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Nel Genesi la creazione è una successione di parole pronunciate da Dio.

Nel primo capitolo, relativo alla cosmogenesi e all'origine dell'uomo la potenza creatrice appare nell'espressione "Dio disse" che ricorre dieci volte.

"Nel Sepher Yetzirah l'atto di creazione è analogamente rappresentato come un parlare di Dio, sopra il vuoto e l'informe, che in forza delle serie di parole creatrici pronunciate, diviene realtà di cosmos-ordine. La Parola di Dio scende sull'abisso carica di una potenza trasformante, e, nel momento in cui lo tocca, suscita il discriminato dallo indiscriminato, costituendosi, per ciò stesso, in radicale ontologico, in seme essenziale dei singoli ordini di realtà" (A. Di Noia, op. cit. pag 64)

Nel Sepher Yetzirah oltre alla Parola, voce di Dio che ordina il caos e crea il cosmo, troviamo anche l'attribuzione di un valore alle lettere dell'alfabeto che non sono solo "dette", ma "scritte", "incise", "scolpite" e che "divengono i semi di nuove realtà concrete nella loro doppia manifestazione di segni grafici e di fonemi" (A. Di Noia, op. cit. pag 68).

Al riguardo vale la pena di ricordare quanto già l'autore ha avuto modo di illustrare ponendo nelle varie combinazioni di un gruppo fonetico fondamentale, rappresentato dal nome YHVH, il "radicale genetico" dello spazio.

L'ideologia del linguaggio cioè l'assunzione della parola a mezzo dì creazione può diventare una ragione sufficiente dello studio di questo antichissimo testo, e ciò in modo particolare da parte di chi, sotto la guida formativa ed insostituibile di una ritualità è impegnato nella ricerca di "parole perdute", alle quali si può riconoscere valore costitutivo nella conoscenza del sacro.

A parte altre considerazioni non dobbiamo dimenticare che ai riti, alla rappresentazione dei miti, alla ripetitività dei cerimoniali, si attribuisce un potere trasformante in virtù dell’energia che è nelle parole e che vengono lette e recitate allo scopo di staccare l'uditorio, riverente ed attento, dal tempo presente e per ricreare condizioni astoriche, incondizionate, liberatrici che fanno trascendere lo stato profano per raggiungere livelli superiori di conoscenza.

Concepire gli elementi fonetici utilizzati per la composizione delle parole come segni carichi di valore simbolico e di portata metafisica, non dovrebbe essere difficile in una Istituzione o in una Scuola che è disseminata, di parole "sacre" e di "passo" che, non a caso, mutano al mutare dei gradi cioè al mutare di condizioni iniziatiche particolari.

C'è quindi da pensare che tali parole, acquisite certe condizioni, perdono il loro valore letterale e si caricano di un significato trascendente, e ciò in quanto le lettere che le compongono contengono in sé qualcosa che è come un seme potenziale e/o metafisico.

Ciò premesso vien fatto di riflettere che l'Uomo si distingue da tutti gli altri esseri che lo circondano perché ha l'uso della Parola ma - come direbbe Qoheleth - anche questo è vanità perché proprio di ciò che lo costituisce Uomo conosce tanto poco quanto nulla e questo molto probabilmente perché la radice del linguaggio non appartiene al mondo del sapere saputo, trasmettibile e dimostrabile.

Qual'è veramente l'origine della Parola?

Secondo il Genesi (cap XI) dopo che per circa due millenni si è parlato nel mondo un'unica lingua insegnata da Dio, per punire la protervia dell'uomo manifestata nella costruzione della torre di Babele, Dio stesso provocò la confusione delle lingue.

In verità gli studiosi che hanno cercato di penetrare questo mistero, con le loro tesi, non sono andati più in là delle pure congetture.

Infatti l'origine del linguaggio ora è stata individuata in una convenzione dovuta ad uomini sapienti e potenti che assegnarono a questo o quel vocabolo un determinato significato, ora nella natura stessa dell'uomo che ha formato il linguaggio sotto la spinta dei suoi bisogni (Vico). Oppure, approdando alle concezione dei filosofi moderni, il linguaggio diventa l'espressione o l'intuizione del sentimento e della soggettività (Croce), o il pensiero, la logicità l'universalità (Gentile).

Certamente non è nelle nostre capacità trovare la soluzione, tuttavia, sia pure solo come ipotesi di lavoro e di meditazione, ci vien fatto di riflettere che forse dovremmo accettare i suggerimenti del Sepher Yetzirah, e quindi dovremmo pensare all'alfabeto come ad una teofania, o alle lettere come ad archetipi creatori o come all'idea la cui realtà è espressa dalla parola, o come a segni carichi di valore simbolico.

A questo punto le lettere, assunte nella loro portata metafisica e viste come gli equivalenti degli elementi che formano il cosmo, forse ci aiuteranno a realizzare qualche punto di contatto con la realtà diversa che presiede alla loro formazione.

 

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