Accade spesso di sentir parlare del tempio di Salomone ed anzi di udirne magnificare la grandiosità, la bellezza, lo sfarzo; simile esaltazione della celeberrima fabbrica ci ha stimolato a ripercorrerne la storia ed a valutarne la portata artistica, per poter mettere a raffronto ciò che all'atto pratico è stato ed ha rappresentato il tempio di cui trattasi e ciò che, invece, è frutto di poetiche amplificazioni...

In questo lavoro sono riportate alcune riflessioni del carissimo Fratello R.P. Lo scritto costituisce un opera della maestria dell'autore. Il suo contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I.

Il documento è stato pubblicato su "Hiram" n.10 nel mese di ottobre del 1987, dal quale è stato catturato.

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Accade spesso di sentir parlare del tempio di Salomone ed anzi di udirne magnificare la grandiosità, la bellezza, lo sfarzo; simile esaltazione della celeberrima fabbrica ci ha stimolato a ripercorrerne la storia ed a valutarne la portata artistica, per poter mettere a raffronto ciò che all'atto pratico è stato ed ha rappresentato il tempio di cui trattasi e ciò che, invece, è frutto di poetiche amplificazioni. Peraltro queste ultime possono anche essere giustificate quando, nell'esaltare l'edificio, intendono piuttosto conferirgli un senso allusivo, simbolico, mentre in realtà si riferiscono al tempio spirituale che l'interiorità umana costruisce in sé; e, del resto, anche Gesù Cristo, quando parlò del tempio che Egli sarebbe stato capace di distruggere e di ricostruire in tre giorni, alludeva, appunto, all'edificio spirituale e non a quello materiale. A questa seconda più prosaica espressione noi vogliamo tuttavia rivolgere la nostra attenzione nel presente lavoro, peraltro ristretto a redazione estremamente succinta.

Salomone, il quale regnò dopo David tra il 974 ed il 932 a.C., per un totale di 42 anni, iniziò la costruzione nel quarto anno del suo regno, cioè nel 970-969 a.C.; i lavori si protrassero per sette anni e mezzo.

Risulta dalla Bibbia che l'edificio di culto fu costruito in pietra da taglio, ma che venne rivestito da una profusione di materiale ligneo, aureo e bronzeo, dando sfoggio di una magnificenza che oggi chiameremmo barbarica e che documenta quel sentimento dell'horror vacui caratteristico delle civiltà ancora al primi passi.

Il luogo prescelto per l'edificazione fu il colle detto "Moriah", ove era situata l'ala di Orna (o Araunah) ll Jebuseo, e dove David aveva innalzato un altare; ivi infatti era apparso un angelo, rinfoderante la propria spada, al termine di una terribile pestilenza che decimò il popolo d'Israele. Il suddetto altare doveva essere collocato quasi sicuramente sopra la famosa roccia attualmente al centro della moschea di Omar, detta anche "la Cupola della Roccia". Il tempio salomonico venne orientato, cioè rivolto con la facciata verso oriente; esso constava di tre vani disposti consecutivamente, l'uno appresso all'atro, e tutti dell'identica larghezza di 11 metri. Prima veniva un atrio, o vestibolo, profondo m. 5,50; poi veniva un'aula che era chiamata "Santo" ed era profonda m. 22; infine seguiva la cella, detta ''Santissimo", o "Santo dei Santi'', profonda m. 11. Le misure in altezza erano: del vestibolo oltre m. 16,50 (forse m. 22), dell'aula m. 16,50, e della cella m.11. É facile osservare che tutte le misure sono multipli esatti di m. 0,55, cioè del cubito, ragion per cui - ad esempio - la cella o "Santo dei Santi" era un perfetto cubo di 20 cubiti di lato.

Sembra di dovere escludere che la roccia su cui apparve l'angelo vendicatore fosse inclusa nel vestibolo del tempio: essa invece doveva stare davanti al tempio stesso; l'altare, a suo tempo erettovi da David, fu sostituito da Salomone coi bronzeo altare degli olocausti. La ripartizione del tempio in tre vani era espressamente riferita ai tre regni della natura e così l'atrio rappresentava il mare, il "Santo" la terra, ed il "Santissimo" il cielo. La lunghezza totale dell'edificio era, esclusi i muri, di m. 38,50, il che ci porta a concludere, col Ricciotti, che esso aveva la consistenza di una modesta chiesa di provincia, qualora paragonata alle contemporanee imponenti fabbriche di Tebe e di Babilonia.

