Il tuo browser non supporta il tag embed per questo motivo non senti alcuna musica

Le indagini plotiniane sull'arte continuano la più pura tradizione ellenica e ricordano Platone e Aristotele, Fidia e Prassitele, Pindaro e Sofocle, ma acquistano, in funzione del suo sistema, un valore originale e una suggestione incomparabile. Il suo fondamentale problema è quello della Bellezza, obiettivamente intesa: scarsissimi accenni, se non è silenzio, sulle questioni della forma, dello stile, dell'espressione, della genialità creatrice, dell'arte come vera opera dell'uomo. Per lui, come per lo Schopenhauer, l'arte è assoluta obbiettività...

Il documento che presentiamo, ai nostri Ospiti, per studio e considerazioni è tratto da "Plotino" Grazanti 1945.

La Bellezza che redime

Le indagini plotiniane sull'arte continuano la più pura tradizione ellenica e ricordano Platone e Aristotele, Fidia e Prassitele, Pindaro e Sofocle, ma acquistano, in funzione del suo sistema, un valore originale e una suggestione incomparabile. Il suo fondamentale problema è quello della Bellezza, obiettivamente intesa: scarsissimi accenni, se non è silenzio, sulle questioni della forma, dello stile, dell'espressione, della genialità creatrice, dell'arte come vera opera dell'uomo. Per lui, come per lo Schopenhauer, l'arte è assoluta obbiettività. Il Bello è l'Idea, scevra di ogni elemento sensibile e oggetto di intuizione pura; e poiché l'Idea è l'Essere, la Bellezza è l'essere vero delle cose, al quale ognuno tende come all'intimo senso della sua vita.
Da queste dogmatiche premesse è facile dedurre gli attributi essenziali del Bello: poiché esso è puro valore intelligibile, non può essere un fatto fisico, né attributo di un fatto fisico, come la simmetria, il colore o la proporzione, secondo quanto pensavano gli Stoici. Il Bello è idealità; e poiché l'idea è riflesso dell'Uno e perciò una in se stessa, il Bello è unità; in quanto è oggetto di un pensiero che abbia superato la sfera dell'accidentale e del particolare, esso è Universale che non soggiace ai capricci dell'opinione e della fantasia del singolo; in quanto s'impone ad ogni mente che abbia saputo trascendere le vicende del fenomenico e del contingente, esso è Necessità, poiché l'Essere è necessario. Il Bello, esaminato così nel suo intrinseco significato, si risolve integralmente nel Vero.
Ma l'anima vive e pensa nello Spirito, al quale è affine: perciò il Bello è ciò che ha diretto rapporto con l'anima, non con la materia. L'anima, per ritrovare il Bello, non deve uscire fuori di sé, ma ritornare a se stessa per ritrovare nel suo intimo l'assoluta conoscenza dell'esser suo e l'accordo pieno con la sua natura: perciò la bellezza vuol dire per l'anima ricongiungimento con se stessa e possesso della propria libertà. Per lei, essa non è dunque una qualità estrinseca e contingente che possa indifferentemente aderirvi o no, ma è reale fine della sua esistenza e il suo migliore destino. Non così avviene delle cose sensibili che non hanno un'anima e che rivelano agli occhi corporei una bellezza visibile e destinata a morire; in esse la bellezza è partecipazione transeunte di un'idea o di un logos, non intimo possesso di sé; è immagine fugace, non essere vero; è qualità, non sostanza. Per conseguenza, il brutto, preso in se stesso, è non-essere e assoluta negatività, come la materia e il male; esso non esiste nel mondo noetico che è bellezza pura; nell'anima è discordanza interiore con se stessa, angoscia e passionalità impura, momento di un ritmo dialettico che tende al Bello in un perenne superamento del brutto; nelle cose visibili è qualità spiacevole mista ad altre qualità, mancanza di ordine, disarmonia che contrasta dolorosamente col nostro profondo desiderio di unità.
