SULLE QUARANTENE INIZIATICHE IN GENERALE

 

Il documento che presentiamo allo studio e alla lettura dei nostri visitatori, è uno scritto assai interessante a firma di Arturo Reghini apparso sul numero doppio 11-12 della rivista di studi iniziatici IGNIS nel 1925. Con quel numero la celebre rivista, che aveva pubblicato l'anno precedente con il titolo distintivo di Atanor, cessava le pubblicazioni, lasciandoci in ogni caso, dei documenti che sono considerati "delle perle" dagli studiosi di ermetismo. Lo scritto che segue chiudeva un lunghissimo articolo dell'autore e direttore responsabile, dal titolo: "Le Proposizioni del rituale della Massoneria Egiziana censurate dal Tribunale del Sant'Uffizio (Da documenti inediti del Sant'Uffizio) Riportato nelle pagine che precedono.

Il nostro, dopo che nei numeri precedenti aveva esaminato i documenti e commentato le quarantene spirituali in uso in quella Massoneria (quella Egizia di Cagliostro), affrontò, nell'ultimo numero della rivista, l'argomento con una più ampia visione che comprendeva la Tradizione in generale, spaziando da Oriente a Occidente.

Lo scritto rappresenta un'opera dell'ingegno dell'autore e non di necessità deve rappresentare la visione della Loggia o del GOI.

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Introduzione

Note sono le quarantene spirituali di Cagliostro, periodi di quaranta giorni di digiuno con i quali e con l'ausilio di pratiche e segreti ermetici si conseguiva, secondo il rituale della Massoneria Egiziana di Cagliostro, la perfezione morale dapprima, e la perfezione fisica dopo.

Dai passi di questo rituale, risulta come Cagliostro, nel determinare in quaranta giorni la durata delle due quarantene spirituali, non fece che ispirarsi od attenersi, al precedente dei digiuni di Mosè, ed abbiamo già rilevato con vari esempi la continuità e la frequenza con la quale questo numero compare nella tradizione esoterica mediterranea (ebraica, cristiana, pagana ed ermetica) in relazione alla grande opera della rigenerazione iniziatica. Ma l'argomento merita più attento e speciale esame, e qui di proposito ne tratteremo.

Pietro Bongo, nella sua voluminosa opera sopra i misteri dei numeri, dedica una dozzina di pagine alla trattazione del numero quaranta; e dice che, dopo il sette, il 40 è il numero che più frequentemente ricorre nella Sacra Scrittura. Nella letteratura talmudica afferma il Casanowicz il quaranta compare in molti casi adoperato secondo ogni apparenza come cifra tonda o come espressione concreta e definita invece dell'astratto ed indefinito molti e alcuni, e quindi diventa un numero simbolico. D'altra parte, è noto come Pitagora aveva segnato quattro distinte età, ciascuna di venti anni, nella vita umana complessivamente considerata; e da questa quadripartizione pitagorica, già preparata del resto dalla cultura popolare e dalle istituzioni sociali italo-greche, deriva probabilmente l'uso biografico di fissare a quaranta anni l'acme della vita umana. Anche gli Ebrei, ed altri popoli, pare avessero comune con i greci questa nozione che il quarantesimo anno fosse l'acme della vita umana, ed il Nòldeke sostiene che quaranta anni vennero da questo fatto a rappresentare una generazione. Il Bongo dopo aver riferito che Isacco ed Esaù avevano quaranta anni quando sposarono rispettivamente Rebecca e Giuditta, segue evidentemente questo concetto chiamando congrua questa età perché secondo Aristotile, il seme compie in quaranta giorni la sua prima trasformazione nell'utero della donna.

Il quaranta é un numero che viene associato ad ogni specie di generazione e di rigenerazione. Quaranta giorni era la durata del periodo prescritto per la purificazione dopo la nascita di un maschio (Levitico XII, I.4) ed il doppio dopo la nascita di una femmina (ibid. 5) i santi Padri dicono che Gesù fu portato per quaranta giorni nell'utero di Maria; e la credenza che il parto a termine avvenga dopo nove mesi e dieci giorni, ossia dopo 270 giorni più dieci (quaranta settimane fanno appunto 280 giorni) é tuttora assai diffusa. Il Bongo, citando un passo di S. Agostino (1), dice che quando il serpente, pur rimanendo vivo, vuole deporre la pelle vecchia e ritornare giovane, digiuna per quaranta giorni e poi se n'esce per un angusto forame, aggiungendo anche che si é per questa ragione che Gesù consiglia di essere astuti come serpenti e candidi come colombe.

 

I Digiuni nella Bibbia

I primi digiuni mentovati nella Sacra Scrittura sono quelli praticati da Mosè e da Elia. Mosè compì i suoi digiuni sul monte Sinai, ed Elia percorse il deserto camminando per quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare e senza bere fino a che pervenne al monte Horeb, che, se non é lo stesso che il Sinai, ne é una parte.

