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Analisi del simbolismo esoterico nella Cappella Sansevero

Il documento che segue è opera d'ingegno del Professor Giancarlo Elia Valori Honorable de l’Academie des Sciences de l’Institut de Frances ed è qui esposto con la sua sua autorizzazione.
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© Professor Giancarlo Elia Valori

 

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La Cappella Sansevero, lo abbiamo già notato, è una macchina teurgica. Ovvero, è un sistema di simboli omogenei che è finalizzato al richiamo, nel visitatore-iniziato e nel fedele, di energie psichiche di elevato livello, tali da generare nel fedele e nell'Iniziato un vero e proprio cambiamento di stato che, si badi bene, non è solo psicologico, dato che la psiche è in gran parte l'anima “appetitiva” passiva o sensibile, ma anche fisico.

La Religione, tutte le religioni, sono in gran parte tecniche del Risveglio e della Rinascita Spirituale, che è collegata, sia pure in modo diverso nelle varie tradizioni della Sapienza Originaria alla Resurrezione del Corpo, debitamente “purificato” dalla memoria della vita terrena e dai suoi inevitabili danni all'Essenza, e alla Sua identificazione con il Principio, con l'Inizio del Tempo che è senza Tempo né Durata.

Se Cristo non fosse Risorto, vana sarebbe la nostra fede, dice San Paolo, e Cristo stesso non dice “Io ho fondato una nuova Regola per la Salvezza, una nuova tecnologia per il passaggio delle anime ad uno stadio superiore” ma afferma di essere Egli stesso, nel Corpo e nell'Anima di Figlio di Dio la Via, la Verità, la Vita. Cristo Risorto è la Via per tutte le Resurrezioni, ed è il Suo amore, non la semplice applicazione di una regola, di una “tecnologia sapienziale”, a garantire la Salvezza al credente. Senza Amore per Lui, senza la Passione per la Sua vita terrena e la Sua Parola, non vi è salvezza possibile, non è possibile quindi il Ritorno dell'anima a Dio che l'ha creata all'Inizio del Tempo e di tutti i Tempi.

Ecco quindi spiegati i tratti più comuni dei templi, siano essi cristiani e cattolici o ortodossi e islamici, e perfino induisti e buddhisti. L'oscurità relativa, che è l'oscurità della vita terrena, tutta giocata sull'”anima acquisitiva” e sulla dimensione sensoriale, è il simbolo della vita comune, profana.

La posizione del Tempio è essenziale, poiché determina la collocazione di esso sulle linee invisibili della Comunicazione tra Visibile e Invisibile così come è necessaria, per stretti motivi teurgici, la dedicazione del Tempio ad un Santo, ad una Santa, a una figurazione specifica dell'Altissimo.

Il Santo è il tutore della Chiesa, così come il proprietario o l'affittuario è il conduttore di una casa. E la tutela dalle influenze pericolose e negative, che ogni luogo alberga, e che sono lo strumento di cui si serve il maligno per rovesciare, a nostra insaputa, la direzione della preghiera e la sequenza dei passaggi di stato dalla vita comune alla Vita Beata, in attesa del distacco, che il Corano predice “facile” per le anime sante, dello Spirito dal Corpo, quando verrà il momento del Ritorno all'Origine e al Tempo senza Tempo.

La Luce si concentra verso il Centro del Sacro, così come, metaforicamente, l'Iniziato e il fedele sono condotti, dall'universo omogeneo dei simboli del Tempio, a concentrare i loro tentativi di elevazione e di rafforzamento della forza spirituale verso il Centro della loro Vita, che il Centro della Vita e della Verità, che non è una sensazione, uno stato euforico di accrescimento della conoscenza, ma una lenta e sicura concezione dell'Arrivo alla Fonte del Sapere che, come ci ha insegnato Gesù Cristo, non è una dottrina ma uno Stato generato dall'Amore. Se vi amerete come Io ho amato voi...

 Un Tempio e una Chiesa, se sono tali, sono strumenti per l'esaltazione dell'amore di Dio e delle creature, che viene indotto dall'unitarietà dei simboli e dal particolare clima, generato dall'Invisibile, che permea tutto il Tempio.

Il Simbolo, anche se non è compreso da chi lo guarda, catalizza positivamente le forze psichiche e spirituali dell'osservatore e lo aiuta a passare ad un “altro stato”.

Le Chiese senza simboli, i templi nudi, le iconoclastie del nostro tempo sono una epifania dell'abbandono di Dio da parte dell'uomo, non una spiritualizzazione dei simboli, che sono già attivi esotericamente per loro conto.

Se manca Dio, il Suo posto viene sempre preso dal “nemico”, il maligno, secondo la teologia degli Esercizi di Sant'Ignazio di Loyola, e Raimondo di Sangro aveva studiato dai Gesuiti, a Roma.

