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Senza dubbio avremo ancora occasione di incontrare uomini veramente dotati nella speculazione pura della Qabalah. Ma, fatta eccezione per un certo numero, vedremo presto degli spiriti deboli, o addirittura degli impostori, interessarsi a essa per fini unicamente pratici. Uno di questi illuminati ben noti, di un'audacia e di una volontà rare, che seppe suscitare un delirio di entusiasmo fra i suoi correligionari del mondo intero, si chiamava Sabbatai Zevi. Nacque a Smirne nel luglio del 1626 e morì nel settembre del 1676 in una piccola città dell'Albania, Dulcigno. La sua vita presenta un documento psicologico di particolare interesse che conviene raccontare.

Quest'uomo, che fu adorato quasi come un Dio, discendeva da una famiglia ebrea spagnola. Suo padre, Mordecai, giunto poverissimo dalla Morea e divenuto agente commerciale di una ditta inglese a Smirne, vide prosperare i suoi affari. Attribuì particolarmente la sua riuscita allo zelo di suo figlio per la Qabalah e alle sue virtù. Per tutta la vita lo venerò quasi come un santo. Il giovane Sabbatai, che frequentò la Yeshiba (scuola, seminario) di Rabbi Joseph Escapa, non manifestò alcuna disposizione per le questioni giuridiche, i pilpulim del Talmud. Al pari di Luria, fu totalmente affascinato dalla Qabalah, specialmente dalle sue applicazioni pratiche che permettevano di comunicare con Dio e con gli angeli, di predire l'avvenire e fare miracoli. Ancora fanciullo sdegnò i giuochi e le distrazioni e cercò la solitudine. I suoi genitori lo fecero sposare giovane, ma egli si tenne lontano da sua moglie, che non tardò a chiedere il divorzio. Un secondo matrimonio ebbe la stessa sorte. Egli si impose severe mortificazioni, si bagnava spesso nel mare, anche d'inverno e si abbandonava a fantasie estatiche. Naturalmente queste singolarità attirarono l'attenzione su di lui. Non presentava niente di straordinario nell'apparenza ma aveva un aspetto seducente; era grande e di statura imponente. Aveva una bella barba nera e una voce melodiosa, capace di attirargli tutte le simpatie.

Come gli venne in mente di imporsi come Messia?

Le idee relative al prossimo arrivo del Messia circolavano un po' dappertutto. Abbiamo visto in proposito l'atteggiamento di Molcho, che poté convincere un grande talmudista come Joseph Caro, e quello non meno singolare e significativo di Luria. Inoltre i sanguinosi eccessi della guerra dei trent'anni e le sofferenze atroci che ne risultarono, condussero persino dei dotti cristiani, non ostili al giudaismo, a credere che l'epoca millenaria annunciata nel libro di Daniele e dell'Apocalisse fosse vicina, e che “i mali presenti fossero precursori di felicità inattese”. Per questi illuminati, tali sogni non potevano realizzarsi senza la partecipazione effettiva degli Ebrei che, per primi, “avevano ricevuto l'annuncio di questo importante evento, e se essi non avessero ripreso possesso della Terra Santa”. Solo che Israele non era in grado di riconquistare la Palestina senza l'aiuto di un Messia uscito dalla stirpe di David. Questi cristiani mistici si rimettevano alle circostanze per appianare le difficoltà che potevano sorgere fra il loro proprio redentore, ossia Gesù Cristo, e quello che veniva atteso dagli Ebrei. Queste stravaganze trovavano credito presso qualche personalità ebrea di cui abbiamo parlato, in particolare Manasse ben Israel, che attendeva, come abbiamo visto, il prossimo arrivo del Messia. D'altra parte lo scopo fondamentale di Luria consisteva nel preparare gli spiriti all'avvento di questo salvatore e nell'affrettare l'epoca della liberazione, annunciata, da un passo interpolato dello Zohar, per l'anno 5408 (1648).

Tutto questo non sembra essere stato estraneo a Sabbatai. L'epoca di cui parla lo Zohar coincideva esattamente con quella del nostro illuminato. In quell'anno stesso (1648), atteso con impazienza, Sabbatai Zevi, allora ventottenne, si rivelò a un gruppo di discepoli, in particolare a Isaac Silveyra e Mosè Pinheiro [Quest'ultimo era il cognato del cabalista italiano Rabbi Joseph Ergas], come il Messia annunciato. Il suo primo colpo teatrale fu di pronunciare un giorno, nella sinagoga,  contrariamente a un uso plurisecolare e malgrado la proibizione del Talmud  le quattro lettere del nome sacro di Dio (I.H.V.H.). Interdetto subito per questa infrazione di una prescrizione rabbinica, fu infine espulso da Smirne con i suoi discepoli verso il 1651. L'agitazione messianica parve in tal modo essere soffocata in germe, ma non fu così. Il fuoco continuò a covare “sotto le ceneri ed esplose quindici anni dopo in un terribile incendio”.

Questa umiliazione non diminuì Sabbatai agli occhi dei suoi sostenitori: al contrario aumentò il suo prestigio e la sua autorità. Le risorse della famiglia gli permisero di viaggiare da città a città dignitosamente. Dappertutto cercava di reclutare ferventi adepti. A Costantinopoli fece amicizia con un predicatore, Abraham Yakhini, “povero diavolo, ma abile mistificatore, che lo confermò nella sua follia”. Egli consegnò a Sabbatai un documento apocrifo, scritto da lui stesso in antichi caratteri, e che annunciava Sabbatai come Messia: “Io, Abraham, sono stato chiuso per quarant'anni in una caverna e mi stupivo che il tempo dei miracoli non arrivasse. Udii allora una voce che mi disse: Un fanciullo nascerà l'anno 5386 della creazione (1626), si chiamerà Sabbatai e dominerà il grande drago; sarà il vero Messia e combatterà senza armi”.

Da Costantinopoli, Sabbatai passò a Salonicco, dove immaginò una di quelle scene che impressionavano sempre i cabalisti: il suo matrimonio mistico con la Torah. Per i cabalisti, questo significava che la Torah, figlia del cielo, si univa con un legame indissolubile al Messia, egualmente figlio del cielo. I rabbini di Salonicco, come è naturale, trovarono quasi sacrilega una tale cerimonia e scomunicarono immediatamente Sabbatai, che passò in Grecia e poi al Cairo. Al Cairo fece una recluta importante, Raphael Joseph Halabi (originario di Aleppo), Sarafbasbi, monetiere e appaltatore delle imposte ebree, uomo di candida credulità e di ascetismo mistico.