Esternamente, all'edificio erano addossate su tre lati una serie di camerette, alte m. 2,75 (5 cubiti) in numero di trenta per piano, e sovrapposte su tre piani, per un totale di novanta ambienti. La larghezza dì tali camerette cresceva a mano a mano che si andava verso l'alto, dal momento che i muri progressivamente si assottigliavano.

Il vestibolo era preceduto da due colonne di bronzo alte 18 cubiti (m. 9,90) e portanti un capitello sferico, fino a raggiungere un'altezza di m. 12,65: dovevano in un certo qual senso somigliare a due grossi birilli. I nomi delle colonne, tramandatici dalla Bibbia, sono Jakhin e Boaz, ma sembra che sia da preferire una lezione più arcaica, che le vuol denominate Jakhun e Beoz, nomi che significano "è stabile" e "in forza", cioè che il Tempio è di una forza stabile, incrollabile. L'atrio conteneva sicuramente il cosiddetto "mare" di bronzo, poggiato su dodici buoi di bronzo disposti in gruppi di tre, secondo ogni punto cardinale: trattavasi di una enorme vasca piena d'acqua, donde veniva attinto il liquido per i riti ed i lavaggi; e anche dieci grosse conche di bronzo mobili su carrelli, per il trasporto dell'acqua. É problematico che nell'atrio stesse pure l'altare degli olocausti, perché ci sembra difficile che un vano piuttosto modesto (m. 5,50 x 11), dalle dimensioni all'incirca del soggiorno di un qualsiasi appartamento, ospitasse tanto materiale, senza contare la folla degli officianti, che non dovevano essere pochi. Per i suddetti motivi pensiamo che l'altare degli olocausti stesse fuori, compresa la roccia sacra su cui era poggiato, anche per altri motivi che appresso discuteremo.

L'aula di legno di cedro e di cipresso e di materiali preziosi, conteneva l'altare d'oro per i profumi e gli incensi, la mensa per i pani della proposizione e dieci candelabri d'oro massiccio. Infine nel "Santissimo", o cella del Dio, era conservata la famosa Arca della Alleanza, consistente in una specie di cassone, misurante m. 0, 67 x 1, 12, contenente le tavole della Legge ricevute da Mosè sul Monte Sinai; al suoi lati erano due statue di Cherubini ad ali distese: è incerto se fossero due figure di animali, all'uso babilonese, o di uomini; ma sembra più probabile la seconda ipotesi perché ancora l'influenza di Babilonia su Israele era lungi dal farsi sentire, mentre poteva ancora perdurare quella egiziana. Null'altro era ivi contenuto.

Il Ricciotti ha accostato per confronto all'Arca israelitica l'analogo oggetto egiziano, constante di un cofano, o baule, foggiato a forma di tempietto e contenente qualche statuetta od oggetto sacro. Mentre però l'Arca israelitica era portabile, poiché ai lati possedeva quattro anelli entro cui venivano infilate due stanghe che ne consentivano il sollevamento, quella egiziana veniva invece posta su una barca sacra che serviva da portantina e che veniva anche essa sollevata mediante due stanghe, come mostra un rilievo di Karnak. C'è da aggiungere, infine, che nei templi egiziani barca e sovrapposta arca erano collocate, dopo le processioni, su un podio situato nella cella del dio. Si può inoltre ricordare che prima delle sistemazioni salomoniche l'arca israelitica era stata portata da David a Gerusalemme e collocata in un padiglione all'uopo apprestato.

Per quel che concerne l'esecuzione degli altri arredi del tempio, dice la Bibbia che i cedri ed i cipressi vennero portati via mare fino a Giaffa e di qui inoltrati a Gerusalemme. Gli oggetti di bronzo furono eseguiti da Huram-abhi (meno bene Hiram Abif), artista di Tiro, che li fuse presso Sukkoth nell'avvallamento del Giordano. La Bibbia invece tace il nome dell'architetto; ma di ciò diremo appresso. Per ora continuiamo colla descrizione del nostro tempio.

La cella era separata dall'aula mediante una parete di legno di cedro, dove si apriva una porta pentagonale, che era sempre aperta, ma occlusa da un velo che impediva di vedere l'interno del "Santissimo". La porta che immetteva all'aula dal vestibolo era quadrangolare.