Se Dio si nasconde nei dettagli, lo fa anche il maligno, ed occorre il “discernimento degli spiriti”, continuo e quasi automatico di colui che abbia sperimentato la spiritualità ignaziana per sedare fin dall'inizio gli attacchi di guerrilla portati a Dio, nella nostra coscienza, dal maligno. La Chiesa visibile evita che tali attacchi siano frequenti, li sventa quando sono deboli, li rende più difficili, crea la memoria del Sacro, carta geografica dell'Iniziazione.

L'Uomo senza Dio è un animale senza simboli, che degenera rapidamente in un animale senza linguaggio. E' la lingua sacra che fonda la lingua naturale, non il contrario, così come l'anima superiore fonda quella appercettiva e sensibile-passiva.

Ma veniamo ora alla struttura profonda e, quindi, all'ordine visibile della Cappella Sansevero, che fu un vero e proprio opus vitae per Raimondo, settimo Principe di Sansevero, e un impegno simbolico, esoterico e finanche economico di straordinario rilievo anche per una famiglia come quella dei Sangro.

I monumenti della Cappella Sansevero sono diciotto, undici più sette, due numeri sacri. L'undici è, come il ventidue, un numero maestro. L'Undici, che era molto amato anche da Filippo Tommaso Marinetti, e i suoi multipli annunciano il Pensiero Creativo e l'Anima Cristallo un'anima naturalmente cristica, che si muove sui vari piani dell'espressione e della Realizzazione del sé e del passaggio dall'uomo a Dio.

Il numero sette esprime l'universalità e l'equilibrio perfetto e rappresenta un ciclo di azioni spirituali compiuto e vitale. E' il segno del perfezionamento della natura umana, dato che questo numero congiunge il ternario divino con il quaternario terrestre e il numero sette è il simbolismo della mediazione tra umano e divino.

Al Centro, il “Cristo Velato”, opera straordinaria del Sammartino che, si dice, fu eseguita dallo scultore in uno stato di ipnosi causato dallo stesso Principe di Sangro.

Il Cristo è velato perché, simbolicamente, è ancora nel sepolcro e non ha irraggiato la Sua Anima Universale nella Luce di Dio, che da quel momento della Resurrezione sarà la Luce per tutti noi. Il velo è il simbolo del cielo, è la tela del primo tempio tessuta da Maria, lo strapparsi del velo, evidentissimo simbolismo, significa che la morte di Gesù apre la via verso la Gerusalemme Celeste, memoria e modello di tutti i templi ed il velo è il simbolo della stessa Carne di Cristo. Gesù è il Sommo Sacerdote dei Beni Futuri per tutti gli uomini, la Sua carne si fa velo, e il Velo è il modo in cui noi, in questa vita, possiamo percepire Gesù Cristo e il Suo Messaggio.

Il Velo-carne di Cristo, come peraltro quello della Madonna, che raccoglie simbolicamente tutti gli uomini sotto un velo-cielo che riflette e trasporta quello del Cielo Supremo, secondo i dettami del “Fedele d'Amore” e templare Dante Alighieri, è originariamente il Velo di Iside.

La “Natura ama nascondersi”, dice Eraclito in un suo verso iniziatico, reso poi comprensibile e noto ai pochi, veri filosofi da un testo di Giorgio Colli.

La morte del Figlio, lo dirà Novalis, è la distruzione di ogni finitezza per far risplendere attraverso di Essa Dio come “nascita infinita”, ma è appunto il Velo, il momento della finitezza lieve, che separa i due stati dell'Essere e, contemporaneamente, li rende riconoscibili.

Ciò che è vero deve venire temporaneamente nascosto, per rendere appieno la sua potenzialità, ciò che è profondo ama la maschera, dirà Friedrich Nietzsche, visitatore della Cappella Sansevero, in uno famoso aforisma.

Il velo simbolizza ciò che deve essere tenuto segreto, perché sapienza adatta ai pochi, agli “uomini d'oro” di tradizione platonica.

Viene in mente il Faust di Goethe, “misteriosa nel fulgente giorno/derubar la natura non si lascia/ del velo in cui si asconde”.

E' Plutarco che narra come sul piedistallo della statua di Iside, che sorgeva nella città di Sais, era incisa questa iscrizione: “Io sono tutto ciò che è stato, ciò che è e tutto ciò che sarà e nessuno giammai ha ancora sollevato il mio velo”, il Velo di Iside rendeva il segno del mistero profondo della vita, che nessuno può osare ri-velare o scoprire, poiché è insondabile e infinito.

Nelle cerimonie religiose romane era prescritto, prima di compiere qualsiasi rito sacro, di velarsi il capo e di sciogliersi le cinture. Anche nella tradizione tibetana, buddhista e induista, così come nella simbologia sacra dell'Islam e della tradizione ebraica, gli abiti sacri non devono avere giunture né cinture.

