove iranico: quindi la scalata di questo dio alle vette del Pantheon mesopotamico risulta impetuosa; ma egli non si mescola con quel popolo di dei di varia genesi e di varia provenienza perché è appunto il luogotenente di Ahurā Mazdā, vede, ascolta, è intermediario fra gli uomini ed il cielo. Per la particolare caratteristica di trait d'union fra le umanità ed il cielo cresce sempre di più nella considerazione dei sacerdoti e, particolarmente sotto le dinastie sassanidi, lo troviamo rappresentato (tomba di Artasir II").
Ed ecco Zaratustra muoversi dal deserto e predicare lo Zervanesimo; col desiderio di portare ordine nel culto degli dei, propone una nuova gerarchia celeste ed anche in essa esiste un parallelo fra il dio Manoch e Mithra, considerato figlio di Ahurā come risulta da un passo del Gatha (Yasna 31,8). Per Zaratustra la gerarchia celeste è così raffigurata:


Zervan
(dio padre)


Ahurā Mazdā Ahra Mainyu
(dei figli)

Fra Ahurā Mazdā (bene) e Ahra Mainyu (male) ritroviamo Mithra che, come nel culto indù, conserva il carattere del dio del contratto, forse con elementi guerrieri secondari. Nello Zervanismo è l'intermediario che fa rispettare la legge ai due figli di Zervan e pertanto rappresenta la giustizia ed il diritto; appunto per tale motivo è il salvatore per eccellenza dell'umanità.


I Luoghi di Culto
Queste note introduttive proiettano il culto di Mithra nei secoli futuri; tuttavia vi è un elemento, la tettonica dei Mithraei, che ci induce alla riflessione. Pertanto da tale documentazione si può individuare la differenza che intercorre tra le costruzioni adibite al culto degli dei, quali ci sono tramandate dai reperti archeologici, ed il culto di Mithra, ossia di una divinità che niente ha in comune con la estatica contemplazione tipica dei culti orientali.

I documenti che saranno presi in esame sono:

  • La pianta del XVI" strato degli scavi di Eridu.

  • La planimetria di una cattedrale cristiana.

  • Il Mithreum di S. Clemente in Roma.

 

La città di Urak si gloriava di un complesso sacro che dà il via ad una tradizione architettonica di torri a più piani, le cosiddette «Ziggurat», aventi una analogia di somiglianza con la torre di Babele e che si ricollega alle piramidi degli Egiziani e degli Incas.
Questa architettura verticale è un documento di fede ardente che testimonia il desiderio di gettare una scala tra terra e cielo che permetta ed assicuri la venuta degli dei fra gli uomini.
Negli scavi di Eridu, al livello del XVI" strato, è stato ritrovato un tempio dedicato al dio delle acque.
Esso è il più antico documento di ieroarchitettura sino ad oggi conosciuto, ove sono contenuti elementi strutturali costanti per tutte le religioni.
Vi è una sala rettangolare che una transenna divide in due zone; in fondo una spartizione più raccolta ove appare un basamento in terra e, dopo di esso, un blocco; nella spartizione più raccolta un altro blocco. Al di là di ogni dubbio possibile appare come i fedeli restassero nello spazio compreso fra l'ingresso e la tramezza; il blocco posto al centro di essa era destinato alla raccolta delle offerte dei fedeli; tra la tramezza e la spartizione più raccolta stavano i sacerdoti; probabilmente sull'ultimo blocco aveva sede la statua del dio oppure l'ara destinata ai sacrifici.
Anche nei templi cristiani si ha una ripetizione, seppure per somme linee, di tale architettura.
Infatti in essi si riscontra una zona destinata ai fedeli anche se può esservi la variante delle navate laterali, una transenna dove vi è un piedistallo, uno spazio riservato al clero, un altare. Le differenze non sono notevoli, semmai vi è disparità di attributi, fra il culto degli dei mesopotamici e quello cristiano, nella funzione del blocco sulla transenna che, come già è stato detto, nel tempio di Eridu serve per raccogliere le offerte, mentre nella chiesa cristiana serve per diffondere il verbo di Dio.
Differenza quindi di attributi funzionali e non di elementi architettonici; da ciò la validità della architettura protoiranica quale esigenza di culto che corrisponde ed anticipa anche la tettonica attuale.
Per tali motivi il tempio del XVI strato degli scavi di Eridu corrisponde allo schema sul quale sarà improntata, anche nei secoli a venire, la strutturazione degli edifici del culto.
Il Mithraeum, ossia luogo destinato al culto di Mithra, differisce da tali planimetria.
Tali edifici conservano una struttura rettangolare; tuttavia, al di fuori di tale elemento, differiscono totalmente dalle già ricordate architetture per i seguenti motivi:

