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Questo movimento di alta portata spirituale non si è mai allontanato dall'antica tradizione mistica: è rimasto fedele allo spirito intrinseco dei grandi profeti. Non ha avuto in nessun luogo controversie animose contro i talmudisti o contro coloro che abbiamo già esaminato, i mitnagdim (oppositori). Ha accolto senza distinzione rabbini e Chassidim. Talmudisti di eccezionale levatura, come Nachmanide e Chelomo ben Idret, contribuirono a rialzare, invece, il valore della Qabalah. Nella sinagoga di Beth-El di Gerusalemme, centro delle loro riunioni, regnava un'atmosfera di pace e d'armonia fra i membri disinteressati e unitissimi. Tutta la comunità ebraica subì, a un dato momento, l'influenza salutare di Beth-El , situata a fianco di altre sinagoghe dove pregava un tempo, duemila anni fa, Yochanan ben Zaccai. Il capo di questi cabalisti, Rab haChassid, fu in egual tempo grande rabbino di Gerusalemme e della Palestina. Del resto si vede ancor oggi, nell'antica città per sempre memorabile, la santa Gerusalemme, un monumento storico unico per il suo valore morale, redatto e firmato dalle alte autorità rabbiniche e chassidiche dell'epoca. Questo documento è formulato in termini di inalterabile e profondo amore dell'uomo per il suo prossimo e di reciproco sacrificio nell'aspra lotta per la vita. Esso porta la firma di uomini come Algazi, il famoso Azulai e il maestro Sharaabi, di cui parleremo adesso.

Tuttavia l'Occidente  che è più o meno al corrente dei racconti misteriosi del chassidismo dell'Europa orientale, che abbiamo esposto  ignora che le fonti mistiche della Qabalah hanno conosciuto a Gerusalemme ricche e belle fioriture nel corso di numerose generazioni. É vero che questo movimento non ha mai superato i limiti delle classi elevate. Non poteva dunque avere la stessa popolarità di quello dell'Europa orientale. Coloro che fuggirono l'Inquisizione, portando con sé il fuoco sacro dello Zohar, e fecero la loro comparsa sui monti della Galilea, a Safed, per aspettare l'arrivo del primo Messia, Ben Yosef, erano, come abbiamo già visto, un numero ristretto. Questa aristocrazia intellettuale non cercava di raccogliere adepti a ogni costo. La sua gioia mistica, chiusa nel silenzio, era al riparo degli sguardi del volgo. Nascosto per secoli, questo movimento ha potuto così seguire il suo destino ascendente e raggiungere la sintesi tra pensiero e azione. La piccola comunità chassidica, guidata più tardi dal maestro mistico Ha-Ari o Luria, che imponeva rigorosamente ai suoi membri l'acquisto della conoscenza e l'abnegazione personale dell'asceta, era nell'impossibilità di conquistare le masse. Queste erano più attratte da Sabbatai Zevi al tempo della sua residenza a Gerusalemme. Abbiamo visto come egli si imponesse quale guida divina, grazie soprattutto all'estasi risvegliata con mezzi concreti, canti erotico-mistici e danze suggestive con cui la bella Sara, sua moglie, eccitava i sensi. Ma questo sistema esteriore, che ebbe una considerevole influenza sulle folle dell'Europa orientale, è bastato per allontanarlo dai Chassidim di Beth-El e costringerlo a lasciare Gerusalemme.

