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Krishna

L'India e l'iniziazione braminica


Se RAMA è il fondatore e il maestro della religione vedica, Krishna è il fondatore e il maestro della religione braminica, filiazione profonda e diretta di quella velica.


L'India, premette Schuré era allora popolata da un miscuglio di razze: in alto, alla sommità della piramide, i puri ariani; alla base i neri; in mezzo i misti di cento diverse gradazioni.
Ma i geni fondamentali, che si urtano nel sottosuolo di questo miscuglio, sono sempre gli stessi: da un lato quello della razza bianca con il suo senso morale e le su aspirazioni metafisiche, dall'altro quello della razza nera, con le sue energie passionali e la sua forza dissolvente.
Quest'urto ha la sua massima espressione nella lotta fra culto solare e culto lunare, com'è adombrato dall'epica indiana, che parla della lotta fra due dinastie, quella dei re solari e quella dei re lunari.
Agni, il fuoco divino, e Kalì, la dea del Desiderio e della Morte, sono le divine personificazioni di questi geni e di questa lotta. Ma era dal seno del sacerdozio più puro, quello costituito dalle confraternite degli Anacoreti, che doveva uscire Krishna, capo di quella rivoluzione sacerdotale da cui sono nati la più formidabile fra le teocrazie e il potere dei bramanesimo.
É Krishna, che, conciliando i due culti solare e lunare, il genio bianco e il nero, ha creato la religione nazionale dell'India, portando al mondo un'idea nuova d'immenso valore morale: l'idea del Verbo divino, della divinità incarnata e manifestata nell'uomo.
 

Non ci è possibile qui esporre che in modo brevissimo la leggenda di Krishna: ma non possiamo tralasciarla, non solo per fedeltà all'opera, di cui conversiamo, ma anche per la sua fondamentale importanza nell'economia di tutto il disegno storico-religioso dello Schuré . Eccola per sommi capi:


Kansa, re di Madura si allea con Kalayeni, signore dei monti Vjndhia, re degli Vavani, votato alle tenebrose arti della magia nera, ne sposa la figlia Nysumba, «fiera come un'antilope, agile come un serpente, dai pendenti d'oro e dal seno d'ebano».
«Il viso di Nysumba somigliava a una nube fosca, che la luna sfumasse di azzurri riflessi; gli occhi sembravano due lampi e l'avida bocca quasi polpa di un frutto rosso dai granelli bianchi. La si sarebbe detta la stessa Kalì, la dea del Desiderio». Ma essa rimase sterile, mentre una profezia indicava in Devaki, sorella di Kansa, la futura madre del signore del mondo.


Scoppiano l'ira e la gelosia di Nysumba contro Devaki, la vergine dal cuore semplice e puro, e armano la mano di Kansa contro la sorella. Ma Devaki, avvertita in sogno, fugge da Madura e si ritira presso Vasichta, re dei santi anacoreti.
Mentre vive in preghiera tra questi, Devaki concepisce, per virtù divina, il figlio predestinato: Krishna.
Siamo davanti a un fatto storicamente notevole: una vergine-madre, strumento di una filiazione divina! Un precedente formidabile dell'identica dottrina cristiana!
Riteniamo opportuno, per chiarire il pensiero dello Schuré su un punto così delicato, così ricco di urto fra ragione e fede, riferirne testualmente:
 

«É necessario soffermarci intorno al senso simbolico della leggenda e la vera origine di coloro che nella storia, ebbero il nome di figli di Dio. Stando alla dottrina segreta dell'India, che fu anche quella degl'iniziati di Egitto e di Grecia, l'anima umana è figlia del cielo, poiché prima di nascere sulla terra, ha avuto una serie di esperienze corporee e spirituali. Così il padre e la madre generano soltanto il corpo del figliolo, dal momento che l'anima sua viene dal di fuori. Questa legge universale s'impone a tutti, e non potrebbero sfuggirvi nemmeno quei grandi profeti, nei quali parlava il Verbo divino. Infatti, la questione di conoscere chi sia stato il loro padre diviene secondaria, dal momento che si ammette la preesistenza dell'anima.
Importa credere soltanto alla provenienza del profeta da un mondo divino. E questa provenienza i veri figli di Dio la provano con la loro vita e con la loro morte. Ma gli antichi iniziati credettero di dover celare queste cose al volgo e di non far conoscere che taluni di coloro, che apparvero nel mondo quali messaggeri divini, furono figli di iniziati e di donne, che avevano frequentato i templi per concepire gli eletti».
 