  • I due lati maggiori sono occupati da sedili in pietra, quasi essi volessero far convergere l'attenzione degli occupanti verso il nucleo centrale ossia il punto 2.

  • Leggermente sposatta sulla sinistra di chi entra vi è un'ara.

  • Dietro di essa troviamo un basamento, che assomiglia ad un travetto, sul quale verosimilmente si assiedeva il «pater».

  • Dietro questo travetto vi è una nicchia che accoglie la statua di Mithra.

  • Prima che inizino i due sedili laterali sui lati maggiori del rettangolo vi è uno spazio.

La analisi di tali elementi consente di trarre le seguenti considerazioni conclusive:

  • I sedili in pietra erano riservati ai fedeli di Mithra.

  • L'ara sacrificale assolveva ad una duplice funzione:

  • a) sacrificio (tauricidio),

  • b) cattedra. Avanti ad essa ed adiacente vi è un piccolo basamento su cui forse si deponevano le offerte.

  • Il tronetto era riservato al «pater», ossia al capo della comunità Mitraea.

  • La nicchia che accoglie la statua di Mithra, che troneggia su tutti, è infatti sopraelevata e simboleggia la presenza del dio fra i suoi fedeli.

  • Lo spazio che precede l'inizio dei sedili e che continua sino all'ara assolveva ad una funzione di area destinata alla attesa dell'inizio dei riti.

Il significato del Culto di Mithra

Mithra semidio
Queste considerazioni ci pongono dei problemi ed il principale di essi è: da parte dei fedeli, Mithra è veramente dio? è un maestro? Cerchiamo di rispondere!
La figura di Mithra ha resistito alla usura dei secoli, ha subito varie identificazioni con i varî olimpi : Ellenico, Egizio, Romano: infatti vi è la testimonianza, tramandata da iscrizioni,
che la identificano o la accomunano al culto di Zeus, Elios, Ahurā Mazdā, Apollo, Ermes, Serafide e di una glittica che lo raffigura insieme a Marte, Venere, Saturno, Serafide.
É evidente che la sua figura è dotata di una personalità così forte da resistere alla riforma operata da Zaratustra perchè, questi vivente, o morto da poco, si registra l'inizio di un processo di fusione fra la nuova religione da lui proposta, lo «Zervanismo», essenzialmente monoteista, ed il vecchio Pantheon iranico. Per questo lo ritroviamo presente ed adorato dai Medi e dagli Acmenidi. Egli rimane vitale forse e soprattutto per quel suggestivo operare in equilibrio fra il bene e il male, dei quali sembra essere il depositario.
Ciò è saggezza, giustizia, è anche la sovranità sulla legge naturale. E ci induce a proporre, timidamente, quasi sottovoce, che la parola culto sia troppo grossa, anche se la credenza e le erezioni di luoghi di convegno in onore di questo dio depongano in sfavore della tesi che avanziamo, e che tale parola iperbolizza la portata teologica di questo semidio, anche in relazione alla sua origine. Egli infatti ha una nascita che sembra voler confermare la origine ctonica proposta, da Bussagli; infatti il rito ierogamico che abbiamo proposto sembra deporre a favore di una origine umana, di un connubio tra terra (uomo) e cielo.
É stata usata la definizione di «semidio» ossia di quell'uomo che ha una nascita, una vita tra gli uomini, una ascensione in cielo. Non a sproposito infatti è già stato detto della sua nascita; vi è un periodo trascorso sulla terra caratterizzato dall'insegnamento, dalla bontà e dalla santità, vi è infine la sua ascensione in cielo, quale volontà degli dei di avere nel loro consesso un tale monumento di perfezione, appunto perché nella sua nascita fonde armonicamente l'elemento celeste e quello umano. Due sacerdoti nel costume dei Medi portano il «barsman», ossia il fascio di rami che ardono quale fiamma, a simbolo della nascita e della morte, della luce che sorge e che tramonta, quasi a simboleggiare la caducità della natura umana.
Ma la luce, la fiamma sono un simbolo solare, la documentazione glittica della sua grande potenza anche nell'assise degli dei.
La religione Zarvanita ha per base anche il culto di Mithra ed essa si sviluppa in particolare nell'Asia Minore come religione mistero: i misteri di Mithra. Tali misteri esercitano una grande attrazione sui Medi; infatti il dio indossa il tipico costume di questo popolo: berretto a punta con paraorecchi, che era proprio della casta sacerdotale.