E' proprio il Velo del Tempio di Gerusalemme che, alla morte del Cristo, si squarcia e svela quindi la presenza reale di Dio, che prima della Venuta aveva bisogno di essere coperto ma indicata, appunto, da un Velo.

Coprirsi con il velo, nei misteri eleusini, significa rendersi invisibile al mondo, preparare la propria rinascita ad una Vita migliore e pressoché sconosciuta.

E' la fase tipica di tutte le iniziazioni, l'abbandono sul terreno e la copertura del proprio corpo con un velo, tra quattro (il quaternario) sorgenti di poca luce.

Il Cristo Velato, il Primo Iniziato e la Sorgente di ogni iniziazione, sorge nella Cappella di Santa Maria della Pietà, indicazione essenziale per capire come il Luogo sia protetto dalla Vergine che ascolta e intercede per tutti i Suoi figli, e la Cappella fu costruita da Giovan Francesco di Sangro nel 1590 per onorare la Madonna che, ascoltando le sue preghiere, lo aveva guarito da una grave malattia. Malattia del corpo, malattia dello spirito...il velo del corpo che, guarito, illumina il velo-Corpo del Cristo che diviene Luce....il Cristo Velato doveva, inizialmente, essere posto nella cripta sottostante la Cappella Sansevero, nel luogo dove ora si mostrano i due corpi, un maschio e una femmina in fase di parto (simbolismo evidente) ma la scultura era così bella e significativa che Raimondo decise di portarla alla visione simbolica dei visitatori e Iniziati, dalla sola esperienza estetica, della sua Cappella.

Il Cristo Morto, morto per noi, Morto per le nostre anime ancora racchiuse nell'oscurità del peccato-Ignoranza, potremmo dire, viene reso dal Sammartino nell'atto dell'iniziale Resurrezione, è il Corpo di Gesù che, muovendosi verso la Sua destinazione alla Luce, rende impalpabile il velo, che è carne ormai inutile per il Risorto, e lo rende quasi una illusione per gli occhi, una simbologia immediata della Trasformazione finale, forse anche alchemica, del Corpo di Dio nella Sua Vera Luce.

Tutto nel Cristo Velato è visibile, il Velo ormai non esiste quasi più, è solo il simbolo della ormai brevissima permanenza terrena del Risorto, si vedono le vene ancora palpitanti, i fori dei chiodi, gli strumenti della tortura al Figlio di Dio che è anche, secondo il profeta Daniele, “Figlio dell'Uomo” e tutta l'opera, e anche qui il simbolo è evidentissimo, è scolpita in un solo pezzo di marmo paglierino.

Nell'archivio notarile di Napoli è stato rinvenuto il contratto tra il Sammartino, che pure operava su un bozzetto già realizzato del Corradini, deceduto prima di compiere l'Opera, nel quale lo scultore si impegnava con Raimondo di Sangro a procurare un marmo per realizzare la Sindone, e di non svelare a nessuno la tecnica escogitata dal Principe di Sansevero per realizzare il Velo. In un documento dell'Archivio di Stato, poi, scoperto dalla giornalista Clara Miccinelli, si descrive la tecnica di costruzione del velo:

calce viva nuova 10 libbre - si legge nel testo - acqua barili quattro, carbone di frassino. Copri la grata della fornace con i carboni accesi a fiamma di brace, con ausilio di mantici a basso vento”. “Cala il modello da covrire -prosegue il registo di archivio - in una vasca ammattonata, indi covrilo con velo sottilissimo di spezial tessuto bagnato con acqua e calcina. Modella le forme e gitta lentamente l'acqua e la calcina misturate. Per l'esecuzione soffia leve coi mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il liquido composito. Per quattro dì ripeti l'Opera rinnovando l'acqua e la calcina. Con la macchina preparata alla bisogna leva il modello e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore lavori di acconcia arte. Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il Sembiante del modello Trasparire”.

Non abbiamo ripetuto l'esperimento ma, si immagina, che al di là di qualche oscurità testuale e di una certa vaghezza nelle misure e nelle tecniche la tecnologia possa avere un qualche successo, anche oggi.

Certo, perduto il nesso tra arte e artigianato, tra ideazione e realizzazione, tra oggetto d'arte e tecnica, come accade oggi nella teoria (stavamo per scrivere “ideologia”) dell'arte figurativa e non, la tecnica di costruzione dell'oggetto artistico non ha più molta importanza, dato che oggi si intende privilegiare il linguaggio dell'opera, come se il contesto espressivo di un oggetto d'arte fosse il suo unico fine.

