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L'essere è molteplicità intelligibile e alterità di soggetto e oggetto: il pensiero è identico al pensato, ma non si annulla nel pensato, poiché rimane pur sempre pensiero discriminante. L'Essere è ciò che è eternamente, è Necessità e Obbiettività prima. L'anima, giunta alla visione dell'essere, ha conquistato la libertà dalle apparenze fenomeniche vincendone il fascino magico, ha riconquistato nell'Essere l'essere proprio, ma non ha attinto ancora l'Assoluto, che è Unità e Libertà al di sopra del molteplice e del necessario....

 

Il documento che presentiamo, ai nostri Ospiti, per studio e considerazioni è tratto da "Plotino"Grazanti 1945.

L'Esperienza Mistica

L'essere è molteplicità intelligibile e alterità di soggetto e oggetto: il pensiero è identico al pensato, ma non si annulla nel pensato, poiché rimane pur sempre pensiero discriminante. L'Essere è ciò che è eternamente, è Necessità e Obbiettività prima. L'anima, giunta alla visione dell'essere, ha conquistato la libertà dalle apparenze fenomeniche vincendone il fascino magico, ha riconquistato nell'Essere l'essere proprio, ma non ha attinto ancora l'Assoluto, che è Unità e Libertà al di sopra del molteplice e del necessario. Il pensiero stesso, che pur compie la sua funzione in seno alle articolazioni ideali dell'Essere e dovrebbe perciò esaurire qui il suo compito e le sue esigenze senza aspirare ad altro al di sopra di sé, constata in sé una tensione all'Unità assoluta quale mèta suprema di ogni desiderio. Malgrado la funzione iniziatrice solennemente riconosciuta al pensiero, la metafisica plotiniana segna il trionfo dell'Ineffabile e del sentimento. É vero che l'Uno è anche il fondamentale postulato del pensiero e la condizione assoluta dello spirito, e ciò è sufficiente a impostarlo legittimamente in un sistema di pensiero; ma è altrettanto vero che il pensiero, ove si impegni a definirlo in qualche modo, è destinato a sfociare in un Nulla innominabile. E infatti l'Uno non è né puro oggetto, né puro soggetto, poiché l'uno rimanda all'altro in un'alterità insuperabile: non è la pura coscienzialità dell'anima, che rimane dopo la rimozione di qualsiasi contenuto sensibile e intelligibile, ché, in tal caso, chiunque e in qualsiasi momento potrebbe con un semplice sforzo di astrazione, senza iniziazioni logiche o morali o artistiche, realizzare l'esperienza suprema; e nemmeno è Oggetto determinabile, poiché ogni determinazione logica delimita e nel delimitare pone l'Oggetto fuori del soggetto, contraddicendo così allo stesso pensiero che esige l'onnipresenza vivente del Divino.
L'esigenza dell'Uno, per il pensiero effettivamente sempre congiunto con una molteplicità, rimarrebbe una vuota astrazione, se una peculiarissima esperienza interiore non ne fosse in qualche modo una vitale conferma. L'esperienza del Divino o del Numinoso è «senso di presenza», di gaudio interiore, di libertà perfetta e di assoluta unità con se stessi, è un raptus ineffabile che vibra di una sua inesprimibile tonalità affettiva; né il pensiero può darne l'equivalente logico in concetti, né la parola descriverla. Perciò Plotino non tenta nemmeno di ricostruirla con immagini suggestive, ma si richiama sempre all'esperienza dei singoli, riconoscendo così implicitamente l'universalità umana di questo universalissimo atto spirituale. Che il pensiero tratti di Dio come del suo oggetto supremo e lo «pensi» con l'estrema tensione del suo intuito è un dovere logico, ma non è ancora la realizzazione piena del nostro spirito; un dio pensato non è il Dio vivente, ma la contraddizione alle esigenze stesse del pensiero che concepisce l'Uno come il Liberatore delle anime, che, vivendo in esse, non le rende contemplatrici di una libertà estrinseca (che non è libertà) ma capaci di affermare se stesse in divina libertà.