Questo ricco personaggio riceveva giornalmente alla sua tavola cinquanta talmudisti e cabalisti. Ma sotto il lusso delle sue vesti ufficiali, portava continuamente un cilicio. Moltiplicava i digiuni e le abluzioni e si alzava a mezzanotte per farsi flagellare. Samuel Vital, figlio del cabalista Chayim Vital, dirigeva le sue mortificazioni secondo le prescrizioni di Luria. É inutile dire che questo eccentrico accolse con spontaneità ed entusiasmo lo pseudo Messia. Sabbatai abbreviò tuttavia il suo soggiorno al Cairo e, nel 1663, partì per Gerusalemme, la città santa, luogo propizio dove sperava di vedere compiersi il miracolo che avrebbe dissipato una volta per sempre i dubbi sul carattere divino della sua missione. A quest'epoca la comunità di Gerusalemme era povera. I notabili erano partiti e la direzione degli Ebrei di questa città era stata affidata ai cabalisti di Luria e di Chayim Vital. Il terreno per le superstizioni e la fede cieca nei miracoli era pronto per l'arrivo di Sabbatai Zevi. Nei primi tempi del suo soggiorno egli si limitò a condurre una vita di mortificazione, visitando spesso le tombe degli uomini pii e preoccupandosi, come Luria, di evocare i Loro spiriti. Anche là il suo fascino funzionò: numerosi seguaci si raggrupparono intorno a lui. Le circostanze lo favorirono ancora. I Turchi esigevano dagli Ebrei di Gerusalemme una considerevole somma di denaro che la comunità impoverita non aveva assolutamente la possibilità di pagare. Essa ripose ogni speranza nella generosità del ricco monetiere Raphael Halabi, e si affrettò a mandare in delegazione presso di lui il suo grande amico Sabbatai, il quale, felicissimo di far la parte del salvatore, si recò subito al Cairo e ottenne il soccorso richiesto. Un altro caso gli avrebbe permesso di cominciare in questa città la realizzazione del suo sogno messianico.

Nel corso degli orribili massacri eseguiti dai soldati di Shmielaiki, capo dei guerrieri cosacchi, nelle comunità ebraiche della Polonia, i cristiani trovarono una piccola orfana ebrea di sei anni e la misero in un convento. Sebbene educata nella religione cattolica, l'orfana rimase fedele alle credenze paterne, ma l'educazione ricevuta in convento ne fece una mistica. Divenuta una ragazza di rara bellezza, riuscì a fuggire dal chiostro. Un giorno degli Ebrei la incontrarono nel cimitero, coperta dalla sola camicia. Ella disse loro di essere di origine ebraica, di essere stata allevata nel convento e che, la notte precedente, lo spirito di suo padre l'aveva afferrata e portata al cimitero. Per confermare le sue parole, ella mostrò alle donne presenti le tracce di unghiate sul suo corpo; erano probabilmente dei graffi che si era fatta da sola. Inviata ad Amsterdam, trovò suo fratello, ma, in egual tempo, manifestò la sua stravaganza: affermava di essere destinata come moglie al Messia che sarebbe presto apparso. Da Amsterdam partì per Livorno, dove si fece conoscere sotto il nome di Sara. Pur conducendo in questa città, secondo testimonianze degne di fede, una vita sregolata, persistette nella sua affermazione di dover sposare il Messia. La singolare storia di questa ragazza arrivò fino al Cairo. Quando Sabbatai Zevi ne fu informato, dichiarò di sapere già, grazie a una visione, che una giovane polacca sarebbe divenuta sua moglie, e inviò un messaggio a Livorno per far venire Sara. Con la sua bellezza, la sua eccentricità, i suoi modi liberi, Sara fece una grande impressione su Sabbatai Zevi e sui suoi seguaci. Sabbatai sapeva che la condotta di questa avventuriera non era sempre stata irreprensibile, ma tale particolarità stessa lo faceva credere ancor di più alla sua missione. Diceva che, come il profeta Osea, era stato destinato dalla Provvidenza a sposare una donna di costumi impuri. Raphael Halabi, felicissimo che il Messia si sposasse nella sua casa con una moglie predestinata, mise tutte le sue ricchezze a disposizione di Sabbatai e si dichiarò apertamente suo seguace. L'adesione di Halabi ne portò molte altre. Anche la bella Sara portò al marito molti seguaci, probabilmente poco preoccupati dall'arrivo del Messia. Sabbatai, che era arrivato al Cairo come delegato, ne partì come Messia.

Tornato in Palestina, a Gaza, Sabbatai conquistò una recluta, Nathan Benjamin Levi (16441680), figlio di uno di quei collettori di elemosine di Gerusalemme, che andavano, muniti di lettere di raccomandazione, attraverso l'Africa settentrionale, l'Olanda e la Polonia. Era poco istruito, ma sapeva maneggiare abilmente lo stile rabbinico del tempo, vuoto e pomposo. Divenuto molto agiato grazie al matrimonio con la figlia guercia di un uomo ricco, Nathan si dichiarò amico fedele di Sabbatai e divenne uno dei suoi seguaci più zelanti. Egli aveva allora vent'anni e Sabbatai quaranta.

Sabbatai e Nathan si misero immediatamente all'opera per produrre senza interruzione rivelazioni profetiche. Nathan si presentava come il profeta Elia, incaricato di preparare la via al Messia. Egli proclamò che fra un anno e qualche mese il Messia sarebbe apparso in tutta la sua gloria... Questo evento meraviglioso doveva avvenire nel 1666, e il preteso profeta di Gaza si sforzava di diffondere dappertutto i suoi scritti per annunciarlo. A questa notizia, Gerusalemme e le comunità vicine furono prese come dalle vertigini, ma presto Sabbatai si accorse che i rabbini si mostravano poco favorevoli alla sua impresa. Decise di tornare a Smirne, dove poteva contare sull'appoggio della sua famiglia e dove le lettere di Nathan avevano già preparato un terreno favorevole sovreccitando gli spiriti. Tuttavia, prima di lasciare Gerusalemme, inviò messaggeri attivi e zelanti nei diversi luoghi per divulgare la notizia della comparsa del Messia e agitare le comunità. Tra questi agenti, alcuni, come Sabbatai Raphael della Morea, erano gente senza scrupoli, altri, come il cabalista tedesco Mathias Bloch, facevano la loro parte con ingenua semplicità.

L'importante comunità ricevette il nostro pseudo Messia come un trionfatore: Smirne, sua città natale, lo accolse con entusiasmo. Egli vi giunse nell'autunno del 1665: nessuno pensava più alla scomunica lanciata contro di lui dai rabbini di Gerusalemme. Sabbatai era accompagnato dal suo segretario, Samuel Primo di Gerusalemme, che sapeva mantenere il sangue freddo in mezzo a tutta quella agitazione e che possedeva in più l'arte di rivestire con la pompa dello stile ufficiale le cose più insignificanti.

