Il tuo browser non supporta il tag embed per questo motivo non senti alcuna musica

 

 

PREMESSE STORICHE

Tutti conoscono ormai le fortunate circostanze che hanno portato ai ritrovamenti di Qumràn. I fatti ebbero inizio nel 1947, ma ancora oggi, resta molto da scoprire, da capire e da dimostrare. Possiamo ritenerlo un argomento affascinante per i segreti che ci svela e per quelli che ci nasconde. Oggi vogliamo vedere cos'è che, alla luce delle nostre nuove conoscenze, possiamo dire su ciò che succedeva 2000 anni fa presso le rive del Mar Morto.

La situazione Politica in Palestina nel 63 a.C.

Dobbiamo dire prima due parole sulla situazione politica e religiosa della Palestina attorno al 750 dalla fondazione di Roma, per mettere in luce l'atmosfera di corruzione, materialismo e decadimento morale che la caratterizzava.

Nel 63 a. C. Pompeo conquistò Gerusalemme. La Giudea divenne provincia romana e Ircano II° il sommo sacerdote. Nel 40 a. C. Antigono rioccupò il trono con l'aiuto dei Parti ed assunse il pontificato al posto di Ircano II°. Nel 37 a. C. Erode il Grande, abbattuto il trono Maccabeo con l'aiuto delle legioni romane, si riassise sul trono della Galilea, Samaria, Giudea, Idumea ecc. Giuridicamente era un re amico di Roma, ma, in realtà, era in una situazione di completa dipendenza dall'Impero. Ebreo o pagano, secondo le circostanze ed i suoi interessi, fu tra i re più sanguinari e crudeli della storia. Alla sua morte, nel 4 d. C., la Giudea, la Samaria e l'Idumea passarono al figlio Archelao e, dal 6 d. C., furono annesse alla Siria provincia dell'Impero. Roma era rappresentata in Giudea dai suoi procuratori, in particolare tra il 26 ed il 36 da Ponzio Pilato. Il vero capo della nazione restava tuttavia il sommo sacerdote: Anna fino al 26, quindi Caifa. Nel 66 d. C. avvenne la prima rivolta contro Roma, nel 70 la distruzione di Gerusalemme e nel 73 la caduta di Masada.

In questa atmosfera disperata, dove venne migliaia di volte applicato il più feroce supplizio che la mente umana abbia potuto escogitare, prosperarono confraternite di uomini che sentivano il bisogno di ritirarsi nel deserto, lontani dall'ambiente malvagio e corrotto della città.

La forza di Roma si era fatta sentire col peso delle sue legioni per tutto questo periodo, disprezzando tutte le religioni, compresa la sua. In realtà Roma amava solo la sua Lupa, le sue insegne e i suoi fasci littori e finì per assassinare in Giudea, come in Persia ed in Egitto, gli ultimi possessori della tradizione esoterica. Tra questi gli Esseni.

Le notizie che abbiamo sugli Esseni provengono tutte da Filone Alessandrino, Plinio il Vecchio e Giuseppe Flavio. Nuove prospettive sono state recentemente aperte allo studio di quelle comunità dopo la scoperta dei manoscritti di Qumràn ma, come vedremo, questo argomento è denso di interrogativi. Per ora, il più che ne sappiamo proviene dallo storico Giuseppe Flavio, generale ebreo nato a Gerusalemme nel 37 d. C. e morto attorno al 95.

Giuseppe Flavio aderì alla setta dei Farisei, ma, secondo quanto racconta egli stesso nella sua autobiografia, passò tre anni della sua giovinezza sotto l'insegnamento di un sacerdote Esseno di nome Banos. Partecipò attivamente all'insurrezione contro i Romani nel 66. Presto, in seguito ad un tradimento che egli nei suoi scritti cerca di giustificare, ottenne i favori dei Romani. Più tardi si recò a Roma dove visse e scrisse, prima in ebraico e poi in greco, il «De bello judaico» le «Antiquitates judaicae» ed altri libri storici.

 

Da una traduzione moderna e fedele del testo greco edita da Mondadori, ecco quanto ci racconta Giuseppe Flavio degli Esseni (1).

