LA DOMANDA ONIRICA NELLA QABALAH ESTATICA

 

 

 

Alla pratica della domanda onirica si sono interessati, fra gli altri, alcuni discepoli di Avraham Abulafia, il fondatore della Qabalah estatica. Sebbene il maestro non l’avesse impiegata in modo esplicito, a volte la pratica della domanda onirica fu associata dai suoi seguaci alla sua tecnica mistica di combinare le lettere per raggiungere un’esperienza estatica. Come vedremo, è accertato che R. Yitzhaq di Acco e l’autore di un’epistola spuria attribuita a Maimonide fecero esplicito ricorso alle domande oniriche, ed è pure evidente in taluni casi la somiglianza fra le tecniche da loro utilizzate a questo scopo e quella esposta negli scritti di Abulafia. È piuttosto sorprendente, tuttavia, che il maestro, Abulafia, non si sia mai dedicato a questa forma di divinazione o di prassi. Certo, tale riluttanza si può spiegare con la sua formazione filosofica, o con la prossimità, anche nelle fasi più tarde della sua carriera di cabalista, al pensiero di Maimonide. Ma questa spiegazione, per quanto corretta, mi sembra incompleta. Una risposta più complessa ed esauriente potrebbe partire dalla constatazione che alcune tecniche impiegate da Abulafia e il tipo di esperienza descritta in numerosi suoi testi implicano una risposta da ottenere in stato di veglia. Ciò è evidente nei casi in cui Abulafia si serve di tecniche non per raggiungere uno stato di unione mistica con il divino, ma per ottenere rivelazioni che assumono la forma di dialoghi tra il mistico e le potenze angeliche, ossia le immagini metaforiche dell’Intelletto Agente, nome con cui, ricordiamolo, si designa quell’intelletto spirituale, separato dalla materia, che per tutto il Medioevo svolse un ruolo rilevante nella gnoseologia della tradizione filosofica ebraica, e in alcuni casi anche di quella mistica.

Questa situazione dialogica mi pare molto simile ad altre in cui gli angeli forniscono risposte a un uomo in stato di veglia, dopo che questi ha fatto ricorso a ricette magiche. In un esiguo numero di ricettari per la domanda onirica l’affiorare della risposta è descritto come una rivelazione di grado superiore a quella di un’apparizione magica. Forse non è una mera coincidenza il fatto che una breve citazione dal testo di Abulafia Hayye ha-‘olam ha-ba si trovi unita ad alcune ricette magiche per la domanda onirica. Ancor più significativa, in un importante testo di Abulafia, è la descrizione della sua Qabalah: “L’altra parte [della dottrina cabalistica, cioè quella estatica] consiste nella conoscenza di Dio per mezzo delle ventidue lettere: da esse (1), come pure dai loro segni vocalici e dagli accenti per la cantillazione, sono composti i Nomi divini e i sigilli (2).

Essi parlano con i profeti nei loro sogni, negli Urim e Tummim, nello Spirito divino e durante la profezia”.

Qui Abulafia presenta una scala ascendente di stati divinatori: sogni, Urim Tummim, Spirito divino e profezia. Comune a tutti è l’idea che la rivelazione sia associata ai Nomi divini, o indotta da essi.

Sappiamo dai manuali mistici di Abulafia che la visione dei Nomi divini è parte della rivelazione che ottiene chi abbia usato quei Nomi come elementi della tecnica mistica. Ad esempio, in un passo di Hayye ha-‘olam ha-ba, le lettere del Nome divino di settantadue lettere appaiono davanti agli occhi del mistico alla maniera degli angeli. Nell’interpretazione di molti commentatori ebrei la tecnica mantica degli Urim e Tummim (3) è connessa al Nome divino di settantadue lettere.

Qui l’aspetto più interessante è che Abulafia attribuisse a questa forma di coscienza un ruolo nella profezia, mentre la maggior parte degli altri pensatori considerava il sogno come una forma di conoscenza inferiore. Pur non potendo essere dimostrato in via definitiva, il nesso tra sogno e impiego di Nomi divini come tecnica onirica è, a mio parere, evidente. Si ricorderà infatti che già diverse ricette magiche sulla domanda onirica comportavano l’utilizzo dei Nomi divini.

E in varie ricette il ricorso alla tecnica della domanda onirica si considera necessario, in quanto gli stati di coscienza connessi con gli Urim e Tummim, lo Spirito divino e la profezia non sono più accessibili.

Così, ad esempio, in una ricetta magica all’interno di una preghiera rivolta a Dio si legge: “Dio, mio Signore, fa’ che la mia supplica possa venire davanti a Te e rispondi alle domande che Ti rivolgo; a causa dei nostri peccati, non abbiamo né un profeta, né un sacerdote, né gli Urim e Tummim, e lo Spirito divino non è più tra di noi, e questo è il motivo per cui ora domandiamo per mezzo del Tuo Nome”.

Oltre all’enumerazione di formule divinatorie molto simili, questa ricetta ha un ulteriore tratto in comune con Abulafia, e in particolare con un passaggio del suo libro di profezie Sepher ha-ot, dove il Nome divino “inciso nel mio cuore” viene menzionato come parte essenziale dell’interrogazione.