Il digiuno di Elia non fu però completo, perché Iddio si servi di un corvo per alimentarlo. Secondo il testo ebraico e la volgata il corvo portava sera e mattina ad Elia del pane e della carne, mentre i settanta dicono che il corvo la mattina portava del pane e la sera della carne; e sarebbe malagevol cosa, scrive autorevolmente il Thomassin, l'indovinare donde proceda questa diversità tra il testo ebraico ed i settanta. Questa diversità non turba gran fatto la nostra coscienza. Faremo invece in proposito alcune osservazioni interessanti: In ebraico horeb significa divenire scuro, annottare, hereb significa sera, ed anche corvo, evidentemente perché nero come... un corvo. D'altra parte haraba significa campagna incolta, pianura sterile, deserto, solitudine. Queste quattro parole hanno tutte per iniziale la gutturale ajin (16a lettera dell'alfabeto ebraico); mentre Horeb, il monte Horeb, ha per iniziale la gutturale heth (8a dell'alfabeto ebraico). Nel passaggio non vi é che un rafforzamento dell'aspirazione, ma queste varie voci sono tanto affini foneticamente e semanticamente che Horeb, il nome stesso del monte, scritto colla heth, significa arsura, siccità, desolazione, e la parola haraba, che abbiamo sopra trascritta, si trova scritta anche con la heth per iniziale, conservando sempre il significato di distruzione, luoghi deserti. Quindi corvo; deserto, monte Horeb, raffigurano e ricordano una stessa cosa, una stessa condizione di tenebre e di crisi spirituale, che va attraversata per pervenire ad una condizione opposta. Sono le tenebre esteriori e profane, contrapposte e precedenti la luce interiore ed iniziatica; la notte che precede l'alba raffigurata dalla colomba.
Sul monte Horeb apparve a Mosé (Esodo III, I.2) l'angelo del Signore in
una fiamma di fuoco in mezzo al roveto ardente. Elia percorse il deserto digiunando, andando verso il monte Horeb, e nutrito da un corvo; anche egli ebbe ivi la manifestazione del fuoco, e conseguì l'immortalità iniziatica, poiché non mori ma ascese al cielo in un turbo. E se la Bibbia narra la morte di Mosé, aggiunge per altro che fu seppellito da Dio, e che nessun uomo ne conobbe mai la sepoltura.

Ad imitazione di Mosé e di Elia, anche Gesù, condotto dal diavolo nell'eremo, nel deserto, vi digiunò per quaranta giorni e quaranta notti consecutive prima di essere tentato dal diavolo (2); ed é evidente e noto che il digiuno quaresimale dei cristiani, la quadragesima o quaresima, che è di tradizione apostolica, é stato istituito a ricordo ed imitazione dei digiuni di Mosè, Elia e Gesù; S. Agostino dice esplicitamente che il digiuno di 40 giorni é autorizzato da questi tre digiuni.

Nella vita di Gesù quale ci é narrata dai Vangeli il numero simbolico quaranta ricorre anche in altre circostanze. Per quaranta settimane stette nel seno di sua madre, per quaranta mesi predicò pubblicamente, per quaranta ore rimase nel suo sepolcro, comprendendo l'ora in cui spirò e l'ultima ora della notte della Domenica in cui risorse; e quaranta giorni dopo apparve agli Apostoli, Questa insistenza nel fissare a quaranta giorni, settimane, ore, la durata di questi vari periodi deve certamente avere una causa, una ragione, uno scopo; e, poiché si tratta sempre di generazione e di rigenerazione (resurrezione), si potrebbe pensare che questo periodo sia stato fissato prendendo come base di riferimento le quaranta settimane della generazione umana; il fatto che per antica osservazione e tradizione i fenomeni della vegetazione e della generazione sono connessi alle fasi lunari, e quindi alla settimana ed al mese come unità di misura, potrebbe in un primo momento fare apparire verosimile che la determinazione di questo periodo sia avvenuta in base alle quaranta settimane della generazione umana.

Ma a questa spiegazione sì oppone quanto abbiamo già veduto, cioè che il quaranta compare nella Bibbia e fuori della Bibbia come cifra tonda ad indicare un periodo non ben determinato, ma concludente un ciclo.

Questo numero, osserva S. Agostino, è frequentissimo nella Scrittura per insinuare il mistero della perfezione nel quadripartito mondo , e molti esempi se ne potrebbero addurre: i 40 giorni richiesti per l'imbalsamazione di Giacobbe, i 40 anni che Israele soggiornò nel deserto (3), i quaranta anni di Mosé quando divenne il liberatore del suo popolo, i 40 giorni necessari per l'esplorazione del paese di Chanaan, i 40 giorni accordati a Ninive perché si pentisse, i 40 giorni durante i quali Ezechiele dovette giacere sul lato destro, i quaranta giorni durante i quali Golia sfidò l’armata di Israele, ecc.... Un riferimento più o meno diretto e chiaro alla rigenerazione si presenta negli esempi di Adamo messo da Dio in paradiso 40 giorni dopo la sua creazione, di Seth che aveva quaranta anni quando gli angeli lo rapirono agli occhi degli uomini per istruirlo segretamente ed arcanamente intorno al crimine degli egregori, al futuro diluvio ed al futuro avvento del Salvatore, dei quaranta anni di costruzione della torre di Babele, ed anche in senso specialmente cosmogonico dai vari modi con cui il quaranta compare in connessione con il diluvio di Noé: Iddio, infatti, dette al mondo quaranta anni di tempo per pentirsi prima di disperdere il genere umano mediante il diluvio, per 40 giorni durò la pioggia del diluvio, 40 giorni intercedettero tra la prima apparizione delle vette della montagna e l'apertura delle finestre dell'arca. Prima fu inviato il nero corvo, e poi, dopo quaranta giorni, la bianca colomba. E la, colomba, è detto nella Genesi, tornò recando in bocca un ramoscello d'ulivo, con le foglie verdeggianti. S. Crisostomo (Hom. XX in Gen.) dice che, essendo l'ulivo semper virens, è verosimile che quando le acque si furono ritirate, quest'albero aveva ancora la chioma delle foglie. La Peyriére (Praeadamitae - 1645 - IV, 225) sostiene che la colomba dovette volare sino ai monti di Armenia per riportare la tessera della pace, con la quale Dio, in Noè, si conciliava con la gente giudaica; certi rabbini e certi scolastici sostengono invece che il ramo di ulivo fu preso in Paradiso, o nel Monte degli Ulivi (cfr. Olavi Celsi Hierobotanicum - 1745 - 47; II.331). L'ulivo, sempre verde, è simbolo di immortalità. Nei Salmi (Salmi III.8) é emblema di prosperità, e di pace (Salmo LII.8; CXXVIII.3). Nel paganesimo era simbolo di saggezza e sacro a Pallade, come il mirto (sempre verde) a Venere, ed il lauro ad Apollo. Tanto per i pagani, quanto per gli Ebrei era simbolo di pace, ed ancor oggi, si usa l'espressione ramo di ulivo con questo significato. Vedremo in seguito come questi concetti e questi caratteri si ritrovino nella iniziazione suprema; ma, ponendo fine alla digressione, torniamo a noi.

