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La Cappella dei Sansevero

Scrive Augusto Crocco, che si è interessato al personaggio con serietà di storico e di critico e non con intenti giornalistici o pubblicistici:

«Fu scienziato insigne e uomo di gran cuore, uno spirito eletto di quelli che compaiono raramente nella storia di questa umanità infelice; che seppe preferire alla vita mondana e dissoluta che il suo rango e le sue ricchezze potevano offrirgli, la saggia solitudine dello studioso e si tuffò con intelletto d'amore nel mare della Sapienza».

Ed ancora: «accusato di eresia da nemici invidiosi, seppe, in breve, trionfare; adulato, seppe discernere i veri dai falsi amici; fu amato e ammirato dai buoni e odiato dai malvagi. È importante cercare di comprendere il personaggio per penetrare il suo pensiero».

 

Purtroppo, è un personaggio ancora avvolto nel mistero forse da lui stesso voluto insieme alle tante leggende sorte intorno a quelle scoperte cui egli non volle dare alcuna risonanza destinate, com'erano, ad appagare solo la sua sete di ricerca. La scienza ufficiale ha fatto il resto ed è un grave torto se si considera che la metallizzazione dell'apparato circolatorio ottenuta da Raimondo in uno scheletro, che si conserva nella famosa cappella, è ancora oggi un mistero.

I visceri interni sono scomparsi ma arterie e vene fino agli ultimi capillari,conservati nella interezza del circolo, ne disegnano mirabilmente i contorni.

 

Il Settecento è un secolo pieno di scoperte: Casanova, Cagliostro, Mesmer vanno in giro per il mondo a sorprendere o raggirare la gente; Raimondo di Sangro passa le sue giornate fra storte ed alambicchi e molti segreti muoiono con lui.

Se ebbe tanti nemici è chiaro che intorno alla sua persona ed alla sua opera fiorissero tante leggende e non hanno certo giovato ad un'esatta conoscenza del personaggio certi scritti di Matilde Serao, di Benedetto Croce e di Salvatore Di Giacomo.

Se un critico tedesco dava a Raimondo del ciarlatano napoletano, l'accusa lascia il tempo che trova dal momento che il principe non trasse mai frutto alcuno nemmeno dopo morto dal momento che, ripetiamo, la scienza si è curata poco e male di lui.

 

«Generoso fino all'inverosimile» lo definisce ancora il Crocco e tutte queste citazioni servono, come già detto innanzi, per cercare di capire cosa esattamente volesse dire o proporre con le varie allegorie della sua famosa cappella.

Tralasciando le inutili questioni che attengono alla biografia o alle vicende genealogiche, diremo soltanto che nacque a Torremaggiore (Foggia) il 30 gennaio del 1710.

Al British Museum sono ancora conservate delle «prefettizie» fabbricate da Raimondo ed usate da Carlo III ed alla voce dé Sangro di Sansevero l'Enciclopedia Britannica parla di alcune realizzazioni pratiche custodite nei musei di Londra.

 

Ovviamente non può avere alcun interesse per i posteri l'archibugio ad una canna o la macchinetta idraulica che per azione di due ordigni mandava l'acqua in alto «senza l'opera di animale alcuno».

Il suo capolavoro resta l'esperimento sulla circolazione del sangue; nella cappella, tra tante opere marmoree, tra veli, angeli, animali e allegorie di ogni genere, aleggia il suo pensiero ancora inesplorato.

 

«Nel 1750, poco prima di pubblicare la famosa lettera apologetica era entrato a far parte della setta dei Liberi Muratori». In Belgio ebbe occasione di conoscere più da vicino i programmi della setta segreta. Già seguace della massoneria operativa ed occultistica ispirata allo Svedenborg, Raimondo di Sangro «dovette - quasi certamente - confondere i rituali e i programmi della setta dei Liberi Muratori con quelli della massoneria operativa...».

Quando il Crocco parla di Raimondo massone fa torto al magnifico profilo biografico da lui stesso tracciato e fa torto ancora all'Istituzione o setta, come la chiama lui, senza avere il piacere di conoscerla.

I Liberi Muratori, secondo il nostro, sono per la maggior parte dei famosi imbroglioni intenti a percorrere il rituale a solo personale vantaggio, costituendo una folla di burattini e parassiti sciamanti sotto l'occhio compiaciuto della Istituzione.

 

La colpa non è tutta sua: gli scritti di Mariano d'Ayala sulla Massoneria settecentesca napoletana non hanno trovato chi approfondisse l'argomento ed offrisse le opportune confutazioni.

D'Ayala è quindi divenuto un classico e pertanto l'Istituzione ricettacolo di avidi tavernari, cantanti in cerca di notorietà e di donne di alto lignaggio intente a discussioni insulse ed a preparare cene e balli.