Sembra che, data una simile concezione del Bello, non debba esserci nessuna differenza tra l'arte e la filosofia; l'arte esaurirebbe il suo compito in una silenziosa visione dell'Idea, non meno del pensatore che, disdegnando la realtà fenomenica, intuisce nella trasparente regione dell'Intelligibile l'unità degli esseri eterni. Ma l'arte non si presenta storicamente come tale se non come prodotto esteriore individuato in determinati colori e forme, in suoni e parole, in marmi e linee architettoniche. Perciò, se il Bello è quello che abbiamo esaminato, che valore si deve riconoscere alle espressioni esterne che caratterizzano l'arte di fronte alla conoscenza filosofica? Se esse sono essenziali, il Bello non si deve più concepire come Idea; se sono accidentali ed estrinseche, non se ne comprende la portata e la necessità. Nella soluzione di questi problemi consiste la suggestiva profondità dell'Estetica plotiniana. Però una cosa è soprattutto inequivocabile nell'idealismo di Plotino: l'arte è intuizione dell'Idea.
Ora, perché l'anima possa intuire l'Idea, è necessario che essa sia a contatto con lo Spirito mediante la sua parte superiore e inerisca eternamente ad esso: questa è la condizione trascendentale dell'arte. In altri termini, è necessario che l'anima sia capace di pura contemplazione e di libertà e sappia superare ogni motivo ed interesse pratico. L'artista perciò non è un uomo comune, ma, pur non essendo un essere anormale o eccezionale, è però uno dei pochi rivelatori nei quali l'umanità riconosce se stessa; egli non copia le cose particolari che ogni uomo può vedere - come sembra pensasse Platone -; e nemmeno ciò che nelle case e negli avvenimenti v'è di verosimile e necessario, come opinava Aristotele. Egli intuisce l'Idea che non si mesce alla materia e rimane pura al di là del sensibile. Né si può dire perciò ch'egli crei: l'arte è rivelazione dell'Essere e dell'assoluta Obbiettività, non capriccio individuale o prodotto della fantasia, che è soggettiva, arbitraria, personale: essa è intuizione intellettuale e idealità pura che tende a dissolvere completamente in se stessa la sorda pesantezza della materia.
E poi, sappiamo che non l'anima genera lo Spirito, ma lo Spirito genera l'anima, e l'anima genera la corporeità e le sensazioni che sono suoi atti: l'artista non crea dunque l'Idea, ma le sue espressioni visibili, e produce queste contemplando quella. Anche nell'artista come nella natura la theoria è poiesis; e come l'Anima dell'universo, l'artista crea «senza riflessione», per quell'intima necessità che fa dell'Uno il Principio di tutti gli esseri e del mondo tutto un grandioso processo di automanifestazione. Il creare dell'artista è fatale come la generazione divina, se per creazione s'intenda non l'intuizione di ciò che l'intelletto umano deve comprendere, ma l'espressione di sé in immagini concrete, in parole e in ritmi sensibili, in colori e in marmi. Perciò l'Idea estetica, in quanto opera dell'arte, si distingue nettamente dall'idea filosofica e dalla percezione empirica, perché è sintesi di universale e di particolare, di sensibile e di sovrasensibile, non meno di un essere vivente: l'idea filosofica è il puro universale, oggetto di una comprensione tutta interiore; la percezione è la mera esteriorità percepita, è il dato insignificante di una constatazione senza anima.
L'immagine creata dall'artista, se da un lato condivide le caratteristiche della percezione empirica, se ne distingue però come organismo vivo da cosa morta; essa non si rinchiude miseramente in se stessa, ma rimanda ad altro, suggerisce e annuncia l'Universale - aistesis ággelos. Ma poiché l'Universale, l'Idea, è interiore all'anima ed è, anzi, il suo essere vero, a cui l'anima guardando conosce se stessa, l'espressione, che è necessariamente esteriore e fenomenica, compie la funzione iniziatrice di ricondurre l'anima a se stessa. Chi contempla un'opera d'arte esce solo momentaneamente da sé per ritornare a se stesso e contemplare e conoscere la sua vera, originaria natura spirituale, le