Si sa che il chassidismo askenazi aveva proclamato la supremazia dell'emozione sulla ragione e non era estraneo alla concezione panteista di Gerusalemme. Tuttavia le manifestazioni esteriori non erano identiche nei due chassidismi. II chassidismo askenazi glorificava l'individuo, il rabbi o il Tzaddik, capace di produrre miracoli, e si collegava soprattutto alla Qabalah pratica, sotto forma di amuleti e di preghiera talora in favore dei ricchi. II chassidismo sephardi, che ammetteva in certa misura le stesse credenze, esigeva tuttavia dai suoi adepti una vita interiore molto pura, fondata sul senso di responsabilità individuale e accompagnata dall'uso dei kavva not per la redenzione, come aveva ordinato Ha-Ari. La gioia, così essenziale nel chassidismo, che è capace di rivelare l'Infinito, non si esprimeva nello stesso modo nei due gruppi mistici. Quelli di Gerusalemme provavano avversione per i discepoli di Baal Shem, che traducevano la gioia in canti, danze, battiti di mani e clamori. Già un secolo prima dell'apparizione di Sharaabi o di Besht, essi avevano respinto Sabbatai Zevi, che, venuto a Gerusalemme per la consacrazione delle sue pretese messianiche, faceva, come abbiamo detto, lo stesso chiasso o le stesse ciarlatanerie.

A Beth-El, “la gioia non nasceva da mezzi artificiali, ma dalla meditazione silenziosa, dall'introspezione o dalla musica, alleandosi al pensiero, facendo dimenticare le cose esteriori, mentre ognuno si ripiegava in se stesso per sondare la ricchezza della propria coscienza e vi ritrovava l'anima universale”. L'uomo, guidato dalla scoperta del suo io interiore, raggiunge così l'estasi, che lo porta al mistero della creazione, sfera della gioia. Solo nel silenzio, così propizio all'incontro dell'anima con il suo Creatore, si realizza lo scopo dei kavvanot; i mondi distrutti sono ricostruiti e restaurati nella loro perfezione originaria.

Questi kavvanot consistono “in una modulazione ritmata che segue la parola onnisciente, la prolunga e ne approfondisce il significato, così come, nell'ascolto di una sinfonia, una pausa non è che il prolungamento stesso della musica. Questo canto muto acquista una profondità che le parole non saprebbero raggiungere” (1)

E proprio nel silenzio Beth-El cercò la plenitudine della preghiera.

Ho detto altrove (Illustration juive, 930, n. 5, pagg. 1819; Mercure de France, 1936, pag. 239) quanto, ancor fanciullo, fossi commosso e preso dall'aspetto di quei venerabili mistici quando erano nella meditazione e nella preghiera. A questo proposito ho scritto che Bergson, la cui fonte filosofica può essere cercata nella Qabalah, avrebbe trovato nello spettacolo di questi spiriti alle prese con la coscienza, la miglior conferma delle estreme difficoltà che ci descrive quando si tratta di possedere il metodo intuitivo.

Bension (loc. cit., pagg. 45) ci offre un'immagine mirabile di queste profondità mistiche, che ricorda la bella descrizione di M. Martin Buber: “Là erano seduti su divani uomini vestiti di abiti bianchi fluttuanti, di seta del regno del Sol Levante o di morbida lana delle valli del Kashmir, la testa avvolta in stoffe persiane. Su bassi tavoli, dei libri erano aperti davanti a loro; sulla pergamena color avorio spiccavano come ebano lucido, caratteri luminosi scritti dalle pie mani che avevano trascritto le numerose variazioni del nome 'J.H.V.H.' “. Poi, “in un trasporto di preghiera, il Maestro, colui che essi chiamavano Rab Ha-Chassid, rompeva il silenzio con una voce ora dolce e melodiosa, ora profonda e vibrante”. Spesso “formulava i suoi pensieri su di un tono di melodia, e, mentre i Mekavvenim (2) si chiudevano nella meditazione, il silenzio prendeva corpo e vita.

E da questo silenzio scaturiva la lamentazione opprimendo con le sue pesanti ali i nostri spiriti languenti. AI mormorio doloroso delle melopee veniva ad aggiungersi il vento che gemeva sulle colline di Gerusalemme gonfiando i nostri cuori di un'indicibile nostalgia. Improvvisamente la gioia prevaleva, un mondo di bellezza e di comprensione si apriva dinanzi ai nostri occhi stupiti: lo scopo della vita, la ragione della morte si rivelavano a noi, dolore e sventura, vita e gioia si fondevano in un tutto”.

