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Si sorride spesso di quegli autori che fanno risalire ad Adamo l’origine stessa della Massoneria, quasi che il primo uomo fosse ricevuto massone dal Padreterno e all’Oriente del Paradiso…. Pure, l’assunto è contenuto nelle antiche costituzioni: è già presente nel Poema Regius della fine del Trecento ed è ampiamente riportato, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di Cooke, un codice di comportamento ad uso delle Logge della cosiddetta Massoneria operativa. [Per informazioni sul Poema Regius e sul Manoscritto di Cooke consultare la sezione "Manoscritti" ].

Da allora, il racconto biblico della discendenza di Adamo entrò stabilmente come preambolo in tutti gli Statuti dell’Ordine Muratorio sino alle Costituzioni di Anderson della Massoneria speculativa.

La convinzione dell’origine adamitica della massoneria, comune sia ai massoni operativi che speculativi, mi induce a riflettere che l’unanime desiderio degli antichi massoni di riconnettere le proprie radici alla tradizione ebraico-cabalistica si sostanzia non solo di narrazioni mitiche, pure essenziali, ma - come vedremo - di rituali, di simboli, di parole cosiddette sacre e di passo, perdute e ritrovate.

A tale proposito, mi sembra interessante osservare che, anche lì dove sono prevalenti altre tradizioni, non viene meno l’idea che la fonte originaria della Libera Muratorìa sia da ricercarsi nella tradizione ebraico-cabalistica.

Così, per esempio, è nella Lettera Segretissima che Raimondo de Sangro, principe di Sansevero, invia al barone Tschudy e nella quale si apprende che il dibattito nelle Logge napoletane della metà del ‘100% verte soprattutto sulla tradizione templare, rosacrociana ed ermetica, ma che fondamento di ogni ulteriore scienza e costruzione massonica sono, pur sempre, ebraismo e Qabalah.

Volendo offrire la chiave universale di ogni successiva speculazione, il Sansevero traccia un punto, un cubo e le seguenti lettere dell’alfabeto ebraico: una Aleph nera, una Aleph bianca, una Bet nera, una Resh nera, una Aleph nera, una Bet bianca, una Resh bianca e una Aleph bianca.

La Aleph e la parola barà, che significa creò, stanno qui a rappresentare, col punto e col cubo, col bianco e col nero: il momento iniziale della creazione o Berechith (Genesi 1:1), il primo apparire della luce, lo Iehì Or  r w a  y h y, che la luce sia di Genesi 1:3, e ancora: l’unità e la molteplicità della manifestazione. Insomma, per dirla con Raimondo de Sangro, l’Aleph bianco del principio presuppone l’Aleph nero che dimora in En Soph "Infinito" e del resto l’analogia di Aleph ed En Soph è già contenuta nel Sepher ha Bahir o Libro fulgido , cioè nel primo testo di Qabalah medievale.

L’analogia di Aleph e di En Soph è tanto evidente che il Genesi o Berechith inizia con la seconda lettera dell’alfabeto ebraico: la Bet b una lettera aperta solo da un lato a significare che unicamente gli eventi accaduti dopo il Berechith o Principio sono accessibili all’indagine umana.

La stessa duplice colorazione, prima nera, poi bianca, che il principe di Sansevero fa delle lettere della parola barà "creò", sta a indicare un’essenza originaria, immutabile e oscura, imperscrutabile, e una manifestazione per noi conoscibile. Analogamente, in Zohar è detto che una fiamma troppo oscura per essere vista, zampilla dall’Infinito: si tratta di En Soph Or, luce infinita che non si lascia vedere. Ma, su questa infinita pagina oscura e velata come notte profonda, un minuscolo punto di luce si iscrive improvviso .

Del resto, la stessa esperienza quotidiana ci mostra che ogni nascita proviene dal buio e così è anche per l’iniziato della Massoneria che entra nel buio del tempio per ricevere la luce, luce che gli è concessa dalla Loggia che pure è immersa nell’oscurità o meglio che "brilla" di una luce troppo oscura per essere vista…

Quel punto di luce, adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci "Dio disse" del Genesi ed è anche il primo istante della creazione. Facendosi altro da sé, l’Infinito si determina ad essere il finito illimitato. Ma il puntino da cui lo yud è tracciato è per noi invisibile. Dice lo Zohar: "La luce che il Signore - baruk ha-shem - aveva creato (…) fu subito nascosta, perché gli impuri non potessero gioirne (…) Ella fu riservata per i Tsaddîqîm (Giusti) (…) Ma sino al giorno stabilito (il giorno del mondo a venire) rimarrà nascosta, custodita in segreto."