 

La Tradizione Araba

Nella tradizione araba Dio forma l'uomo col fango, e lo secca per 40 giorni; ed anche nei misteri isiaci, come abbiamo altra volta osservato, compariva questo numero, e propriamente nella durata di 40 giorni del digiuno di Lucio prima della iniziazione di Osiride secondo quanto è narrato nelle Metamorfosi di Apuleio. Questa concordanza nello scopo e nella durata dei digiuni di Mosè, Elia, Gesù, Lucio in Apuleio, per non parlare di quelli di Campanella e di Cagliostro, ed il riapparire di questo numero nella tradizione ermetica come durata della trasmutazione e nell'ermetismo mistico del Boehme, fanno intravedere nell'Egitto la fonte comune o la manifestazione più antica da noi conosciuta, della determinazione del periodo della quaresima e della sua possibile connessione con la durata del digiuno iniziatico nella grande opera della rigenerazione: e tendono a mostrare come attenendosi, anche in questo particolare del simbolismo, a questa tradizione iniziatica mediterranea non si fa altro che seguire una stessa religione veramente universale, seguita evidentemente anche da Gesù, religione che per manifeste ragioni cronologiche non poteva essere quella cristiana, che ne é tutt'al più una derivazione (4).

Quando, nei primi secoli dell'era volgare, si propagò la pratica del digiuno pasquale, vi fu una grande incertezza nella determinazione della sua durata; S. Ireneo dice che taluni digiunavano un giorno, altri più, altri quaranta ecc..., e Montano giunse a proporre tre digiuni quaresimali all'anno. In taluni paesi per la Pasqua si digiunava durante due settimane, in altri per tre, in altri ancora per sei, ed a Costantinopoli, province finitime ed in Fenicia, per sette settimane. S. Ambrogio fu uno dei più zelanti nell'opporsi a questi eccessi e nel difendere il digiuno di quaranta giorni (S. Ambrosius - De Virginibus, Lib. III, cap. IV - Patrol. Migne XVI, 223); ed infine il Concilio di Laodicea ordinò (Canone 5o) di digiunare la quaresima tutta intera (senza saltare alcuni giorni della settimana come si usava in alcune regioni), e di non violare questo sacro numero e misterioso rompendo il digiuno del Giovedì della settimana santa. S. Agostino pare si rendesse abbastanza conto del carattere e del significato di questo numero misterioso, poiché nella spiegazione del salmo 94 scriveva: Questi quaranta anni significano quello che è sempre. Infatti il numero quaranta indica la compiutezza (integritas) dei secoli, come se i secoli venissero completati (perficiatntur) con questo numero.

In ebraico, invero, quaranta si dice arbaim, mentre la voce evidentemente affine arbe significa moltitudine, ed anche indica una specie di locusta, come in modo affatto consimile gli antichi egiziani si servivano dell'ideogramma del girino o di quello della lucertola per rappresentare l'identico concetto. E come nelle lingue greca, latina e derivate, la parola che designa il quaranta é filologicamente e foneticamente connessa a quella che designa il quattro, così anche l'ebraico arbaim, quaranta, é una voce evidentemente legata e derivata da arbh che significa quattro. D'altra parte arbe, moltitudine, ha la stessa origine di rabb, che significa molto, ed anche grande, potente, capo (da cui Rabbi, il Signore, il rabbino). Dal numero quaranta veniamo dunque riportati al numero quattro, che troviamo associato al concetto di moltitudine, grandezza e compiutezza.

Quale la ragione di questo fatto?