Ma torniamo a Krishna.
Krishna, figlio di Dio, cresce fra gli anacoreti. Di fatto meraviglioso in fatto meraviglioso, prende coscienza del suo potere e della sua missione, finché - lasciati gli anacoreti e i monti - scende a valle con i suoi compagni e inizia le sue gesta guerriere: uccide il magico serpente custodito da Kalayeni, alterna le imprese con le abluzioni e le preghiere.
Intanto Kansa inizia a perseguitare gli anacoreti, presso cui sa che si è rifugiata la sorella Devaki. Non sapendo che Krishna sia suo nipote, ma avendone sentito celebrare la forza, lo chiama a sé. Krishna vince il fascino di Nysumba, la perfida sposa di Kansa; poi, per ordine di questi, parte in guerra contro Vasichta ignorando ch'egli sia il re degli anacoreti. Incontrato Vasichta, riconosce in lui il saggio apparsogli tante volte in sogno per ispirarlo, e rimane fra gli anacoreti a ricevere la divina iniziazione. Vasichta muore per mano di Kansa e Krishna gli succede nella guida dei santi eremiti, fra i quali sviluppa le dottrine supreme dell'anima, della realtà, di Dio, della contemplazione interiore, che solleva l'uomo alla perfezione.
 

Ecco Krishna che istruisce Argiuna, il più valido dei suoi fedeli e gli altri discepoli:
 

«Ebbene, ascoltate un grandissimo e profondo segreto: il mistero sovrano, sublime e puro. Per giungere alla perfezione bisogna conquistare la scienza dell'unità, che è superiore alla saggezza; bisogna elevarsi all'essere divino, che è superiore all'anima, superiore alla stessa intelligenza. Ma quest'essere divino, questo amico sublime, è in ciascuno di noi, perciocché Dio risiede nell'intimo di ogni uomo, ma pochi sanno trovarlo. Ecco dunque il cammino della salute. Quando avrai scorto l'essere perfetto, che è in te stesso ed è al di sopra del mondo, determinati allora ad abbandonare il nemico, che assume la forza del desiderio. Dominate le vostre passioni, poiché i godimenti dei sensi sono come matrici di pene future; non fate soltanto il bene, ma siate buoni, e il movente sia nell'azione e non nei frutti suoi. Rinunciate al frutto delle opere vostre e ognuna delle vostre azioni sia come un'offerta all'Essere supremo, perocchè l'uomo, che fa il sacrificio dei suoi desideri e delle sue opere all'Essere, dal quale procedono i principi di tutte le cose e dal quale l'universo è stato formato, ottiene con questo sacrificio la perfezione.
Unito a lui spiritualmente, egli raggiunge quella saggezza spirituale, che è superiore e al culto delle offerte, e gode una felicità divina, poiché colui che trova in sé stesso la felicità e la gioia, è uno con Dio: e l'anima che ha trovato Dio è liberata dalla nascita e dalla morte dalla vecchiaia
e dal dolore, e beve l'acqua dell'immortalità».
 

Sono parole e pensieri di Krishna, tratti dalla Bhâgavad Gita, la parte forse più bella e sublime di tutta la sacra poesia indiana.
 

Con i suoi discepoli così istruiti Krishna scende fra il popolo a predicare la verità di Dio e della Vita dell'anima: incontra le sue due spose spirituali, Sarasvati e Nichdali, che si uniscono a lui; ferma i guerrieri che Kansa gli manda contro e, senza spargimento di sangue, entra in Madura, sostenuto soltanto dalla forza morale e religiosa di cuti è portatore.
 