eterne «Madri» del cosmo, l'assoluto stesso delle cose. L'opera d'arte trova il suo compimento nell'anima e per l'anima, in una visione tutta interiore; l'espressione esterna è semplicemente un segno, un'occasione mediatrice dell'anima con se stessa. La percezione che nella discesa è un ultimo, diventa un primo per l'ascesa a chi sappia comprenderla. Comincia così nello spirito e per lo spirito il mondo dei valori che, fuori di esso, sono soltanto discese, apparenze, realtà inferiori, ma che in esso sono valori, poiché esso valuta, cioè pone quelle cose e quelle immagini in relazione con l'Idea che è presente solo nel pensiero. Soltanto nello spirito il sensibile può assolvere il compito di suggerire l'Ideale e di ricondurci ad esso, di compiere cioè la sua unica giustificabile funzione, quella redentrice.
L'arte che Plotino esalta è dunque la scultura di Fidia e di Prassitele, tutta compiuta in se stessa e armonicamente racchiusa dentro una linea immobile, sufficiente a se stessa? É una bellezza beata di sé e che non sembra suggerire nostalgie per un mondo più caro di quello che l'occhio estasiato contempla? Oppure quell'arte divinamente serena doveva deludere la sua anima assetata di pura idealità e di trascendenza e sdegnosa di soste terrene? Avrebbe egli compreso le tele di Van Gogh, in cui il colore irrompe per varcare i limiti dell'esprimibile? Egli cita Fidia e pare che non presagisca un'arte diversa dalla sua; eppure l'arte che egli preconizzava forse non era questa. La sua visione metafisica dell'Universo, che imposta il sensibile in modo originalmente dialettico e dinamico, non consente un'arte di «pura visibilità» compiuta e chiusa in una sua formale perfezione.
L'espressione dev'essere suggestione e simbolo e vale solo se ispiri un'altra realtà tutta interiore, fatta di levità immateriale e purissima. É facile chiedersi ora quale rapporto analogico intercorra tra un'immagine concreta e corpulenta, e l'Idea, incorporea e invisibile, che quella dovrebbe suggerire. Affermare che la cosa è assai comprensibile quando si pensi che l'immagine, ad es. di uomo, artisticamente espressa, suggerisca il concetto universale di uomo, mi sembra interpretazione banale, indegna della profonda dottrina plotiniana. Quando egli dice che «il fuoco è bello perché splende simile a un'Idea», noi comprendiamo che l'espressione artistica, per esser tale, deve essere non l'analogo concettuale dell'Idea, ma un analogo ineffabile, fatto di assonanze e somiglianze prodigiose, che solo i puri riconoscono. Si guardi infatti alle immagini a cui Plotino ricorre per far intuire le profondità della Vita inaccessibile e infinita e che compiono una genuina funzione artistica (cioè iniziatrice e rivelatrice) nei suoi trattati: la pianta, il sole, la fonte, il calice che trabocca, la stella della sera. Quale rapporto logicamente determinabile si può trovare tra la luce e il Bene? Eppure la nostra mente intuisce la loro segreta affinità: una sola Vita spirituale si estende dall'Uno al molteplice riverberando in modo misterioso la realtà intelligibile dell'Idea in un certo colore o in un certo motivo musicale. Perché così avvenga ci è ignoto, ma che sia così ce lo rivelano i genii creatori che sanno intuire l'ineffabile parentela del Cielo e della terra, dell'Invisibile e del visibile, di un'anima pura e dell'espressione del suo viso.
La classicità, come determinata esperienza artistica, ha ormai chiuso il suo ciclo; Plotino ne raccoglie l'eredità e la trasmette, trasfigurata dalle esigenze del suo pensiero, ad altre anime affini alla sua, sitibonde di un'altra realtà al di là delle forme tradizionali. Eppure, l'estetica plotiniana, malgrado i suoi elementi preromantici, è dominata da una profonda esigenza di equilibrio e di razionalità obiettiva: la funzione dell'espressione può essere interpretata romanticamente e suggerire, forse anche, la dottrina schlegeliana dell'«ironia»; ma ad impedire una decisa interpretazione romantica dell'estetica plotiniana giova ricordare che ad essa manca la concezione del genio, creatore del suo mondo, le manca l'inequivocabile valutazione della fantasia e della soggettività. Il Romanticismo potrebb'essere tutt'al più una prefazione alla teoria plotiniana, non viceversa; ed è forse per questo se i romantici, irrequieti e sentimentali, cercheranno in Plotino la visione di un mondo ideale obbiettivo - il loro paradiso perduto - che plachi il dèmone che li turba.
