IL DUALISMO DELL'AVESTA

Sommario. 1. Il dualismo in germe nelle Gâtha. 2. Anra Mainyu. 3-4-5-6-7-8. I Devi e gli altri spiriti maligni. 9-10-11. Procedimento della gran lotta tra Ahura Mazdao e Anra Mainyu; la fine del mondo. 12. La risurrezione dei morti. 13-14. Quali le opere pie imposte all'uomo per la sua salute. 15. I matrimoni. 16. I funerali. 17-18-19. Sorte dell'anima umana dopo la morte. 20. I riti del culto. 21. La morale dell'Avesta.

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1. -  Anche la schiera del male é ordinata in modo gerarchico appunto come quella del bene, e ha tre ordini, al primo dei quali appartiene Anra Mainyu, e il secondo è costituito dai Devi, e il terzo dagli altri esseri diabolici e infernali.

Quanto al concetto della essenziale e reciproca opposizione tra il bene e il male secondo il Zoroastrismo primitivo, abbiamo fatto un cenno di sopra. In quel primo stadio della religione, quando Zarathustra la predicava, il genio del male, il dio malvagio e reo, non era concepito o inteso come staccato e indipendente da Ahura Mazdao, essenzialmente opposto a lui, si bene come insito in lui stesso. In Ahura Mazdao il Zoroastrismo più antico ravvisava due principi, due spiriti opposti, l'uno Spenta Mainyu, cioè lo spirito che accresce, che aiuta, che afforza; l'altro Anra Mainyu, cioè lo spirito che abbatte, che atterra. Vuol dir cotesto che Zarathustra riconosceva esservi nello spirito divino creatore, in Ahura Mazdao stesso, come anche nello spirito e nella coscienza dell'uomo, due inclinazioni opposte, volgenti l'una al bene, l'altra al male. Egli, insomma, intravedeva o supponeva nel Dio supremo la stessa intima battaglia che si combatte nella coscienza dell'uomo tra gl'istinti buoni e i cattivi. Un notevole passo delle Gâtha (XXX, 3-4) chiama gemelli i due spiriti fra loro avversi, figli, inoltre, di Ahura Mazdao. Eccolo fedelmente tradotto:

Dei due primevi spiriti, che nome

Di gemini hanno, per lor propria scelta

In lor favella, in lor pensieri ed opre,

L'uno é buon, l'altro é malo. I sapienti

Discerner sanno l'un dall'altro, e nulla

Può chi non sa discerner di cotesto.

Quand'elli convenìan, ambo i due spirti,

La prima volta, procrear la vita,

La morte procrear, per che alla fine

Così pur fosse il mondo. E si rimase

Appo i malvagi lo peggiore, e presso

A'pii rimase il miglior dei due spirti.

 

Risulta dall'oscuro passo che, se un dualismo intendeva insegnare e proclamar Zarathustra, egli lo concepì come procedente da Ahura Mazdao nella simbolica figura di due suoi figli gemelli, riprodotto poi, come per eco ripercossa, nella coscienza umana, alla quale spetta di far prevalere ora l'uno, ora l'altro.

 

2. - Anra Mainyu invece, come essere che diremo personale, se così può dirsi, come essere che sta da sé, opposto non più veramente a Spenta Mainyu, ma ad Ahura Mazdao stesso, é concetto del dualismo teologico e filosofico posteriore, del dualismo nettamente distinto secondo il Vendîdâd e gli altri libri recenti. Era noto anche ai Greci sotto il corrispondente nome di Areimanios, ai Persiani recenti e a noi sotto quello di Arimane. S'intende poi che su di lui vanno accumulati tutti gli attributi del male, quali già, parlando a principio del dualismo in generale, abbiamo enumerati. Sono gli attributi che la filosofia e la speculazione sacerdotale gli hanno riconosciuti, mentre la fantasia popolare, seguita in parte e fatta sua anche dalla teologia, paurosamente soggiunge ch'esso, di notte, esce con le schiere de'suoi Devi ad intrecciar danze infernali sui monti più squallidi e deserti, appunto come fa Satana coi diavoli e con le streghe secondo certe nostre leggende medievali.

Si é poi cercato lungamente con quale altro concetto di altro popolo o nazione fosse affine questo di Anra Mainyu; ma dai confronti sono risultate differenze grandissime, per le quali é forza dire che il concetto primo ne é prettamente iranico, non venuto da alcuna origine o fonte straniera. Forse, certa lontanissima relazione potrebbe avere col mitico Ahi del Rigveda, serpente mostruoso, nemico del dio Indra; sennonché l'iranismo, come vedremo fra poco, ci offre altra figura mitica che con l'Ahi indiano ha maggior parentela che Anra Mainyu non abbia. E forse potrebbe avere maggior somiglianza col Satana degli Ebrei, perché, corre esso procede (almeno quale è concepito nelle Gâtha) da Ahura Mazdao di cui, con Spenta Mainyu, é figlio gemello, così da Yahveh creatore procede, poiché sua creatura a principio, Satana, l'avversario del bene. Ma, anche qui, ci si affaccia una differenza grandissima. Anra Mainyu é stoltissimo, né potrebbe essere altro, perchè, essendo il male per eccellenza nella sua totalità, ove avesse qualche poco di sapienza, avrebbe in sé anche alcun che di bene. Satana all'opposto, se non sempre, appare assai spesso furbo e astuto e acuto trovator d'inganni e d'arti subdole, identificato poi, per facile e fantastica illazione del pensiero, allo spirito scrutatore e indagatore dell'uomo. Un giorno, alla fine del mondo, saranno vinti ambedue; ma, laddove Satana rimarrà in eterno il signore del doloroso regno, Anra Mainyu, da che allora soltanto incomincerà il regno assoluto del bene, rimarrà annientato. Sarà così allora cassata per sempre l'esistenza del male.

