l'OBLIO, INIZIO DI UNA NUOVA RIVELAZIONE

 

 

 

Dio e la Sua Torah sono stati dimenticati, e per questa ragione Dio deve scendere nel mondo e spiegare i segreti della Torah, che riveleranno la Sua gloria perduta. Questa rivelazione fondamentale corrisponde al tempo della redenzione, un tema che ricorre spesso nel testo. La forma corporea, i segreti della Torah, la potenza di Dio, la voce forte sono sintomi naturali e positivi di esperienze rivelatorie che sembrano in aperta contraddizione con le interpretazioni intellettualistiche proposte dai filosofi ebrei influenzati da Aristotele.
Secondo molti testi cabalistici, incluso lo Zohar, ben noto all’autore del Sepher ha-meshiv, i segreti della Torah sono la parte più profonda della Torah, mentre il suo senso letterale è considerato esplicitamente come una veste. In una famosa parabola dello Zohar, la Torah si rivela al mistico sollevando il velo e mettendo così a nudo i suoi segreti. Le tecniche oniriche cabalistiche sono lo strumento con cui si può raggiungere Dio in sogno, e Dio, da parte sua, si serve del sogno per rivelare se stesso e i segreti della Torah.  
Analizziamo più in dettaglio il tema della voce.
In uno dei brani citati si dice esplicitamente che la rivelazione può avvenire attraverso o senza la parola. Inoltre, Elia era considerato colui che trasmette la voce. Già nella corrente principale della Qabalah, quella teosofico-teurgica, ricorre spesso l’idea della discesa della voce come metafora importante del processo di emanazione. Ciò è evidente nello Zohar, ma anche in molti altri scritti cabalistici. La discesa emanativa neoplatonica, chiamata processio, che comincia nella sfera interamente spirituale e finisce nella realtà corporea, è stata descritta come una parola che ha inizio con il pensiero divino, la seconda sephirah, diventa una “voce interiore” nella terza sephirah, una voce più esplicita o forte nella sesta sephirah, e infine un discorso articolato nell’ultima sephirah. È piuttosto interessante che nella teoria del Sepher ha-meshiv i poteri angelici diventino parte del dispiegarsi della parola divina quaggiù. Vorrei riportare un’altra citazione relativa alla parola: alla domanda se gli angeli parlino fra loro come gli uomini, l’angelo Gabriele risponde: “Sappi che su questo argomento ti annuncio in breve che quando essi vogliono parlare l’uno con l’altro per una certa attività, non hanno bisogno di parlare effettivamente, ma fanno degli accenni, e si comprendono l’un l’altro per via di un potere spirituale, come tu oggi, che stai scrivendo, benché io non ti parli ma metta le mie parole nella tua bocca”.
Dunque la rivelazione passa per una voce, ma si tratta della voce di colui che riceve, utilizzata dal potere angelico per rivelare il messaggio che viene dall’alto. La bocca del cabalista è dunque l’organo di ricezione principale, e l’angelo uno strumento che conferisce potere spirituale all’uomo.
A mio parere questa è una descrizione efficace del punto di vista dell’autore del Sepher ha-meshiv, che come abbiamo visto immagina Elia sia come veste di Dio che come entità connessa all’anima dell’uomo. L’anima del cabalista è dunque pensata come un medium attraverso cui il messaggio divino si articola in parole distinte e udibili. Questa trasformazione avviene forse in sogno. Se si ritiene che Elia riveli se stesso nel tempo presente solo in sogno, la risposta dovrebbe essere sì. Ma allora come può il messaggio annunciato da un cabalista dormiente diventare reale, e assurgere a dignità di libro. La soluzione è la comparsa di una seconda figura, un amanuense, che ascolta la pura voce, senza vedere alcunché, e mette per iscritto il messaggio, come fosse stato generato dal sognatore. In altre parole, la rivelazione in sogno può essere vista come uno stato di possessione in cui un angelo si impadronisce sia dell’anima che della bocca. Il corpo umano diventa allora la veste dell’angelo, il quale a sua volta è la veste di Dio. Dio parla tramite la mediazione dell’angelo, e attraverso la bocca dell’uomo. In un secondo passaggio, la voce umana viene trascritta. A proposito dei nomi dei quattro fiumi del Paradiso, l’anonimo autore del Sepher ha-meshiv scrive esplicitamente: “Per la domanda in sogno non ci sono [nomi] migliori di quelli. Recitali dieci volte e di’: “Nomi santi che scaturiscono da Dio, mostratemi un sogno veridico!”. Allora subito ti mostreranno un sogno veridico riguardo alla domanda che porrai”.