Forse la seguente: La filologia e la storia si accordano nel mostrarci che il mese lunare veniva anticamente preso come unità di misura del tempo, tanto da parte di popoli parlanti linguaggi indoeuropei, che da parte di popoli parlanti linguaggi semitici. In latino la parola mensura, misura, è connessa alla parola mensis, il mese, e la stessa radice figura in greco in mén = mese e méne, luna. Nell'odierno inglese voci affini, moon e month, servono ad indicate rispettivamente la luna ed il mese. Così nell'ebraico la voce iareah significa luna e ierah mese, ed identica associazione si ritrova nell'antico egiziano dove ab significa luna ed ab o abt (in copto abot) significa mese. Ora il periodo lunare presenta quattro fasi, che si prestano facilmente ad essere prese come unità di misura; ed in tal caso, prendendo cioè la settimana per unità di misura del tempo, dopo quattro settimane il ciclo delle fasi lunati viene ad essere concluso, e quindi il numero quattro che chiude il ciclo costituisce una nuova unità di ordine superiore, il mese, ed ha perciò un carattere di compiutezza, di periodo a sé. E che sia verosimile una tale connessione tra la voce designante il numero quattro e le quattro fasi della luna sembra provato dal fatto che nell'antico egiziano quattro si scrive aft, parola evidentemente affine alla voce abt (mese) per quanto poco si possa conoscete della fonetica dell'antico egiziano. Una riprova addizionale è data dalle misure egiziane di capacità: L'unità di misura era chiamata hen i cui multipli od unità di ordine superiore etano l'apt o ap (aipi in copto ed epha in ebraico), una specie di moggio, che conteneva 40 hen, ed il tena che conteneva quattro hen. Come si vede, anche qui le unità superiori sono formate in base al quattro ed al quaranta, ed è altresì da notare che la voce apt, che designa la quarantina di hen, è foneticamente affine ed intermedia tra abt, mese, ef, quattro.

 

Gli Egiziani

Altri dati interessanti risultano dall'esame del calendario egiziano. Come é noto, l'anno egizio era costituito esattamente da 360 giorni, computandosi assolutamente a parte i cinque giorni epagomeni o complementari. L'anno era diviso in tre stagioni di 120 giorni l'una, ciascuna a sua volta suddivisa e composta di quattro mesi di trenta giorni l'uno; divisione dell'anno indubbiamente più razionale di quella attualmente oggi vigente nei paesi civili. Quindi la stagione egizia veniva chiamata dai greci tetramenia, perché composta di quattro mesi, composizione simile a quella del mese lunare composto a sua volta di quattro settimane.

Il numero che completa un ciclo, che costituisce una nuova unità di misura, varia naturalmente a seconda che si assuma, come unità fondamentale, la settimana, il mese, la tetramenia, l'anno. Se si prende per base la stagione, allora sarà il numero tre a chiudete il ciclo, essendoché dopo trascorse tre stagioni egizie si ritorna al medesimo punto dell'anno terrestre, e perciò il numero tre (Chemet) é la somma, il totale (chemet), delle tre stagioni; se si prende per base la settimana ed il mese il ciclo si chiude dopo quatto settimane e dopo quattro mesi egizi, ed allora é il quattro che corrisponde alla chiusura di un periodo; se si prende il mese rispetto all'anno il ciclo si chiude con dodici mesi ed é allora il 12, la dozzina, che chiude e costituisce il periodo. Se in fine si prende le dita delle mani come unità di misura, il che equivale ad adottate il sistema di numerazione decimale, é il dieci che costituisce l'unità di ordine superiore. Ne risulta che i numeri atti a designate la moltitudine, la compiutezza, un periodo, possono essere il 3, il 4, il 7, il 10, il 12, e le varie combinazioni che si ottengono moltiplicandone due o più tra loto. Per esempio il prodotto di tre per dieci ci dà i trenta giorni del mese egizio, il prodotto di quattro. per dieci dà la nostra quarantina, ecc....

Possiamo chiederci perché, tra tutti questi possibili numeri che completano il ciclo, il quaranta ha preso, specialmente in attinenza alla rigenerazione, la prevalenza ed il significato simbolico che abbiamo riscontrato. Non riteniamo che sia fuori di luogo, ricorrere, in proposito, alla tradizione pitagorica, di cui sono tutt'altro che da escludete la concordanza e la connessione con la tradizione egizia e con quella cabalista. Quale importanza e quale significato avessero per i pitagorici il quaternario, la sacra tetractis, e la decade non abbiamo bisogno di ricordare. Ma interessa invece l'indagate il legame mistetiosofico tra il quattro e il dieci, perché esso giustifica e convalida in certo modo l'eccellenza misteriosa del numero quaranta loro prodotto. Nella genesi geometrica dell'aritmetica pitagorica, in cui il punto corrisponde all'unità, l'aggregazione di più punti disposti secondo una stessa direzione originava i segmenti composti di due tre... punti, ossia originava la serie dei numeri interi; la sovrapposizione, in un piano, del punto ai segmenti di due, tre... punti dava origine ai triangoli composti di tre, sei, dieci... punti, ossia alla serie dei così detti numeri triangolari l'n° numero triangolare é quindi eguale alla somma dei primi n numeri interi; la sovrapposizione, nello spazio, del punto ai triangoli di tre, sei, dieci... punti dava origine ai tetraedri, o piramidi a base triangolare, costituiti da quattro, dieci, venti... punti, ossia ai numeri piramidali, (l'n° numero piramidale essendo eguale alla somma dei primi n numeri triangolari). Dopodiché il procedimento analitico può essere proseguito operando in modo consimile sopra i numeri piramidali, ma geometricamente ossia pitagoricamente bisogna arrestarsi, perché la intuizione umana dello spazio non concepisce come si possa sovrapporre i tetraedri in strati spaziali successivi. Quindi quattro punti bastano per costituire un poliedro, e per esaurire le dimensioni dello spazio concepite dalla intuizione umana. Col punto (unità), col segmento (due), col triangolo (tre) e con il tetraedro (quattro), la manifestazione geometrica dell'unità è compiuta.