A Smirne, Sabbatai Zevi non si affrettò a proclamarsi Messia; volle attendere qualche tempo. Infine, cedendo all'impazienza e alle pressioni dei discepoli, nel settembre o nell'ottobre del 1665, al suono della tromba, dichiarò alla sinagoga di essere il Messia atteso. Questa dichiarazione fu accolta da uno slancio di gioia; da ogni parte si acclamò: “Viva il nostro re, viva il nostro Messia!”. Tutta la comunità smirniota, “uomini, donne e fanciulli sembravano impazziti”, tutti si preparavano a tornare in Terra Santa. Abbandonarono i loro affari e si preoccuparono solo della prossima liberazione. Inoltre, per rendersene degni, molti smirnioti si imposero le più dolorose macerazioni: digiuni di più giorni, veglie di più notti consecutive, abluzioni nel freddo più intenso e sepolture nella terra sino al collo. Altri si abbandonarono a dimostrazioni di gioia soprattutto quando Sabbatai percorreva le vie cantando salmi o quando predicava in sinagoga sulla sua missione. Le sue parole erano ripetute mille volte, interpretate, venerate, come se venissero da Dio stesso. Ogni suo atto era ammirato e considerato miracolo. I suoi seguaci non esitarono a maritare i loro figli, di dodici e anche di dieci anni, per permettere al resto delle anime, ancora senza compito, di andare ad abitare nei corpi, cosa che, secondo le dottrine cabalistiche, poteva affrettare l'avvento dell'epoca messianica.

Inutile dire che la seduzione esercitata da Sara contribuiva molto al successo di Sabbatai e gli procurava seguaci. D'altronde, in questi momenti di sovreccitazione generale, i costumi, di solito così severi presso gli Ebrei, si rilassarono alquanto. Inebriati dalla prospettiva dell'arrivo del Messia, uomini e donne danzavano assieme e dimenticavano ogni riserbo. Le proteste erano soffocate dai clamori della moltitudine. Il rabbino Aron de Papa, onesto e degno vecchio che aveva scomunicato il Messia, dovette subire le ingiurie di Sabbatai e fu costretto a lasciare Smirne.

Dal quartiere ebreo di Smirne, la reputazione del nuovo Messia si diffuse in altre città e in altri Paesi. Il suo segretario privato Samuel Primo, al pari di Nathan di Gaza e dei missionari Sabbatai Raphael e Mathias Bloch, si sforzarono di far conoscere in luoghi lontani il grande avvenimento. Furono aiutati nella loro opera di propaganda da numerosi cristiani residenti, agenti di case commerciali inglesi e olandesi, preti, che naturalmente informavano le loro famiglie e i loro amici di quello che avveniva a Smirne. Nelle principali Borse d'Europa si parlava di Sabbatai Zevi come di un'apparizione miracolosa.

Gli Ebrei dell'Europa, sbigottiti dapprima da questi fatti straordinari, non tardarono ad entusiasmarsi per il nuovo Messia abbandonandosi alle dimostrazioni più stravaganti. Non solo la folla, ma anche la maggior parte dei rabbini e perfino pensatori seri credettero alla missione di Sabbatai. Henri Oldenburg, dotto tedesco, uno dei primi segretari della Società Reale di Londra, scrisse (Lettera VIII) a Spinoza (5 dicembre 1665) in questo senso: “Si parla molto del ritorno nella loro patria degli Israeliti dispersi da più di duemila anni. Pochi vi credono ma molti lo sperano. Vi prego di farmi sapere ciò che ne sentite dire e quello che ne pensate Quanto a me, sebbene la notizia mi sia giunta, per l'intermediario di una persona degna di fede, da Costantinopoli, che è la città più interessata a questa faccenda, non posso credervi. Sarei molto lieto di conoscere quello che ne hanno saputo gli Ebrei di Amsterdam e come hanno accolto la notizia che dovrebbe certo portare un grande sconvolgimento nel mondo”. Spinoza stesso sembra ammettere la possibilità, per gli Ebrei, di restaurare il loro regno e tornare ad essere il popolo eletto. Tra i rabbini che seguivano con interesse Sabbatai, ricordiamo Isaac de Fonseca Aboab, Mosè Raphael de Aguilar, Mosè Galante, Mosè Zacuto, Chayim Benveniste e perfino il semispinoziano Dionysius Mussophia.

Ad Amsterdam come a Londra, fra i Portoghesi come fra i Tedeschi, il numero dei seguaci di Sabbatai si accrebbe di giorno in giorno. Anche loro si abbandonavano, nella sinagoga, a una gioia esuberante. Ad Amburgo, dove gli Ebrei soffrivano allora l'intolleranza dei cristiani, l'agitazione messianica assunse un vero carattere di follia. Uomini notevoli, che occupavano alte posizioni, come Manoel Texeira e il medico Bendito de Castro, saltavano e danzavano nella sinagoga con un rotolo della Legge sotto braccio. Le voci più singolari correvano per la città. “Si raccontava che nella Scozia settentrionale era stata vista una nave con le vele e i cordami di seta, diretta da marinai che parlavano l'ebraico, portante una bandiera con questa iscrizione: 'Le dodici tribù di Israele'. Secondo la loro abitudine, gli Inglesi fecero scommesse importanti circa i prossimi successi di Sabbatai: sostenevano che entro due anni sarebbe stato consacrato re di Gerusalemme. Dappertutto la stessa vertigine si impadroniva degli Ebrei; ad Avignone essi si preparavano a partire, nella primavera del 1666, per la Palestina. Nelle principali città commerciali, Amsterdam, Livorno, Amburgo, dove gli Israeliti occupavano una posizione preminente, gli affari subirono un notevole rallentamento perché si aspettavano cambiamenti profondi. Ad Amburgo dei pii protestanti domandarono consiglio al predicatore Esdras Edzar sulla condotta che dovevano tenere: “Abbiamo saputo,”dissero, “non solo dagli Ebrei, ma anche dai nostri corrispondenti cristiani di Smirne, Aleppo, Costantinopoli e altre città della Turchia, che il nuovo Messia degli Ebrei opera miracoli e che i suoi correligionari di tutti i paesi accorrono a lui. Come conciliare questi eventi con la dottrina cristiana la quale ci insegna che il Messia è già arrivato?”.

In tutto questo, nessuno sospettava che la Qabalah, naturalmente quella di ordine pratico, era la causa delle eccentricità che portavano stati d'animo inconsci e pronti alla follia. Tuttavia un uomo di grande coraggio e di vasta erudizione talmudica, Jacob Sasportas, che era allora ad Amburgo, combatté con energia l'agitatore fin dagli inizi inviando lettere su lettere alle comunità dell'Europa, dell'Asia e dell'Africa per smascherarne le furberie e mostrarne le conseguenze disastrose. Sasportas era egli stesso un adepto della Qabalah, ma non per questo ignorava, secondo Graëtz, che il male veniva di lì. Credeva piuttosto, denunciando questo impostore, di combattere in egual tempo le idee assurde o mal assimilate di un ramo di questa dottrina, quasi interamente abbandonato o perfino respinto dagli spiriti mistici più seri.