 

3. - I Devi, con altri esseri maligni, formano la fosca milizia di Anra Mainyu. Quand'egli, in un primo assalto dato ad Ahura Mazdao, rimase sconfitto, in contrapposizione ai sette Santi immortali creò sette Devi maggiori degli altri, sette arcidevi, se così possiam dire, contro i sette arcangeli. Sono Ako-manah, Andra, Sauru, Naonhaithya, Taurvi, Zairica; il settimo n'è lo stesso Anra Mainyu, come il settimo dei Santi é appunto quello stesso che li creò, Ahura Mazdao. Ma ve ne sono altri molti, e poiché si legge nel Yasna (IX, 46) che essi un giorno, prima di Zarathustra, si aggiravano per la terra in aspetto umano, ritorna qui in acconcio l'osservazione già fatta di antiche popolazioni rappresentate poi come schiere di demoni e di spiriti malvagi. Venne Zarathustra, e li fece scomparir dalla terra e dal consorzio degli uomini; ma essi di quando in quando escono dalle fauci dell'Inferno a danno degli uomini e delle cose create. L'epopea poi racconterà un giorno come Rustem, il maggiore eroe nazionale degl'Irani, ne conquiderà e ucciderà in molte battaglie; e la fantasia popolare vedrà nelle stelle filanti le lande fulgide dei Geni celesti, discaccianti dal cielo qualcuno di essi che non si perita di accostarsi a quelle chiostre per udire o vedere ciò che si fa dai beati in Paradiso. É fantastica idea del volgo che si trova riferita anche in altri libri persiani, anche nel Corano di Maometto, anche nel libro di Sidrac della letteratura provenzale.

 

4. - Non possiamo ora enumerare tutti gli altri Devi, né di tutti ci dice e nomi e qualità l'Avesta o qualcuno dei libri tradizionali.

Uno é Aesma, già noto a noi col nome di Asmodeo, cioè il demone o devo Aesma, nel libro di Tobia, della Bibbia, e nel romanzo del Le Sage. È il demone malvagio dell'ira (come indica il nome), della ribellione, della furia, della rabbia, della discordia, raffigurato con una terribile asta in pugno. Suo avversario è Sraosa, ai colpi vittoriosi del quale egli soggiacerà nell'ultima battaglia alla fine del mondo. Molti monarchi e molti eroi dell'età mitica iranica precipitarono a rovina per i rei consigli di lui.

Araska é il demone dell'invidia, Zaurva quello della vecchiaia, Azi quello dell'avidità e della cupidigia. Altri Devi personificano invece certi antichissimi concetti popolari, come quello, femminile, già ricordato più volte, del sonno, Busyasta, che ha lunghe le mani perchè con esse chiude e intoppa gli occhi ai mortali. Esso fugge alla mattina quando il gallo fa intendere il suo canto. E di simil genere deve essere Vizaresa, il demone che per tre notti e per tre giorni si aggira intorno al cadavere d'un estinto, ne contrasta l'anima, come i nostri diavoli secondo un concetto medievale, al Paradiso, e quand'essa è peccaminosa, la avvince e strascina con sé all'Inferno. Astovidotus é il demone che divelle l'anima dal corpo. Se poi la siccità e la carestia son dovute al devo Apaosa, avversario della bella stella di Sirio, l'inverno è creatura, é opera dei Devi, come in qualche luogo dice l'Avesta, l'inverno che nell'Iran, specialmente nella parte settentrionale alla quale appunto pare doversi riferire l'Avesta, era estremamente freddo.

 

5. - Altra schiera di esseri maligni é quella delle Druge, il qual nome (Drug') indica inganno, frode, menzogna. Come le streghe dei nostri volghi, sono esseri femminili dati a spargere il male dovunque in qualunque modo possano. Una delle principali e più temili, è quella detta Nasu, cioè la contaminazione che si caccia in ogni cadavere appena che n'è uscito l'ultimo alito vitale, e vi si annida, e si attacca a tutti quelli che accostandosi toccano quel cadavere. Molti riti prescrive l'Avesta per allontanarla, e sono, s'intende, provvedimenti igienici in gran parte, oltre un rito o costume superstizioso che consiste nel mostrare ad un cane il cadavere stesso. Vinta dallo sguardo del cane che é animale sacro nell'Avesta, la Nasu fugge all'istante. Accanto a questa drugia, sta l'altra, detta Zahi, che è il demone femminile dell'impurità e della lascivia.

 

6. - Ma uno dei parti più strani e mostruosi della fantasia popolare è la Drugia detta Azi-Dahaka, nella quale s'accumularono col tempo, accanto al significato primo naturalistico, concetti sacerdotali e speculativi e oscure e incerte reminiscenze storiche. Anzi Dahaka significa il serpe che morde. Nel senso naturalistico, è il mostro aereo che, secondo i primitivi concetti d'una religione naturalistica, contende gli spazi celesti agli Dei della luce, e però si ricongiunge al suo fratello del Rigveda che é il serpente Ahi. L'Avesta, serbando i tratti spaventosi e orribili dovuti alla immaginazione del volgo, lo designa a volta a volta come la peggiore e la più esiziale Drugia che Anra Mainyu abbia creata, e lo descrive con tre capi, con tre fauci, con sei occhi; ma poi, assorgendo a concetto teologico e filosofico, la pone tra le schiere del male, e asserisce che Anra Mainyu appunto la creò per disfare tutto quanto il mondo terreno e indurvi la morte. Ma Traetaona, il mitico eroe disceso dal mitico monte Haraberezaiti, lo atterrò un giorno, e lo avvinse in una caverna paurosa del Demavend, donde alla fine del mondo uscirà per combattere al fianco di Anra Mainyu. Sennonché l'eroe Keresaspa, risorto dalla sua tomba solitaria situata in un lontano piano deserto, lo atterrerà e ucciderà.