Beth-El non si è mai rivelato al mondo profano. Diversi scritti, Il Fiume della Perfezione, Il Profumo della gioia, Le parole di accoglienza, opera dei suoi membri, proiettano una luce particolare sulle sue ricerche mistiche.

Beth-El, le cui mura sono oggi in rovina ebbe il suo apogeo soprattutto grazie alla bella e leggendaria figura di Shalom Sharaabi.

Shalom Sharaabi, il maestro costruttore, che ha innalzato l'intensità spirituale di coloro che venivano a sfogare il loro animo in questo tempio meraviglioso di serenità e di luce, apparve nel XVIII secolo. La sua presenza fra questi Chassidim ha un grande interesse.

É lui quello che ha potuto ispirare a un sommo grado lo slancio e la potenza dell'amore mistico, armonizzando i diversi elementi fondamentali del pietismo. Fece di questa dottrina un ordine che improntò per molte generazioni la vita ebraica di Gerusalemme.

Sharaabi era originario dello Yemen, dell'Arabia felice, che per un momento aveva raggiunto la gloria di un regno ebreo, ma che disgraziatamente decadde poi in modo miserevole. Il futuro grande mistico nacque all'epoca della decadenza di questa regione. Figlio di un povero venditore ambulante, Shalom fu mandato al Midrash (scuola); e là, seduto su di una pietra, imparò a leggere la Bibbia (3) sotto tutte le forme.

Questo insegnamento elementare è insufficiente per chi ha un'ardente sete di sapere. Il caso ha potuto aiutare il giovane Sharaabi che andava a piedi nudi a offrire la sua mercanzia cantando la cantilena del venditore ambulante orientale: “Lode a Dio per i suoi doni così abbondanti”. Uno studioso di Gerusalemme, che conosceva il Talmud e la Qabalah, era appena sbarcato nello Yemen. Sharaabi non tardò a scoprirlo e barattò, per questa scienza così desiderata, il denaro guadagnato col suo commercio. Dopo essersi immerso appassionatamente nei misteri della Qabalah e nella dottrina del Talmud, si affrettò ad assimilare tutto ciò che il gerosolimitano era in grado di insegnargli. Portava sempre con sé numerosi passi copiati di sua mano. Ma quando seppe dell'esistenza di Beth-El , tutto il suo essere languì nel desiderio di dissetarsi un giorno alla sua fonte mistica.

Con un fisico avvenente, begli occhi neri capaci di magnetizzare, e una grande dolcezza nella voce, il giovane Sharaabi era spesso perduto nei suoi sogni, specialmente quelli su Beth-El, che non tardarono a realizzarsi grazie a un'avventura incontrata per via. Toccata infatti dalla bellezza della voce del venditore ambulante, una donna araba, che abitava in un castello, lo fece chiamare. Nonostante l'uso che proibiva agli uomini l'accesso agli appartamenti riservati alle donne, la domestica disse a Sharaabi di salire per mostrare la sua mercanzia alla padrona. “Questa finse di guardare gli oggetti, ma si avvicinò troppo al venditore. Con un solo sguardo questi la arrestò, ed ella, presa da un terrore folle, fuggì urlando. Shalom corse alla terrazza sospesa sul ciglio di un profondo dirupo”. Esitò un istante prima di saltare nel vuoto, giusto il tempo di fare il voto di recarsi a Beth-El se fosse sopravvissuto alla pericolosa prova. Toccò felicemente terra sano e salvo. Volse allora “il viso a Gerusalemme, e là, nella casa dei Chassidim sephardi, il giovane pellegrino scrisse la pagina più luminosa della storia di Beth-El”.

Quando Sharaabi giunse a Beth-El, il gruppo era ristretto e senza coesione. I suoi membri, discendenti degli esiliati di Spagna, non avevano mezzi sufficienti per consacrarsi interamente allo studio. Alla loro testa si trovava il grande sapiente Ghedalia Hayon. “Shalom fu troppo modesto per sollecitare la sua ammissione a questo gruppo a cui era venuto con la devozione di un pellegrino”. Si limitò a chiedere che gli fosse permesso di aiutare il Shamash (scaccino), cosa che gli fu accordata. I suoi servizi, in quel momento, non erano necessari, ma egli trovò un posto nel cortile esterno, di dove poteva vedere e udire, attraverso una finestrella, tutto quello che avveniva nell'interno del tempio.