Ora, la somma di questi quattro numeri fondamentali dà dieci; il dieci é il quarto numero della serie dei numeri triangolari: 1, 3, 6, 10..., come il quattro è il quarto numero della, serie dei numeri interi; ed il 10 é il più piccolo numero che appartiene tanto alla serie dei numeri interi che a quelle dei numeri triangolari e dei numeri piramidali. A questi rapporti di natura aritmetica tra il 4 e il 10, vanno poi aggiunti, a guisa di conferma e di ulteriore indicazione dell'importanza del dieci e della sua connessione con il quattro, vari fatti che non potevano mancare di essere osservati e valutati dagli antichi. Il fatto che le dita delle mani sono proprio dieci, che la, lettera iniziale della parola decade è la quarta dell'alfabeto greco, e si scrive mediante un triangolo equilatero (il 10 è numero triangolare) ecc.... Concludendo, il quattro ed il dieci hanno molti caratteri di affinità, e perciò il loro prodotto, il quaternario di decadi o decade di quaternari, viene in certo modo ad assommare ed intensificare in un solo numero tutti questi caratteri. Cabalisticamente rapporti consimili intercedono tra la yud (decima lettera dell'alfabeto ebraico), la aleph (prima lettera dell'alfabeto ebraico) formata, come é noto da quattro yud, ed il tetragrammaton.

Comunque il fatto essenziale é che il quaranta esprime la totalità di un periodo, l'integrità dei secoli come dice S. Agostino. Questo periodo avrebbe potuto essere simbolicamente espresso anche da altri numeri; e, se nel caso speciale della quaresima o digiuno, iniziatico è stato prescelto o si é dappertutto, nei misteri isiaci, nella tradizione ebraica, araba, cristiana ed ermetica, affermato il quaranta, oltre alle ragioni pitagoriche: e cabalistiche per cui eccelle il 40, ciò si deve forse alla comune origine egizia della sapienza di Mosé e dei misteri isiaci riportati da Apuleio, ed in ogni modo al legame profondo che lega tra loro (al disopra delle incomprensioni fanatiche e degli odi feroci) le varie correnti e manifestazioni della tradizione iniziatica mediterranea, da cui traggono derivazione più o meno precisa e cosciente le religioni storiche del bacino mediterraneo, i misteri egizi, orfici, pitagorici, eleusini, bacchici ecc… gli ordini cavallereschi, l'ermetismo e la Massoneria.

Possiamo dunque andare abbastanza d'accordo con quanto scrive a proposito del numero quaranta il Lacuria (Les Harmonies de l’Être exprimées par les Nombres): La sola cosa costante è che il numero caratterizza un periodo completo e sufficiente per compiere un'opera. S. Agostino pensa che il numero quaranta rappresenta la durata del nostro pellegrinaggio sopra la terra, il che è difatti un periodo completo che termina l'opera del nostro destino. Il quaranta deve emanare dal numero quattro che è pure un numero completo; un numero che riassume Dio e la sua opera; una somma che contiene l'enumerazione di tutte le specie di esseri esistenti e possibili.

Che la rigenerazione iniziatica costituisca un periodo, un lasso di tempo cioè avente un inizio ed una fine, come ogni altro caso di generazione, e sia perciò esprimibile e simbolicamente computabile a mezzo di un numero come il quaranta, ci sembra manifesto. E poiché il compimento di un periodo porta necessariamente all'inizio di un altro lasso di tempo, ed ogni fine è nel medesimo tempo un principio, ogni morte una nascita, è naturale che i concetti di fine, perfezione (per-ficere), compimento, morte, inizio e iniziazione, siano tra loro strettamente associati, e che la palingenesi iniziatica consti intrinsecamente e sia cerimonialmente raffigurata da quella morte e resurrezione, che nella tradizione cristiana ha per protagonista Gesù; la cui morte e resurrezione, quindi ed innanzi tutto, é una espressione simbolica della tradizionale trasmutazione spirituale iniziatica, abbia o non abbia riferimento in un particolare evento storico o leggendario.

 

La Lettera Mêm

Porremo fine a queste note soffermandoci alquanto intorno alla tredicesima lettera dell'alfabeto ebraico, la Mêm, che corrisponde e denota il numero quaranta.

Maim è il nome ebraico delle acque, sempre designate al plurale (o meglio al duale, indicando le acque superiori e le inferiori), cui corrisponde l'egiziano mu, e l'arabo ma, acqua. Abbiamo già veduto che le acque sono poste in relazione col numero quaranta nel caso del diluvio, per il quale ha termine una umanità e ne ha inizio un'altra. Per prima cosa, appena cessato il diluvio di 40 giorni e decresciute le acque per 40 giorni sì da dare in secco, uscì dall'arca il corvo, per non farsi più rivedere; eppoi fu seguito dalla colomba e dall'apparizione del sole, ossia dei colori dell'arcobaleno. Nell'ermetismo, la grande opera presenta delle fasi che vengono espresse con identica e consimile terminologia; anche la trasmutazione ermetica si compie dissolvendo e seccando, e passando dal color nero (il corvo degli alchimisti) al color bianco (le colombe di Diana); ed anche nell'ermetismo appare la coda di pavone, ed il periodo necessario al compimento dell'opera è computato talora in quaranta anni, o mesi.

La lettera Mêm, cui corrisponde nel tarocco la 13a lama, raffigurante la morte, é preceduta dalla lettera lamed, che ha per valore numerico trenta e corrisponde alla 12a lama del tarocco, raffigurante il penduto; ed é seguita dalla nun, il cui valore numerico é cinquanta, e che corrisponde alla 14a lama del tarocco raffigurante la temperanza.