E' come se la logica del linguaggio dantesco esprimesse tutta la simbologia e il significato mistico-esoterico della Commedia dell'Alighieri. Si comprende facilmente quanto questo sia impossibile, ma oggi i miracoli del maligno operanti nell'arte attuale mettono a rovescio tutti i processi che apparivano come naturali, logici, efficaci.

Nella Cappella Sansevero, poi, quasi tutte le statue sono femminili e manifestano le varie virtù dell'animo umano, quelle virtutes tramite le quali, da sole, si può accedere dall'”anima concupiscibile” alla esperienza dell'Idea e alla sua percezione extra-sensoriale.

In Seneca e in Posidonio, per esempio, l'allegoria diviene il linguaggio per riportare la mente dell'uomo all'età dell'oro dei primi Saggi, i re-filosofi che governavano la società prima della caduta, originata dalla penetrazione nel tessuto sociale dei “vizi”, delle “passioni del corpo che ottundono quelle dell'anima”.

Le passions de l'Âme sono, ricordiamolo, una tematica specifica di Cartesio, il suo ultimissimo testo, quel Cartesio che pure si inoltrò verso Loreto e la sua Santa Casa in devoto pellegrinaggio.

Furono i poeti, secondo Posidonio, dotati come erano di un vasto sapere, la polimathia, a riportare per immagini e metafore l'antico sapere dell'età dell'oro ai loro contemporanei, che ne erano ormai privi. Il mito platonico dell'età dell'oro, peraltro, soprattutto nella lezione che ne danno Posidonio e gli Stoici, è una fase destinata a ripetersi ciclicamente nella storia dell'umanità. Nella fase di Crono, “il dio stesso che guida questo universo nel suo procedere e lo accompagna nella sua rivoluzione” ma quando il dio Crono verifica che i periodi storici hanno raggiunto la loro misura (la “pienezza dei tempi”, si direbbe nella teologia paolina e apocalittica) il dio lascia libero il cosmo ed esso allora gira liberamente, muovendosi però in senso inverso alla dymamis precedente. In assenza della guida del dio, allora, l'armonia si rompe e il mondo decade perchè si introduce in esso un principio di disordine e di assenza di forma, che è proprio ciò che la poesia e l'allegoria, in particolar modo, fanno rientrare nel cosmo e nell'uomo, per riportare l'ordine aureo perduto.

Potremmo quindi dire che la Cappella Sansevero, sul piano esoterico e storico, riproduce la storia della Salvezza elaborando la tradizione biblica e evangelica in termini platonico-stoici.

Tutte le statue della Cappella lanciano un messaggio tramite gli oggetti che tengono in mano o si trovano ai loro piedi, secondo la tradizione sia poetica che figurativa della Allegoria barocca.

La prossimità degli oggetti come indicazione del significato profondo del Tutto in cui sono posti.

La gestione dei simboli della Cappella diviene comprensibile con la lettura della “Simbologia” del Ripa, di cui Raimondo di Sangro finanziò una edizione.

Sono da notare i libri (segno del testo visibile della Natura e della Sapienza) aperti o chiusi, con evidentissima differenza simbolica, i compassi, noti nella Massoneria ma di antichissima presenza nella simbologia dei Costruttori delle Cattedrali45.

Il quadrato si fa col cerchio e il cerchio lo si disegna con il compasso, simboli rispettivamente della Materia-Personalità e dello Spirito, dell'Uomo Inverato e “perfetto”, nel senso etimologico e ritualmente massonico.

Le cornucopie i fiori e i caducei sono presenti in tutta la Cappella, e indicano i simboli della concordia e dell'abbondanza (la cornucopia è collegata, tramite il mito di Amaltea, alla costellazione del capricorno) e, per quanto riguarda il caduceo, verga con due serpenti attorcigliati e simmetrici in atto di baciarsi, esso è un simbolo di pace usato da Mercurio per sedare le liti.

Una Cappella che è anche un locus massonico, di quella Massoneria ben più profonda dell'umanitarismo laico al quale ci ha abituato l'Iniziazione moderna, dopo che la Rivoluzione del 1789 ha rotto i ponti della Sapienza Iniziatica e coperto, ri-velato la Tradizione dalla quale essa stessa prende origine ma, lo ricordiamo, essa è davvero, e in toto, una cappella cristiana.

Ogni simbolo ha un doppio significato, che è insieme quello del nesso tra Sapienza degli antiqui e Conoscenza dei Moderni (si ricordi qui uno dei tòpoi della nascita della filosofia “illuministica”, la Querelle des Anciens et des modernes) e di collegamento tra la Sophia dell'Iniziazione Eterna e del Cristianesimo, nella sua versione Cattolica e Romana.

Fu lo stesso Raimondo di Sangro a impedire agli eredi di modificare in alcuna parte la struttura della Cappella, e questa è una evidente conferma del nostro assunto.