Mithra uomo dio

Vi è notizia di una leggenda che riferisce come ogni anno i sacerdoti di Mithra, i Maghi, si radunassero sulla «Montagna della Vittoria» ove attendevano l'apparire di una stella (con evidente riferimento ai simboli della nascita di Mithra), che avrebbe annunciato la nascita del «Re Salvatore» in una grotta. Qui viene spontaneo il tentativo di scorgere un parallelo fra questa divinità e Gesù. Essi hanno in comune una nascita, una vita di esempi e di insegnamento, una ascensione in cielo. Sia ben chiaro che tale parallelismo non è che la ripetizione di alcuni aspetti comuni quali:

  • nascita in una grotta;

  • insegnamento ed esempio di santità;

  • ascensione in cielo;

e che invece Mithra:

  • non opera miracoli;

  • non muore;

  • non resuscita.

Tuttavia, tentativi di parallelismo a parte, appare evidente la genesi umana di Mithra appunto perchè è atteso nel mondo, dai suoi sacerdoti, come Re e Salvatore, ossia come potere e come strumento di redenzione.

La Glittica del Mithraeum
Gli elementi figurativi del Mithraeum possono essere così elencati:

  1. il tauricidio - Mithra uccide con una lama il toro;

  2. il cane - beve il sangue che sgorga dalla ferita del toro;

  3. il serpente - beve il sangue che sgorga dalla ferita del toro;

  4. lo scorpione - nell'atto di addentare con le sue chele i genitali del toro;

  5. Mithra che porta in mano il «barsman»;

  6. Mithra che nasce dalla roccia.

Questa glittica è desunta dalla osservazione del Mithraeum di S. Clemente e di S. Prisco in Roma e dal confronto con quelli di Ostia e di Deutsch Altemburg (Austria).
Il tauricidio: il toro è il simbolo tradizionale della fertilità; esso, dopo che era stato ucciso, veniva consumato dai convenuti al banchetto mithraeo.
Forse in tale banchetto sacro si scorge il simbolo della assunzione delle verità contenute nei misteri di Mithra con evidente riferimento anche ad un passo della Genesi.
Il cane, come il serpente, si nutrono del sangue che gronda dalla ferita del toro; forse simboleggiano che la verità è alla portata di tutti. Il cane è l'animale più vicino e più fedele all'uomo e, forse, presso i seguaci di Mithra, presso la loro orgogliosa personalità, esso simboleggia i servi di tale dio, mentre il serpente, animale che striscia sulla terra, che non si stacca da terra, sta a significare il resta della umanità.
Circa il significato di Mithra che nasce dalla roccia, in una grotta, come la leggenda ci ricorda, ci sia consentito non condividere il pensiero di Vermasseren, che dice la roccia e la grotta simboleggiare la volta celeste ed in conseguenza il cosmo. A noi piace insistere nella interpretazione già in precedenza riferita.