 

Tre sono presso i Giudei le sette filosofiche: ad una appartengono i Farisei, alla seconda i Sadducéi, alla terza, che gode fama di particolare santità, quelli che si chiamano Esseni, i quali sono giudei di nascita, legati da mutuo amore più strettamente degli altri. Essi respingono i piaceri come un male, mentre considerano virtù la temperanza e il non cedere alle passioni. Presso di loro il matrimonio è spregiato e perciò adottano i figli degli altri quando sono ancora disciplinabili allo studio e li considerano persone di famiglia e li educano ai loro principi; non è che condannino in assoluto il matrimonio e l'aver figli, ma si difendono dalla lascivia delle donne perché ritengono che nessuna rimanga fedele ad uno solo.

Non curano la ricchezza ed è mirabile il modo come attuano la comunità dei beni, giacché è impossibile trovare presso di loro uno che possegga più degli altri; la regola è che chi entra mette il suo patrimonio a disposizione della comunità, sì che in mezzo a loro non si vede né lo squallore della miseria né il fasto della ricchezza, ed essendo gli averi di ciascuno uniti insieme, tutti hanno un unico patrimonio come tanti fratelli. Considerano l'olio una sozzura e se qualcuno involontariamente si unge, pulisce il suo corpo; infatti hanno cura di tener la pelle asciutta e di vestire sempre di bianco. Gli amministratori dei beni comuni vengono scelti mediante elezione e così pure da tutti vengono designati gli incaricati dei vari uffici.

 

Essi non costituiscono un'unica città, ma in ogni città ne convivono molti. Quando degli appartenenti alla setta arrivano da un altro paese, essi gli mettono a disposizione tutto ciò che hanno come se fosse proprietà degli ospiti, e questi si introducono presso persone mai viste prima come se fossero amici di vecchia data; perciò, quando viaggiano, non portano seco assolutamente nulla, salvo le armi contro i briganti. In ogni città viene eletto dall'ordine un curatore dei forestieri, che provvede alle vesti ed al mantenimento. Quanto agli abiti e all'aspetto della persona, assomigliano ai ragazzi educati con rigorosa disciplina. Non cambiano abiti né calzari se non dopo che i vecchi siano completamente stracciati o consumati dal tempo. Fra loro nulla comprano o vendono, ma ognuno offre quanto ha a chi ne ha bisogno e ne riceve ciò di cui ha bisogno lui; e anche senza contraccambio è lecito a loro di prendere da chi vogliano.

 

Verso la divinità sono di una pietà particolare; prima che si levi il sole non dicono una sola parola su argomenti profani, ma ad esso rivolgono certe tradizionali preghiere, come supplicandolo di sorgere. Poi, ognuno viene avviato dai superiori al mestiere che sa fare e, dopo aver lavorato con impegno fino all'ora quinta, di nuovo si riuniscono insieme e, cintisi i fianchi di una fascia di lino, bagnano il corpo in acqua fredda e dopo questa purificazione entrano in un locale riservato dove non è consentito entrare a nessuno di fede diversa, ed essi in stato di purezza di accostano alla mensa come ad un luogo sacro. Dopo che si son seduti in silenzio, il panettiere distribuisce in ordine i pani e il cuciniere serve a ognuno un solo piatto con una sola vivanda. Prima di mangiare, il sacerdote pronuncia una preghiera e nessuno può toccare cibo prima della preghiera; così al principio e alla fine essi rendono onore a Dio come dispensatore della vita. Quindi, deposte le vesti da pranzo come paramenti sacri, tornano al lavoro fino a sera. Al rientro mangiano allo stesso modo, in compagnia degli ospiti, se ve ne sono. Mai un grido o un alterco disturba la quiete della casa, ma conversano ordinatamente cedendosi scambievolmente la parola. A quelli di fuori il silenzio di là dentro dà l'impressione di un pauroso mistero, mentre esso nasce da una continua sobrietà e dall'uso di mangiare e di bere solo fino a non aver più fame o sete.