Soffermiamoci un istante sull'episodio profondamente umano e significativo del simbolico incontro fra Krishna, Sarasvati e Nichdali:
 

«Krishna era seduto a tavola in un festino offertogli dà un capo di grande nome, quando due donne chiesero di essergli presentate e furono accolte perchè in abito da penitenti. Erano Sarasvati e Nichdali e si prosternarono ai piedi di Krishna.
Sarasvati, struggendosi in lagrime, disse:
- Da che ci hai lasciato, ho trascorsa la vita nell'erro  re e nel peccato; ma tu, Krishna, se vuoi, puoi salvarmi!...
E Nichdali:
- Da quando ti vidi, o Krishna, sentii che ti avrei sempre amato; ed ora ti ritrovo nella tua gloria e so che tu sei figlio di Mahadeva!
E mentre esse abbracciavano i suoi piedi, i raja scandalizzati dissero :
- Perché lasci tu, o santo rishi, che queste donne del popolo ti insultino con le loro insensate parole?
Rispose Krishna:
Lasciate che aprano il loro cuore e sappiate che esse valgono ben più di voi, poiché questa ha la fede e quest'altra l'amore: Sarasvati peccatrice è salva fin da questo momento, poiché ha creduto in me, e Nichdali ha più amato la verità nel suo silenzio che non voi con tutte le vostre grida; e a lei la madre mia radiosa, vivente nel sole di Mahadeva, insegnerà i misteri dell'amore eterno, mentre voi sarete ancora immersi nelle tenebre delle vite inferiori».


Fede e Amore, dunque: le due grandi leve che sostanziano gl'insegnamenti del Saggi di tutti i tempi.

 

Ma proseguiamo:
Consacrato Argiuna Re di Madura, s'inizia la lotta contro i re lunari, messi in moto dalla notizia che, sul trono di Madura, è salito un re solare. La vittoria delle armi arride ai fedeli del sole; ma Krishna sente che essa non basta: non basta vincere le armi, occorre vincere le anime e i cuori, per fondare la nuova grande religione conciliatrice. Sente che ciò si conseguirà soltanto con il suo personale sacrificio; si ritira allora nella solitudine e qui, egli, il fortissimo, l'invincibile, il figlio di Dio, muore per mano di pochi arcieri dell'ormai sconfitto Kansa. E i prodigi che accompagnano la sua morte rivelano la verità della sua fede: l'India adotta il culto di Vishnù che concilia i culti solari e lunari nella religione di Btahma.

Anziché discutere sull'esistenza storica o meno di Krishna, appare meglio allo Schuré sostare un istante a sottolineare l'importanza dell'opera riformatrice, che va sotto il suo nome. E questa importanza ecco balzare, in modo splendente, dalle palpitanti pagine dello stesso Schuré:


«L'idea che Dio, la Verità, la Bellezza e la Bontà infinite si manifestano nell'uomo cosciente con un potere redentore, che si riflette fino negli abissi del cielo con la forza dell'amore e del sacrificio, questa idea, fra tutte feconda, ci appare per la prima volta in Krishna. Essa si personifica, quando l'umanità, nell'uscire dalla sua giovinezza ariana, s'immerge sempre più nel culto della materia. Krishna le rivela allora l'idea del Verbo divino; ed essa non solo non la dimenticherà più, ma tanto maggior desiderio di redentori e figli di Dio dovrà essa provare, quanto più profondamente sentirà la propria decadenza. Dopo Krishna si ammira una potente irradiazione del verbo solare attraversò tutti i templi dell'Asia, dell'Africa e dell'Europa.- É Mitra in Persia, il riconciliatore di Ormuzd luminoso col fosco Arimane; in Egitto è Oro, figlio di Osiride ed Iside; in Grecia è Apollo, dio del sole e della lira, è Dionisio risuscitatore delle anime. Ovunque il dio solare è un dio mediatore, e la luce è anche la parola di vita. E non è così pure da essa che sorge l'idea messianica? Comunque sia, certo è che, mediante Krishna, questa idea entrò nel mondo antico e, mediante Gesù, irradierà tutta la terra».
 