Da che riconoscere allora la luce che si diffonde da quel primo punto? Come vedere per intero la lettera yud? La risposta è nel successivo versetto del Genesi: "Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre." La separazione consentì all’uomo, per l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo istante della creazione, di vedere finalmente la luce attraverso le cose. Ciò che significa vedere la luce nel contrasto con le tenebre.

E questo è esattamente ciò che il massone vede riprodotto sul pavimento a mosaico della propria Officina: "Tenebre e Luce - scrive Jules Boucher - sono intrecciate sul Pavimento a Mosaico; esse sono tessute insieme, se consideriamo le file delle piastrelle; ma i tratti virtuali che le separano formano un cammino rettilineo, avente il bianco e il nero ora a destra ora a sinistra. Queste linee rappresentano il cammino dell’iniziato, il quale senza rigettare la morale comune sa elevarsi al di sopra di essa (…) Le linee divisorie non appaiono agli occhi dei profani: essi non vedono che le lastre bianche e nere e (…) passano alternativamente dal bianco al nero e dal nero al bianco (…) L’iniziato, al contrario, segue la via esoterica, la via stretta, più sottile del filo del rasoio e passa tra il bianco e il nero, che non ostacolano il suo cammino…"

Naturalmente, l’oscurità del quaternario, simboleggiata nella Loggia massonica dalle piastrelle nere del pavimento, non ha nulla a che vedere con l’Oscurità originaria, perché, come sostengono i testi della Qabalah, l’oscurità di quaggiù è solo apparente e l’oscurità di lassù, non è altro che l’infinita luce che si svela in un punto e subito si nasconde per manifestarsi nel contrasto. La separazione della luce dalle tenebre, d’altra parte, è solo apparente come è detto in Zohar.

A fronte di ciò, tuttavia, non va dimenticato che la polarità, sebbene apparente, non può essere eliminata. Non la elimina, né chi segue solo la via delle piastrelle bianche né chi segue solo la via delle piastrelle nere, perché, in entrambi i casi, insorgerebbero presto forze antagoniste e controiniziatiche, quando non bastassero da sole, per chi cammina solo sulle piastrelle nere, le comuni leggi civili e penali. Neppure elimina la dualità il Tsaddîq, il giusto della tradizione ebraico-cabalistica. Perché è vero, come abbiamo sentito in Zohar, che la luce originaria fu riservata per lui, ma gli fu riservata, com’è scritto, per il mondo a venire

Il Principe di Sansevero s’incaricò anche di tradurre, ad uso delle Logge napoletane, Il Discorso cronologico dell’Ordine dei Liberi Muratori, documento diffuso all’epoca delle Costituzioni di Anderson, ma che, in realtà, risale al XV Secolo e alla Massoneria operativa. Ebbene, nel Catechismo di Compagno si legge, tra l’altro, questo dialogo:

Domanda. Vi sono dei Genji nel Tempio?

R. Tre, cioè Salomone re d’Israele, Hiram re di Tiro, Hiram Abif Grand’Architetto.

D. Chi sono gli emblemi della Sapienza, Forza e Beltà ?

R. Salomone è l’Emblema della Sapienza, Hiram re di Tiro delle Forza, attese le Somministranze fatte a Salomone per la Costruzione del Tempio ed Hiram Abif della Bellezza."

Le tre luci della Loggia massonica si identificano, dunque, con le figure bibliche di Salomone e di Hiram e il Tempio di Salomone, i cui punti cardinali coincidono con quelli della Loggia massonica, si può a buon diritto considerare come l’emblema stesso della Massoneria, per ciò che la sua costruzione è destinata a non avere mai termine e ben rappresenta lo slancio ideale e gli ostacoli materiali che i massoni incontrano e ai quali cercano di far fronte con l’equilibrio interiore e il mutuo soccorso.

Che c’è di unico e peculiare nella leggenda massonica di Hiram che si ispira alla fonte biblica e alla tradizione ebraico-cabalistica? La costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i massoni e per la quale ognuno sa di dover portare la propria pietra sgrossata.

Un ideale cammino di perfezionamento, dunque, e una pratica di vita necessaria all’acquisizione di innumerevoli virtù, senza le quali il Tempio non può essere costruito. Benché il massone debba sempre conservare la necessaria umiltà, che lo fa consapevole che il Tempio non può essere terminato, senza la quale umiltà egli cadrebbe nel dogma delle Chiese o peggio ancora finirebbe come quel tale  (citato da Kafka) che si stupiva della facilità con cui seguiva la via dell’eternità solo perché la stava percorrendo in discesa.

Indice

Preliminari Finalità della Massoneria La costruzione del Tempio Le tre Luci e le Sephiroth

Gli Assassini di Hiram Il Simbolismo dei Luoghi