Lamed in ebraico significa imparare, apprendere, e questo concetto, associato a quello raffigurato dalla corrispondente lama del tarocco, lo si trova nel duplice senso delle parole disciplina e docilità (dal lat. docere), e del sanscrito yoga (lat. jugum). La lettera lamed si riferisce dunque all'apprendista, al discepolo, che deve sottostare alla disciplina dell'Ordine iniziatico, compiere le dodici fatiche di Ercole, percorrere le dodici stazioni della via crucis, della passione, prima di potersi cimentare alla grande opera, che si compie mediante la morte e la resurrezione iniziatica. Da questo punto di vista i numeri 12, 30, il loro comune pitmene 3, e la lettera Lamed sono il simbolo della fase umana preliminare dell'iniziazione, sono il simbolo dell'apprendista (5).

A questa lettera segue la Mêm, la dissoluzione, la morte sulle quattro braccia della croce; e quindi la Mêm, il 13, il 40 ed il loro comune pitmene 4, son il simbolo della morte e resurrezione iniziatica, della crocifissione, sono il simbolo dell'iniziato o compagno.

La quattordicesima lama del tarocco corrispondente alla nun ed al 50, rappresenta una donna in atto di travasare del liquido da un recipiente in un altro, ed é quindi segno di trasmutazione e di palingenesi.

Per la legge spirituale corrispondente alla legge fisica dei vasi comunicanti la palingenesi conduce all'equilibrio, e quindi alla quiete, alla pace profonda, alla stabilità immune dal cambiamento. È il riposo di cui parla Cagliostro nel suo rituale; ed il massone egiziano, dice Cagliostro, dopo aver compiuto le due quarantene e conseguito l'immortalità spirituale e fisica, non aspira che a questo riposo ed a poter dire di sé: ego sum qui sum. È la requie eterna della liturgia cattolica, intesa nel suo significato esoterico. La lettera nun, quindi, e i numeri 14, 50 ed il loro comune pitmene 5, sono il simbolo della completa palingenesi, il simbolo del Maestro.

La somma dei tre numeri 30, 40 e 50 dà 120, il numero dei giorni della tretramenia egiziana, e degli anni vissuti da Mosé. La somma dei loro pitmeni 3, 4, 5, dà 12, il numero ciclico dell'anno, il numero zodiacale. Questi tre numeri (ed i loro proporzionali 30, 40 e 50) sono inoltre le misure dei cateti e dell'ipotenusa del così detto triangolo egizio, tenuto dagli antichi in concetto di sacro (Vedi Plutarco - De Iside et Osiride), costantemente adoperato nell'architettura religiosa dell'antichità per il suo carattere simbolico e misterioso, e tuttora in uso come simbolo muratorio. Prendendo sopra una corda dodici segmenti consecutivi di eguale lunghezza, tenendo fermi i punti corrispondenti alla fine del terzo e del settimo segmento, e riunendo i due capi, si ottiene questo triangolo egizio, il quale, come é noto, é rettangolo; ed anzi tra tutti i triangoli rettangoli é quello per il quale le misure dei lati offrono i rapporti numerici più semplici. In questo modo si perviene a costruire una squadra, un angolo retto, ossia a dividere la circonferenza in quattro parti. Il famoso teorema di Pitagora, che vale anche per questo triangolo, dice che la somma dei quadrati costruiti sopra i cateti equivale al quadrato costruito sull'ipotenusa; ossia che sommando insieme quello che é contenuto in potenza (quadrato) nel tre e nel quattro si ottiene quello che é contenuto in potenza nel cinque, il pentalfa pitagorico.

Questo tanto geometricamente quanto esotericamente.

 

La Quaresima Pasquale

 

Sulla Pasqua consultare anche nella sezione Tavole Architettoniche:

 

La Pasqua

 

Come la Mêm viene subito dopo le prime dodici lettere dell'alfabeto ebraico ed ha 40 per valore numerico, così la Pasqua di resurrezione viene dopo le dodici stazioni della via crucis e si compie durante le quaranta ore tra la morte e la resurrezione. Venendo dopo la chiusura del ciclo dodecimale é naturale che la sua ricorrenza debba aver luogo appena finito l'anno, all'inizio della primavera (primo vere, printemps). Ora, il primo punto equinoziale corrisponde (se non si tiene conto della precessione degli equinozi) al primo punto del segno zodiacale dell'Ariete, l'Agnello pasquale. Ma la Pasqua è determinata non soltanto dopo ed in base al termine dell'anno solare, o ciclo dodecimale, ma anche dopo la fine del ciclo quaternario lunare; e la sua ricorrenza cade nella, prima Domenica (ossia nel primo giorno solare) che segue il primo plenilunio posteriore all'equinozio di primavera. Essa é dunque subordinata alla fine dei due cicli solare e lunare, ossia in base ai due periodi che hanno la massima influenza e corrispondenza in ogni vegetazione e generazione.

Notisi inoltre che il simbolo zodiacale dell'Ariete è adoperato dall'alchimista Zosimo (III secolo dell'era volgare) per rappresentare lo zolfo, sostanza, secondo gli antichi, eminentemente ignea ed infiammabile, e che lo zolfo in greco é espresso dalla parola theîon che significa anche divino. Così l'igneo e divino potere dello zolfo viene a connettersi con il segno zodiacale dell'ariete, e quindi con l'agnello pasquale, l'agnus qui tollit peccato mundi. Dopo le dodici lettere dell'alfabeto abbiamo trovato la Mêm, associata per vie diverse al concetto dell'acqua; dopo il ciclo dei dodici mesi troviamo ora il segno dell'ariete, in vari modi associato al concetto del fuoco; e ritroviamo così l'acqua ed il fuoco, la soluzione e la coagulazione, della grande opera.