Comunque gli Ebrei di ogni parte inviavano delegati a Smirne per salutare Sabbatai come re d'Israele e mettere a sua disposizione i beni e la vita dei suoi soggetti. Ma il preteso Messia sembrava incapace di utilizzare per qualche grande opera l'entusiasmo e la devozione dei suoi seguaci. Si lasciava beatamente adulare “attendendo da un miracolo la realizzazione delle speranze che aveva fatto nascere in tutto il giudaismo”. Samuel Primo e gli altri suoi amici, più intraprendenti, o in ogni caso, meno esitanti di lui, tentarono di distruggere il giudaismo rabbinico che sembrava loro un ostacolo importante. Essi si fondarono sullo Zohar per ottenere l'abolizione delle leggi cerimoniali. La loro concezione della divinità aveva un carattere particolare. “A forza di limitare la potenza di Dio e di glorificare il Messia, li avevano quasi posti su un piano di eguaglianza”. Essi ammettevano, in un certo senso, un Dio in tre persone: “l'Antico dei giorni”, il “Santo Re”e un essere femminile, la “Shekhinà”. Per loro, “il Santo Re”, il Messia, era in realtà il vero Dio, il salvatore del mondo, il Dio di Israele, che solo doveva essere invocato. L' “Antico dei giorni”sembrava in qualche modo avere abdicato in favore di Sabbatai. Essi appoggiarono la loro dottrina a un versetto del Cantico dei cantici: “Dio assomiglia a Zevi”. Samuel Primo, che promulgava spesso ordinanze in nome del Messia, firmava: “Io, il Signore, vostro Dio, Sabbatai Zevi”.

Primo e i suoi accoliti cominciarono i loro attacchi contro le prescrizioni rituali. Trasformarono il digiuno del 10 Thebet in giorno di gioia con l'annuncio seguente: “Il Figlio amato di Dio, Sabbatai Zevi, Messia e liberatore della nazione ebrea, a tutto Israele, salute! Poiché siete stati giudicati degni di vedere il gran giorno e di assistere alla realizzazione delle promesse divine fatte dai profeti, potete trasformare i vostri gemiti in canti e il vostro digiuno in festa. Rallegratevi, fate udire inni e cantici e sostituite le vostre mortificazioni e il vostro lutto con dimostrazioni di gioia”.

Questa riforma svegliò evidentemente i sospetti dei rigoristi, per i quali il Messia doveva essere un rabbino molto rigoroso nell'osservanza delle pratiche. Essi non pensavano che Sabbatai e i suoi luogotenenti si ispirassero a una certa parte della Qabalah favorevole all'abolizione delle leggi rituali.

Improvvisamente si apprese che Sabbatai Zevi aveva ricevuto l'ordine di andarsi a presentare alle autorità turche a Costantinopoli. Sembra che il preteso Messia abbia scelto, per cominciare il suo viaggio, l'inizio dell'anno 1666, data di grande importanza, come abbiamo visto, per i dottrinari messianici. Era accompagnato dal suo segretario Samuel Primo. Al suo sbarco ai Dardanelli, “fu arrestato per ordine del gran visir Ahmed Koeprili, che era stato informato dell'agitazione creata a Smirne e in altri luoghi della Turchia, e condotto, con i ferri alle mani, in una località vicino a Costantinopoli; lo lasciarono lì per non farlo viaggiare il giorno del Sabato”. La domenica (6 febbraio 1666), fece il suo ingresso a Costantinopoli in una posizione meno elegante e trionfante. Ebrei e Turchi, tuttavia, gli andarono incontro in gran numero. Quando sbarcò, un vice pascià lo schiaffeggiò pubblicamente: Sabbatai ebbe la presenza di spirito di porgere l'altra guancia. Così si atteggiava a vittima rassegnata, pronta a ricevere tutte le umiliazioni nell'interesse della sua missione provvidenziale.

Quanto a Mustafà-Pascià, che lo accusava di aver provocato un'agitazione malsana fra gli Ebrei, Sabbatai rispose di essere un semplice Chakham (rabbino) venuto da Gerusalemme per raccogliere elemosine e di non essere responsabile delle testimonianze di devozione che gli venivano prodigate. Mustafà lo fece gettare in prigione. I partigiani di Sabbatai, per nulla scossi nella loro fede, considerarono al contrario le sofferenze sopportate dal Messia come prove necessarie alla sua gloria, e si affollavano tutti attorno alla sua prigione per cercare di vederlo un istante. Presto i Turchi si unirono a loro e professarono per lui la più profonda venerazione.

Il governo turco, che sembrava provare una certa timidezza davanti al Messia, non osò condannarlo a morte, come avrebbero fatto per qualsiasi altro agitatore. Essendo in guerra con i Cretesi, il gran visir Koeprili credette prudente non lasciarlo nella capitale, dove, in sua assenza, avrebbe potuto provocare dei disordini, e lo fece internare nel castello di Kostia, presso i Dardanelli. In questo castello, che fu chiamato dai suoi seguaci Migdal Oz, la sua cattività fu in realtà molto dolce. Arrivato ai Dardanelli la vigilia della festa di Pasqua, Sabbatai fece sgozzare un agnello per sé e per i suoi compagni, in ricordo dell'agnello pasquale, e ne mangiò anche le parti proibite dalla legge di Mose, per mostrare apertamente l'abolizione radicale delle antiche prescrizioni. Grazie ai sussidi della sua famiglia e dei suoi seguaci ricchi, poté organizzare nel castello di Kostia una vera corte, dove dominò come un sovrano. “Innumerevoli navi gli conducevano continuamente visitatori da ogni paese, che tornavano abbagliati da ciò che avevano visto e diffondevano il loro entusiasmo per il Messia”. Quasi tutti gli Ebrei erano sinceramente convinti che fosse il salvatore annunciato. A Venezia vi furono conflitti fra gli amici e gli avversari di Sabbatai, e uno di questi ultimi per poco non fu ucciso. Quando si chiese allo pseudo Messia come ci si dovesse comportare con i Koferim (increduli) egli dichiarò semplicemente “che era permesso ucciderli anche il giorno del sabato, e che l'uccisore si sarebbe assicurato la vita futura”.

Per istigazione di Samuel Primo (1), Sabbatai abolì il digiuno di Tamuz e dichiarò che il nono giorno di Ab non doveva più essere considerato come un giorno di lutto, ma celebrato gioiosamente come anniversario della sua nascita. Istituì per questa data un ufficio speciale in cui si recitavano salmi e ringraziamenti al suono dell'arpa e con canti.