Fin qui l'Avesta e i libri tradizionali. Ma sede e luogo d'origine del mostro é la terra di Bawri che é Babilonia; ed ecco consertarsi qui, alla vecchia tradizione iranica, un elemento storico. Forse la fantasia calda degl'Irani in un qualche principe di stirpe semitica, crudele e tirannico, che li infestò, vide in esso l'immagine vivente e visibile della malvagia Drugia infernale procreata da Anra Mainyu, e nella saga epica immaginò per conseguenza un crudele tiranno, arabo d'origine, che aveva sua sede in Babil, cioè in Babilonia, detto Azdahak o semplicemente Dahak, che tolse il regno e poi la vita al loro re Gemshid e li tiranneggiò per mille anni. Dahak poi, secondo l'epopea, erasi dato ad Ahrimane, erasi macchiato di orribili delitti, perché aveva ucciso il proprio padre per averne il regno, aveva sofferto che il Genio del male, trasformatosi in amabile giovinetto, gli stampasse due baci sulle spalle, donde poi, dato quel bacio, erano spuntati due neri e orribili serpenti ch'egli nutriva ogni giorno di cervella umane. È questo l'ultimo tratto mitico che l'epopea ha serbato della figura dell'aereo serpente, mutato dalla fantasia posteriore in uomo e in tiranno. L'eroe Fredun, che é il Traetaona dell'Avesta, gli tolse poi il regno e l'avvinse di catene. Tutto cotesto si legge nel Libro dei Re, di Firdusi.

 

7. - Tra gli esseri maligni che vogliono ingannare, per perderli, gli uomini, trovasi Akhtya che, come la Sfinge tebana, proponeva enigmi e uccideva i malcapitati che non sapevano scioglierli finché un giovane eroe, Yoista della pia famiglia dei Fryana, con l'aiuto della dea delle acque Anahita, da lui onorata di offerte, tutti li sciolse. Le Pairike, inoltre, formano una schiera a parte di esseri femminili che vanno attorno danneggiando la terra, il fuoco, le acque, i vegetali, i bestiami tutti. Tre se ne ricordano nell'Avesta, e una di esse, Knathaiti, che sembra personificare il culto degl'idoli, é rappresentata come una fanciulla di mirabile avvenenza che seduce e trae a perdizione gli uomini. Ciò avvenne, per esempio, all'eroe e guerriero Keresaspa che si perdette per lei. Era creatura di Anra Mainyu. S'intende che le Pairike erano come altrettante fate bellissime, cagione agli uomini, coi loro vezzi, di dannazione eterna. Sennonché, nella mitologia persiana posteriore, forse dal X secolo dell'Era nostra in poi, esse, mutando nome, o piuttosto trasformando il loro nome in quello di Peri, diventarono, agli occhi dei Persiani e dei poeti che si piacquero adornarne le loro fantasie, creature angeliche bellissime, adorne di eterna giovinezza, buone e benefiche, protettrici degli uomini. Si alimentano delle rugiade mattutine all'apparir dell'aurora, si vestono dei raggi del sole, si bagnano nelle fonti più limpide, abitano le lontane e favolose città di Anbar-abad, la città candida come l'ambra. Gavhar-abad, la città delle gemme, Sad-u-kam, la città della gioia e del piacere. Si dicevano già Pairike, cioè le pugnanti, le assalitrici; ma ora il loro nome nuovo di Peri, per una errata etimologia popolare, significa le alate, e come tali, cioè con lunghe e variopinte ali, sono raffigurate da poeti e da artisti. Su di una saga che tocca di una avvenente Peri, rea di grave fallo e però scacciata dal Paradiso, indi redenta dal suo dolore, ha composto un leggiadro poemetto l'inglese Tommaso Moore, reso elegantemente italiano da Andrea Maffei.

 

8. - Così adunque, nel modo che brevemente abbiam descritto, si raffigurarono gl'Irani l'eterna battaglia tra il male e il bene nell'ordine morale, l'eterna lotta cosmica nell'ordine naturale, fissando tuttavia ad un termine dato la cessazione di essa con la vittoria del bene e la sconfitta del male. In questa figurazione ha parte molto di filosofico e di teologico, ma molto anche, e forse in maggior misura, d'immaginoso, dovuto al fantasticar popolare, poiché non possono procedere che da feconda e immaginosa fantasia da una parte gli arcangeli luminosamente belli del cielo, e dall'altra i demoni foschi, abitatori delle tenebre infinite. Questa gran lotta ha i tuoi eroi in terra, gli eroi del bene, che l'Avesta, libro sacerdotale, rappresenta armati di armi sacerdotali, la preghiera e l'offerta. Ma verrà, l'epopea, che, rifatta nel verso sonante di Firdusi, ripiglierà la primitiva tradizione popolare e tratteggerà i suoi eroi come guerrieri veri in carne e ossa, armati di clava e di spada.