Ma qual'è il messaggio unitario e corale della Cappella Sansevero, il senso profondo e unico della sua struttura e dei suoi simboli che, come tutti i simboli, rimandano sempre ad altro?

Forse la chiave della logica iniziatica della Cappella Sansevero è da vedere nella selezione e nella sequenza delle sculture, in numero di dodici (gli Apostoli, le Costellazioni.....) che hanno i nomi delle virtù e degli “Stati dell'animo”, delle Passions de l'Âme di cui si occupava Cartesio poco prima di morire, lo abbiamo visto.

Il Disinganno, la Pudicizia, il Decoro, la Liberalità, l'Educazione, la Sincerità, la Soavità del Giogo Maritale, il Dominio di sé Stesso, lo Zelo della Religione, l'Amor Divino, la Mestizia, l'Angelo. Sono tutte, rispettivamente, affezioni dell'Anima, caratteri umani e divini insieme, tratti della storia della vita terrena e del lungo passaggio verso l'Iniziazione precedente alla Morte.

Sia gli “stadi” della Religione Cattolica che quelli dell'Iniziazione sono qui enumerati, in forma di stazioni di una nuova Via Crucis, un passaggio e un viaggio dall'anima concupiscibile e materiale alla Illuminazione dell'Angelo, che appare alla Fine dei Tempi e alla fine del proprio tempo terreno, quando il Sapiente diviene alter Christus, nella luce dello Spazio mistico liberato dal passaggio, una volta per tutte, del Risorto.

Il Disinganno, la Pudicizia, lo stesso Cristo Velato potrebbero avere il significato di una ricerca autonoma e libera, come nella tradizione Massonica attuale, verso la Verità, senza gli intermediarii di una Tradizione visibile, vetusta e ormai adatta ai più, non ai pochi, agli “uomini d'oro” di quelli che Nietsche chiamava i “tempi ultimi”.

Per alcuni, la Pudicizia e il Disinganno ritrarrebbero rispettivamente la madre e il padre del Principe, e quindi il Cristo Velato sarebbe lo stesso Raimondo di Sangro, alla presenza delle nobili prosapie familiari, entrambe perdute tragicamente nella vita terrena.

Se Raimondo è il Cristo, si capisce perché il Risorto non sia né raffigurato come semplicemente morto, in attesa della Transustaziazione (che è anche quella della Particola Consacrata) né apertamente raggiante nella Luce dell'Eterno, di cui è parte fin dall'Inizio dei Giorni. E quindi rimane il Velo, Velo-Carne, passaggio inevitabile dell'Iniziato alla Vita Eterna e, simultaneamente, alla Vera Vita della Sophia, della Scienza della Tradizione.

La scultura del Disinganno, fase primaria della Via Crucis a doppio significato, cristiano e massonico, raffigura un uomo che si libera da una rete, simbolismo della realtà visibile e ingannevole, appunto, e che viene recuperata nel simbolo del “dio che lega i demoni” come ci narra Eliade, si tratta di un uomo parzialmente chiuso nella rete del peccato, ovvero della credenza alla realtà sensibile e immediata.

Ripa rappresenta l'Inganno con un dio che ha una rete in mano, e quindi Raimondo, al contrario, fa scolpire il Disinganno con l'imago di un uomo che si libera con forza da una rete.

Il primo livello di lettura, indicato nella iscrizione ai piedi della statua, ci ricorda che la statua ritrae il padre di Raimondo. La sua storia è nota: dopo una vita di peccati e dissolutezze, il genitore del Settimo Principe di Sangro si pentì dei suoi peccati rinunciando al titolo nobiliare, agli averi e trascorrendo gli ultimi anni della propria vita come abate della stessa Cappella Sansevero.La storia della Iniziazione è quindi la sequenza, nella Chiesa dei Sangro, della storia familiare.

Per contrappasso, e qui siamo al “doppio livello” della lettura simbolica, il Disinganno diviene anagogicamente una Virtù, il Dispregio del Mondo, il classico contemptus Mundi, a favore di una Via dello Spirito.

Sul piano simbolico, nel Disinganno quindi non c'è solo il volto dello scultore Queirolo, che lo elaborò, ma anche quello dello stesso Raimondo di Sangro.

La Pudicizia rappresenta una donna nuda ricoperta da un velo marmoreo finissimo, probabilmente simile a quello del Cristo Velato al Centro della Cappella.

La Donna, che in nessun caso può essere una figura collegabile alla Santa Vergine, e nemmeno a Iside o alla “Pistis Sophia” dei riti eleusini, ha in mano una lapide spezzata, un cammino sapienziale interrotto, la stessa storia familiare dei Sangro spezzata dalla crisi del padre di Raimondo, la Tradizione Spezzata che non si è più ricongiunta, per le sue invisibili Vie, alla Sapienza dei Contemporanei.