La Espansione del Culto di Mithra
Al tempo dei Parti il culto di tale divinità si propagò nell'Iran occidentale e, successivamente, anche al di là di tali confini: una serie di profezie apocalittiche aventi al centro questa divinità lo indicano come quel Salvatore che, al giudizio finale, soverchierà ed annienterà definitivamente Ahra Mainyu. É tratteggiato come una divinità solare e come tale è oggetto di culto da parte dei Parti. Sembra che il culto in Roma ufficialmente sia stato portato dal re Tridate I che decide di farsi incoronare a Roma da Nerone ed a lui si rivolge e dichiara di adorarlo come Mithra. Da Roma tale culto si diffonde nell'Europa centrale in Gallia, in Spagna ed in Britannia; tale culto sopravvisse a lungo particolarmente nelle città di mare perché esse erano sede di contatti con l'Oriente.
Come in precedenza è stato riferito, si hanno molteplici tentativi di identificazione di Mithra con altri dei indigeni e ciò favoriva la diffusione di tale culto. Tuttavia i Romani dovevano aver conosciuto tale divinità prima che il re Tridate I venisse a Roma perchè essi erano già stati a combattere in Oriente contro Mitridate VI Eupatore il quale, proprio per il nome che porta, era certamente grande sacerdote del dio, come indirettamente lo può confermare l'attributo Eupatore, nome della pianta Agrimonia Eupatoria, dotata di proprietà medicinali.

I Maghi
Il sacerdote appare sulla ribalta della storia quale strumento di comunicazione tra l'uomo e Dio; col tempo egli si distaccherà sempre più dalla folla dei fedeli, si arrogherà atti e poteri sempre più grandi. Da questo momento egli sarà sempre più convinto della sua potestà di comandare la legge naturale. Forse, per il casuale ripetersi di circostanze, può essere giunto alla convinzione di sostituirsi al dio.
Il Mago, in origine, era il sacerdote che attingeva alle fonti dottrinarie di Ahurā Mazdā, era l'adoratore di tale divinità, era il precettore del principe, il consigliere del sovrano. Vermasseren così scrive:
«Une theorie identifie la
mage„a ou culte des dieux, deîu deoap„a (Pluton-Alcib. 1-121) mai des conceptions plus poupulaires, qui l'on retrouve chez Sofocle, font du terme magÑj gÐhj un synonyme de gÐhj
(magicien)».
Mithra ci viene tramandato come il dio dei Maghi perchè, appunto per il suo attributo di «mediatore», egli è il più attivo di tutti, è sempre occupato a ricercare la mediazione fra il bene ed il male. Col trascorrere dei secoli in questi sacerdoti appaiono attributi diversi da quelli che avevano in origine, si ritengono capaci di sostituire dio, ravvisano in Mithra quella figura umana che è nel contempo «dio» ed è per questo che riteniamo sensato il dubitare che Mithra fosse adorato così, come tutti gli altri dei.


Ciò perchè:

  1. ha natura umana;

  2. non è morto quindi è immortale;

  3. è deificato, è in cielo con gli altri dei.