 

9. - Da che l'Universo é tutta opera di Ahura Mazdao, tutta creazione buona di lui, altro scopo non ha l'avversario suo che d'indurvi quanto più può di contaminazione e di guasto. La terra, posta nel punto di mezzo tra la luce infinita in cui siede Ahura Mazdao, e tra le tenebre infinite in cui sta agli agguati Anra Mainyu, é la palestra della gran lotta, il punto in cui avverrà l'urto, come a dire, delle due formidabili potenze. Ma poiché l'uomo alla sua volta, come la più nobile e bella opera del Creatore, è il punto di mezzo, il centro di tutto quanto il creato, procede da ciò che il possesso dell'anima di lui é il premio contrastato e agognato dei due avversari. L'uomo, meritando o demeritando, si procaccia o premio o pena nell'altra vita. Ma, finché egli appartiene alla vita presente, non può a meno di prender parte alla gran lotta tra il bene e il male e schierarsi o da questa o da quella parte. È un mazdayasna se é buono e pio, e però parteggia per Ahura Mazdao; é un daêvayasna se é malvagio ed empio, e però parteggia per Anra Mainyu.

 

10. - Incominciò la gran guerra fin dal principio delle cose, quando, secondo il concetto zoroastriano, il tempo era ancora infinito e coesisteva insieme ai due avversari, tra i quali pure, standosi l'uno nella luce e tenendosi l'altro nelle tenebre, cioè ai punti estremamente opposti, stava uno spazio immenso. Ma poi, movendo Ahura Mazdao alla creazione, l'atto creativo di lui non poteva che scuotere dall'inerzia sua Anra Mainyu, iniziandosi così d'un subito l'antagonismo e la conseguente guerra tra i due. Alla quale Ahura Mazdao assegnò, perché possa svolgersi e compiersi, un lasso di tempo di dodicimila anni, onde il tempo che prima era infinito, divenne finito o definito, e il novero degli anni così fissati segnò anche la durata del mondo presente. Il periodo poi dei dodicimila anni fu suddiviso alla sua volta in quattro periodi di tremila ciascuno, sì che, nel corso di essi, sarà compresa altresì tutta la storia del mondo, tutta quanta l'azione del gran dramma cosmico, dal principio alla fine, dalla creazione alla risurrezione dei morti.

 

11. - Al primo periodo, intanto, appartiene la creazione spirituale di Ahura Mazdao, quand'egli creò i Santi immortali e le Fravasi. Avuto sentore di ciò, sbucò dalle sue tenebre Anra Mainyu e volle spiar l'opera dell'avversario suo, ma rimase smarrito alla luce improvvisa che lo percosse dall'alto. Tentò di dar battaglia, e Ahura Mazdao fissò novemila anni qual termine decisivo, e intanto un primo colpo fece precipitar dall'alto nell'abisso, dal quale era uscito, il reo autor del male.

Quel primo colpo fu la recitazione prima, per parte di Ahura Mazdao, della preghiera divina che, come il Verbo dei Cristiani e la dea Vac (la parola) dei Bramini, esisteva prima ancora della creazione.

All'entrare del secondo periodo, Ahura Mazdao si accinse a dare effetto alla creazione materiale per la quale vennero alla luce, nell'ordine che segue, il cielo, la terra, i vegetali, gli alberi, gli animali, l'uomo. Anra Mainyu allora, per lo spirito dell'opposizione innato in lui, procrea i Devi e con essi tutti gli altri esseri maligni e rei.

Al terzo periodo, ecco Anra Mainyu invadere la terra e indurvi mille malanni, cioè malattie, guasti, morti, sperperi, intemperie, ardori e geli, ogni flagello insomma morale e materiale che potesse infestarla. Vi furono scontri e battaglie tra le milizie celesti e le infernali. Gustò per primo la morte il primo uomo stato creato da Ahura Mazdao, cioè Gaya Maretan, e morì la Giovenca primeva, la simbolica giovenca che, secondo un concetto tutto proprio del Zoroastrismo, rappresenta la fecondità della terra. Essa fu uccisa da Anra Mainyu stesso, e l'anima, poiché dal corpo ne uscirono varie specie di semi di cereali, ne volò al cielo lamentando nel cospetto di Ahura Mazdao la patita offesa. Ahura Mazdao, allora, le mostrò per consolarla la Fravasi santa di Zarathustra che, un giorno, sarebbe disceso in terra, apportatore di una nuova legge. In quel tempo, vissero anche e regnarono i grandi monarchi del tempo mitico ed eroico, da Haosyanha e da Yima a Vistaspa, sotto il regno del quale nacque e predicò Zarathustra.

Sono i monarchi, i re primitivi, di cui poi l'epopea, nel verso di Firdusi, narrerà un giorno le gloriose imprese.

Il quarto e ultimo periodo di altri tremila anni s'inizia con la venuta del gran riformatore. Scompaiono allora spaventati i Devi. “Tu hai sospinto sotterra i Devi, Zarathustra!”, dice l'Avesta  (Yasna IX, 46), e Zarathustra, intanto, incomincia alla corte di Vistaspa la sua predicazione     questo il periodo in cui é ora il mondo e che finirà con la risurrezione dei morti, compiendosi allora appunto lo spazio dei dodicimila anni fissato già da Ahura Mazdao. Se pertanto, come a suo luogo abbiam notato, Zarathustra visse nel VI secolo prima dell'Era nostra, dei tremila anni di quest'ultimo periodo non rimangono più che poco meno di cinquecento. Giunto quel momento fatale, si appiccherà tra Ahura Mazdao e Anra Mainyu l'ultima terribile battaglia che deciderà della vittoria finale del bene. Anra Mainyu sarà annientato, e i morti risorgeranno, perché la vita, dono del Creatore, tolta per offesa della morte, che é opera di Anra Mainyu, dovrà esser loro restituita, non potendosi annullare giammai un dono divino.