Il metafisico intellettualista potrebbe obbiettare che Dio non è oggetto di scienza, cioè di esperienza, ma della metafisica, vale a dire del puro pensiero metempirico; ma ciò, oltre a negare arbitrariamente una potenza psichica superiore, contraddirebbe aile esplicite dichiarazioni di tanti mistici, da Lao-Tse e Chuang-Tse a Giovanni della Croce, dai Brahmani ai Sûfi arabi, da Agostino a Meister Eckhart, che rivelano, anche in questa personalissima esperienza, l'universalità dello spirito umano.
Ma l'affettività come tale non può interpretare se stessa,così come il pensiero non può attingere la Vita divina nella sua attuosità: finché il mistico vive la sua mistica esperienza, non ha bisogno di alcuna giustificazione razionale poiché egli è in possesso di una certezza assoluta; soltanto quando l'attimo sacro sia trascorso, il pensiero sente la necessità di ripensarlo in funzione di una dottrina organica e di ricostruirlo come Valore riscattandolo così dalla sua naturalità immediata; esso costruisce perciò quella teoria dell'Uno ineffabile, che, se da un lato esprime il fondamentale postulato dell'intelligenza e della volontà, rischia dall'altro di rimanere vuota formula ove non si realizzi in un atto di vita. Il sentimento mistico ritrova nel pensiero il suo riconoscimento razionale che lo sa discriminare da ogni altra affettività aspirituale; e il pensiero trova nell'unione estatica la sua vitale conferma, cessando così di tormentarsi in una perenne alterità logica. Ciò non toglie che il raptus mistico rimanga pur sempre nel suo profondo un «irrazionale», un «tutto altro», che, malgrado la brama chiarificatrice della mente, si interpreta solo con se stesso.
Ma l'impostazione che tale abissale esperienza ottiene in Plotino ci impedisce di vedere nel suo misticismo un precorrimento della teologia irrazionalistica di un Otto o di un Barth. L'Uno, per Plotino, è al di sopra del Noûs, ma è fonte del Noûs e della Razionalità del cosmo; chi desidera giungere al sommo della Vita infinita non deve abbandonarsi ai ciechi casi, alle emozioni quotidiane, all'irregolare vicenda degli impulsi e dei sentimenti, ma disciplinare la sua passionalità per assurgere a una purezza morale che è anche conoscenza intuitiva della eterna razionalità e dell'essere proprio. Al culmine di questa ascesa intellettuale e morale l'esperienza mistica non è dunque l'«absurdum» che sfida ogni nostra convinzione etica o razionale, ma è Valore dei valori, consacrazione suprema del nostro processo catartico e dialettico.
In questa notte mistica l'uomo si perde; la sua individualità svanisce nell'Unità infinita che non ha confini nel pensiero né rapporti con l'essere; l'anima raggiunge in se stessa il centro luminoso della vita, la fonte della sua esistenza. Qui tace ogni rumore mondano, qui la tenebrosa Potenza generatrice vive se stessa e si rispecchia negli infiniti nuclei di vita che da lei sono scaturiti e che in lei ritornano. Il dolore, che è retaggio di tutto ciò che, emergendo dall'infinito, assume un nome e una forma, non ha più senso. Qui tace il desiderio che ha raggiunto il bene; qui il pensiero, che è desiderio, ha ritrovato la sua sorgente prima, ha ritrovato l'Uno, non già come oggetto di una tormentata intuizione, condannata ad arrestarsi sempre di fronte a una sua costruzione inadeguata, ma l'Uno in se stesso.