Stava per abolire tutti i giorni di festa, compresa quella dell'Espiazione (Kippur), quando un'imprudenza rovesciò improvvisamente tutti i piani. Fra i suoi numerosi visitatori accorsi da tutte le regioni, si trovavano infatti due rabbini polacchi, i quali lo informarono che nel loro paese un profeta, Nehemia Cohen, predicava egualmente la prossima venuta del regno messianico, ma senza mai pronunciare il suo nome. Allarmato da questa concorrenza, Sabbatai si affrettò a far venire il profeta presso di sé. I due agitatori, chiusi insieme nel castello di Kostia, discussero a lungo sui segni dai quali si doveva riconoscere il vero Messia. Nehemia non rimase convinto e non lo nascose. Alcuni seguaci fanatici di Sabbatai pensarono allora di far scomparire Nehemia Cohen, giudicandolo pericoloso per la loro impresa, ma questi fuggì sano e salvo dal castello di Kostia e si recò ad Adrianopoli, dove si fece musulmano e denunciò Sabbatai al kaimakam Mustafà, accusandolo di voler tradire la Turchia.

Il kaimakam informò il suo signore, Maometto IV, che esaminò con i suoi ministri e il muftì Vanni le misure da prendere contro Sabbatai (2).

Temendo che la sua morte divenisse causa di disordini, Vanni propose di tentare di convertirlo all'islamismo. Fu adottata questa proposta, e il medico del sultano, un apostata ebreo di nome Didon, fu incaricato di questa conversione. Arrestato e condotto ad Adrianopoli, Sabbatai fu messo immediatamente in rapporto con Didon. Sembra che non siano stati necessari grandi sforzi per decidere Sabbatai ad abbandonare il giudaismo. “Condotto davanti al sultano, egli gettò a terra il berretto ebreo, in segno di disprezzo per la sua antica religione, e si mise un turbante bianco e un abito verde indicando così di essere divenuto musulmano”. Felice di questa devozione, Maometto IV diede a Sabbatai il nome di Mehemet Effendi e gli affidò le funzioni di sorvegliante del palazzo (capigi Baschiotorak) con un trattamento elevato. La conversione di Sabbatai fu seguita da quella di sua moglie, Sara, e di parecchi suoi partigiani. Qualche giorno dopo la conversione, egli ebbe l'audacia di rivolgersi ai suoi fratelli di Smirne in questi termini: “Dio ha fatto di me un ismaelita (turco); egli ha ordinato e io ho obbedito. Il nono giorno dopo la mia seconda nascita”.

Naturalmente questa brusca conclusione produsse negli Ebrei uno stupore profondo. Il Messia glorioso, in cui avevano riposto le loro speranze e la loro fiducia, non era che un vile e abbandonava il giudaismo: musulmani e cristiani non risparmiavano più le loro derisioni agli ingenui adepti del falso Messia. D'improvviso mali più seri per poco non caddero sugli Israeliti. Col pretesto di un tentativo di tradimento, il sultano decise di sterminare tutti gli Ebrei del suo impero e di convertire all'islamismo tutti i fanciulli di meno di sette anni. Rinunciò poi al suo progetto criminale per le insistenze dei suoi due consiglieri e di sua madre, ma decise di far morire cinquanta dei principali rabbini di Costantinopoli, di Smirne e di altre città turche perché non avevano illuminato le loro comunità sulle azioni di Sabbatai. Per fortuna questa decisione non venne attuata. Nelle comunità le lotte fra gli adepti e gli avversari di Sabbatai avrebbero potuto divenire funeste se i saggi rabbini non avessero ordinato l'astensione totale di ogni dileggio nei riguardi di coloro che avevano ingenuamente creduto alla missione del preteso Messia.

I seguaci di quest'ultimo non si rassegnarono tuttavia alla perdita delle loro illusioni. Per molti di loro, Sabbatai non si era fatto turco: solo la sua ombra era rimasta sulla terra, ma lui stesso era salito al cielo, dove si era rifugiato presso dieci tribù per riprendere la sua opera di liberazione in un momento più propizio. I suoi profeti, Samuel Primo, Jacob Falingi, Jacob Israel Dunhan si sforzarono di mantenere la folla nel suo errore e di rafforzare ancora una volta l'autorità del loro maestro. I rabbini si decisero a mettere fine a questa nuova propaganda e scomunicarono Nathan di Gaza. Ma uno dei capi di questi illuminati dichiarò che Sabbatai aveva provato l'autenticità della sua missione messianica con la sua stessa conversione, che, disse, era predetta dallo Zohar. Mosè stesso, il primo liberatore, era vissuto alla corte del Faraone, in Egitto, prima di salvare il suo popolo. “Rinnegato in apparenza, ma in fondo puro e santo”: tale era la nuova parola d'ordine dei seguaci di Sabbatai.

Grazie all'appoggio indefettibile dei suoi sinceri amici, e grazie soprattutto alle predizioni di Nathan di Gaza, Sabbatai conservò un gran numero di adepti. Nei primi tempi che seguirono la sua apostasia si tenne lontano dagli Ebrei mostrandosi fervente musulmano. Ma a poco a poco, per il desiderio di riprendere la sua parte di Messia, rinnovò le relazioni con loro e si dichiarò di nuovo “ispirato dallo Spirito Santo e favorito da rivelazioni divine”. Fece pubblicare un'opera mistica in cui si affermava che “Sabbatai era il vero Messia”, capace di moltiplicare le prove del suo potere, ma che si era coperto con la maschera dell'islamismo per facilitare la diffusione delle credenze ebree. Al sultano e al muftì, invece, diceva di restare in rapporto con gli Ebrei per convertirli all'islamismo. In tal modo riuscì a farsi autorizzare a predicare nelle sinagoghe di Adrianopoli. Molti dei suoi correligionari imitarono il suo esempio facendosi musulmani. Si formò così intorno a lui un gruppo considerevole di giudeo-turchi.

Uno dei più importanti adepti conquistati in quest'epoca da Sabbatai fu Abraham Miguel Cardoso, nato da genitori marrani, che studiò la medicina a Madrid con suo fratello Fernando. Questo fannullone, che faceva spesso serenate sotto i balconi delle belle madrilene, si trasformò in un ardente cabalista e si dichiarò seguace fedele di Sabbatai. Affermava di avere spesso visioni, e in più proclamava che l'apostasia del falso Messia era stata necessaria, perché il Messia doveva commettere questo peccato per espiare il delitto di idolatria di cui Israele si era reso tante volte colpevole. Riferiva a Sabbatai le predizioni di Isaia relative al popolo eletto e alla sua resurrezione, che i cristiani applicano a Gesù. Ma il suo celebre fratello, notevole sapiente, Isaac Fernando, derideva le sue divagazioni e le sue stravaganze cabalistiche, e gli chiedeva ironicamente “se avesse acquistato il dono della profezia suonando l'arpa sotto le finestre delle sue belle”. Miguel persistette però egualmente nella sua follia. Oratore eccellente e abile scrittore, raccolse in Africa numerosi aderenti al falso Messia, conducendo una vita avventurosa a Costantinopoli, a Smirne, nelle isole greche e al Cairo. Le sue varie conoscenze, acquisite dalle scuole cristiane, gli assicuravano una superiorità sugli altri apostoli del Messia: divenne così uno dei seguaci più utili e più decisi di quest'impostore.

