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Introduzione

 

Porre attenzione alla Qabalah, in particolare, attraverso una prima lettura del "Sepher Yetzirah", "Libro della formazione", in un contesto filosofico del linguaggio, significa entrare nel cuore dei meccanismi semiotici della lingua sacra più vicina a noi. Affrontare un’analisi della stessa natura su altre lingue "sacre", utilizzando, ad esempio, il Sanscrito, il Cinese o quant’altro, richiederebbe conoscenze troppo lontane dalle nostre possibilità; inoltre, un ambiente culturale assai distante dal bacino del Mediterraneo annullerebbe l’opportunità di utilizzare, nell’analisi che ci proponiamo, quella facoltà intuitiva fondata sulla radice comune che abbiamo col mondo ebraico, possibilità da affiancare, proficuamente, al rigore razionale della ricerca.

In quest’analisi, col termine "lingua sacra" non intenderemo dichiarare le caratteristiche teologiche che la parola "sacro" evoca, ma la cristallizzazione di significante e significato in un ambiente linguistico dove, al posto del legame arbitrario del segno, si ipotizza un orizzonte simbolico stratificato e non arbitrario, ancor prima che nella "parola", all’interno della singola "lettera". Nulla togliere, nell’analisi, al significato esoterico del testo, che comunica, in maniera assai velata, la conoscenza occulta e segreta della cultura ebraica, cercheremo di osservare cosa avviene in questo laboratorio del linguaggio, per avvicinare i meccanismi semiotici che lo governano e capire quali siano le dinamiche che determinano il movimento tra la "necessità" simbolica e l’arbitrarietà del linguaggio nella società parlante.

Per una completa analisi circa la presenza reale dell’arbitrarietà sulla lingua dei parlanti, sarebbe necessaria un’attenta verifica per costatare quanto influisca, in essa, la rigidità (necessità) tra significante e significato dello stadio simbolico. Il problema è sollevato perché, a differenza dei linguaggi moderni, (o "non sacri", stando all’accezione che abbiamo assunto per il termine "sacro"), che hanno subito una notevole evoluzione diacronica, l’ebraico attuale è rimasto pressoché uguale a quello biblico, che consideriamo simbolico. Le lettere dell’Alef Beit (Alfabeto Ebraico) sembrano essersi fissate su raffigurazioni simboliche stabili, sulle quali ancora oggi, come nel passato, si costruiscono le parole della lingua parlante. L’analisi qui presa in considerazione, evidentemente, non riguarda lo status generale del linguaggio, l’essenza ontologica del comunicare umano, ma una lingua particolare, vista nei suoi equilibri interni. Dato, poi, che il simbolismo del linguaggio nel percorso biblico, che abbiamo preso come riferimento diacronico di partenza, non si percepisce ad un primo livello di lettura, la verifica in oggetto, comporterebbe, necessariamente, un lavoro sociolinguistico per comprendere quale sia il grado d’inconscia consapevolezza simbolica della società parlante, ossia, quanto la popolazione sia connaturata a ciò che accade a livello simbolico nella propria struttura linguistica.

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