Il velo simbolizza l'antica sapienza, che è quindi anche quella di Gesù Cristo, velato in quanto erede perfetto della Tradizione unica e originaria, mentre il velo della donna, eterno femminino, fase recettiva anche dell'uomo in fase nel suo accedere alla Conoscenza, è il velo-carne di ciò che è coperto, ancora invisibile ma che ha la stessa forma della realtà invisibile, di cui è la matrice originaria, nota a pochi.

Nella statua dell'Amor Divino, si contempla un giovane, avvolto solo in parte da un manto (è la Rivelazione che si mostra lentamente) che guarda verso il cielo e offre all'Alto un cuore fiammeggiante.

Il cuore infiammato d'amore per Dio è quasi un ovvietà, meno comune è il senso anagogico del cor inflammatus che, poi si ritrova nella teologia moderna come teorica del Sacro Cuore di Gesù, e che ha molti aspetti tradizionali e iniziatici.

Il Sacro Cuore di Gesù è collegato alla Sua apparizione del Giugno 1675 a Suor Alacoque, nella quale Cristo squarcia il suo costato, che è ancora velo-carne di una Essenza ormai invisibile, se non ai Santi, e Le nostra il Suo Cuore, circondato da una corona di spine, radiante, sovrastato da una Croce e aperto dalla lancia di Longino, che Hitler, mago nero, cercava per ogni dove in Europa e oltre tramite i suoi SS “iniziati” della Ahnenerbe.

La luce che emana dal Cuore di Cristo è simbolo di Dio, Egli è Luce, che squarcia ogni velo, e lo stesso Cuore di Gesù è Dio, che soffre per l'umanità. Anche nella teologia islamica si caratterizza l'Unico come “luce su luce”, peraltro. Le fiamme sono invece l'amore umano di Cristo, è l'amore per tutti gli uomini rappresentato dalla Resurrezione del giovinetto (e infatti la statua della Cappella mostra un giovinetto) che Gesù fa ritornare in vita, il figlio della Vedova di Naim. Dal Cuore squarciato di Gesù sgorgano, nella Teologia sacramentale delle Visioni del Sacro Cuore, i Sacramenti stessi. Ma il cuore della Cappella Sansevero non appare squarciato, esso è il cor aeternus che passa dalla passione della contemplazione terrena, dalla Via della Sapienza, alla Passione del Credente per Dio.

Il “Dominio di sé stessi”, altra statua della serie delle Virtù nella Cappella Sansevero, è dedicata alla memoria di Geronima Loffredo, nonna paterna di Raimondo di Sangro.

Donna “mai abbattuta dal destino ostile né troppo esaltata da quello propizio”, raffigura un guerriero romano che tiene alla catena un leone ammansito, reso inoffensivo dallo sguardo del militare, forte e calmo.

Il leone ammansito è, nella simbologia biblica, il segno della Nuova Creazione, Leone come teoforo, come indice della Seconda e definitiva Venuta.

Il tema del controllo delle proprie passioni, è ben noto, un classico di tutta la tradizione massonica settecentesca, nella quale il “controllo di sè” è l'inizio della Via alla Sophia e caratterizza i gentilshommes e gli “uomini dabbene”, i virtuosi.

Nelle tradizioni alchemiche il cuore è la Porpora, “il cuore è nell'anima come un Re in guerra”, dice il Sefer Yetsirah. Mentre il Leone, in Alchimia, la “sapienza egiziana” che Raimondo conosceva dai lavori del padre gesuita Athanasius Kircher, è collegato al colore rosso fuoco.

La porpora è il colore vero della Stella Polare, è il colore stesso della trasformazione alchemica, si collega al raggio violetto della finale Trasformazione di Stato, del Passaggio da una forma all'altra, superiore, di vita. E la permette.

La statua della “liberalità” è dedicata alla memoria di Giulia Gaetani dell'Aquila di Aragona, moglie del quarto principe di Sansevero.

Nella mano sinistra la donna, ritratta con gli stilemi tipici della bellezza spirituale femminile, che non è una Via per il “passaggio di Stato” ma per realizzare la perfezione in ogni Stato, la Sapienza è un culto solare, mostra una cornucopia che versa oro e gioielli, e la cornucopia, lo abbiamo già visto, è il corno di Amaltea, e specifico simbolo solare, come la Dea delle Sementi era ritratta, nel Tempio romano, con questo simbolo, unione di temi solari (l'abbondanza, la crescita, etc. ) e figura lunare, la Donna.

Solo la Madonna non avrà mai iconografie sapienziali collegate alla sola dimensione lunare della imago femminile.