Qui si ravvisano gli estremi eroici che, come sostiene Pazzini, sono all'origine di tutti i semidei e di alcuni dei, come del resto ce lo conferma tutta quanta la tradizione ellenistica. É più equilibrato raffigurare Mithra quale il caposcuola di una tradizione che vuole l'uomo capace di imitare dio, ove questo grane santo dell'antichità simboleggia la capacità dell'uomo di essere e di divenire dio.
A questo proposito torna utile citare il passo biblico: «et eritis sicut dii, scientes bonum et malum», ove la tentazione è il desiderio di possedere la conoscenza del bene e del male; il frutto è l'oggetto della tentazione, il mangiarlo conferisce la convinzione di acquisire i poteri del dio.
Si può qui scorgere l'oggetto della successiva differenziazione fra Maghi e sacerdoti. Il sacerdote crede solo in Dio, il Mago è convinto, attraverso lo studio della legge naturale, di piegarla al suo volere e, per tale motivo, essere simile a dio o addirittura di poter piegare la volontà degli dei.
Tale corrente di pensiero, che è in pratica il documento istitutivo del positivismo scientifico, trova in Mithra la santità simbolica, la divinità potenziale dell'umanità.
Questa convinzione è la asserita base, solida come la roccia dalla quale nasce Mithra, sulla quale il mago può costruire un nuovo sistema filosofico; infatti egli, in questa divinità, riscontra la materia umana che si erige a termine di paragone con gli dei, trova la personalità umana che riesce a sapere la verità, a dominare la legge naturale, a divenire Dio.

La Iniziazione e la Medicina
É certo che i seguaci di Mithra dovevano, prima di essere accolti nella comunità, sottoporsi a prove, e, superatele, iniziavano un tirocinio durante il quale essi apprendevano i «misteri», dissertavano sulla natura, sempre seguiti dal «Pater».
I rapporti fra iniziazione e medicina sono già stati tratteggiati da Pazzini e quindi non giova la ripetizione, ma torna utile riportare un passo di Plutarco che a questo proposito mette in risalto l'influsso di Mithra sulla attività medica che i suoi seguaci dovevano svolgere.
«Perchè alcuni riconoscono come dei due artefici, per così dire, l'uno creatore del bene, l'altro del male. Ma altri dicono l'uno sia la potenza del bene, l'altro un demonio, come fa Zoroastro il mago, che riferiscono essere vissuto 5000 anni prima della guerra troiana. Ora egli chiamava l'uno Hormazes, l'altro Areimanios e mostrava, per di più, che il primo rassomigliava alla luce più che qualsiasi altra cosa percepita dai sensi, il secondo è come l'oscurità e l'ignoranza; intermediario tra di loro è Mithres anche Mediatore. Egli ha loro insegnato a far sacrifizi all'uno offrendo voti e rendimenti di grazia, ed all'altro offrendo voti per allontanare il male e la sventura».
In questo passo il riferimento alla malattia è evidente, perché male sta appunto per sofferenza fisica. Se mai ci si può domandare quali strumenti fossero usati: la formula dello scongiuro? il farmaco? l'azione suggestiva sia individuale che collettiva? Evidentemente tutte queste azioni curative erano esaltate dalla personalità prepotente ed ieratica del mago ed erano uno dei fondamentali terni dell'iniziazione.
Le popolazioni arcaiche credevano veramente nei poteri taumaturgici delle formule di scongiuro, nelle virtù curative delle erbe che il medico bruciava davanti all'ammalato, nella parola del mago che aveva il potere di evocare il sentimento della fiducia cieca, incrollabile come una fede.
La convinzione poi che le malattie fossero opera degli dei (azione di colpa, azione maligna) contribuiva alla esaltazione della autosuggestione.
I farmaci erano rappresentati da semi o piante (foglie, fiori, radici) cui erano riferite virtù: il ricorso all'uso dei farmaci è antichissimo, tanto che alcune piante sono elencate anche al papiro di Ebers.
Ciò che va ancora sottolineato è il quoziente di suggestione: esso è desumibile da quanto si tramanda la glittica: Mithra somministra una bevanda ai defunti, per essa questi possono sedere come immortali accanto al trono di Ahurā Mazdā. Questa è addirittura una promessa di immortalità e da ciò è desumibile quanto possa costar poco a questo dio guarire le malattie. Infatti l'artista trasmette nella pietra il desiderio di un mondo che intuisce, ma non vede; conferisce al monumento quella sintesi di sentimenti che solo la sua fantasia può armonizzare e comprendere: il fedele lo ammira sbalordito senza afferrare compiutamente il significato, davanti ad esso la sua fantasia lo porta a pensare alla potenza, alla maestosità, alla santità ed all'ira terribile che scaturisce da tale mondo; è impaurito ed estasiato contemporaneamente.
I misteri di Mithra hanno analogia col culto di Apollo, delle divinità solari, dell'Egizio Hermete Trimegisto, divinità queste che hanno stretti rapporti con la medicina.
I Maghi discutevano nei templi marmorei i misteri della natura e ad essi partecipavano gli iniziati; osservavano gli ammalati, raccoglievano notizie sulle malattie, sulla alimentazione più consona alle varie malattie, sulle cure fisiche e farmacologiche. In tali convivi che culminavano col banchetto sacro, si ponevano le prime fondamenta del positivismo scientifico, si ricercava la prova documentale, se ne riconosceva la esigenza.
La consistenza della tradizione filosofica, retaggio delle scuole protoitaliche (Pitagora, Empedocle, Democrito, Alcmedio) aveva proposto una tematica nuova in alternativa alla concezione religiosa. Ai motivi di culto si proponevano i concetti di simpatia e di patologia umorale insiti nella teoria elementare.
Contro di essi le grandi religioni arcaiche reagivano attraverso le rivelazioni agli iniziati delle formule che, almeno così si credeva, consentivano di ottenere la grazia e la benevolenza degli dei.
Nella pratica Mithraea i misteri erano quei segreti che convincevano, anzi costringevano la divinità al volere del mago e ciò per la sua saggezza, per la conoscenza rivelata, oppure presuntuosamente creduta acquisita.
Dalla polemica ed antitesi di queste due correnti di pensiero, anzi di fede, origina la usura, la lisi delle tradizioni dei varî pantheon: iranico, ellenico, romano, egizio. Tuttavia il culto di Mithra deve essere considerato un valido documento di medicina ieratica, che l'India paleostorica propose prima alla Mesopotamia e, per essa, al resto del mondo. Il messaggio medico ieratico, col proseguire dei secoli, perdette gran parte del suo contenuto sacrale, per divenire vieppiù invita ad una pratica medica fondata sulla esperienza.