Sabbatai continuò, dunque, anche dopo l'apostasia, a far la parte del Messia presso gli Ebrei. Molto spesso riuniva i suoi aderenti ebrei per celebrare con loro l'ufficio, cantare i salmi e leggere la Torah. Sposò perfino una seconda moglie, figlia di un talmudista, Joseph Filosofo, di Salonicco. I Turchi finirono con l'accorgersi della sua condotta ambigua: la polizia lo sorprese un giorno in una riunione di Ebrei, in cui recitava dei salmi. Per ordine del gran visir venne allora esiliato a Dulcigno, in Albania, dove morì oscuramente nel 1676.

Abbiamo visto che i partigiani di questo pseudo Messia erano numerosi. Molti di loro, di cui abbiamo parlato, hanno svolto una parte molto importante a suo favore mentre era vivo. Dobbiamo ancora mettere in rilievo alcuni noti capi che diressero, dopo la sua morte, il movimento sabbatiano localizzato in diversi luoghi.

Daniel Israel Bonafoux, cantore di Smirne, riuscì a raggruppare intorno a sé un gran numero di Ebrei per rendere culto alla memoria del falso Messia. Aveva trovato un attivo collaboratore in Abraham Miguel Cardoso, fedele adepto della prima ora, che fu, come abbiamo detto, un eccellente propagandista. Questo Bonafoux prese infine il turbante per vendicarsi delle vessazioni dei rabbini di Smirne.

Mordekhai d'Eisenstad, partigiano non meno fervente di Sabbatai, creò un'agitazione più seria, che si estese fino in Polonia. Di aspetto imponente e venerabile, aveva acquistato una grande autorità digiunando per più giorni consecutivi e imponendosi le più dure mortificazioni. Predicò in Ungheria, in Moravia e in Boemia sulla necessità immediata di fare penitenza e di condurre una vita di contrizione. Incoraggiato dal successo delle sue predizioni, si fece passare per profeta affermando che Sabbatai Zevi era il vero Messia, che aveva obbedito alle esigenze della sua missione abbracciando l'islamismo, e che tre anni dopo la sua morte apparente (perché in realtà non era morto) sarebbe venuto a liberare definitivamente il suo popolo. Davanti al crescente numero dei suoi ascoltatori e alla cieca fiducia che gli testimoniavano, decise di presentarsi lui stesso come il vero Messia della casa di David dichiarando di essere Sabbatai Zevi risuscitato. La reputazione del Messia ungherese si diffuse vastamente; egli sembrava dispostissimo a ricevere il battesimo. Alla fine si fermò in Polonia, dove fondò una setta che durò fino al principio dei tempi moderni.

Verso la stessa epoca (XVII secolo), un nuovo movimento messianico nacque in Turchia. La vedova di Sabbatai Zevi si recò a Salonicco dove fece passare suo fratello Jacob per un figlio che avrebbe avuto da Sabbatai. Questo giovanotto, che aveva preso il nome di Jacob Zevi, era veneratissimo dagli antichi seguaci di Sabbatai, che lo soprannominarono Querido (diletto). Si disse che riuniva in sé le due anime dei due Messia attesi, quello della casa di Giuseppe e quello della casa di David, ed egli fu considerato il vero successore di Sabbatai, il Redentore inviato da Dio. Presto i suoi seguaci furono accusati di cattivi costumi. Per mettere fine a questi scandali, i rabbini li denunciarono alle autorità turche. Adottando il metodo infallibile del loro maestro, essi si fecero tutti musulmani (1687), e, per confermare la sincerità della loro conversione, in gran numero, con il loro Messia, si recarono in pellegrinaggio alla Mecca. Durante il ritorno, Querido morì ad Alessandria. Suo figlio Berakhia gli succedette come capo religioso.

Questi neo Turchi, limitati quasi esclusivamente a Salonicco, formarono una piccola chiesa particolare che i Turchi chiamarono Deunmeh, ossia “scismatici”, nome che indica egualmente, secondo Abraham Danon, dei “veri credenti”(ma'amine kether Adonenu), o compagni (haberim), o anche, per metafora “maestri dei combattimenti”. Ad Adrianopoli fu dato loro il soprannome di Sazanicos, piccole carpe. Questi Deunmeh si dividevano in tre gruppi: i Tarpucblis, caratterizzati da un turbante di forma speciale; i Cavalieros, che portavano scarpe a punta, e gli Honiosos, o “Camusi”, che si riconoscevano dal loro naso corto e piatto. I tre gruppi si odiavano reciprocamente, mentre in seno a ogni gruppo regnava una stretta solidarietà. Vivevano tra i musulmani, ma i Turchi, diffidenti, provavano per loro una certa repulsione. Nemmeno i rapporti fra Israeliti e Deunmeh erano amichevoli; i primi consideravano apostati i secondi, e i sabbatiani chiamavano miscredenti (kofrim) gli Israeliti. I Deunmeh erano di origine sepharadi e parlarono a lungo l'ebreo-spagnolo; in questa lingua hanno redatto i loro Piutim. Si sposavano solo fra loro e, nel 1897, contavano solo un migliaio di famiglie. Andavano a volte a pregare in una moschea, ma spesso si riunivano per adorare il loro Liberatore. Alcuni membri di questa setta conoscevano l'ebraico perché era prescritto di recitare i salmi tutti i giorni. Conservarono, del giudaismo, l'uso della circoncisione e della Bibbia oltre ai Salmi e al Cantico dei Cantici, che si presta alle interpretazioni mistiche. Rivolgevano allo Zohar un rispetto particolare e vi attingevano i testi dei loro sermoni. Ecco un passo significativo delle preghiere redatte in ebraico-spagnolo a proposito del digiuno: “In nome dell'Eterno, Dio di Israele, per la gloria di Israele, [per] i tre legami della fede che formano l'unità sublime nel Nostro Signore Re Sabbatai Zevi, nostro Messia, nostro Redentore, il Vero Messia, che la sua magnificenza sia elevata e che la sua regalità sia esaltata al pari dell'En-Sof”. Notiamo che, nelle elucubrazioni sabbatiane, questi “tre legami della fede”rappresentano la trinità insegnata da Hayon, che vedremo tra poco, e di cui le tre persone sono: il Santo Antico ('Atika kadisha), il re Santo (Malca kadisba) e la sua emanazione (Weshkbinte), che formano insieme una sola persona alla quale si deve pensare recitando lo Shema. Questo dogma della Trinità, adottato da Hayon, diverrà più tardi una delle credenze fondamentali dei frankisti. Quanto all'En-Sof l'Essere Infinito dei cabalisti, è stato soppresso dai sabbatiani. Come abbiamo visto, essi lo hanno sostituito con il Re santo, ossia con Sabbatai Zevi.