Se l'estasi non avviene per nessuno speciale intervento divino, ma per le stesse forze spirituali, naturalmente immanenti all'anima, ne consegue ancora che all'Uno si può giungere già in questa vita terrena e che l'unione estatica non è privilegio di un al di là. Il mistico infatti non si preoccupa tanto di una vita spirituale perfetta che si compia dopo la morte, quanto invece della stessa vita terrena, poiché la corporeità che accompagna l'anima non menoma affatto la sua potenza spirituale né ritarda il compimento del suo destino superiore. Una divisione in «al di qua» e «al di là» non ha senso per Plotino, o, per lo meno, non ha quell'importanza che, agli effetti della vita morale-religiosa, possiede invece nella mistica ortodossa cristiana e specialmente nell'antiplatonico Tommaso. Che Plotino affermi l'immortalità dell'anima e la possibilità, per lei, di raggiungere un'assoluta immateriale purezza, è ovvio ricordare; perciò è naturale che egli distingua tra l'esperienza mistica di quaggiù, ove essa costituisce soltanto una breve fase, dall'unione definitiva che riempie di sé tutta l'eternità. Ma non si tratta, com'è chiaro, che di una differenza quantitativa: l'eternità non è separata dicotomicamente dal tempo e non appartiene affatto a un mondo inesorabilmente negato all'anima, ma è la realtà vera dell'anima, e può quindi essere instaurata nella sua vita stessa; la morte del singolo non è la chiusura ineluttabile di un destino, dopo cui non sia più possibile rinnovare il processo della redenzione, ma è un momento o un episodio in una vicenda che comprende più vite e più morti, al quale si può guardare senza terrore perché non segna una decisione irrevocabile; la nascita, a sua volta, non è l'entrata in un mondo già condannato, per un'orribile colpa, ad essere un breve esilio e a rimanere lontano dall'immediato contatto con Dio, ma è una fase della vita del cosmo, in cui l'anima non anela invano a un Bene irraggiungibile, ma lo raggiunge in se stessa, perché nessuna colpa originale ha scavato tra lei e il Padre un abisso umanamente incolmabile. La distinzione tra «naturale» e «soprannaturale» si può dire che esista anche in Plotino, ma non esige se non l'opera dell'anima a compierne la sutura. Ecco perché i mistici cristiani attingeranno copiosamente alle Enneadi come a un libro di vita, ma senza ricordarne l'autore: il misticismo plotiniano era troppo umanistico e pericoloso, in quanto deviava lo spirito, dalla concezione imperniata sul valore della grazia e della mediazione del Cristo, verso una religiosità schiettamente speculativa.
Quando l'Uno sia stato raggiunto e goduto quaggiù, l'anima non vi rimane assorta per sempre, ma ritorna ancora a vivere tra i suoi simili portando con sé il senso del Divino e il perenne eroico distacco da ogni bene inferiore, la beata Gelassenheit: ché non può l'unione estatica con l'Uno non rinnovare dal profondo tutta una vita e non dare alle cose più insignificanti un sapore divino. Il mondo non svanisce, ma viene trasfigurato; il Divino non sopraffà l'umano sino ad annientarlo, come nel misticismo orientale, ma si instaura nell'umano. Difatti il processo della generazione ipostatica non è illusorio ma reale; i piani della vita spirituale non possono svanire come ombre vane, perché sono oggettivissimi, possono bensì riconquistare nell'anima e per l'anima una loro più armonica compresenza, perché vissuti nel contatto dell'Uno. Così avviene che il mistico, dopo l'unione suprema, riacquisti massimamente potenziata la propria personalità e viva il molteplice non più come dispersione fatale, ma come raccolto e incentrato nell'anima che ha ritrovato l'intima unità con se stessa. Solo a questa condizione sono possibili le azioni veramente morali, le opere che rinnovano spiritualmente l'umanità, l'attività saggia dei politici che realizza una sempre più vasta solidarietà sociale. I valori dello spirito non sono possibili se non per l'anima coerente con se stessa, per quella che attingendo la sorgente prima della vita universale e sua propria si è ricongiunta alla sua natura schietta e pura, al suo essere originario e libero, alla «coscienza profonda» di cui parleranno il Rousseau e l'Hölderlin, fuori di ogni aggiunta estranea e profanatrice. L'Uno infatti non è né il Vero né il Bello, ma è la fonte prima del Vero e del Bello; il Bene li condiziona entrambi. Perciò chi abbia instaurato in se stesso l'unità divina ha in sé la condizione assoluta per poter intuire l'universo sub specie aeternitatis, vale a dire la verità e la bellezza di ogni cosa, e per rimanere tra gli uomini senza odio e senza amore, con cuore puro e sereno. Il processo dialettico dell'ascesa era conquista, liberazione e purificazione, ma non si prolungava in un tormento indefinito verso una mèta irraggiungibile in questa vita, poiché l'anima non è processo rettilineo, inteso a perseguire fuori di sé un Essere inattingibile, ma è circolarità che si conchiude in se stessa e nel suo ciclo compiuto attinge se stessa e in sé l'Assoluto.