 

Un dignitoso tentativo è stato fatto in questi ultimi tempi dal Francovich ma certamente una parola più decisiva ci verrà dai lavori dello Stolper che attinge a documenti inediti e può, a nostro avviso, modificare sostanzialmente il pesante giudizio di Mariano d'Ayala.

 

Sempre secondo Crocco, Raimondo entrò a far parte della Massoneria dopo avere avuto assicurazione che essa non mirava a ledere l'autorità papale e quella regia.

Entrò affascinato dal programma di giustizia e di eguaglianza sociale «sbandierato ai quattro venti dalla setta» dimentico della bolla In Eminenti.

 

Uno scienziato come lui, un uomo con una immensa cultura che chiede ed ottiene dal papa di leggere i libri posti all'indice, ha bisogno di quella certa assicurazione come un qualsiasi sempliciotto di campagna.

Raimondo sa bene quello che vuole; fa proseliti, diviene Gran Maestro e non si preoccupa di sbandierare ai quattro venti la sua appartenenza alla setta.

E puntuale arriva la prima scomunica!

 

È naturale che si preoccupasse di farsi togliere la scomunica in un'epoca in cui era necessario assicurarsi «uno spazio culturale in cui muoversi secondo i propri impulsi e secondo i propri interessi».

Anche il saggio Re lo consigliò di regolarsi in tal maniera... nella sua saggezza anche Carlo III aveva problemi di spazio.

Poco dopo scrive la famosa lettera apologetica che, recensita da due velenosi sacerdoti, gli procura la seconda scomunica; riesce a farsela togliere ancora una volta e grazie all'appoggio del Re riesce ad ottenere giustizia dei detrattori.

 

Era naturale che Raimondo fosse costretto a deporre il maglietto ed è naturale che certe sue dichiarazioni fossero rilasciate per motivi contingenti; Raimondo non faceva certo parte di quella famosa folla di parassiti o buontemponi ma era entrato realmente affascinato dalle prospettive umanitarie e sociali.

Dopo avere regalato al Re la sua tipografia, «avuta l'esatta cognizione di essere giunto all'apice della celebrità» preferì ritirarsi in buon'ordine e darsi ai suoi studi preferiti realizzando la famosa carrozza anfibia e la lampada eterna ed altre invenzioni intorno alle quali fiorirono le leggende più strane e suggestive delle quali il principe non si curò minimamente.

Della lampada eterna esiste solo la notizia che si ricava dalle lettere scritte ad alcuni membri dell'Accademia delle Scienze di Parigi e nient'altro perché «il suo inventore volle di proposito distruggerne ogni traccia».

 

Dalla biografia del Crocco, che rappresenta il frutto di anni di studio e di ricerca, non si desume nessun accento alla religiosità del principe.

C'è un accenno ad una mancata elezione fra i dignitari del Tesoro di S. Gennaro, ma quell'incarico non era certo riservato a coloro che facessero le quarantore o i ritiri di perseveranza. Lo stesso Crocco parla di «vita mondana e dissoluta» ed allora ci chiediamo se Raimondo intendesse veramente esaltare lo Zelo della Religione o la Pudicizia, la Fedeltà e la Sincerità delle donne della sua casata.

Il canonico Celano, uno dei primi ad illustrare la cappella con relativa simbologia, dette la sua interpretazione in chiave cattolica ed ancora oggi si parla di giogo coniugale, pudore e simili cose che probabilmente sono lontane dal pensiero e dal proposito di Raimondo dé Sangro.

 

Naturalmente il canonico si è fermato ad una interpretazione exoterica... Noi proveremo a vederla diversamente, con nessuna pretesa di svelare il mistero con la chiave giusta.

Il nostro deve essere considerato un invito a meditare, quasi un lavoro propedeutico ad una generale tavola rotonda da cui, per merito di qualcuno più dotato e più preparato, potrebbe venir fuori la chiave giusta.

Da un documento citato dal d'Ayala si apprende che uno dei principali collaboratori di Raimondo e cioè lo scultore Corradini era Massone ed anche questo può avere la sua importanza.

 

Terminata la discesa del policlinico e continuando verso la piazza S. Domenico Maggiore e l'Università, s'incontra il palazzo dei principi di Sangro accanto al quale è ubicata la famosa cappella gentilizia dedicata a Santa Maria della Pietà.

Ad una immagine della Vergine della Pietà, dipinta a fresco in una nicchia del suo giardino, si rivolse Francesco di Sangro per ottenere una grazia, ricevuta la quale, nel 1590 edificò la cappella conferendo all'immagine il posto d'onore.

La parte che ci interessa è ovviamente quella che si deve a Raimondo il cui ritratto si vede entrando, dipinto su rame ad opera di Paolo Amalfi.