Sennonché questa battaglia finale e la risurrezione dei morti andranno strettamente collegate alla venuta di un tardo e postumo figlio di Zarathustra, al quale l'Avesta dà il nome di Saosyant, cioè di Salvatore o di Riparatore. Nascerà egli dalla fanciulla Eredatfedri che, bagnatasi in un mitico lago posto nell'estremo Oriente dove sta riposta e custodita la pura semenza di Zarathustra, ne rimarrà fecondata, e lo darà alla luce sul finire dei secoli. Dall'Oriente muoverà il Saosyant incoronato di dodici stelle, e l'accompagneranno, armati di loro armi rilucenti, gli eroi gloriosi del tempo antico, usciti per ciò appunto dalle loro tombe. Il Saosyant è il Riparatore, e come tale trova un riscontro in tutte quelle altre figure luminose di personaggi divini, proprie delle credenze di molte altre nazioni, che un giorno, alla fine dei secoli, usciranno da un luogo misterioso, noto soltanto a Dio che li manda, e ripareranno al disordine presente e rimetteranno in onore la giustizia.

 

12. - Questo rinnovamento del mondo per opera del Saosyant e la risurrezione richiederanno lo spazio di cinquantasette anni. Ma poi la cometa Gurz-sehr, cadendo dal cielo, incendierà tutta quanta la terra e ne farà liquefare i metalli e le rupi. Per quella rovente gora di materie liquefatte dovranno passare gli uomini risorti dalle sepolture, e allora i rei vi proveranno indicibili pene, mentre ai buoni e ai giusti parrà d'immergersi in una corrente di tiepido latte. Quella corrente, intanto, ne laverà le colpe commesse, ed essi ne usciranno purificati per sempre. Superata la prova, ciascuno riconoscerà con giubilo le persone ch'ebbe già care in vita, e però lo sposo sarà ricongiunto alla sposa, il figlio al padre, il fratello al fratello, l'amico all'amico, e nulla più li disgiungerà. Sarà data allora l'ultima battaglia tra le milizie celesti e le infernali, in cui Anra Mainyu perirà con tutte le sue schiere. Il serpe Dahaka, la più orribile delle drugie, perirà nel metallo fuso dalla cometa precipitata dal cielo, e l'Inferno sarà sgombrato e tolto via; saranno appianati i monti, e il mondo sarà ampliato per dar luogo e principio ad una vita nuova, tutta integra e pura in sempiterno. Non vi sarà adunque eternità di pene, perchè, ove ciò fosse, perdurerebbe eterno il male che deve scomparir dal creato, secondo il concetto che il bene deve avere alla fine una intera e assoluta vittoria. Il concetto poi che il mondo presente deve perir nelle fiamme, il Zoroastrismo l'ha comune col Cristianesimo (solvet saeclum in favilla, dice un canto della Chiesa), col Brahmanesimo, e anche con l'antica religione teutonica, nella quale altresì (secondo l'Edda) si parla della cometa Muspilli che, come la cometa Gurz-sehr, cagionerà cadendo il totale incendio del mondo.

 

13. - Ma, fino a che avverranno le cose che or ora abbiam descritte, l'uomo in terra, per tutta la vita sua, deve aiutare e facilitare con le opere buone e pie la vittoria finale di Ahura Mazdao solvendo così il sacro debito di gratitudine verso di lui che l'ha creato. Dalla nascita, pertanto, fino alla morte, fino ai funerali, le opere dei genitori di lui in primo luogo quand'é ancora infante e nulla si conosce del bene o del male, e poi quelle di lui, dopo l'adolescenza, devono cooperare e cospirare a questo gran fine.

 

14. - Una lavanda alla quale, igienica da principio, la tradizione attribuisce valore e significato religioso, è prescritta dall'Avesta per l'infante appena nato. Ove i genitori trascurassero di compiere tale cerimonia, ne renderanno conto un giorno come di colpa da loro commessa. A loro intanto la responsabilità di ciò che di bene o di male commetterà il figlio sino all'adolescenza; e intanto il figlio maschio deve passare presso le donne di casa i cinque primi suoi anni a null'altro attendendo che ai trastulli della sua tenera età. Dal quinto al diciassettesimo anno, l'educazione sua consiste nel montare a cavallo, nel tirar d'arco, e sopra tutto nel dir sempre la verità. Quest'ultimo punto é di capitale importanza per la morale iranica, e l'attestano Erodoto e Senofonte tra gli Antichi, e l'attesta lo stesso Dario d'Istaspe che, in un notevole passo della sua grande iscrizione di Behistan, raccomanda al suo successore di non pronunciar mai una parola menzognera e di punir severamente quell'uomo qualunque che non dica la verità. Così, in mezzo a nobili cure e insegnamenti, passava il fanciullo l'adolescenza sua. Raggiunti gli anni diciassette, passava fra i giovinetti, e allora una sacra cintura gli era cinta ai fianchi, con alcune cerimonie sacre prescritte dall'Avesta. Quella cintura ch'egli non doveva deporre mai più se non nelle ore del sonno, indicava ch'egli era entrato nella comunità dei Zoroastriani e ne faceva parte assumendo inoltre i doveri imposti dalla religione. I giovinetti di nobile famiglia erano sovente educati o presso qualche gran signore che loro insegnava le virtù più elette, ovvero alla corte.