Passava intere giornate tra le tombe dei santi e dei martiri sul monte degli Olivi e nella valle di Josaphat, pur dedicandosi alla meditazione dei misteri, suscitata talora dall'insegnamento di Beth-El che gli ronzava nello spirito. I mistici di questo tempio, anch'essi assorti, notavano appena l'assidua presenza del giovane straniero. Un giorno lo Shamash, soddisfatto della modestia e della puntualità del suo giovane aiutante, decise di valersi dei suoi servizi durante la sesta settimana dell'Omer, che era consacrata alla meditazione e all'esame di coscienza. Shalom fu occupato a servire tazze di caffé ai cabalisti del tempio, che si dedicavano allo studio e alla discussione per intere notti.

Questa atmosfera ardente offriva a Sharaabi un soffio di vita. Problemi difficili a risolversi, relativi ai misteri, preoccupavano molto i saggi: quando questi si allontanavano da Beth-El, il giovane si sedeva al loro posto e scriveva le soluzioni dei problemi che li avevano turbati “rilevando i punti vulnerabili delle loro discussioni”. Poi faceva scivolare queste soluzioni “fra i manoscritti sacri del Rab-ha-Chassid, dove venivano trovati la notte seguente e accolti come un miracolo”. Lo stesso fatto avvenne per più sere di seguito, e il Maestro giunse alla conclusione che vi era un enigma. Riuniti tutti i membri, fece loro prestare un giuramento imponendo a ognuno di dire la verità. Allora Shalom, timido e pieno di confusione, confessò il suo atto davanti ai Mekavvenim costernati, molti dei quali lo vedevano per la prima volta. Il Maestro sentì la sincerità e la grandezza che si celavano dietro la timidezza e la confusione del giovane e, avanzatosi verso di lui, lo abbracciò con effusione e, conducendolo al proprio posto, gli disse: “Tu sei il nostro Maestro. Noi ci sediamo ai tuoi piedi e tu insegnaci”.

Subito la sua fama si diffuse in tutto il paese: si venne a vederlo e ad ascoltarlo da luoghi diversi. Beth-El  raggiò di luce brillante grazie al suo insegnamento. I1 gruppo di Beth-El  fu trasformato presto da lui in un corpo organico che possedeva insieme forza e autorità. Questa infusione nella vita spirituale del santuario permise la creazione della comunità santa.

Come abbiamo già detto, le kavvanoth richiamarono la maggior attenzione del gruppo mistico di Beth-El. Sharaabi ne fece un uso continuo che permetteva di elevare l'animo verso l'alta sfera dell'amore universale, che è il carattere distintivo dei Chassidim di Beth-El.