L'aquila, evidente simbolo legato alla tradizione familiare della Donna, è simmetrica alla cornucopia e richiama, nella simbologia tradizionale, l'Uccello di Apollo e, in relazione con la cornucopia, è connessa ad alcune immagini greche e egizie di Zeus, con il significato essoterico dell'unione tra il comando del Dio e la successiva e inevitabile abbondanza. Dietro a questa figura femminile, si intravede la facciata di una piramide, che deve essere connessa visivamente alle altre tre facce presenti nel Giogo Coniugale, nella Sincerità e nella Educazione.

La Piramide è la “Iside Terrestre”, l'unità della natura visibile con quella invisibile, ed è connessa nelle sue facce al Toro, al Leone, all' Aquila e all'Uomo. I quattro animali della Visione di Ezechiele, che sono pure i quattro elementi costitutivi del microcosmo e del macrocosmo, acqua, terra, aria e fuoco.

La Sincerità è dedicata alla moglie di Raimondo, Carlotta Caetani, e rappresenta una figura femminile, sempre secondo i canoni settecenteschi della “casta bellezza”, che tiene nella mano sinistra un cuore, non radiante e non iconograficamente sacralizzato, e in quella destra un caduceo. Il simbolismo di Mercurio è, insieme simbolo di pace e di sedazione delle liti, ed è strumento di conoscenza del cuore, se usato riguardo ai materiali dei sogni.

Al fondo si notano due colombe, insieme a un putto, con i due volatili che simboleggiano qui il passaggio alla albedo, il bianco candore del passaggio della materia alchemica alla pietra filosofale. Le colombe sono simbolo di “albedo” come il cigno, tema classico dell'iconografia esoterica settecentesca. Qui, peraltro, i passaggi della Materia, che poi diviene Spirito e infine Luce con il Cristo Velato, sono anche passaggi spirituali, momenti di una Via Crucis iniziatica che collega le varie “affezioni dell'anima” e Virtù tra di loro, in un ritmo ascendente.

L'Educazione rappresenta, secondo la tradizionale iconografia essoterica, una donna che istruisce un giovinetto, con una iscrizione al basamento che suona educatio et disciplina mores faciunt. La citazione è da Seneca, nel suo Liber de Moribus.

La donna intenta ad insegnare ad un bambino è tradizionalmente collegata all'Arcano n.8 dei Tarocchi, “La Giustizia”, e si avverte qui la tradizione iconografica delle innumerevoli immagini della Madonna che parla con il Figlio.

Il fanciullo tiene in mano il De Officiis di Cicerone, testo classico nell'epoca che oggi chiamiamo semplicemente “illuminista”.

Cicerone nel De Officiiis richiama Panezio, teorico della “Vita attiva” e della presenza costante dell'uomo dabbene nella vita politica e cittadina.

Nella piramide facciale sullo sfondo, alla sua cima, vi è un medaglione con i profili delle ave di Raimondo, posto quindi in un luogo significativo. E' “il corpo donde si parte”, per dirla con Leonardo da Vinci.

Lo Zelo della Religione mostra un vecchio che porta la Luce della Verità con una mano e con l'altra mostra la sferza per punire il sacrilegio. Il vecchio è la fine e l'inizio di un ciclo di vita, è figura della auctoritas legittima, ha sempre l'immagine del Profeta.

Le due donne mostrano una fervida devozione, e si tratta di donne, non uomini, di figure lunari che operano, per così dire, esotericamente “al coperto”, non nel quadro di un rito solare. Seguire la Religione dei luoghi è, molti lo hanno già detto parlando di questo gruppo scultoreo, una delle principali norme degli Statuti di Anderson diffusi nella Massoneria ormai “accettata” del Settecento.

Perché occorre accettare con zelo la Religione dei luoghi in cui ci si trova e si evolve la nostra formazione? Il motivo di ciò è che se questa Tradizione si è manifestata nel luogo determinato, ciò implica che, sul piano dello sviluppo della Iniziazione e del Progresso Sapienziale, ciò non poteva non accadere. Niente è inutile o esornativo nella ricerca della Via.

Nella statua che rappresenta la Soavità del Gioco Coniugale, si mostra un giogo piumato, evidente riferimento al piacere del matrimonio, e però occorre correlare questa immagine al serpente piumato, simbolo caldeo della personalità, lo Shiamash, che possiede il Terzo Occhio, mentre il giogo è un simbolo universale (lo yoga indiano è appunto un iugum) fedeltà alla Legge e alla Tradizione, scritta e non scritta.

Il costrutto marmoreo dedicato a Cecco di Sangro non ha soverchio bisogno di simboli e miti, poiché rappresenta un fatto realmente accaduto: Cecco era uno dei comandanti di Filippo II, che sgominò i nemici nascondendosi per due giorni dentro una cassa.