 

15. - In un passo dell'Avesta (Vendidâd, IV, 130) é detto chiaramente che l'uomo che ha una sposa, é superiore, in senso morale, all'uomo che vive celibe, e che il capo d'una famiglia é ugualmente superiore a chi non ne ha alcuna. Alle fanciulle poi non torna certamente ad onore il viver sempre fanciulle, anzi il desiderar ciò è loro attribuito a grave colpa che condanna all'Inferno, e però l'Avesta riferisce, come ingenua e buona, la seguente preghiera per domandare uno sposo: “A lui (cioè al dio Vento) fecero offerte le fanciulle non ancor sposate domandando questa grazia: Fa tu, o Vento che supernamente operi, che noi possiam trovare un capo di casa, giovane e di belle forme, che ci nutra finché noi vivremo, e ci procacci una figliolanza savia, bene intendente, ben parlante!” (Yasht, XV, 39-40). II celibato adunque era meno apprezzato dello stato matrimoniale, e dono della Divinità era perciò appunto un marito, secondo che l'Avesta stesso dice di Haoma che procaccia uno sposo alle fanciulle rimaste nubili per lungo tempo. Il quindicesimo anno é fissato come l'età da marito per le fanciulle; ma in tempi posteriori invalse l'uso di sposarle anche prima di quest'età.

Semplicissimo il rito nuziale secondo i Parsi nei tempi recenti. Si domanda dal sacerdote, in presenza di testimoni, al giovane e alla giovane se acconsentano alla loro unione. Avuto l'assenso, egli prende un poco d'acqua pura, mormorandovi sopra alcune preghiere, indi, con altre poche preghiere, ne lava la fronte ai due che, dopo ciò, sono legittimi sposi. L'Avesta dice assai poco intorno alle nozze e ai riti e alle cerimonie che vi si riferiscono. Sappiamo tuttavia che il libro diciottesimo di esso trattava appunto dei matrimoni, ma quel libro, con gli altri molti, é andato perduto.

Singolare poi, e tale che é stato notato con meraviglia e orrore dagli Antichi e contro cui gridarono come contro vituperio gravissimo i Padri della Chiesa, é il matrimonio, frequentissimo fra i Persiani e raccomandato come opera meritoria dall'Avesta e da tutta la tradizione, tra i più prossimi parenti. “Approvo, dice il fedele zoroastriano nel Yasna (XIII, 28), e lodo il santo matrimonio fra i congiunti che di tutti i presenti matrimoni e di quelli che saranno, è il maggiore, il migliore, il più bello, ahurico (cioè approvato da Ahura Mazdao), zoroastriano!”. È noto dalla storia che il re Cambuse sposò due sue sorelle, e che, del resto, era lecito, anzi imposto e lodato, il matrimonio non solo tra fratelli e sorelle, ma anche tra genitori e figliuoli, oltre quello tra congiunti più o meno prossimi. Si disse che l'uso, strano e abominevole per noi, originasse dal proposito di mantenere intatta, fin ch'era possibile, la nobiltà della famiglia e l'integrità della stirpe. Ma, osserveremo, non ai nobili e non ai grandi soltanto esso era imposto e raccomandato, e, per quanto se ne sa, era anche praticato da tutta quanta la nazione. Non era nemmeno uso o legge dei soli Persiani o Irani, perché l'avevano e l'osservavano gli antichi Egizi, gl'Incas del Perù e i Vedda, gente primitiva e barbarica che abita nel Ceylan sulle montagne.

 

16. - Lunghe e minuziose sono le cerimonie funebri, tutte intese però, sebbene stravaganti in apparenza, ad evitare che il cadavere contamini qualche essere vivente o l'aria o l'acqua o la terra o il fuoco, sotto colore di offendere Ahura Mazdao, primo creatore di tutte queste cose, pure e sante. Ai defunti, perciò, é assegnato un cimitero comune, ora sui monti, ora in luogo piano, ma aperto e libero sempre; ed esso altro non é che un ricinto in cui, fra scompartimenti e sentieri correnti in vario senso, vanno esposti i cadaveri, deposti e legati sopra lettucci di ferro. Ciò si fa e si pratica, perché non é lecito né consegnarli al fuoco, né sotterrarli, né gettarli in una corrente d'acqua. Ma là, nel ricinto apposito, ecco venire avvoltoi e corvi e cani erranti e lacerare i cadaveri e spolparli finché non ne rimangono che le ossa nude, che poi il vento inaridisce e il tempo riduce in polvere. L'uso é antico, prescritto solennemente dall'Avesta. I viaggiatori poi che hanno veduto tali cimiteri, ne sono rimasti inorriditi, tanto sono orribili a vedersi, e Onesicrito, uno dei compagni di Alessandro, attesta che, nella Battriana, città e villaggi si vedevano pieni e ingombri di ossa umane, e che Alessandro ordinò cessasse il non bello costume. Così Strabone (XI, 517).