L'insieme di questi tre ambienti formava la casa di Dio. Essa stava in mezzo ad un cortile delimitato da un muro; tale cortile, scoperto, era detto "atrio interno" un secondo cortile più ampio e situato più in basso, recingeva il primo ed era detto "atrio esterno". Il muro dell'atrio interno aveva tre porte in corrispondenza dei tre punti cardinali; dobbiamo pensare che, specie al muro del secondo e più ampio cortile, fossero addossati parecchi ambienti non descritti dalla Bibbia, ma che tuttavia dovevano esserci, perché -come è ben noto nell'antichità - qualsiasi tempio svolgeva le funzioni di banca, di deposito di somme e di oggetti preziosi, di scuola, biblioteca e archivio e di altre manifestazioni della vita civile. L'area già appartenuta all'ala di Orna, il Jebuseo, fu utilizzata, oltre che ad installarvi il tempio, anche per innalzare la reggia, che era situata presso la angolata sud-est della spianata, attualmente designata come Haram-esh-Sharif.

 

 

E veniamo al secondo tempio.

Nell'intervallo fra il secolo X ed il secolo VII il mondo assistette all'ascesa della potenza assiro-babilonese. É ben noto che si trattò di una civiltà guerriera, impegnata nella sottomissione dei popoli abitanti le terre a sud est del Mar Mediterraneo.

Nel corso di ripetute guerre, prima gli Assiri, poi i Babilonesi, conquistarono Siria, Palestina ed Egitto. Quando arrivò il turno del modestissimo regno di Giuda la popolazione ebraica venne deportata sulle rive del fiume Eufrate ed il tempio di cui trattasi fu distrutto. Una prima deportazione si ebbe nel 597 a.C.; seguì una seconda deportazione, con la distruzione della venerata fabbrica, nel 586; una terza deportazione, più limitata, ebbe luogo nel 582. Sul posto furono trasferite altre popolazioni, anch'esse estirpate dai loro luoghi d'origine, le quali poi, quando gli israeliti rientrarono in patria, si comportarono ostilmente nel loro confronti, considerandoli degli intrusi. Dal trasferimento coatto probabilmente si salvarono gli strati più umili della popolazione, come ad esempio pastori, fittavoli, braccianti, e così via discorrendo. Del tempio probabilmente restarono visibili le fondazioni ed i basamenti, naturalmente semiricoperti dalla vegetazione, dai rovi e dal terriccio, così come, da che mondo è mondo, è sempre apparso l'aspetto di un rudere. Ma al termine circa del VI secolo la potenza assiro-babilonese fu fiaccata da quella dei Persiani di Ciro il quale, in breve, consentì al rientro nella patria d'origine delle numerose popolazioni deportate in Mesopotamia. Tra esse erano anche gli Israeliti, i quali furono organizzati in una prima carovana capeggiata da Zorobabel e Joshua (Giosuè-Gesù) figlio di Josedec, sommo sacerdote; essa partì nel 537 a.C. e la prima cosa a cui venne posto mano, non appena giunti a destinazione, fu la ricostruzione del tempio. Ma le suddette popolazioni alienigene si opposero fermamente a simile iniziativa e le opere dovettero essere arrestate: probabilmente si fece appena in tempo a gettare le fondamenta, a ritrovare i perimetri delle basi, ed a rabberciare qualche tratto di muro. Poi il fermo.

Nulla si sa dei successivi diciassette anni ed anche Zorobabel sparisce dalla scena; un secondo tentativo ebbe luogo nel 520, quando, spronati dal profeti Aggeo e Zaccaria, gli Israeliti riuscirono ad erigere il tempio; i lavori durarono quattro anni e mezzo e terminarono nel febbraio del 515. La fabbrica aveva le stesse misure di quella salomonica, alla quale però restava enormemente inferiore per ricchezza di decorazioni, di ornamenti e di arredi. La casa di Dio era inclusa nei due soliti atri, o cortili, l'uno interno e l'altro esterno, di cui resta incerta la separazione, se cioè esistessero muri di delimitazione o no; ma sembrerebbe di sì, perché uno di tali muri fu abbattuto nel 159 a.C. da Alcimo. L'altare degli olocausti era senz'altro esterno perché in epoca molto tarda il principe Alessandro Janneo fu bersagliato a cedrate dalla plebaglia inferocita, appunto mentre si trovava presso l'altare in questione; ciò che sarebbe stato impossibile se l'ara e implicitamente la roccia sacra fossero state nel vestibolo; conseguentemente, dal momento che nel ricostruire si ricopiò senz'altro il precedente salomonico, anche quest'ultimo doveva presentare un analogo assetto, come dianzi replicatamente accennato.