Se in Plotino l'espressione non è l'intuizione stessa, ma ciò che rende possibile un'intuizione intellettuale tutta interiore, è naturale che il problema della forma, benché non esaminato espressamente, esista implicitamente nell'estetica plotiniana. É vero che nell'opera d'arte l'essenziale è l'Idea; che nessuna espressione può essere l'equivalente sensibile dell'idea; e che perciò qualsiasi tecnica - necessariamente individuata e personale - deve rivelarsi alla fine inadeguata. Ma poiché l'arte non è filosofia, ma si presenta storicamente come produzione di opere concrete, è evidente che l'espressione, indifferente ai fini dell'intuizione filosofica, è invece di capitale importanza in quelle opere, destinate, appunto mediante quelle determinate forme, a suggerire l'ideale. Non qualsiasi colore o accordo di colori può evocare l'Idea; è necessario che esso raggiunga una certa tonalità, una certa potenza, un certo valore espressivo. Chi riconosce tutto questo è l'artista che sa esprimersi, e in ogni parola che pronunzia, in ogni pennellata, in ogni solco lasciato dallo scalpello intuisce l'ineffabile accordo con l'intima visione del suo spirito. L'espressione non è dunque l'opposto, e nemmeno l'identico al vero Oggetto dell'arte, che è l'idea: ma è funzione. E poiché essa è sensibile e finita, mentre l'Idea è intuitiva e infinita, l'opera d'arte non può mai essere una sintesi compiuta e statica, ma un vivo rapporto dialettico di finito e infinito. In questo prodigio creato dall'arte l'immagine è riconsacrata e redenta: Plotino si dichiara qui esplicitamente: «la produzione e l'azione sono o un indebolimento o un accompagnamento della contemplazione; un indebolimento, se dopo l'azione nulla più rimane; un accompagnamento (acoloutema), se potremo contemplare una cosa superiore a quella prodotta».
L'arte è dunque contemplazione pura, perché è liberazione assoluta, non dalle sensazioni che sono la necessaria mediazione dell'atto intuitivo, ma dall'aspetto pratico di esse e dal loro valore di cose utili o praticamente interessanti: il concetto aristotelico di catarsi estetica si svincola da ogni equivoco e si chiarisce nell'impostazione metafisica del sistema. Non di meno, la necessaria presenza del dato fenomenico inerente all'Idea non può non velare di malinconia l'opera d'arte: in seno alla limpida purezza dell'Idea interiormente intuita esso rimane, malgrado la massima adeguatezza possibile, come un elemento impuro ed estraneo che turba ed atterrisce; ché se l'Idea suggerita riconduce l'anima a se stessa e le offre un senso di libertà divina, l'immagine rimane pur sempre, oggetto di una conoscenza inferiore, ad offuscare il gaudio della visione dello spirito. La bellezza sensibile suscita brividi e un senso di amarezza e di sgomento: essa non può bastare all'anima che tende alla sua libertà e purezza assoluta.