Il cadavere della persona estinta si toglie dal letto e si porta in luogo perfettamente asciutto. Due necrofori con un loro capo o duce, attendendo che il tempo sia sereno, lo trasportano, toltene le vesti, nel cimitero o recinto or ora descritto, perché vi sia divorato e consumato. I parenti e gli amici stanno attenti ad osservare, vogliosi di vedere da qual parte del corpo incomincino i corvi e i cani, perché é indizio di buona o di cattiva fortuna per l'anima di lui nella vita futura, secondo certe loro idee, se quel dilacerare incomincia, per esempio, dall'occhio destro prima che dal sinistro, ovvero dal sinistro prima che dal destro. Si purificano intanto, secondo il rito prescritto, i necrofori, e si purifica la via stata percorsa dal cadavere facendovi passar tre volte un cane che abbia certe macchie particolari nel pelame. Il cane, infatti, ha grande importanza in tutto quanto il rituale Avestaico, e l'Avesta ne fa elogi grandissimi: come dell'animale più utile all'uomo, dotato, inoltre, di qualche virtù occulta.

 

17. La fede congiunta alla immaginazione ha raffigurato e rappresentato in modo particolare la sorte delle anime al di là della vita presente e i regni oltramondani. Secondo un passo dell'Avesta, l'anima, appena separata dal corpo, per tre giorni e per tre notti vi si aggira errabonda dattorno. Secondo la coscienza del bene o del male operato, essa prova gioia o dolore. Ma poi, all'alba del quarto giorno, migra lontano da questa terra, e allora, se buona ed eletta, sente come una fragranza di brezza profumata, e se rea e reietta, sente come un puzzo di vento fetido, mentre, poco stante, alla buona muove incontro per riceverla una leggiadra e aitante fanciulla, e alla rea, una femmina laida e ributtante. Sono queste le personificazioni delle opere di ciascuna. Ma poi eccola al varco del ponte che mette ai luoghi eternali e dove la attendono tre giudici severi, Mithra, Sraosa, Rasnu. È quello che l'Avesta chiama il ponte che raduna (cinvant-perethu), e che alle anime buone si mostra comodo e spazioso, e alle ree appare tanto arduo e angusto da precipitarne irremissibilmente nei sottoposti baratri infernali. Le anime buone, invece, agevolmente lo varcano per ascendere ai cieli che le attendono. È il ponte che da noi in Occidente si crede comunemente essere tra le credenze musulmane, mentre esso è soltanto di fede zoroastriana.

 

18. - Il Paradiso, che si designa coi nomi ora di luce infinita, ora di lieto soggiorno, ora di ostello dei pii pensieri, ora di luogo eletto, é disposto in un ordine di significato razionalmente morale, perché, prima di giungere all'empireo dove sta in trono Ahura Mazdao, vi s'incontrano tre luoghi, rispettivamente collocati nelle stelle, nella luna, nel sole. Nel primo, sono premiate le anime che sempre rettamente pensarono; nel secondo, quelle che sempre rettamente parlarono; nel terzo, quelle che sempre rettamente operarono.

Parimenti per tre gradi è disposto l'Inferno, detto il luogo reo e tristo, dimora dei demoni e di Anra Mainyu. Nel primo grado stanno a penare le anime che ebbero sempre pensieri malvagi; nel secondo, quelle che sempre ebbero parole cattive; nel terzo, quelle che sempre commisero opere ree. E dovunque sono tenebre infinite, tanto dense da potersi stringere coi pugni. E vi è ogni male. Ma il maggiore sarà che ogni anima, con un senso di disperata desolazione, vi si sentirà sola e abbandonata pure in mezzo alle tante altre dolenti che vi si troveranno fitte e dense come i crini, si dice, nella folta criniera d'un cavallo.

V'è inoltre un luogo in cui staranno senza premio e senza pena tutte quelle anime le cui opere buone furono equivalenti alle ree. Quel luogo è posto tra la terra e la sfera delle stelle; é detto l'Hamêstegân, cioè l'Immobile; non vi si purga o espia alcun peccato; non vi si gode, non vi si soffre. Sennonché, come avanti abbiam notato, esso e l'Inferno dovranno cessare allorquando Ahura Mazdao, dopo l'ultima battaglia, avrà avuto sull'avversario suo intera e finale vittoria.

 

19. - Un libro tradizionale forse del V secolo dell'era nostra, scritto in pehlevi, racconta di un viaggio che il pio sacerdote Arda figlio di Viraf avrebbe fatto nei regni oltramondani per recarne ai viventi certa notizia. Questo sacerdote, al tempo del re Ardesir fondatore della dinastia dei Sassanidi, si sarebbe addormentato in un tempio del Fuoco dopo avere ingoiato certa possente bevanda soporifera. L'anima sua, uscita dal corpo, avrebbe percorso visitando, guidata e ammaestrata dal dio Fuoco, il Paradiso prima e poi l'Inferno. Menata in fine nel cospetto di Ahura Mazdao, la luce divina tanto l'avrebbe colpita da far terminare, appunto come quella di Dante, questa sua mirabile visione. Inferno e Paradiso vi sono descritti, ma aridamente e freddamente. Arda vi vede molte anime di beati e molte di dannati; ma nessuna volge a lui la parola, né egli sa o può trovare alcun accento per alcuna di esse. Vi manca perciò quel drammatico che fa tanto grande la visione dantesca, con la quale tuttavia questa iranica ha non poche somiglianze. Il Barthélemy, che ne ha pubblicato una traduzione francese, le nota accuratamente in una sua dotta introduzione premessavi.

 

20. - Ma per evitar le pene dell'Inferno e meritare di salire al cielo, oltre alle opere buone si raccomanda al fedele la pia offerta, celebrata dai sacerdoti, con la recitazione della parte rituale del Yasna. Il rito ne è semplice, come é semplice tutto quanto il culto zoroastriano.