 

Per approfondimenti su culto di Mithra consultare anche:

La Religione Mitraica

 

 

Riferimenti Bibliografici


Furlani G.: Religiosi della Mesopotamia e dell'Asia minore - in «La civiltà dell'Oriente» - Casini, Roma 1962.

Widengren G.: Religiosi dell'Iran antico - in «La civiltà dell'Oriente», ed. cit.

Suali L.: in «Civiltà dell'Oriente», ed. cit. - Letteratura.

Bussagli M.: Culture preistoriche ed arte delle steppe - in «La civiltà dell'Oriente», cd. cit.

Ghirschman R.: Arte dell'Iran presassanide - in «La civiltà dell'Oriente», ed. cit.

Scerrato U.: Arte nell'Iran sassanide - in «La civiltà dell'Oriente», ed. cit.

Tucci G.: Induismo - in «La civiltà dell'Oriente», ed. cit.

G. Messina SJ, citato da M. Vermasseren in «Mitra, ce dieu misterieux» - Paris-Bruxelles, 1960.

Cicerone: De Dit'. 41-90.

Vermasseren: op. cit.

A. Pazzini: La medicina primitiva - Milano-Roma, 1941.

Genesi III-6.

Diod. Cass. LXIII - 1,7.

Svetonio: Nero 13, 30.

Plinio: Nat. Hist. XXX - 1,6.

Plutarco: De Iside et Osiride - Cap. 46-47.

 

 

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