Notiamo ancora una volta che l'uso delle kavvanoth, quintessenza delle rivelazioni dello Zohar, può in qualche modo avviarci per la via che ristabilisce l'equilibrio nel seno delle forze contrarie e ricrea l'entità nella frattura (Ghebarim) delle sfere. I Chassidim di Beth-El  andarono più oltre degli altri mistici ebrei: impregnarono dello spirito di meditazione (kavvanoth) i precetti, le preghiere e le benedizioni. Queste kavvanoth derivano dalla concezione panteista della creazione quale era stata esposta, in particolare, da Chayim Vital in nome del suo maestro Ha-Ari in Etz Chayim, e le cui grandi linee ripetiamolo sono le seguenti: “Quando l'En-Sof (che riempie tutto della sua luce), prima ancora che vi fossero il tempo e lo spazio sentì salire in Sé, sulle ali del Suo desiderio, la voglia di creare l'Universo per non solo essere, ma anche rivelarsi alle Sue creature, ed essere riconosciuto da esse come la perfezione perfetta in ognuno dei Suoi attributi d'amore, di clemenza, di pazienza, di misericordia, di verità e di perdono, egli si contrasse (Zimzum) lasciando, con questa contrazione, un vuoto (chalal), attraverso il quale emanò un raggio della sua luce: l'Adam Kadmon. Da questa luce scaturirono le dieci Sephiroth, ognuna delle quali racchiudeva migliaia di mondi di sola pura luce contenuta in vasi egualmente di luce. Le tre Sephiroth superiori che sono: la Corona, la Saggezza e l'Intelligenza, rimasero nella perfezione originaria della loro creazione; le altre, la Grazia, la Forza, la Bellezza, l'Eternità, lo Splendore, il Fondamento e la Regalità, fecero schiantare le loro pareti per l'abbondanza e la purezza delle loro luci, che si sparsero fuori dei recipienti infranti. Attraverso queste pareti spezzate, si infiltrarono in tutti i mondi e in tutte le creazioni finite alle quali è concessa la Luce dell'En-Sof, la discordia che generò la Distruzione, il Male, la Morte, il Niente apparente, il Dolore, il Cinismo e tutte le altre decadenze. Questi mali toccarono dapprima le sfere elevate dello spirito e infine il mondo di qui in basso, il mondo dei contrasti, nel quale l'uomo è stato gettato fin dalla nascita, senza alcuna volontà da parte sua, e dal quale sarà strappato un giorno per essere proiettato in ’qualche parte’, luogo che la sua ragione non ha mai potuto concepire. Spaventato dalla propria impotenza e sentendosi alle dipendenze di 'Qualche cosa' che gli è invisibile, l'uomo riconosce l'En-Sof. E da questo riconoscimento dell'Infinito scaturisce nella sua coscienza la fede nell'esistenza di un Essere 'Uno', onnipotente e onnipresente, capace di salvare, di amare, di avere misericordia e di dare felicità; e a questo 'Uno' egli rivolge la preghiera”. Proprio qui la Qabalah vuole che la preghiera sia accompagnata da kavvanoth (meditazione sul senso mistico della preghiera), perché attraverso queste kavvanoth si opera la redenzione dell'Universo che é in perpetuo conflitto, redenzione che benefica non solo chi prega, ma anche i mondi e le sfere più elevati. In tal modo l'uomo porta nella propria vita il flusso del “Perfettamente bene”, pur aspirando, d'altra parte, a liberare insieme la Shekhinà e le creazioni dai ceppi di un esilio comune. Prepara la redenzione, che non può venire dall'alto se non è prima venuta dal basso. Prima di Sharaabi, le kavvanoth erano fatte nel più profondo silenzio, ma, grazie alla sua iniziativa, esse furono accompagnate da melodie, che esprimono un'elevazione mistica. L'introduzione di melodie per indicare i periodi di meditazione era una novità nella liturgia ebraica. Rab-ha-Chassid doveva cantare lui stesso a voce alta la meditazione. Queste melodie, come è noto, sono molto commoventi: esprimono le emozioni profonde dell'anima, “il fuoco dello spirito”, capaci di trasportare anche il profano nel regno del pensiero, dove risiedono coloro che comunicano con l'Infinito. Sotto la magia di questa musica dolce e armoniosa che tocca il cuore, Mekavvenim e assistenti, esseri animati e materia inerte, si fondono, in qualche modo, nell'unità, nel vero e profondo senso del panteismo. Bisognerebbe sentire il Maestro cantare “Hu Mebi Goel (4), specialmente quando eleva la voce in un rapimento trionfante alle parole “in amore”e dove si dice che i Mekavvenim devono essere pronti a morire per la santità del Nome Ineffabile “in amore” (5).

Ci si sente pieni di uno spirito eroico, pronti a compiere ogni sacrificio, a lottare per il puro amore. Questa estasi che scaturisce dall'anima ci permette adesso di capire l'atteggiamento dei santi e dei martiri che si davano gioiosamente alle fiamme del rogo “in amore”. E quando si sentiva il Maestro cantare lo Shemà, l'anima intera era purificata da ogni durezza; questa musica profonda cicatrizzava ogni ferita, avvicinava i cuori e trasformava l'odio in amore, la discordia in armonia. É così che la kavvana tende a ravvicinare “i frammenti in conflitto delle Sephiroth spezzate”e li ricrea in un Echad (unità) perfetto. Essa versa il suo balsamo guaritore nell'anima tormentata degli uomini e la riconduce all'unità con le cose eterne.