Prime cose richieste erano il pane, la carne (o secondo altri il latte), il succo della pianta haoma di cui sopra e del genio Haoma che la personifica e deifica abbiam fatto cenno, l'acqua purificatrice. Durante la cerimonia, mormorando il sacerdote offerente i versetti del Yasna, egli tiene in pugno un fascio di rami di piante odorose, di cui non bene s'intende il significato, e davanti alle labbra ha un bianco pannolino disteso per impedire che qualche lieve sprazzo di saliva, recitando, contamini la sacra fiamma che gli arde davanti. Precedono lunghe e monotone. invocazioni ad esseri e a cose sante. La consacrazione della sacra bevanda è la parte principale del rito, ma vi si connettono le benedizioni per l'acqua lustrale, l'offerta del burro e del latte, l'offerta dei pani. S'aggiunge la benedizione di certa quantità di orina di bue, usata sempre in qualunque cerimonia di purificazione. Nell'antichità, gli eroi e i primi monarchi offrivano già alle diverse Divinità, centinaia e migliaia di giovenchi, ed Erodoto parla di alcune vittime scannate ad onore degli Dei e poi mangiate dai sacerdoti. Ma quella notizia si legge in quella parte dell'Avesta che, come abbiam veduto, contiene le più vecchie idee religiose, quelle del primitivo naturalismo, laddove Zarathustra, maestro di alta dottrina, offriva la preghiera ad Ahura Mazdao e la devozione dell'animo suo.

 

21. - Quanto alla morale, s'intende che il Zoroastrismo proclama e impone unica guida quaggiù all'uomo quanto si comanda nell'Avesta che contiene la dottrina rivelata dalla Divinità stessa al suo profeta. Voglionsi eseguire con animo obbediente e devoto quei comandi e quei precetti, osservar quelle leggi, compiere scrupolosamente quei riti; e soltanto chi farà tutto ciò, si salverà; chi non farà, sarà irremissibilmente dannato. Per questo punto, l'Avesta è minuziosissimo ed estremamente cavilloso; e la visione dell'Inferno, menzionata or ora, ricorda persone dannate per l'infrazione minima del minimo precetto. Cotesto, però, è proprio, più o meno, di qualunque religione che si fondi su di un codice sacro.

Ma, anche con tutto ciò, la morale insegnata dall'Avesta, oltre e al disopra dei suoi precetti teologici, dogmatici, rituali, è pur sempre una morale molto alta e pura che con ragione colloca il Zoroastrismo fra le più elette religioni del mondo. Lo stesso triplice precetto del non peccar mai in pensieri, in opere, in parole, che si trova anche tra i precetti del Cristianesimo, racchiude nella sua rigidezza e compendia ogni altro precetto che sia inteso a guidar l'uomo quaggiù. Le maggiori virtù che, del resto, erano raccomandate non pure dall'Avesta, ma anche dalla legge e dalla consuetudine comune a tutti gl'Irani, erano la giustizia, la beneficenza, la generosità, la pietà, l'orrore per la menzogna. Dell'obbligo del dir sempre e ovunque la verità, abbiam detto a suo luogo come di precetto capitale per gl'Irani; aggiungeremo ora soltanto che per essi, dopo la menzogna, il contrar debiti era considerato il malanno maggiore, perchè chi ha debiti, é costretto anche a dir bugie. Così Erodoto, parlando appunto dei Persiani (I, 138). La religione poi che rifuggiva dal misticismo e più ancora dalla vita ascetica quale fu tanto in onore presso gl'Indiani, tanto in onore da soffocarne ogni attività più bella e feconda nella vita pratica, come tenne lontano dagl'Irani cotesta aberrazione della mente, così li sospinse anche e li incitò a due arti essenzialmente attive e rafforzatrici della tempra umana, sebbene opposte fra loro, alla guerra e all'agricoltura. Del valore degl'Irani, figli robusti e valorosi di un'alta regione montana, attestano, come abbiam già notato, l'elogio del re Dario sulla rupe di Behistan, la storia di Erodoto e la solenne canzone epica di Firdusi tutta risonante d'alto strepito d'armi. Della cura che si aveva del coltivare i campi, parla in più luoghi con verace accento di raccomandazione l'Avesta, ed é noto, per testimonianze antiche e recenti, che l'agricoltura in tutto quanto il paese iranico era in onore grandissimo. Premi e onori si decretavano a chi per il primo dissodava un terreno incolto, e l'Avesta, con primitiva, ma bella immagine, ci dice che i Devi di Anra Mainyu si turbano dapprima e poi si mettono in fuga allorquando veggono germogliar le biade e biondeggiare in un campo le spighe. La dea delle acque, Anahita, perché ne fecondava i campi, aveva da loro offerte, sacrifici e preghiere, e concedeva loro grazie e favori. Così l'agricoltura li rendeva forti, vigili, gagliardi, e l'aspra e ingrata natura che li circondava e che pareva negar loro il sostentamento necessario, costringendoli ad un lavoro non interrotto, impedì che l'animo loro si accasciasse e si avvilisse. In India, invece, l'ubertosità soverchia del paese infiacchì gli animi di quei forti ch'erano discesi dalle valli del Pancianada, e li condusse man mano, rinnegando sé stessi e perdendo l'individuale energia, ad annientarsi nell'ascesi e nella vita contemplativa. Se fu detto giustamente che l'India al mondo ha dato i sacerdoti, e che la Grecia e Roma hanno dato l'uomo civile, non meno giustamente si può dire che la Persia ha dato invece il tipo dell'uomo che crede, che lavora, che combatte. Così, almeno, nell'antichità.

 

 

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