Come al tempo di Sabbatai, la follia mistica di bassa levatura, per così dire, divenne contagiosa e diffuse sempre più le sue devastazioni. Alle sette già esistenti si aggiunsero nuove sette. In Polonia, degli illuminati, sotto la guida di Jehuda Hassid di Dubno, e di Chayim Malkah, si misero a condurre una vita improntata a un misticismo esasperato in vista della liberazione messianica. Essi presero il nome di Chassidim (pii). Ma, colpiti da amare disillusioni, alcuni si fecero musulmani e altri abbracciarono il cristianesimo. Chayim Malkah restò parecchi anni a Gerusalemme e là continuò a dirigere i destini di un piccolo gruppo di aderenti. In luogo del Dio-Uno del giudaismo, egli insegnava un Dio in due o tre persone. Ammetteva il dogma dell'incarnazione e rendeva così un culto divino al suo maestro Sabbatai, di cui aveva fatto scolpire un'immagine in legno per esporla all'adorazione dei suoi seguaci. Espulso da Gerusalemme per istanza dei rabbini, andò a raggiungere i sabbatiani musulmani o Deunmeh a Salonicco, e di lì andò a Costantinopoli, dove venne scomunicato. Tornò in Polonia e riprese la sua propaganda. A quanto si dice, morì alcolizzato.

Un adepto di Sabbatai, Nehemia Hiyya Hayon (nato verso il 1650 e morto dopo il 1726) riuscì a gettare la discordia fra gli Ebrei suscitando una agitazione tra le più funeste. Astuto, ipocrita e audace, condusse una vita di avventure e di piaceri. Compose un'opera, Mehmenuta deKola (La fede universale) per dimostrare che il giudaismo, quale era insegnato nella Qabalah, riconosceva un Dio triplo, come abbiamo già detto. Il testo di questa opera era di un sabbatiano, forse, come pensa Graëtz (loc. cit., pag. 209), di Sabbatai Zevi stesso. Dopo molte peregrinazioni, fu ora scomunicato, ora protetto e sostenuto. A Praga fu circondato da un importante gruppo di seguaci, fra cui il celebre talmudista Jonathan Eibeschütz, affiliato alla setta dei criptosabbatiani, che incontreremo presto. Hayon si avvicinò ai cristiani, senza mancare, ben inteso, di ingiuriare gli Ebrei ostinati nella loro cecità. Faceva intendere di credere egualmente alla Trinità. Ma la diffidenza si risvegliava dappertutto contro di lui. Disperando di esercitare qualche azione in Europa o in Oriente, si imbarcò per il Nord Africa, dove morì. Suo figlio, che tentò più tardi di riscattare il suo fallimento, accettò il battesimo.

Infine Jonathan Eibeschütz o Eibeschützer (nato a Cracovia nel 1690 e morto ad Altona nel 1764) veniva da una famiglia cabalista. Dotato di una memoria prodigiosa e di un'acuta sagacia, si distinse fin dalla giovinezza per la vastità e la solidità delle sue conoscenze talmudiche. Inoltre lo interessò vivamente la Qabalah. Come abbiamo detto, durante il suo soggiorno a Praga, manifestò una viva simpatia per Hayon. Si avventurò a leggere gli scritti di Cardoso sebbene fossero stati dichiarati eretici, e infine aderì all'idea che il Dio onnipotente, la Causa Prima, non ha alcuna relazione con l'universo, e che una seconda divinità, chiamata Dio di Israele ha creato il mondo e rivelato la Legge del Sinai. Sembra anche che egli abbia accettato quest'altra credenza dei sabbatiani, “che Sabbatai Zevi, il Messia, fosse stato l'incarnazione di questa seconda divinità e che la sua apparizione sulla terra dovesse avere come risultato l'abolizione della Torah”. Molto prudente, Eibeschütz non si dichiarò apertamente avversario del Talmud, come avevano fatto numerosi sabbatiani polacchi. D'altra parte egli amava la letteratura talmudica che gli permetteva di sfoggiare il suo vigore dialettico e la sua sottigliezza di spirito, e in cui la sua competenza e la sua autorità erano così grandi. A ventun anni era stato a capo di una scuola talmudica che fu frequentata successivamente da migliaia di discepoli. Il suo insegnamento attraente e comunicativo era ravvivato dalle sue battute inattese e dall'originalità delle sue interpretazioni. Grazie ai servizi resi dalla sua scuola e all'autorità di cui godeva, non fu scomunicato insieme agli altri sabbatiani con i quali era in strette relazioni. Tuttavia queste relazioni non furono dimenticate. Quando fu nominato rabbino di tre comunità (Altona, Amburgo e Wandsbeck), vi regnava un vero panico:

in un anno numerose giovani spose erano morte di parto. Per mettere in fuga l'angelo sterminatore che aveva fatto tante vittime, Jonathan Eibeschütz, talmudista celebre e taumaturgo provato, non esitò a scrivere amuleti e a usare ciarlatanerie per guarire le malattie. Aveva già distribuito amuleti analoghi quando era rabbino a Metz. Improvvisamente si sparse la voce ad Altona che l'iscrizione degli amuleti di Eibeschütz aveva un carattere eretico. Se ne aprì uno e vi si scoprirono le parole seguenti: “Oh Dio di Israele, tu che sei nella gloria della tua potenza (espressione cabalistica), in favore del merito del tuo servo Sabbatai Zevi, degnati di inviare la guarigione a questa donna affinché il tuo nome e quello del Messia Sabbatai Zevi siano santificati sulla terra”. Le lettere di certe parole, in questo amuleto erano trasposte, e talora era messa una lettera per un'altra, ma non era difficile trovare la chiave di questi rebus. Vi era allora ad Altona un rabbino molto serio che non esercitava funzioni ufficiali ma che godeva tuttavia di una certa considerazione. Era Jacob Emden, figlio di Zevi Ashkenazi. Quando ebbe preso conoscenza di questi amuleti, concluse che Jonathan Eibeschütz continuava ad essere affiliato all'eresia sabbatiana. Dopo avere esitato ad entrare in lotta con un talmudista di grande autorità, un giorno lo accusò apertamente in sinagoga. Le tre comunità ordinarono al denunciatore di lasciare la città. Ma Emden, che era autorizzato da un privilegio reale a dirigere una stamperia ad Altona, rifiutò di obbedire. Sottoposto allora ad ogni sorta di vessazioni e di persecuzioni, si esasperò in questa lotta ineguale. Era sul punto di soccombere quando gli arrivarono da Metz gli amuleti che Eibeschütz riconosceva di aver scritto e distribuito, e in cui Sabbatai Zevi era esplicitamente riconosciuto come Messia. La contesa ricominciò più violenta e assunse un'estensione notevole. In Germania come in Polonia si discusse vivacemente la questione degli amuleti e molte comunità si divisero in due campi. Partigiani e avversari si scomunicavano reciprocamente. Il pastore David Frederick Megerlin, dotto ebraizzante, incaricato dal re di Danimarca Federico V (1755) di chiarire questa faccenda, si pronunciò in favore di Eibeschütz, ma rendendolo ancora più sospetto agli occhi degli Ebrei. Secondo lui, “le lettere misteriose degli amuleti, riferite a Sabbatai Zevi, erano semplicemente un'allusione mistica a Gesù Cristo”. Megerlin invitò Eibeschütz a farsi battezzare. Questi, che avrebbe dovuto protestare contro le affermazioni di Megerlin, preferì lasciar dire che nell'intimo del cuore era cristiano. Per quanto assurda, l'argomentazione di Megerlin convinse Federico V: Eibeschütz fu mantenuto nelle sue funzioni di rabbino e la comunità di Altona ebbe l'ordine di obbedirgli (1756). Egualmente il senato di Amburgo lo riconobbe di nuovo come rabbino della comunità tedesca. Così questa lotta decennale, di carattere sabbatiano, che aveva eccitato le più vive passioni nelle comunità ebraiche, dalla Lorena alla Podolia e dal Po all'Elba, si concluse col trionfo di Eibeschütz.