Ciò che l'arte esprime è l'universale concreto; ma nel processo che conduce per una via rettilinea all'unica mèta del Bene, la concretezza che essa implica deve essere superata. La dialettica dell'anima non conosce soste né compromessi con la realtà esteriore: la religione della bellezza e dell'arte è un incantesimo nefasto che ritarda la liberazione suprema; e se l'arte può rimanere come una funzione spirituale, è soltanto a condizione che essa sia educatrice, non rigetti indietro le anime verso la passionalità della vita inferiore, ma le liberi da essa, schiuda loro un più vasto orizzonte di pensiero, di universale spiritualità e di etica purezza, le ricongiunga con se stesse. Come nella dialettica hegeliana e gentiliana, l'arte è qui soltanto un «momento» che il pensiero supera nell'incessante sforzo di ritrovare se stesso come assoluta Razionalità. Essa perciò è destinata a morire come espressività esteriore, non nella storia dell'umanità e nella dialettica dell'Universale, che in Plotino è impensabile, ma nella storia spirituale dell'anima singola che ha ritrovato il suo cammino.
Per chi al culmine della vita dello spirito pone non la perenne attività del pensiero che rifà criticamente la propria storia incessante, ma l'esperienza suprema dell'Inesprimibile, l'espressione è destinata a dissolversi. Il pensiero è interiore e indivisibile e il suo logos interiore non ha parti; il linguaggio espresso divide in qualche modo il pensiero e lo esteriorizza, rendendolo così percepibile a chi parla e a coloro che lo ascoltano, ma insieme lo disperde; l'espressione diventa così un'immagine del pensiero. Ma chi voglia raccogliersi in se stesso, via dalla dispersione nel tempo e nello spazio, deve dimenticare ogni logos espresso e riconquistare la perduta visione interiore, deve anzi diventare «visione» (opsis) e comprendere senza parole l'Inesprimibile.
L'arte a questo punto non esiste più: l'artista, come la S. Cecilia di Raffaello, disdegna ormai ogni linguaggio terreno, perché le opere che egli ha già creato gli hanno schiuso l'occhio interiore alla visione suprema, ed egli le dimentica perché contempla ciò che nessuna parola può dire; egli ha raggiunto l'arte vera, ipostatica, che ogni poeta vorrebbe celebrare, ma che nessuno realizzerà perché essa appartiene al grande silenzio. La Vita è più possente della forma, perché essa è l'Infinito.
E così, malgrado la riconosciuta funzione dell'espressione artistica, il bello esteriore non è più un valore che importi creare. Ciò che importa è essere belli, non contemplare una bellezza sensibile: importa essere se stessi. Nella contemplazione della bellezza l'anima si sdoppia, si esteriorizza, esce dal suo centra divino, è ancora ammalata di terrenità, e perciò percepisce con stupore la realtà esterna e sente il bisogno di produrre una cosa che l'occhio possa vedere. Nell'arte pura, che è pura visione dello spirito, l'anima non esce più da se stessa per conoscersi attraverso immagini inadeguate; essa è ormai «anima bella» e la sua vita stessa è opera d'arte. Che essa dovesse possedere la purezza per accostarsi alle cose e intuirne la bellezza, era già dapprima una condizione trascendentale; e se l'anima non fosse capace di unità interiore e non potesse spogliarsi della sua individualità empirica per assurgere all'Universale non potrebbe né comprendere né creare un'opera d'arte: ché soltanto il puro conosce il puro. Ma ora che ogni parola è stata dimenticata e le stesse cose belle che prima la stupivano non hanno più valore per lei, già in possesso della sua bellezza immortale, il produrre opere materiali non è più suo desiderio. Coerente ed una in se stessa, pura da ogni passionale contatto, l'anima bella guarda a tutti gli esseri con la medesima serenità e col medesimo disinteresse; ogni cosa diventa bella nella sua spirituale bellezza. Esprimere esteriormente questa visione interiore sarebbe ora indifferente per lei: poiché chi possedesse l'essere vero per quale ragione vorrebbe le sue immagini? Ma ora l'anima è in possesso di se stessa: e il pieno possesso spirituale di sé vuol dire bellezza, purezza, verità e libertà gaudiosa.

 

L'ultimo dei grandi filosofi pagani Il destino dell'Anima La Dialettica

Il fondo tenebroso delle Esistenze   La struttura della Realtà L'Uno è tutte le cose

La Via del Ritorno L'esperienza Mistica La Bellezza che redime

Sulla Bellezza  Le Tre Ipostasi originarie