Qui il simbolismo è essoterico, il fatto d'arme storico, ad Amiens, e esoterico, poiché il Maestro-Cecco di Sangro si rinchiude volontariamente, come l'aspirante Maestro Massone, in una bara per poi uscirne fuori consacrato al Grado e, in questo caso specifico, eroe e vincitore dei nemici, che nel caso di Cecco sono esterni, non interni a lui. Famiglia e storia sono l'essoterismo di un cammino iniziatico, nella Cappella Sansevero, che è anche ricostruzione della Massoneria speculativa tradizionale e della sua ripetizione “illuminata” del Cattolicesimo.

Cecco è ritratto nell'atto di uscire dalla cassa con due ippogrifi ai lati. L'ippogrifo simbolicamente riunisce le qualità dell'aquila e del Icone, forza e saggezza, ed è la cavalcatura di Atlante, l'uomo o la montagna di pietra.

Vi è anche un guerriero, nel gruppo marmoreo, che brandisce la spada, un riferimento, secondo le tradizioni interpretative della Cappella, al Guardiano del Tempio Massonico che, durante i lavori, da mezzogiorno a mezzanotte, tiene sguainata la spada per evitare ai profani l'entrata nell'Officina.

E' vero, ma il guardiano è anche la figurazione delle antiche immagini sepolcrali nelle quali un guardiano armato protegge il passaggio del Corpo ad un altro Stato dell'Essere.

Il riferimento del monumento a Cecco di Sangro è anche, secondo Benedetto Croce, alla vulgata che voleva Raimondo di Sangro, mago e alchimista notorio, lo abbiamo visto, poco prima della morte si fece rinchiudere in una cassa a pezzi, per poi uscire “vivo e sano” ad un momento ben preciso. Ma la famiglia aprì il casello prima del tempo, e Raimondo sopravvisse solo pochi attimi alla sua “resurrezione” alchemica, alla sua albedo lucente del corpo, che prefigura quella dell'anima unita alla Luce Originaria.

Il monumento a Giovan Francesco di Sangro, terzo principe di Sansevero morto, nel pieno degli anni, durante una missione militare in Africa. L'eroico antenato morì in scomunica, è bene notarlo.

Al comando della flotta napoletana, prese Tunisi nel 15758. Fu scomunicato perchè non voleva pagare alla Chiesa alcuni censi relativi ai suoi terreni, che erano anticamente liberi dai doveri ecclesiastici. Scomunicato e, suo malgrado, malgrado abbia fondato la Cappella Sansevero, nemico dei diritti storici dei Vescovati locali. Un riferimento alla Chiesa francescana, nei Di Sangro? Probabile.

Il Monumento a Paolo di Sangro è solo un ritratto, ma riguarda un avo che fu insignito, per i suoi meriti amministrativi, del Toson d'Oro, e del titolo di Granduca di Spagna. E' il nonno di Raimondo, ma certamente un Iniziato.

La via per il Vello d'oro, la “via umida” è simbolo della Via Brevis dell'Iniziato, un “viaggio” di eccelsa cavalleria con l'immagine di San Giorgio che combatte il drago all'ombra di una palma.

Occidente in Oriente, il Cavaliere come Iniziato che combatte in Oriente per il Vello d'oro, dall'evidente simbolismo.

Sant'Oderisio, altra figura monumentalizzata nella Cappella, è un antenato dei Di Sangro, morto in santità nell'Abbazia di Montecassino poco dopo l'anno Mille. Fu definito da Pietro Diacono studiosus, studiosissime.

Gli altri eredi del casato hanno monumenti bellissimi ma scarsamente rilevanti sul piano della simbologia occulta, mentre Santa Rosalia, anch'Ella una Di Sangro, in quanto figlia di Sinibaldo dei conti dei Marsi e di Sangro.

Discendente di Carlo Magno, la Santa di Palermo si rifuta ad un matrimonio con un nobile, e si ritira, tra le prime sante a meditare in un romitaggio, in una grotta sul monte Pellegrino, lontana anche dai già molti fedeli che chiedono miracoli e benedizioni.Viene trovata morta dai pellegrini il 4 settembre del 1165.

La Santa, dopo la sua dipartita terrena, apparve poi a un povero saponaro, durante la “peste nera” arrivata dalla Barberia, dall'attuale Tunisia, terra di eroismi dei Di Sangro poco apprezzati dalla Chiesa. Il saponaro viene trattenuto dal suicidio, che pensava di commettere lanciandosi dall'Addaura, dall'apparizione di Santa Rosalia, che gli indica il luogo della Sua morte.

Una Santa che parla di una conversione dello spirito durante la peste nera di Palermo, che cessa proprio con la sua apparizione al povero saponaro in vena di suicidio. Era evidentemente una antenata, non solo carnale, di Raimondo, settimo Principe di Sangro.

 

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