Nella cella del ricostruito edificio mancò l'Arca ed i due Cherubini, bruciati probabilmente nelle distruzioni del 586.I dieci candelabri, già nell'aula, furono sostituiti dalla menorah, unico candelabro a sette bracci. Nel frattempo gli invidiosi vicini erano riusciti ad ottenere dai dominatori Persiani che almeno le mura di cinta di Gerusalemme non venissero restituite; conseguentemente si provvide ad avvertire i confratelli Giudei restati al servizio dei re di Persia dello stato di insicurezza in cui si era costretti a vivere. Per tali motivi, il principe Nehemia, altissimo dignitario della corte di Susa, insieme con lo scriba Esdra, venne a Gerusalemme verso il 445 e procedette con le debite autorizzazioni regie alla ricostruzione delle mura in questione, impresa che fu compiuta in 52 giorni. Nel corso dell'opera, i muratori lavorarono con la spada al fianco, al fine di rintuzzare eventuali attacchi all'improvviso delle infide tribù circostanti.

Compito dello scriba Esdra era nel frattempo quello di provvedere alla ricostruzione morale, alla riformazione di una coscienza civica, etica e religiosa in quelle derelitte popolazioni. Nehemia, conclusa l'opera, tornò a Susa nel 433; ma prima del 424 dovette ritornare a Gerusalemme per insistere nell'azione di ripristino dei valori morali e religiosi. Dopo di che, nulla più si sa di lui. Analoga la sorte di Esdra che, rimpatriato a Susa, dovette ripresentarsi a Gerusalemme nel 398, al fine di proseguire nell'azione di risanamento morale; dopo di che, anch'egli sparisce dalla scena storica.

E veniamo infine al terzo tempio, quello di Erode il Grande, distrutto poi dai Romani di Tiro. Secondo il plastico della restituzione proposta dallo Schick, l'insieme degli edifici erodiani era identico a quello del secondo tempio, salvo il completamento del recinto in corrispondenza dell'ala meridionale, eseguito appunto in questa terza fase. I lavori furono iniziati nel 19-20 a.C. e durarono 9 anni e mezzo.

Alcune varianti furono apportate al vari cortili. Quello più esterno fu chiamato "l'atrio dei gentili", perché accessibile a tutti; quello più interno fu suddiviso in due parti, di cui la zona maggiormente lontana dal tempio fu chiamata "l'atrio delle donne- e quella restante "atrio degli israeliti"; il cortile su cui prospettava l'edificio sacro e l'altare degli olocausti era definito "atrio dei sacerdoti". In sostanza, risulta dalle varie descrizioni che l'ordinamento conferito da Salomone al complesso templare fu sempre rispettato, salvo le succitate lievi varianti presso i cortili.

Ci sarebbe infine da raggiungere un quarto tempio: quello in cui fu posta l'Arca dell'Alleanza subito dopo l'uscita dall'Egitto e lo stanziamento del popolo israelitico in Palestina (v. Giosuè 18,1); esso viene definito nel libro dei Giudici (18,3 1) come "Casa di Dio". Nel primo libro dei Re (1,9) è definito "Tempio del Signore" e poco più appresso "tabernacolo". Doveva trattarsi di una costruzione in muratura, perché circa verso il 650 a.C. Geremia riferisce: "Andate alla mia Casa in Silo... e guardate ciò che ne ho fatto a causa della malvagità del mio popolo d'Israele"(Ger. 7,12). Ciò significa che al tempo di Geremia ancora si ergevano le rovine di questa "Casa di Dio", che conseguentemente non poteva ridursi ad una tenda, ad un padiglione rizzato con mezzi e materiali di facile deperibilità, come stoffe o legname, poiché in caso contrario - dopo, appunto, quattrocento anni - sarebbe stata integralmente consumata dalle intemperie.