Questa preghiera accompagnata da kavvanoth non rappresenta più per Sharaabi, che seppe elevare il carattere mistico del rito, la ricerca di perfezione a solo beneficio di colui che prega, ma esprime un amore trascendente e universale che abbraccia insieme il Creatore e l'intera Creazione. É in qualche modo ciò che Spinoza (Trattato teologico politico, prefazione) intende, da un punto di vista più ristretto, per “un'idea semplice del pensiero divino quale si fa conoscere ai Profeti per rivelazione: ossia che bisogna obbedire a Dio con tutta l'anima praticando la giustizia e la carità”. Sharaabi aspirò a creare una sinfonia piena di nostalgia che vibra, per così dire, nell'atmosfera diafana della vecchia Gerusalemme, atmosfera spirituale per eccellenza, satura di visioni profetiche e di sogni che agitarono numerose generazioni soprattutto di saggi e di martiri. Sharaabi cercò così di approfondire l'amore di Israele per la Torah e l'umanità. Aprì senza distinzione le porte di Beth-El  a tutti coloro che desideravano vivere in santità, ai poveri e ai vinti della vita, ai potenti e ai vittoriosi, seguendo la tradizione mistica che comprende il Creatore e la cosa creata, l'uomo e il grano di sabbia. Tutti possono incontrarsi e tutti sono necessari l'uno per l'altro.

Il folclore e le leggende che sono fiorite attorno all'affascinante figura di Sharaabi “sono quasi sconosciuti fuori dal piccolo gruppo di Beth-El  che oggi si va spegnendo”. Sono privi di spirito miracoloso, sono storie umane che rivelano una personalità potente, piena di saggezza, di rara umiltà e soprattutto di un amore reale che si traduce in pensiero e in azione per la felicità di tutti gli esseri. Ecco alcuni esempi di queste leggende di un commovente valore umano.

“Si racconta che, andando alla sinagoga sotto una pioggia scrosciante, vestito in abito da festa, incontrò una cieca condotta da un fanciullo; incinta, ella trascinava i piedi nudi sulle strade bagnate. Toltosi le scarpe, si chinò e le mise lui stesso ai piedi della donna, poi, toltosi lo scialle, lo avvolse alle spalle del fanciullo intirizzito, e proseguì in fretta per la sua strada”.

Sharaabi si sforzava di dissipare la credenza in un potere sovrannaturale che gli veniva attribuito. Evitava l'uso di amuleti e di altri mezzi popolari, frequentissimi, come è noto, negli autori di miracoli delle sette mistiche. “Gli fu portato un uomo del fondo del Marocco, perché usasse il suo potere miracoloso per guarirlo di un'allucinazione che lo costringeva a strofinarsi il naso credendo che una mosca vi si fosse posata. Sharaabi dichiarò di non avere alcun potere miracoloso, ma chiese che si portasse quest'uomo a Beth-El , durante 1'uffizio, sperando che la concentrazione nella preghiera lo aiutasse a guarire. Nel tempio fu messo vicino al Maestro e con la mano batteva continuamente il tavolo facendo un rumore che turbava il silenzio delle meditazioni. Ma nel momento in cui la voce del Maestro si alzò in un inno che saliva fino alle vette di una melodia fascinosa, la mano dell'uomo si arrestò di colpo, la sua attenzione si concentrò: era guarito”.