E possiamo chiudere su Krishna.
Ma ci sembrerebbe grave colpa lasciare così il mito, la poesia, lo slancio spirituale dell'antica India, senza attingere ancora una volta alle sue fonti originarie, senza ascoltare ancora un istante il linguaggio altamente poetico e suggestivo della Bhâgavad Gita:
 

Argiuna esita alla battaglia decisiva; Krishna lo incoraggia: ascoltiamolo, poiché incoraggia nel tempo stesso tutti gli uomini, noi stessi forse per primi:
 

«Argiuna, Argiuna! Ti ho chiamato re del sonno, perché lo spirito tuo sia sempre desto; ma invece si è addormentato e il corpo ha vinto la tua anima. Tu piangi su coloro, che non si dovrebbero piangere e le tue parole sono prive di saggezza. I savi non piangono né per i viventi, né per i morti, poiché io, tu e questi comandanti d'uomini siamo sempre esistiti e mai non cesseremo di essere nell'avvenire. Come in questo corpo l'anima esperimenta infanzia, gioventù e vecchiaia, così esperimenta in altri corpi, né potrà turbarsene l'uomo capace di discernimento. Sopporta con animo uguale pena e piacere, e sappi, o figlio di Bharata, che coloro i quali non subiscono più né dolori, né gioie, meritano l'immortalità; e che coloro, i quali veggono la vera essenza delle cose, veggono anche l'eterna verità che domina l'anima e il corpo. Sappilo: ciò che traversa tutte le cose è al disopra di ogni distruzione; nessuno può distruggere l'Inesauribile. Tu sai che questi corpi tutti non dureranno, ma i veggenti sanno pure che eterna, indistruttibile ed infinita é l'anima incarnata. Perciò, o discendente di Bharata, va e combatti! Ugualmente s'ingannano coloro, i quali credono che l'anima possa uccidere e coloro, i quali credono che possa essere uccisa; perciocché essa non uccide, né viene uccisa, non è nata e non muore mai, né può perdere ciò che ha sempre avuto. Come le persone gettano i vecchi abiti per prenderne altri nuovi, così l'anima incarnata getta il suo corpo per prenderne altri: né può ferirla la spada o bruciarla il fuoco; né l'acqua la bagna, né l'aria l'asciuga. Essa è impermeabile, è incombustibile, duratura, stabile, eterna e tutto attraversa. Perciò non dovresti preoccuparti né della nascita, né della morte, o Argiuna, poiché tanto è certa la morte per colui, che nasce, quanto la nascita per colui che muore. Guarda in faccia il tuo dovere senza titubare, dacché per un kshatriva (guerriero) nulla v'ha di meglio che un giusto combattimento. Felici i guerrieri, pei quali la battaglia è come porta aperta nel cielo! Ma se non vorrai combattere questa giusta guerra, cadrai in peccato, disertando il tuo dovere, la tua rinomanza. Tutti gli esseri parleranno della tua eterna infamia, e l'infamia è salvata peggiore della smorte per colui, che è stato onorato».


Quanto distanti formalmente e sostanzialmente - noi pensiamo - e quanto limitati spiritualmente i canti di carattere guerriero di Tirteo, Solone, Callino, Korner, Petrovich, Mameli, che pur si sono imposti, nel giro del tempo, per la sincera emotività che li anima o la perfetta corrispondenza allo stato d'animo dell'epoca.

 


Edoardo Schuré La dottrina esoterica di Edoardo Schuré I Grandi Iniziati Rama (Il Ciclo Ariano) Krishna (L'India e l'Iniziazione Braminica) Ermete (I Misteri d'Egitto) Mosé (La missione d'Israele) Orfeo (I Misteri Dionisiaci) Pitagora (I Misteri di Delfo) Platone (I Misteri Eleusini) Gesù (La missione di Cristo) Conclusione