Venendo finalmente alla nun, osserviamo che, tanto nel calendario ebraico che in quello cristiano, cinquanta giorni dopo la Pasqua viene la Pentecoste, come lo stesso nome lo dice. Narrasi negli Atti degli Apostoli, nel cinquantesimo giorno dopo la morte di Gesù lo Spirito Santo discese sopra gli Apostoli. Ma anche questo fatto è un effetto e non il punto di partenza della santificazione della Pentecoste ossia del periodo quinquagesimale. Infatti la santificazione del 50° giorno dopo la Pasqua é prescritta dal Levitico con le seguenti parole: E tu santificherai il cinquantesimo anno, e proclamerai la remissione di tutti gli abitanti della terra, perché é il giubileo. L'uomo ritornerà nel suo possesso, e ciascuno tornerà nella sua antica famiglia.

Dopo quanto abbiamo detto il senso esoterico di questo passo non è difficile ad afferrarsi. Del resto lo si può rintracciare sino negli scrittori della Chiesa. S. Agostino, per esempio, opina che col quaranta è raffigurata questa vita laboriosa e che il cinquanta raffigura la quiete e la delizia; ed il Venerabile Beda si basa sul passo del Levitico su riportato e sopra quello degli Atti sulla Pentecoste per affermare che: consta che con questo numero possa rettamente venir raffigurata e la grazia dello Spirito Santo, e il gaudio della futura beatitudine, alla quale si perviene per dono di questo spirito, e nella cui sola percezione veracemente si riposa e si gode.

Secondo San Girolamo il quaranta é sempre posto nella fatica (labore), mentre il 50 ci conduce ad interiora Ecclesiae, perché finito il Sabato di sette settimane esso rompe nel giorno della resurrezione. San Girolamo cita la perorazione di Abramo nella Genesi per salvare Sodoma se in essa si fossero trovati cinquanta Tsaddîqîm (Giusti), e la parabola del Vangelo (Luca VII e XVI) sui due debitori l'uno di 50 e l'altro di 500 denari per provare che il 50 è il numero della penitenza e della remissione. Sant'Agostino dice che il 50 è il simbolo del la Chiesa futura, dove sempre si loda Iddio, perché 50-40+10, dove il quaranta é il numero della vita umana, ed il 10 (denario) é il denaro o ricompensa dell'operaio. Un altro ed ancor più mirabolante legame tra il 40 ed il 50 lo avrebbe, a detta del Bongo, trovato San Girolamo. Infatti, dice il Bongo, il gaudio sempiterno del nostro giubileo é per sino contenuto in certo modo latente nel presente conflitto, e, questo rilevasi dall'osservazione fatta da San Girolamo che la somma di tutti i divisori del 40 é eguale a cinquanta. I divisori del quaranta, invero, sono: 1, 2, 4, 5, 8, 10 e 20, la cui somma é proprio eguale a cinquanta. Questo mostra secondo San Girolamo che il quaranta contiene in sé potenzialmente il cinquanta, nel senso simbolico mistico che abbiamo esposto.

All'inizio della Quaresima trovasi la preliminare e rituale purificazione, le Ceneri, che corrisponde alla catarsi dei misteri pagani; viene poi il periodo quadragesimale di lavoro, prova, digiuno e disciplina che si chiude con la morte e resurrezione iniziatica; é la Pasqua di resurrezione, corrispondente nel significato e nella ricorrenza annuale alle grandi Dionisiache (28 Marzo-2 Aprile) ed alle Liberalia romane (17 Marzo); ed infine, per ultima, la quinquagesima della Pentecoste che si chiude con la discesa dello "Spirito Santo.

Nel fissare la data della Pasqua in base alla chiusura dei cicli solare e lunare, ossia alla fine dei dodici mesi dell'anno solare, e delle quattro settimane del mese mensile culminante nella prima luna piena posteriore alla fine dell'anno solare, abbiamo preso per inizio dell'anno solare l'equinozio di primavera. Anticamente, difatti, era quello che accadeva in Roma, prima della riforma di Numa Pompilio, come é provato dai nomi di alcuni mesi: Aprile (aperire), Settembre, Ottobre ecc che erano appunto il settimo, ottavo, ecc. mese dell'anno; ma se si pone, come oggi costuma e come pare certo avvenisse ancor più anticamente, l'inizio dell'anno al solstizio d'inverno, al momento cioè in cui il sole, nell'emisfero settentrionale, si trova alla sua minore altezza sull'orizzonte, al momento in cui termina la calata del giorno e ne principia l'aumento, è possibile trovare, con uno spostamento approssimativo di novanta giorni delle analogie significative nelle feste annuali e nelle tradizioni religiose… Tra il solstizio d'inverno e l'equinozio dl primavera intercedono esattamente novanta giorni, essendo nel calendario romano Dicembre e Gennaio di 31 giorni e Febbraio di 28. E come la Pasqua é subordinata e posteriore all'equinozio di primavera; così poco dopo il solstizio d'inverno (21 Dicembre) ha luogo il Natale (25 Dicembre), il S. Giovanni Evangelista (27 Dicembre), il Capodanno e l'Epifania. Per questa subordinazione al solstizio ed all'equinozio delle date della nascita e della resurrezione si é voluto vedere in tutto questo niente altro che una allegoria del mito solare, mentre invece per noi i riferimenti di indole astronomica stanno solo come simbolo appropriato e corrispondenza analogica della rigenerazione interiore iniziatica.