Vorrei provare a chiarire il ruolo svolto dal sogno nell’esplorazione dell’ignoto. Inducendo un sogno il cabalista può, in linea di principio, accedere a un piano nascosto dell’esistenza, e assistere a scene che sfuggono agli uomini in stato di veglia. In questo modo coglie fatti che avvengono comunque, ma che acquistano significato solo se si trascende l’approccio razionalistico. In altre parole, il sognatore può essere visto come un osservatore passivo. Ma non è così nella teoria del sogno nel Sepher ha-meshiv, secondo la quale il cabalista non solo induce il sogno ma ne determina anche, in larga misura, il contenuto, decidendo se invocare Dio o gli angeli, oppure i demoni, e ponendo domande cui agli emissari celesti viene chiesto, se non addirittura imposto, di rispondere.
Quando viene utilizzato per ricevere risposte precise a domande concrete, il sogno si può considerare una combinazione di magia e di tecniche mistiche. Se invece il sogno affronta questioni più ampie, come il significato della Torah o il corso della storia, chi lo fa diventa, o si può immaginare come, l’osservatore di un dramma storico, che si svolge in forme fissate da Dio. Ma anche in questo caso il cabalista non è passivo: per far sì che la storia si dispieghi nella forma voluta da Dio, deve infatti intervenire per creare le circostanze adatte, confrontandosi con i poteri del male. I sogni contenevano dunque una quantità di informazioni “pratiche”, ma costituivano altresì una guida per l’attività religiosa.
Per concludere questa breve discussione sul Sepher ha-meshiv, vorrei riportare un passo affascinante nel quale si tratta della fine di una visione, che contiene l’interpretazione di un pericopio della Genesi.
Vorrei proporre una traduzione di poche righe, tutt’altro che trasparenti: “Ecco, questa visione si è compiuta, con l’aiuto di Dio Onnipotente, senza il Quale nulla può essere compiuto, Benedetto Egli sia e Benedetto il Suo Nome. E vieni questa notte, a metà della notte, là ti darò quello che amo, Benedetto sia Dio in eterno, Amen e Amen”.
Ritengo che questa affermazione sia parte della rivelazione, e chi parla sia un angelo di alto rango, se non addirittura la Šhekinah che si rivolge al cabalista. Per un cabalista che si occupi di sogni, un appuntamento nel cuore della notte è abbastanza appropriato. Benché altrove Dio stesso lo istruisca su tecniche magiche tanto potenti da avere effetto persino su di Lui, sugli angeli e sui demoni, secondo questo testo la relazione tra chi rivela e chi riceve è una relazione d’amore, quasi erotica. L’angelo che risponde usa infatti un’espressione che, sebbene ricordi il Cantico dei Cantici, non ha paralleli nella letteratura ebraica.
L’uso del termine dodi (mio diletto) può essere interpretato in diversi modi. Dodi può infatti significare “amato”, e allora il testo si riferirebbe alla relazione che ha luogo a mezzanotte tra l’angelo che risponde e il cabalista. Tuttavia, la traduzione che propongo mi sembra più corretta: l’angelo chiede al cabalista di venire a mezzanotte perché a quell’ora l’angelo, o la Šhekinah, daranno al cabalista quello che lui, o Lei, ossia l’angelo o la Šhekinah, amano, cioè un incontro con Dio. Subito dopo, non a caso, Dio viene benedetto. Questa sfumatura erotica non è forse tanto interessante per l’economia generale del Sepher ha-meshiv, ma può aiutarci a comprendere meglio i presupposti cabalistici di un’altra importante figura notturna, il cabalista del XVI secolo Rabbi Yosef Karo.
L’importanza dei sogni per la composizione del vasto corpus del Sepher ha-meshiv sembra essersi diffusa molto al di là del circolo di cabalisti spagnoli dell’epoca precedente l’espulsione.

 

 

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