Come l'Uno è attività assoluta che opera senza possedere i suoi prodotti, in piena gioiosa libertà, così l'anima, che ha raggiunto il suo centro ed ha instaurato in sé il Divino, agisce con perfetto distacco dalle cose esteriori. Essa è ormai libera dal fascino delle cose e dagli affetti terreni, non si lega ad amori e a vincoli umani, ma non per questo è inoperosa e inerte. La sua vera vita è il bios theoreticós; ma anche il suo theorein, come quello delle eterne ipostasi, è un «fare» che non è estrinsecazione e dispersione del principio generante. Niente di più inesatto perciò il credere che il misticismo plotiniano, in quanto esalta la vita contemplativa sopra il tumulto delle passioni e della smania di possesso, voglia dire quietismo e atonia spirituale. La vita del mistico che ha ritrovato in se stesso il Divino non deve essere concepita come perenne visione estatica. Il momento sacro dell'unione suprema, benché possibile quaggiù e spiritualmente necessario, non è che un raro istante che interviene, nei momenti di grazia, a elevare nuovamente l'esistenza alle sorgenti stesse della spiritualità e a ridonarle quel senso divino, eroico e puro, che minaccia di assopirsi e di dissolversi tra i rumori e gli odi della vita quotidiana. La vita dell'uomo comune è ritmo di cadute e di rinascite, è oscillamento che non ha mai pace; la vita dell'uomo superiore è anch'essa ritmo, ma di momenti ognora pervasi dalla presenza dell'unità interiore: ora è la comunione mistica che rapisce l'anima sino alle vette dell'Inesprimibile, ove la perfezione della forma è ciò che non ha più forma: e questa è la divina tregua dell'esistenza che non sa né il conoscere né l'operare; ed ora è la comunione con gli uomini, cui l'anima offre, con disinteressata benevolenza, i frutti della sua umanità rinata.
Se poi guardiamo all'unione estatica, dobbiamo chiederci se il misticismo plotiniano conduca a una posizione di panteismo. Considerata in se stessa come atto di vita, l'estasi mistica non è se non contatto immediato (prosbolé) di cui nessuna parola e nessun concetto possono rendere l'equivalente logico, e perciò non può costituire la base positiva a una dottrina panteistica. Se di panteismo si può parlare, dobbiamo cercarlo nell'interpretazione che il pensiero escogita dell'esperienza mistica; ora, non mancano in Plotino i termini che possono far pensare a un vero e proprio panteismo. E difatti, se quell'esperienza è interpretata come assoluta unità dell'anima con se stessa e come assoluta assenza di alterità di soggetto e oggetto, è naturale che in quell'attimo sacro l'anima e l'Uno non costituiscano una dualità, ma una inequivocabile identità. Al culmine della vita spirituale si compie il prodigio, che è anche la più grande sfida al pensiero discriminante e un'insolubile antinomia. E difatti l'estasi (ecstasis), se da un lato dev'essere intesa come la suprema interiorità del soggetto, dall'altro ci appare come assoluto superamento della soggettività e come annientamento dell'io personale. Sta il fatto che in Plotino l'anima non è l'Uno eppure vive nell'Uno e può ritornare ad esso. La teoria delle ipostasi è tutt'altro che panteistica, ma la particolare dottrina che afferma l'immanenza del generato nel generante sembra fatta apposta per suggerire pericolosi motivi di panteismo: è ciò che avverrà del misticismo speculativo di Meister Eckhart e della sua dottrina della «scintilla dell'anima».
Di fronte ai culti misterici, alle pratiche teurgiche, ai riti orientali, la religione plotiniana è l'espressione del più spirituale equilibrio intellettuale e morale: con quelli non conosce compromessi; e se ad essi talora ricorre e sembra indulgere al loro valore religioso, si tratta soltanto di un riferimento superficiale che, nell'atto stesso in cui li include nel sistema, li svuota del loro effettivo significato per trasformarli in simboli ed immagini di una concezione più razionale della Vita. Lo sforzo immane compiuto da Plotino consiste nell'aver voluto conciliare insieme la ragione e l'esperienza mistica, la dialettica e l'Ineffabile. Altre anime, assetate, come la sua, di sapere e di divino oblio, riscopriranno in lui, fuori delle religioni storiche e dei dogmi e dei riti esteriori, l'espressione di una religiosità pura in cui si ritrovino gli uomini migliori, lo scienziato non meno del poeta, il politico non meno dell'artista. La sua è la religione degli eletti che nell'intuizione dell'Unità universale colgono il frutto migliore delle loro umane possibilità.

 

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