Non citeremo di volta in volta il nome degli artisti sia perché non facciamo storia dell'arte, sia perché nella cappella ci sono stati vari spostamenti e di qualche attribuzione non si è completamente sicuri.

Sotto il ritratto di Raimondo, una lapide rossastra con lettere bianche rilevate a guisa di cammei; i bassorilievi formano un sol pezzo col marmo su cui sono intagliati.

Secondo il Celano si deve all'abilità del principe «da cui fu questo lavoro eseguito nel colorire i marmi in tutta la loro profondità».

 

Contiguo al monumento di Raimondo è quello della moglie Carlotta Gaetani che va sotto il nome di SINCERITÀ.

Una donna che con la destra sostiene la lunga veste e impugna un caduceo mentre con la sinistra regge un cuore; a fianco un putto che stringe al petto una colomba mentre un'altra le svolazza sulla testa.

Tutto ciò starebbe a significare «la pura, scambievole ed amorevole inclinazione degli sposi».

Che c'entra tutto questo col caduceo, non è chiaro; il caduceo è il simbolo della pace e reca legate al bastone le due serpi responsabili del bene e del male, un giorno separate da Mercurio mentre erano in contesa ma rimaste entrambi legate allo stesso bastone.

Come significato exoterico può benissimo significare l'indissolubilità del matrimonio; il significato esoterico è certamente diverso: in ogni uomo è presente sia il bene che il male. Le colombe stanno a significare la forza d'animo che deve assicurare la vittoria del bene sul male, quindi la pace, la concordia, l'amore.

 

Tralasciando l'altarino di S. Oderisio, si giunge al mausoleo di Antonio di Sangro ubicato all'altezza del pilastro dell'arco maggiore.

Un uomo inviluppato in una gran rete cerca di districarsene aiutato dal proprio intelletto figurato da un genio con fiammetta e corona in testa il quale con la sinistra apre la rete e con la destra mostra il globo terraqueo che gli sta ai pedi.

La destra mostra ancora un libro in cui si legge: - Vincula tua disrumpam vincula tenebrarum et longae noctis quibus es compeditus, ut non cum hoc mundo damneris -.

 

Sulla base del mausoleo, Cristo restituisce la vista a un cieco.

Il monumento va sotto il nome di DISINGANNO delle umane vanità. Il riferimento alla luce è chiaro e con l'aiuto della luce l'intelletto trionfa della superstizione, del dispotismo politico e religioso che cercano di soffocarlo, nonché delle mondane vanità, dell'egoismo e di ogni servitù in genere.

Più che al disinganno sembrerebbe essere dedicato alla Libertà. Sull'altar maggiore la rappresentazione del Calvario ed in esso è allogata la famosa immagine.

 

Il monumento seguente è quello della PUDICIZIA dedicato alla madre Cecilia Gaetani.

Una donna coperta di sottilissimo velo che lascia intendere le forme, nelle mani rose e fiori di cui è sparso anche il lembo della veste, ai piedi un vaso di profumo.

 Sulla base, un bassorilievo raffigurante Cristo nell'atto di dire alla Maddalena «Noli me tangere».

Noli me tangere sta per «non tentarmi» più che «non toccarmi» e la donna è il simbolo per antonomasia della tentazione e velo, rose e profumi sono i necessari requisiti della seduzione. È naturale che voglia riferirsi ad una pudicizia diversa e cioè a quella del nostro intimo sentire, all'onestà, alla rettitudine.

 

L'altro monumento che segue, opera come il precedente del Fratello Corradini, è dedicato all'esaltazione del dolce GIOGO CONIUGALE.

Una donna nobilmente vestita stringe nella mano destra due cuori infiammati e con la sinistra un giogo adorno di piume all'estremità.

Sul capo un elmo con corona d'alloro ed ai piedi un putto che tiene con la sinistra un pellicano.

La corona d'alloro sull'elmo sta certo a significare vittoria su qualcosa: forse sui cuori infiammati, cioè in preda all'ira più che all'amore?

Un giogo adorno di piume ed il pellicano simbolo dell'amore per il prossimo a nostro avviso arieggiano la fraternità.

In queste allegorie il cuore, come i veli, ha un ruolo dominante ed anche un significato preciso nella dottrina degli alchimisti.

 

Nel monumento ad Ippolita Carretti un vecchio di «venerabile ma severo aspetto» regge con la destra una lampada a tre lumi e con la sinistra un flagello. I suoi piedi calpestano libri da cui vengono fuori delle serpi mentre un putto vicino a lui si appresta a dar fuoco ad altri libri da cui vengon fuori altre serpi.