 

Ogni cosa essi fanno secondo gli ordini superiori salvo due, in cui sono liberi di regolarsi da sé: l'assistenza e la elemosina; infatti possono soccorrere a piacimento una persona degna che sia nel bisogno, come pure dar da mangiare ai poveri. Ma a far regali ai parenti non si può senza l'autorizzazione dei superiori. Sono giusti dispensatori di castighi, capaci di tenere a freno i sentimenti, custodi della lealtà, promotori di pace. Tutto ciò che essi dicono vale più di un giuramento, ma si astengono dal giurare considerandolo cosa peggiore che lo spergiurare; dicono infatti che è già condannato chi non è creduto senza invocare Dio. Hanno uno straordinario interesse per le opere degli antichi autori, scegliendo soprattutto quelle che giovano all'anima e al corpo; per la cura delle malattie essi studiano le radici medicamentose e le proprietà delle pietre.

 

A chi desidera far parte della loro setta non viene concesso di entrare immediatamente, ma lasciandolo fuori per un anno gli fanno seguire la loro stessa norma di vita, dandogli una piccola scure (2) e la predetta fascia per i fianchi e una veste bianca. Dopo che in questo periodo di tempo egli abbia dato prova della sua temperanza, viene ammesso ad un più completo esercizio della regola e ottiene acque più pure per la purificazione, ma non è ancora introdotto nella comunità. Infatti, dopo aver dimostrato la sua fermezza, per altri due anni viene sottoposto ad un esame del carattere e solo allora, se appare degno, viene ascritto alla comunità. Ma prima di toccare il cibo comune, egli presta a loro terribili giuramenti: in primo luogo di venerare Dio, poi di osservare la giustizia verso gli uomini e di non far danno ad alcuno né di propria volontà né per comando, e di combattere sempre gli ingiusti e di aiutare i giusti; di essere sempre ubbidiente verso tutti, specie verso coloro che esercitano un potere, perché nessuno può esercitare un potere senza la volontà di Dio; e se poi tocchi a lui di esercitare un potere, di non approfittarne per commettere abusi, e di non distinguersi da quelli a lui sottoposti per splendore di vesti o per qualche altra insegna di superiorità; di amare sempre la verità e di smascherare i bugiardi; di trattenere le mani dal furto e di serbare l'anima incontaminata da un empio guadagno e di non tener nulla celato ai membri della comunità e di non svelare ad altri nulla delle loro cose, anche se torturato fino alla morte. Inoltre egli giura di non trasmettere ad alcuno le regole in forma diversa di come le ha ricevute, di astenersi dal brigantaggio e di custodire i libri della loro setta colla stessa cura che i nomi degli angeli. Tali sono i giuramenti con cui gli Esseni si garantiscono dai proseliti.

 

Quelli che son trovati colpevoli di gravi crimini li espellono dalla comunità. Chi subisce tale condanna spesso fa una fine assai miseranda; infatti, vincolato dai giuramenti e dalle abitudini, non riesce nemmeno a mangiare ciò che mangiano gli altri, e cibandosi di erba e consumando il corpo con la fame finisce per morire. Perciò gli Esseni ne riammisero molti per compassione, quando erano in fin di vita, giudicando castigo sufficiente per le loro colpe un tormento che gli aveva portati sull'orlo della morte.

 

Nelle liti giudiziarie sono assai precisi e giusti e celebrano i processi adunandosi in numero non inferiore a cento, e le loro sentenze sono inappellabili. Presso di loro dopo Dio è tenuto in onore il legislatore, e se uno lo bestemmia è punito con la morte. Si fanno un pregio di ubbidire ai più anziani e al volere della maggioranza; se per esempio stanno insieme dieci persone, nessuno parlerebbe, se gli altri preferiscono il silenzio. E si guardano dallo sputare in mezzo alla compagnia o voltandosi verso destra, e con più rigore di tutti gli altri giudei si astengono dal lavoro nel settimo giorno; non solo infatti si preparano da mangiare il giorno prima, per non accendere il fuoco quel giorno, ma non ardiscono neppure di muovere un arnese né di andare di corpo. Invece negli altri giorni, scavano una buca della profondità di un piede con la zappetta - a questa infatti assomiglia la piccola scure che viene consegnata da loro ai neofiti - e avvolgendosi nel mantello, per non offendere i raggi di Dio, vi si siedono sopra. Poi gettano nella buca la terra scavata, e ciò fanno scegliendo i luoghi più solitari. E sebbene l'espulsione degli escrementi sia un fatto naturale, la regola impone di lavarsi subito dopo come per purificarsi da una contaminazione.