Si racconta “che i funzionari turchi avevano stabilito, per una delle loro richieste di danaro, tanto spesso ripetute, una data prima della quale dovevano essere fatti i pagamenti. Poiché la comunità non riusciva a procurarsi il denaro necessario, furono arrestati tre Rabbi con la minaccia di impiccarli se non si fosse trovato il denaro. Sharaabi, alla testa di un gruppo di anziani, venne a implorare la clemenza del funzionario, ma questi disse recisamente: 'Pagate prima di domani o morranno tutti e tre’. Sharaabi fece un passo avanti con la luce di pietà negli occhi e una profonda tristezza nella voce, e disse: 'Ahimé, se morranno in tre, morranno in quattro!' Pieno di rabbia, il Turco gridò indicando Sharaabi: 'Ecco il quarto! Impadronitevi di lui!' ma, mentre i suoi uomini stavano per obbedire furono trattenuti dallo sguardo magnetico di Sharaabi, e, mentre lo fissavano atterriti, egli se ne andò tranquillamente. Il funzionario passò una notte insonne, durante la quale lottò invano contro la paura e la superstizione. L'indomani mattina liberò i rabbini lasciando in pace la comunità”.

Sharaabi considerava come un santo dovere le attività materiali del tempio. Spesso faceva il lavoro dello scaccino quando questo tardava. “Una volta Sharaabi, avendo trovato lo scaccino addormentato, non lo svegliò e, presa la lanterna, andò per le vie oscure chiamando i fedeli al Chatzoth (preghiera di mezzanotte)”.

La lunga e utile vita di Sharaabi volgeva alla fine. I suoi discepoli si sentivano già orfani e non lasciavano il suo capezzale. Le sue ultime parole furono per ricordare loro la loro responsabilità verso Dio e verso gli uomini, pur inculcando loro questa credenza cabalistica: “Finché Israele è in Egitto, la Shekhinà (gloria di Dio) è in esilio”.

La notte del decimo giorno di Shevat, Beth-El  si adorna: “con i suoi paramenti delle solennità e assume un'aria di festa; le camere sono affollate. É la notte in cui il Maestro Sharaabi scomparve agli occhi degli uomini, la gioiosa commemorazione della Hilulah (Festa della morte) del Maestro. Tutte le classi del popolo vi partecipano. La corte è piena di persone umili venute ad ascoltare i cabalisti che studiano il suo libro, Il Fiume di Pace. Nella vicina Yeshivah, dove Sharaabi insegnò un tempo la sua dottrina mistica, sono riuniti i grandi rabbini di Gerusalemme, intenti a studiare il Talmud e a festeggiare l'immortalità del Maestro. Ancora una volta credono di sentirlo camminare tra loro... Il giorno dopo tutti si uniscono per un pellegrinaggio d'amore sulla tomba di Sharaabi, che riposa nella valle di Josaphat”

La stella di Beth-El , che si levò con la comparsa di Sharaabi, cominciò a declinare alla fine del secolo scorso. La grande sinagoga è oggi preda degli elementi: la muffa sgretola i muri un tempo custodi del fuoco sacro sceso dalle colline di Galilea. E tuttavia, quale armonia regnava nei Chassidim di Beth-El !

 

 

1 - Ariel Bension, Le Hassidisme Sepharadi de Bet-El, in Illustration juive, 1930, n. 7, pag. 5. Per il silenzio si può notare che la parola misticismo, che viene da una radice greca (mOo), significa chiudere la hocca, esser muto. La parola mistero viene egualmente da questa radice.

2 - I cabalisti che si concentravano nella meditazione.

3 - Notiamo che in questa specie di scuola poverissima, purtroppo non vi era mai più di un libro per gruppo.

4 - “Egli invierà un Redentore ai figli dei loro figli per la grazia del suo Santo Nome in amore...”.

5 - In questo senso la gioia, incarnazione divina del mondo, è eroismo al servizio del vero, un omaggio al Creatore, che ci prepara col dolore in vista di un mondo migliore. La Nona sinfonia di Beethoven ci fa toccare con mano il carattere retrospettivo di questa sublime realtà.

 

 

Indice

Introduzione Il Pietismo di Safed La Scuola di Cordovero La Scuola di Luria

Sabbatai Zevi e i Sabbatiani Frank e i Frankisti Israel Baal Shem Tob e i Chassidim

Il Chassidismo di Beth-El Conclusioni