Nel 1898 il celebre filologo tedesco Hermann Usener scrisse un famoso libro, Die Gótternamen, (I nomi degli Dei). Nell’opera, sull’onda delle intuizioni di Max Müller, lo studioso tedesco sostenne una precisa corrispondenza fra le divinità ed i loro nomi. E, per primo, sottolineò la stretta affinità fra templum e tempus, il tempio ed il tempo.

 

Il documento che presentiamo ai nostri ospiti è estratto da "Hiram n.1 anno 2010" ed è opera di ingegno del compianto Fratello Bent Parodi di Belsito.

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© Bent Parodi di Belsito

 

 

 

 

Nel 1898 il celebre filologo tedesco Hermann Usener scrisse un famoso libro, Die Gótternamen, (I nomi degli Dei). Nell’opera, sull’onda delle intuizioni di Max Müller, lo studioso tedesco sostenne una precisa corrispondenza fra le divinità ed i loro nomi. E, per primo, sottolineò la stretta affinità fra templum e tempus, il tempio ed il tempo. L’associazione non è affatto peregrina: come già nel greco témenos, anche il latino templum (da una radice indoeuropea TEM), da cui il verbo temno, “tagliare”) allude ad una porzione di spazio consacrato, saturo del sacro, e dunque ritualizzato. Non diversamente, ancora oggi nel lessico esoterico, anche il tempo è considerato eterogeneo e non lineare: è, appunto, il tempo del sacro. Del tutto diverso da quello della vita quotidiana. Non ha nulla a che vedere con il concetto di durata, esso è impregnato di potenza; costituisce, per dirla con Mircea Eliade, una cratofania, apparizione della forza o piuttosto una ierofania cioè, una “manifestazione del sacro”.

 

È bene ricordare che le società tradizionali rifuggono dalla storia ed attuano il principio della circolarità in ossequio al mito dell’eterno ritorno.

È singolare dover constatare come in molte circostanze gli antichi abbiano precorso, con il pensiero mitopoietico, verità poi accertate dalla scienza positiva.

Se templum e tempus, come ha ben visto Usener, sono così strettamente associati, non si può non pensare alla celebre teoria della Relatività stabilita da Albert Einstein. Non vi è differenza tra il tempo e lo spazio, che assieme alla causalità costituiscono le categorie, i predicati sommi, del mondo dei fenomeni. Lungi dall’essere realtà differenti, in realtà essi sono la medesima cosa: il continuum spazio-temporale. Ne discendono possibili implicazioni filosofiche di stimolante rilievo. È ben noto come lo spazio, per effetto della gravità, tenda invariabilmente ad incurvarsi. Tutti i corpi celesti hanno, difatti, forma sferoidale. Ed è ben noto come nel linguaggio simbolico del mito la sfera sia considerata la creatura perfetta. Spazio e tempo fanno tutt’uno, come si può presumere che anche il tempo tende ad incurvarsi, ipotesi che ci dischiude inquietanti scenari? Il tempo curvo potrebbe consentirci interessanti viaggi a ritroso e nel futuro. È l’antica idea dell’abolizione rituale della storia, intesa come gravosa e insopportabile concezione della durata che logora ogni esistente.

Anche per il greco temenos si applicano le considerazioni già formulate per il latino templum, dunque per l’italiano tempio. Nel pensiero ellenico si ha una precisa ripartizione: il tempo ordinario chronos, il momento opportuno, il kairos, aiòn (da cui il latino aevum) il tempo assoluto, dell’eternità.

Tutti distinti da peculiari differenze sostanziali.

 

Anche oggi, nell’elaborazione filosofica, si potrebbero considerare tre tipologie: il tempo cosmogonico, cioè della parola, il tempo degli Dei, il tempo degli uomini (quello attuale), in cui è evidente la successiva frantumazione, il progressivo indebolimento ontologico.

Ma il tempio per gli antichi Egiziani, inteso come una “centrale energetica”, nasconde ben altre sorprese. Come è stato dimostrato dagli studi del grande etno-musicologo tedesco Marius Schneider, tutta l’architettura sacra è musica solidificata. Ogni costruzione è suscettibile di essere tradotta in uno spartito. In Le pietre cantano Schneider racconta come gli sia stato possibile, durante un viaggio in Spagna, convertire un chiostro della Catalogna in un canto gregoriano. La tesi non è del tutto rivoluzionaria, essa era già adombrata nella complessa teoria dell’antica schola pitagorica, nell’idea dell’armonia delle sfere.

V’è un preciso nesso fra la dimensione luminosa e quella acustica; non a caso in sanscrito, la lingua degli antichi indù, “luce” e “suono” si pronunciano quasi allo stesso modo: svar- e svara-. Tutto ciò è stato verificato dalla nuova fisica. Nell’universo tutto vibra, dovremmo immaginare il mondo come una grande ragnatela, un campo di forze. La forma, intesa nel senso elementare di aspetto, è sempre risposta alla frequenza. A seconda delle oscillazioni, qualsiasi oggetto è costretto ad una mutazione. Così oggi sappiamo che il suono è luce non ancora percepibile e che la luce, caratterizzata da una vibrazione molto più ampia è suono non più udibile.

Nel precorrimento mitico del pensiero greco, una sola parola designa al contempo, la dimensione estetica luminosa e quella acustica, sonora: ghélos, “riso”, “sorriso”.

 

Nel quinto libro della sua celebre Biblioteca, Diodoro Siculo (I sec. a.C.) ricorda come Demetra, epifania della grande Madre mediterranea, abbia creato il mondo con la forza del suo “riso”, “sorriso”. Si tratta di una variante fondamentale dell’antichissimo mito demetriaco. Diversamente che nella Grecia continentale, quello siciliano allude ad una esclusiva cosmogenesi partenogenetica, cioè senza il concorso maschile. Al pari della giapponese Amaterasu, la dea-Sole antenata mitica del Tenno, l’imperatore nipponico, la donna, per così dire, fa tutto da sé.

 

Tutta l’architettura tradizionale è, dunque, in strettissimo rapporto essenziale

con la musica, a condizione che l’edificio templare sia perfettamente orientato, sul modello tracciato dalle culture pre-classiche, verso l’Est, là dove sorge il Sole. Così è stato, salvo rare eccezioni, sino alla fine del XIV sec.

Non altrettanto potrebbe dirsi di quasi tutta l’architettura moderna, la quale è sì, convertibile in note musicali, ma certo del tutto stonate e disarmoniche, tale, in definitiva, è il segreto del tempio, archetipo dell’umana trascendenza, inesauribile pulsione verticale che libera l’uomo dai suoi lacci terreni e lo proietta verso le alte sfere, verso il suo destino che lo ha voluto creato ad immagine e somiglianza del Creatore.

È il relativo che si india nell’assoluto, poiché l’Assoluto, per definizione, implica la somma totale di tutti gli aspetti relativi della realtà.

Siamo come le foglie di un unico, immenso, albero le cui radici sono saldamente piantate nel più alto dei cieli.