 

Si dividono in quattro categorie a seconda dell'anzianità nella regola, e i neofiti sono tanto al di sotto dei vecchi adepti, che se per caso questi li toccano si lavano come se fossero venuti a contatto con uno straniero. Sono anche longevi, dato che i più passano i cento anni, e ciò, io credo, grazie alla vita semplice ed ordinata; disprezzano poi i pericoli e vincono i dolori con la ragione mentre la morte, quando giunga onorata, la considerano preferibile all'immortalità. Il loro spirito fu assoggettato ad ogni genere di prova durante la guerra contro i Romani, in cui stirati e contorti, bruciati e fratturati e passati attraverso tutti gli strumenti di tortura perché bestemmiassero il legislatore o mangiassero qualche cibo vietato, non si piegarono a nessuna delle due cose senza nemmeno una parola meno che ostile verso i carnefici e senza versare una lacrima. Ma sorridendo tra i dolori, e prendendosi gioco di quelli che li sottoponevano ai supplizi, esalavano serenamente l'anima come certi di ritornare a riceverla.

 

Infatti presso di loro è salda la credenza che mentre i corpi sono corruttibili e che non durano gli elementi di cui sono composti, invece le anime mortali vivono in eterno e, venendo giù dall'etere più leggero, restano impigliate nei corpi come dentro carceri quasi attratte da una sorta di incantesimo naturale, ma quando siano sciolte dai vincoli della carne, come liberate da una lunga schiavitù, allora sono felici e volano verso l'alto. Con una concezione simile a quella dei figli dei Greci, essi ritengono che alle anime buone è riservato di vivere al di là dell'oceano in un luogo che non è molestato né dalla pioggia, né dalla neve né dalla calura, ma ricreato da un soave zefiro che spira sempre dall'oceano; invece alle anime cattive attribuiscono un antro buio e tempestoso, pieno di supplizi senza fine. Mi pare che con la stessa visione, i Greci ai loro uomini valorosi, che chiamano eroi e semidei, abbiano riservato le isole dei beati, invece alle anime dei malvagi il posto degli empi giù nell'Ade, dove anche raccontano che sono puniti quelli come Sisifo, Tantalo, Issione e Titio: così i Greci in primo luogo ammettono che le anime sono immortali, e poi spingono alla virtù e ritraggono dal vizio. Ritengono infatti che i buoni durante la vita divengano migliori per la speranza di ricevere un premio anche dopo alla morte, mentre le cattive intenzioni dei malvagi risultano compresse dalla paura di chi, se pure riuscisse a farla franca in vita, teme un eterno castigo dopo la morte. Queste sono dunque le credenze degli Esseni intorno all'anima, che rappresentano un'attrazione irresistibile per tutti quelli che una volta abbiano assaporato la loro dottrina.

 

Vi sono poi in mezzo a loro di quelli che si dichiarano capaci anche di prevedere il futuro, esercitati fin da ragazzi nella lettura dei libri sacri, in varie forme di purificazione e nelle sentenze dei profeti; è raro che falliscano nelle predizioni.

Vi é anche un altro gruppo di Esseni, simile a quello precedente nella vita, negli usi e nelle leggi, ma diverso per la concezione del matrimonio. Ritengono infatti che chi non si sposa é come se amputasse la parte principale della vita, la sua propagazione, e anzi osservano che se tutti la pensassero a quel modo la stirpe umana ben presto si estinguerebbe. Pertanto essi sottopongono le spose a un periodo di prova di tre anni, e le sposano solo dopo che quelle hanno dato prova di fecondità in tre periodi di purificazione. Con le gravide non hanno rapporti, dimostrando così che si sono sposati non per il piacere, ma per avere figli. Quando prendono il bagno, le donne sono coperte da una veste, gli uomini hanno una fascia. Tali sono gli usi di questo gruppo.