Il Fratello Corradini avrebbe fatto l'esaltazione dello ZELO DELLA RELIGIONE... le serpi ovviamente gli scritti eretici.

 

Il monumento a Giulia Gaetani va sotto il nome di LIBERALITÀ. Una donna riccamente vestita lascia cadere da una cornucopia che impugna con la mano sinistra gran copia di monete ed oggetti preziosi. Con la destra offre due medaglie ed un compasso; ai suoi piedi l'aquila.

Allusione alla giustizia distributiva o insegnamento a cercare soddisfazioni spirituali al posto di quelle materiali? Anche l'aquila ricorre spesso (come il flagello) ed altri animali e tutto ciò ha certamente un significato.

 

Segue l'AMOR DIVINO; un giovane seminudo mostra con la destra un cuore ardente e tiene la sinistra in atto di accompagnare l'offerta.

 

Nel successivo l'EDUCAZIONE dedicato a Geronima Caracciolo e Clarice Carafa: una donna di nobile aspetto si rivolge ad un fanciullo che ha un libro in mano accompagnando il discorso con la destra dolcemente alzata e stringendo nella sinistra un flagello.

In basso la seguente iscrizione «Educatio et disciplina mores faciunt».

 

Nel monumento di Geronima Loffredo un guerriero incatena un leone mentre un Amore tiene la face rovesciata.

Va sotto il nome di DOMINIO DELLE PASSIONI tra le quali l'ira e l'amore sono le più forti.

Temperare ira e amore significa raggiungere la Tolleranza, la comprensione ed il rispetto per le altrui opinioni.

 

Viene dopo un altro monumento del Fratello Corradini dedicato a Isabella Tolfa e Ludomnia Milano. Esso va sotto il nome di DECORO.

Un giovinetto seminudo cinto alle anche di una pelle leonina; a lato un tronco di colonna che regge una testa di leone dai tratti quasi umani. Sulla base «Sic floret decoro decus».

 

Bellissimo infine il Cristo morto del Sammartino: una finissima sindone sparsa sul corpo ne lascia intravedere le membra. La corona di spine, la tenaglia e i chiodi che sembrano gettati alla rinfusa accanto al Cristo formano invece un tutt'uno marmoreo.

E così dopo aver percorso le varie allegorie che sembrano altrettanti viaggi si giunge al Cristo velato.

 

I Magi Atlanti rivestirono la Scienza di numerosi veli simbolici «che dinanzi agli occhi del discepolo venivano a cadere a mano a mano che egli superava le differenti tappe iniziatiche». Lo stesso significato simbolico della Sfinge, delle Piramidi e delle città sotterranee ornate di simboli.

La gloria, il lusso, la fortuna, la femmina era tutto chimera per Budda il quale predicava di rinunziare alle gioie effimere dei sensi, assorbirsi nell'adorazione dello spirito e salire la via del santuario al fine di percepire, per mezzo della Scienza, l'enigma della Vita nella sua sublime Unità.

 Il cuore ricorre spesso e può significare che anche senza l'aiuto della Scienza i poveri di spirito possono arrivare ad essere giusti ed amare il loro prossimo.

Beati i poveri di spirito, beati coloro che non sanno niente, poiché essi si lasceranno guidare dal loro cuore e il loro cuore li condurrà nel cammino della fratellanza.

Voleva forse Raimondo riferirsi agli Evangelisti, con tutti quegli animali?

San Matteo raffigurato da un angelo aveva rivelato la Storia, San Marco (il leone) la Missione e San Giovanni (l'aquila) li completava evocando il Principio.

Ed a proposito di animali non dimentichiamo il pellicano che si strappa il ventre a colpi di becco per nutrire i suoi piccoli affamati e il riferimento all'umanità è abbastanza chiaro.

 

 


 

 

BIBLIOGRAFIA

  • V. Tocci: Dizionario di mitologia. Torino 1954.

  • A. Crocco e M. Guarino: La cappella di Sansevero e il suo mecenate, Napoli 19S4. Breve nota di quel che si vede in, casa del Principe di Sansevero D. Raimondo di Sangro nella città di Napoli a cura di A. Crocco.

  • A. Crocco: Notizie sulla cappella Sansevero. Napoli 1972.

  • R. Di Sangro: Lettere. Napoli 1969.

  • M. Saunier: La Leggenda dei simboli. Roma 1968.

  • C. Celano: Notizie della città di Napoli. E.S.I. editore Napoli.

  • H. Acton: I Borboni di Napoli. Napoli 1962.

  • C. Francovich: Storia della Massoneria Italiana. Firenze 1975.

  • E. Stopper: La Massoneria settecentesca nel regno di Napoli. Rivista Massonica, anni 1975-77-78.

  • G. Gamberini: Mille volti di Massoni. Ed. Erasmo, 1975.

 

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