 

Tali sono i tratti caratteristici che si riferiscono a Sabbatai Zevi e ai sabbatiani, il cui movimento ha avuto una vivacità eccezionale nello svolgimento della vita ebrea. Questo movimento così nefasto susciterà, a sua volta, in modo diretto o indiretto altre sette come i frankisti e i Chassidim, che vedremo presto. Queste sette lacereranno ancora in larga misura il giudaismo.

Come giudicare questo impostore di alta levatura, Sabbatai Zevi, e i suoi luogotenenti più audaci che hanno creduto alla sua stella? Nonostante la loro astuzia, la loro soperchieria e talora la loro disonestà fin troppo manifeste, essi appaiono nell'intimo delle loro anime abbastanza sinceri.

Questi illuminati sono numerosi nella storia. Sono più pericolosi perché si impongono, spesso rapidamente, alla mentalità delle folle sempre pronte a condividere i loro sentimenti. Questi semifolli sono naturalmente portati alle fantasticherie stravaganti, al fascino dell'aldilà; inoltre sono spesso assecondati da circostanze di vario ordine, politico, economico, sentimentale, e soprattutto da coloro che soffrono, che vivono nella paura, nella miseria, e che attendono con impazienza l'ora favorevole della liberazione. Questi illuminati non sono in genere privi di interesse. Hanno più o meno certe qualità fisiche e morali, temperamento potente e attraente, eloquenza, voce fascinosa ecc. che permettono loro in larga misura di guadagnarsi le simpatie popolari. E proprio il popolo, elettrizzato da parole sensibili, capaci di vibrare nel suo intimo, affretta la loro ascesa sulla scena pubblica e ne impone calorosamente l'ammirazione. L'adesione delle classi elette, o almeno di alcuni sbandati provenienti da esse, non tarda ad arrivare, soprattutto dopo il trionfo popolare. La convinzione dei loro seguaci diviene col tempo incrollabile, anche in coloro che sono molto dotati, come nel caso di Eibeschütz. É uno stato d'animo difficile da sradicare, che persiste malgrado il buon senso. Solo così si può spiegare il caso psicologico della personalità messianica di Sabbatai. Questa personalità, grazie all'immaginazione popolare, appare come un essere straordinario, un mito che si impone come una realtà vivente agli occhi di tutti, anche, ancora una volta, agli occhi dei sapienti abituati alla riflessione solida e matura, ma che nutrono nell'intimo delle loro anime una tendenza che coincide con lo spirito dell'impostore. In ogni caso, l'atteggiamento assurdo di tutti questi illuminati che trionfano, che falliscono e lasciano talora delle tracce, sconcerta lo spirito sano. D'altra parte il caso di Sabbatai Zevi, mistico decadente che illustra i dati della Qabalah pratica, la quale raggiunse un grande prestigio dopo la morte di Luria, non è isolato nella storia del giudaismo. Abulafia, scrittore fecondo e teorico originale, non si è forse proclamato Messia, dato che, come abbiamo visto, voleva convertire al giudaismo persino il papa Martino IV?

Gli atti di Sabbatai, di questo impostore contemporaneo dell'illustre Spinoza, il quale gli sopravvisse solo cinque mesi, si ritrovano in qualche modo in certi illuminati dei nostri giorni, che, per fortuna, non sono della stirpe di Israele. Anche questi illuminati si proclamano guide e salvatori dell'umanità. Gli atti del falso Messia di Smirne, di questo squilibrato affascinato dalle ricette della Qabalah pratica, come quelli di altri che stiamo per considerare, sembrano in realtà molto anodini se li confrontiamo con quelli dei sadici che dominano oggi, miranti non solo a sopprimere il nutrimento spirituale dell'umanità, già così poco felice, così diseredata nel suo insieme, ma a prepararle, come sua principale risorsa, un gigantesco cimitero.

 

 

1 - Secondo Danon (loc. cit., t. XXXVII, pagg. 104 e segg.), che si fonda su una tradizione locale, Samuel Primo, che sembra essersi rifugiato a Sofia, fu nominato rabbino e capo della comunità di Adrianopoli. Il fatto che un sabbatiano sia stato mantenuto come rabbino non è unico, come testimoniano Chayim Benveniste a Smirne, Hayon a Uskup, Eibeschiltz a Praga. Samuel Primo si vide costretto a bandire da Adrianopoli il troppo turbolento e sfrontato Cardoso, di cui parleremo avanti.

2 - Ecco quello che dice di Sabbatai la storia di Rachid Effendi (Tarib, Costantinopoli, 1282 dell'Egira, t. I, pag. 133, in Danon, loc. cit., t. XXXVII, pag. 103): “Assegnazione del celebre ebreo davanti al sultano e sua conversione all'Islam. Qualche tempo fa apparve a Smirne un certo ebreo portante il nome di rabbino, e riuscì ad accattivarsi la fede di una classe di Ebrei che, raccolti attorno a lui, mostrarono segni di rivolta. Espulso e relegato nella fortezza dei Dardanelli, continuò a seminare sedizione fra gli Israeliti, e di conseguenza il 16 del mese di Rebiul Ahir (1077 dell'Egira) fu citato ai piedi del trono imperiale ad Adrianopoli. Questo ebreo, chiamato in presenza del sultano, assistito da Sheikh Islam Effendi, da Vanni Effendi e dal kaiman Pascià, e interrogato su quello che era avvenuto, smentì le sciocchezze che circolavano sul suo conto, e, sapendo che stavano per condannarlo a morte, manifestò il desiderio di convertirsi all'Islam”.

 

 

Indice

Introduzione Il Pietismo di Safed La Scuola di Cordovero La Scuola di Luria

Sabbatai Zevi e i Sabbatiani Frank e i Frankisti Israel Baal Shem Tob e i Chassidim

Il Chassidismo di Beth-El Conclusioni