Doveva pertanto essere una costruzione di pietra, di cui però sono imprecisabili la forma e le dimensioni. Possiamo tuttavia con verosimiglianza congetturare che si trattasse di un edificio modesto, in parte adibito ad abitazione dei pochi officianti, come risulta leggendo la storia di Samuele, il quale era addetto al funzionamento del culto, con l'incarico più o meno di fare il sacrestano: ogni mattina doveva aprire le porte del santuario. In sostanza si ha la sensazione di una fabbrica ridotta, austera, priva di qualsiasi lusso. Tutto ciò premesso, non è assolutamente il caso di paragonare il tempio costruito da Salomone con quelli egiziani, anzitutto per la differenza delle misure: basti pensare al tempio di Seti 1 ad Abydos, occupante un'area rettangolare di oltre m. 180 x 546 compresi i due cortili (la parte coperta è circa la metà del totale), mentre il Ramesseum di Tebe occupa una superficie di m. 167 x 530 (parte coperta pari alla metà del totale), ed il tempio di Amon m. 90 x 350 (idem); secondariamente per la disposizione, che nei templi egiziani più semplici e classici, come quello di Khonsu a Karnak (Fig. 4) consta anzitutto di un duplice colonnato su tre lati recingente un cortile, a cui segue una sala ipostila a cinque navate divise da quattro file di colonne, e comunica con il santuario entro il quale si trovava il cippo sostenente la barca sacra e l'arca del dio; dietro il santuario segue una seconda sala a colonne e infine vengono tre celle. Il tempio, come descritto, occupa una superficie di m. 30 x 75. Tale schema, talvolta più o meno complicato, è quello che si presenta in numerosi templi egiziani, compresi quelli sopra citati, dove semmai le dimensioni assumono scala gigantesca: così ad esempio l'aula ipostila del Ramesseum misura m. 80 x 120 e pertanto conterrebbe da sola quattro o cinque volte il tempio gerosolimitano.

In conclusione, pur se non mancano attinenze e somiglianze, è da escludere che nell'elevazione della fabbrica salomonica si sia voluto in qualche modo copiare i modelli edilizia dell'Assiria o di Babilonia.

Anche in questo caso la differenza nella scala è in molti casi enorme e la disposizione degli ambienti piuttosto divergente. Nulla rimane del tempio situato in cima alla ziggurat di sette piani chiama Etemenanki, la famosa "torre di Babele", sorgente in Babilonia quale dimora del dio Marduk. A Babilonia stessa il tempio di Ishtar, risalente al VII-VI secolo a.C. è come scala abbastanza vicino alla fabbrica gerosolimitana, misurando circa m. 30 x 40, ma nulla possiede in comune come pianta, che offre una serie di camere intercomunicanti disposte intorno ad un cortile quadrato. 1 templi di Khorsabad, città assira costruita nell'VIII secolo a.C. da re Sargon, si svolgono anche essi in adiacenza ad atrii o cortili e constano in prevalenza di una singola navata, talvolta prolungata in una cella: tuttavia alcuni di essi offrono la disposizione in successione, cioè in profondità, del vestibolo dell'aula e della cella, di modo che, pur se le proporzioni differiscono, l'organizzazione edilizia è abbastanza vicina a quella salomonica, che però cronologicamente precede tali fabbriche assire; ragion per cui si dovrebbe concludere che esse hanno copiato quella, e non viceversa. Ma noi piuttosto riteniamo che, col decorrere dei secoli, la tipologia di qualsiasi luogo sacro tendesse ad assumere la forma a navata rettangolare con cella in fondo; di modo che può credersi che le eventuali somiglianze siano più il frutto di una naturale comune evoluzione verso un determinato schema edificatorio, che di attinenze stilistiche.

Ma una puntuale somiglianza con Gerusalemme rivela un altro tempio, recentemente scavato nel nord della Siria. Qui, tra Antiochia ed Aleppo, esisteva in tempi remoti un grosso principato, quello di Unqui, di cui sono state riportate alla luce due città, l'una delle quali doveva esserne la capitale: essa corrisponde al sito modernamente nominato Tell Ta'Ynar, sul fiume Oronte non lungi da Antiochia e sembra trattarsi della biblica città di Kalno o Kinalua.