Per consimile ragione anche il periodo intercedente tra due consecutive morti e resurrezioni della Fenice (6) in mezzo alle fiamme é computato talora in 1461 anni, l'anno sothiaco degli egiziani, ossia il periodo intercedente tra due consecutivi levate eliacali di Sirio, misurato da un numero di anni eguale a quattro volte l'esatto numero dei giorni dell'anno, cioè da 4 volte 365+uno.

Di solito però la morte e la rinascita della fenice dicesi tradizionalmente avvenga ogni 500 anni, ossia ogni cinquanta decine di anni. Ritroviamo così il cinquanta, giacché il 50 dice Origene , è numero parente del 500. Il 500 anzi, sempre secondo Origene, é più prestante e perfetto del 50, e ciò è provato dal passo del Vangelo sopra i due debitori che abbiamo sopra citato.

Non pensiamo di avere con questo nostro studio esaurito l'indagine sopra il significato simbolico del numero quaranta, la sua origine, ragione e storia, argomento apparentemente modesto e circoscritto, ma che viceversa poi ci ha condotto ad esaminare alcuni aspetti assai riposti della tradizione esoterica mediterranea (7), e di quella religiosa ebraico-cristiana. Abbiamo veduto che il simbolismo numerico del 40 e del 50 assume nella tradizione cristiana un aspetto prevalentemente mistico e moralistico, ma che il senso esoterico traspare talora negli scrittori della Chiesa relativamente chiaro e fedele.

In questa indagine sopra così minuto particolare del simbolismo si é venuta rilevando la connessione delle varie religioni e delle varie scuole iniziatiche dell'Occidente, dall'Egitto al Cristianesimo, dalla Qabalah all'ermetismo; ed anche da questa indagine appare manifesto che solamente l'esperienza iniziatica e la conseguentemente possibile comprensione ed interpretazione esoterica delle tradizioni é in grado di assurgere intelligentemente e sinteticamente al di sopra delle divisioni di Chiese e chiesuole e di intendere appieno quelle verità che, affidate all'allegoria tradizionale ed al velo simbolico dei testi, traspaiono frammentarie, incomprese e deformate nelle interpretazioni che gli scrittori profani, delle varie chiese e scuole, sono usi a dare delle cose sacre.

 

 

 

 

(1) Anche per S. Agostino il 40 era il numero della vita umana, (Cfr. per questo e per ampie notizie sui numeri mistici il Dictionel de la Bible del Vigouroux alle voce: Nombres); ed anche Leopardi, nel dialogo tra il fisico ed il metafisico pone all'età di 40 anni l'acme della vita umana. [Torna al Testo]

(2) Questa connessione di Gesù con Mosse ed Elia è completata e confermata dalla trasfigurazione di Gesù, che avvenne, dicono i sacri testi, tra Mosé ed Elia (Cfr. Matt. XVII, Marc. IX, e Aug. Epistol. LV, cap. XV). [Torna al Testo]

(3) Secondo S. Girolamo (Comm. in Ezechiel. Lib. IX, cap. XXIX, patrol. Migne XXV, 387) per causa di questo soggiorno il 40 è il numero dell'afflizione e della pena, ed é per questo che Mosé, eppoi Elia e Gesù, digiunarono 40 giorni. [Torna al Testo]

(4) Gesù paragona sé stesso alla vite verace, ma l'agricoltore, il Georgos, lo precede in quanto è suo padre. Molte cose vi sarebbe da dire circa, l'uso del simbolismo pastorale, di quello agricolo, e di quello della edificazione nella tradizione mediterranea. [Torna al Testo]

(5) Il pitmene di un numero è dato dal resto della sua divisione per 9, o dal 9 stesso quando il resto é zero. Preferiamo fare uso di questo antico termine pitagorico, anziché dell'espressione bizzarra (riduzione teosofica) usata da L. C. de Saint Martin. Il quale, a proposito del quaranta, non dice che poche cose ed inconcludenti (Des Nombres - Paris, 1861, p. 65; e Tableau Naturel, 1783; p. 836). [Torna al Testo]

(6) La Fenice, così chiamata pel suo colore purpureo (cfr feni­cottero), é un importante simbolo ermetico, usato anche negli alti gradi della massoneria scozzese. [Torna al Testo]

(7) Ad evitare equivoci, sarà bene aggiungere che quando par­liamo di tradizione esoterica mediterranea, di scuole iniziatiche dell'Occidente, ecc... non intendiamo riferirci ad alcuna delle tante orga­nizzazioni pseudo-templari, rosacroce ecc.., che hanno la pretesa di continuare o di possedere tale tradizione. Tranne qualche eccezione, si tratta, infatti, di pretese assolutamente infondate. La cosa é poi semplicemente umoristica da parte di certi ordini martinisti che in Occidente potrebbero avere sede appropriata solo nell'isola di Pantelleria. Non si tratta più, in questo caso, di deviare dalla tradi­zione, e neppure di deragliare, ma semplicemente di... ragliare; ed il capo dell'ordine, naturalmente, non é più Ermete Trismegisto, ma Asinesio tre volte asinesio, asinesio perfino nel plagiare. [Torna al Testo]

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