 

Riguardo alle capacità divinatorie degli Esseni vediamo ciò che dice Giuseppe Flavio in alcuni altri passi. É lui che parla (3):

 

A questo proposito é da ricordare lo strano caso di un tal Giuda, Esseno di stirpe che non s'era mai sbagliato nelle sue predizioni; questi nel vedere allora Antigono passare per il tempio, rivoltosi agli amici esclamò: - Ahimè, é ben tempo che io muoia se già é morta la verità e una delle mie predizioni risulta vana; ecco infatti che Antigono é ancora in vita mentre avrebbe dovuto morire oggi. Il luogo della sua uccisione avrebbe dovuto essere la Torre di Stratone, una località che dista da qui 600 stadi; ma é già l'ora quarta del giorno: il tempo esclude che si realizzi il vaticinio. Ciò detto il vecchio s'immerse in una cupa meditazione, ma poco dopo si sparse la voce che Antigono era stato ucciso in un luogo sotterraneo che si chiamava anch'esso Torre di Stratone.

 

Più avanti leggiamo ancora (4) di un certo Simone, un Esseno di stirpe che fu chiamato per interpretare un sogno di Archelao. Ancora più avanti (5) Giuseppe Flavio spiega come e perché egli stesso avesse capacità divinatorie essendo sacerdote e di famiglia sacerdotale.

Questi fatti teniamoli presente per quando, più tardi, introdurremo un'ipotesi sul significato della parola Esseno.

Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis (6) dice pressappoco così: Gli Esseni vivono sulla riva occidentale del Mar Morto, tenendosi lontani dalle esalazioni pestifere di quelle acque. Sotto di essi si trova la città di Engaddi e, partendo da là si arriva alla fortezza di Masada. Gli Esseni sono un gruppo di eremiti che non hanno uguali al mondo, che rinunciano all'amore, senza donne, senza ricchezze, compagni dei palmizi. Il numero di queste persone di uguale sentire si mantiene e si rinnova giornalmente, perché ad essi corrono molti che, stanchi della lotta contro il fluttuar della sorte, aderiscono al loro modo di vita. Così, per incredibile che ciò possa sembrare, essi sono una stirpe eterna per migliaia di generazioni, benché nessuno nasca presso di loro.

 

Per inciso, quando Plinio scrisse queste parole «gens aeterna», probabilmente non esisteva più un Esseno vivo sulla terra.

 

Queste dunque sono le informazioni storiche in nostro possesso. Tutto il resto è supposizione. Illustri studiosi hanno addirittura negato l'esistenza storica degli Esseni, altri, quali il prof. Elia Benamozegh del collegio rabbinico di Livorno ha scritto un libro di storia degli Esseni in 500 pagine dove non risparmia la sua fantasia in dimostrazioni tanto affascinanti quanto carenti di fondamento, sull'origine stessa della setta, sui suoi scopi, sui suoi personaggi e sulla sua fine propinandole ad un pubblico fin troppo disposto ad ascoltarle. Noi, non scettici, ma neppure creduloni, riteniamo che, come spesso avviene, la verità stia nel giusto mezzo. Riteniamo che gli Esseni siano indubbiamente esistiti, ma di loro in realtà conosciamo ben poche cose.

 

Il Del Medico, che non crede alla esistenza degli Esseni (7) attribuendo il famoso passo di Giuseppe Flavio ad interpolatori posteriori, osserva che il testo ebraico, sebbene contenga tutti gli episodi ed i personaggi della versione greca, non nomina mai la parola Esseni. A questo punto, noi diremo che, prima di dare un giudizio su questo fatto molto significativo, bisognerebbe conoscere l'esatto significato della parola Esseno, perché, come vedremo più avanti, con altri argomenti, qualora la parola volesse dire, tanto per fare un esempio, pio o sant'uomo, ecco che Giuseppe Flavio stesso avrebbe potuto introdurre l'aggettivo nel testo greco, trasformandolo in un vero e proprio appellativo per la setta. A sostenere ciò ricorderemo che la parola Esseno la troviamo usata altrove e molto prima.

 

Pausania nella descrizione dell'Arcadia dice: - Io so che queste cose osservano presso gli Efesi, per un anno, non per tutta la vita, coloro i quali sono adoratori di Diana Efesina, e che dai cittadini, sono chiamati Esseni. - Cosa accomuna gli Efesini che Pausania chiama Esseni e gli Esseni della Palestina? Il celibato, la solitudine ed il genio religioso.