L'altra è stata trovata presso il luogo di Tell Ayn Dara e qui è stato dissepolto il tempio strutturalmente simile a quello di Salomone, rispetto al quale le differenze consistono nella riduzione ad una galleria porticata delle novanta camerette recingenti il perimetro dell'edificio gerosolimitano; inoltre la pianta tende al quadrato, ma la successione in profondità di vestibolo-aula-cella è identica; si aggiunga, poi, che le due costruzioni risultano essere contemporanee.

Un confronto tra le differenti decorazioni e sculture è impossibile, a causa delle distruzioni e del tempo trascorso, circostanze che hanno distrutto il materiale ornamentale, ma quelle del monumento siriano rivelano di appartenere all'arca della cultura figurativa cosiddetta neohittita della Siria del nord, agli inizi del 1 millennio a.C. (Fig. 6).

L'edificio siriano inoltre presenta il vano della porta d'ingresso tripartito da due colonne, secondo un motivo che si direbbe "alla Palladio", caratteristico (per la rarità delle colonne nell'architettura assiro-babilonese, di modo che l'area della caratterizzazione viene ad essere molto ristretta), dell'assetto siriaco detto a "bit hilani", consistente, come spiega il Gurney, in "una porta monumentale a due piani con pilastri che si raggiungeva mediante una gradinata, e che conduceva in un atrio vasto, ma poco profondo", proprio come nel caso sia del tempio di Tell Ayn Dara, sia di quello salomonico, che conseguentemente sembra aver ripetuto siffatta struttura d'ingresso. Un edificio a "bit hilani" è quello che si trova nei pressi del grande complesso reale di Khorsabad, dianzi menzionato; André Parrot dice trattarsi di "costruzione d'origine anatolica, o nord-sira", copiata dai re assiri, che la ammirarono nel corso delle loro campagne di guerra. Il nome "bit hilani", avverte il citato Gurney, è stato decifrato in una tavoletta di Mari del 1900 a.C. (Mari era un'antichissima città situata circa a metà del corso dell'Eufrate); il suddetto edificio di Khorsabad presenta l'aspetto di un padiglione probabilmente adibito a funzioni abitative di particolare valore. E tale analoga funzione debbono avere assolto i numerosi "bit hilani" di Zengirli, di cui il Fletcher presenta disegni abbastanza chiari. Appunto perché il "bit hilani" serviva da residenza principesca esso dovette essere preso come base progettuale del tempio di Tell Ayn Dara, cioè come abitazione del dio. La stessa cosa dovrebbe essere affermabile del tempio di Gerusalemme, il cui sviluppo in profondità, anziché in larghezza, potrebbe essere attribuibile a reminiscenze egiziane (Fig. 7).

La scoperta di Tell Ayn Dara conferma comunque la derivazione nord-siriana del tempio biblico e viene conseguentemente a porre una grossa ipoteca, se proprio non vogliamo dire la certezza, sul fatto che l'architetto di tale monumento sia stato appunto il fenicio, o siroferticio, Hiram Abif.

Ci si potrebbe tuttavia chiedere i motivi del perché la Bibbia si preoccupi di registrare il nome dello scultore e di omettere, invece, quello dell'architetto: ma si può facilmente rispondere che l'architettura, fino ad epoca abbastanza recente, è stata considerata come il supporto delle altre due arti maggiori, cioè pittura e scultura, di modo che i nomi degli architetti sono stati sempre a malapena rammentati, addirittura, anche in occasione dell'innalzamento di grandi fabbriche di altissimo prestigio: si veda l'esempio del Partenone dove tutti sanno che il fregio ed i rilievi sono di Fidia, ma pochi conoscono che l'architettura è dovuta a Ictino e Callicrate. Lo stesso vale per altre importantissime costruzioni dell'antichità e del Medioevo.

Di modo che, tutto sommato, noi dobbiamo reputare per sicuro che l'architetto al servizio del re d'Israele sia stato un siriano, alle dipendenze del re di Tiro e, che le figure dell'innominato progettista e del menzionato scultore coincidano nella persona di Hiram Abif.

Pensiamo con questo nostro modestissimo resoconto di aver contribuito ad offrire in ordinaria successione la cronologia degli avvenimenti edilizi gerosolimitani e di aver indicato, alla luce dei più recenti ritrovamenti archeologici, le conclusioni più aggiornate degli studiosi in ordine ed appartenenze a discendenze della sacra fabbrica del re Salomone.

 

 

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