 

Callimaco chiama coll'appellativo di Esseno il più grande degli dei dell'Olimpo: Giove. Che cosa intende Callimaco con questa parola? Ci risponde uno scholiasta autore dei commenti alle opere di Callimaco (8) Egli ci dice come il vocabolo Esseno fosse un vecchio vocabolo usato in Efeso nella lingua religiosa e che significasse letteralmente Re delle Api e come poi avesse assunto il senso di Re, di Monarca, poi di Sacerdote, poi di Principe dei sacrifici, Preside nei sacri Agapi o nei religiosi conviti. E qui possiamo cogliere una spiegazione di come il nome Esseni possa essere stato dato posteriormente alla confraternita e proprio nel testo greco.

 

Ricordiamo a questo proposito quello che si era detto prima, parlando delle capacità divinatorie degli Esseni, e annotiamo come la parola stirpe, usata da Giuseppe Flavio in modo apparentemente improprio, possa sembrare, sotto questa visuale, più pertinente.

Ci lascia perplessi anche l'opinione espressa da qualcuno che Giuseppe e Filone avessero colorito esageratamente la descrizione di questa setta, pur non inventandola di sana pianta, in quanto, di fatto, le tracce evidenti di una confraternita religiosa sulle rive del Mar Morto sono ormai state riportate alla luce e, anche se queste tracce non ci conducano necessariamente agli Esseni di cui si parla, possiamo pur affermare che, anche un'altra confraternita, sul tipo di quella di Qumràn, ma del tutto corrispondente a quella di Giuseppe Flavio, avrebbe ben potuto esistere con le sue regole e le sue logge. D'altra parte, se Giuseppe Flavio non avesse avuto notizie sicure sugli Esseni, quali ragioni avrebbero potuto spingerlo a dilungarsi tanto, proprio su questa setta, mentre dice poche parole su i Sadducéi e sui Farisei, ai quali ultimi egli stesso apparteneva, e sui quali, quindi, era certamente ben informato.

 

Forse, un giorno, l'archeologia risponderà a questi nostri interrogativi. Oggi, per altro, sappiamo bene, come fino al 70 d. C. confraternite e sette avessero prosperato per tutta la Palestina, ritirate nel deserto, per sfuggire, prima il clima di crisi spirituale e di decadimento morale, più tardi la dominazione romana. Sappiamo anche, come queste sette avessero avuto talvolta intenti anche molto diversi e non sempre pacifici.

Riguardo all'origine della parola Esseni, come abbiamo già accennato poco fa, si brancola nel buio. Oltre all'ipotesi già esposta, ricordiamo altre proposte. Una da Assaya che significa medici, terapeuti. Un'altra da Assidei che é una delle più antiche corporazioni muratorie dell'epoca del Tempio. Ancora, sempre Assaya che vorrebbe dire pii, santi. Un'altra, dovuta a san Epifanio, da Jesse genitore di Davide. Un'altra ancora, dall'ebraico Jesciscim che al plurale vuol dire vecchi. Ecc. ecc.

 

Qui si chiude praticamente tutto il nostro panorama sugli Esseni. Vediamo ora, quali sono gli orizzonti che ci sono stati allargati dalle scoperte di Qumràn.

 

 

 

 

1 - Giuseppe Flavio: Guerra Giudaica, libro II, capitolo 8 verso 119-161.

2 - Un esemplare di queste scuri, il cui uso verrà spiegato più avanti, sarebbe stato trovato in una grotta di Qumràn, cfr. R, De Vaux in «V. Test.» IX 1959, p. 399 e seguenti.

3 - Guerra Giudaica, I, 3, 78.

4 - Guerra Giudaica, II, 7, 113.

5 - Guerra Giudaica, III°, 8, 350. b

6 - Nat. Hist., 5, 17, 4.

7 - H. E. Del Medico: L'enigma dei manoscritti del Mar Morto, Milano, 1959.

8 - Elia Benamozegh, Storia degli Esseni, Le Monnier 1865, gag. 27.

 

Indice

Premesse Storiche Qumràn e gli Esseni I reperti di Qumràn Storia degli Esseni