Passerei ora a un’illuminante osservazione di uno dei seguaci di Abulafia, R. Yitzhaq di Acco: “Io, il giovane Yitzhaq di Acco, stavo dormendo nel mio letto, e alla fine della terza guardia una mirabile domanda onirica mi si è rivelata, in una vera visione, come in uno stato di perfetta veglia, e questo è [il versetto] “tu sarai perfetto verso il Signore tuo Dio” (Dt, 18, 13) “perfetto sarai tu verso il Signore tuo Dio” ... (4)

Ecco, dodici combinazioni delle cinque parole, che alludono alle dodici lettere del Nome [divino] ybq (5) e alle dodici combinazioni; il numero delle parole di queste dodici combinazioni è sessanta, e, vedi, “intorno al letto di Salomone c’erano sessanta valorosi” (Cantico III,7), “sessanta erano le regine” (Cantico VI,8-9 ) e sessanta sono pure i trattati [del Talmud], e questo è il motivo per cui l’esperto che li conosce in modo veritiero è chiamato ga’on, che equivale al numero sessanta. Le parole del versetto sono cinque [e sommate a sessanta] sono equivalenti a Adonay. (6)

E dopo aver visto ciò, ho creduto [opportuno] pensare immediatamente alle lettere del Tetragramma così come esse vengono pronunciate. Tuttavia, le ho pensate in una meditazione concettuale, riflessiva, intellettuale, non in una maniera che arriva dal cuore alla gola, e a fortiori alla lingua, poiché chiunque lo faccia, a causa di questo grande peccato viene bandito dalla vita del mondo a venire; infatti, chiunque pronuncia il Nome sublime e meraviglioso, secondo le Sue lettere, non ha parte nel mondo a venire. Il modo in cui dovresti immaginarlo nella tua mente, nella domanda onirica è il seguente, che è la vera via: y yud yud; h hh’ hhh hhy; w www ww’w wyww; h hh’ hhh hhy; ogni prima lettera [del Tetragramma] è la più importante, e deve essere sempre pronunciata insieme alle altre lettere”.

 

 

R. Yitzhaq riceve dunque, in sogno, una tecnica per le domande oniriche. Il cabalista deve pronunciare le lettere del Nome divino presenti in un versetto biblico, cambiando l’ordine delle parole; la pronuncia di queste ultime, tuttavia, è proibita dalla legge ebraica, proibizione che invaliderebbe la possibilità stessa di ricorrere a quel versetto. La soluzione offerta, sempre in sogno, è combinare ogni lettera del Tetragramma con tutte le altre; in tal modo ci si attiene al versetto originale, ma senza pronunciare le lettere del Nome divino nella forma e nell’ordine in cui esse compaiono nel testo biblico.

In una certa misura, non si tratta di una soluzione inedita. È infatti piuttosto simile alla tecnica di Abulafia, che prevede di pronunciare le lettere del Nome divino combinandole con ciascuna delle altre lettere dell’alfabeto ebraico. Ma qui pare di scorgere una consapevolezza profonda dei problemi teologici e giuridici legata al profondo interesse di R. Yitzhaq per la Qabalah estatica, in cui la combinazione di lettere dei Nomi divini svolgeva un ruolo fondamentale (“Qabalah dei Nomi divini” era una delle definizioni che Abulafia dava al suo sistema). Mi chiedo a questo punto se l’uso della formula “la vita del mondo a venire” non faccia riferimento all’omonimo manuale di Abulafia, che attribuisce un ruolo fondamentale alla tecnica combinatoria. Nel libro da cui è tratta la citazione precedente, R. Yitzhaq si occupa di un argomento che compare solo nel libro di Abulafia: la definizione di Metatron, ovvero l’Intelletto Agente, come senex  (shek) e puer (na‘ar) allo stesso tempo; un’apparente contraddizione da riportare nell’orizzonte della Qabalah, e da comprendere alla luce del significato che questo termine aveva per la scuola di Abulafia.

Già alla fine del XIII secolo il sogno era dunque ritenuto una forma di coscienza legittima, capace di generare contenuti legati non solo ai concetti astratti della Qabalah, ma anche a pratiche connesse con un aspetto molto delicato della dottrina.

Il passo citato non è il solo in cui R. Yitzhaq tratta della domanda onirica. Altrove egli menziona un anonimo cabalista, che lo avvicinò allo scopo di “fare per lui una domanda onirica” e spiegargli per quale ragione “la sua stella era debole” e non emetteva la luce che lui avrebbe voluto. Anche senza esaminarne i dettagli, il contenuto del testo è sufficiente a dimostrare che i cabalisti praticavano, e discutevano fra di loro, l’oniromanzia.

Infine, per descrivere il particolare stato di coscienza in cui si trova quando ottiene alcune rivelazioni, R. Yitzhaq usa a più riprese l’espressione nim we-lo nim, che compare già nel Talmud e indica “uno stato insieme di veglia e di sogno”. È proprio in questi stati intermedi della coscienza che si manifestano molte delle sue rivelazioni. È plausibile che si rifletta qui una certa influenza del Sufismo.

Un altro cabalista estatico che ricorse a tecniche oniriche è Yehudah Albotini, autore di origine portoghese attivo a Gerusalemme agli inizi del XVI secolo. Celebre halakista, Albotini compose uno dei trattati più sistematici di Qabalah estatica, il Sullam ha-‘aliyyah (“La scala dell’ascensione”), basato su tecniche mistiche trascritte dai libri di Abulafia.

Nel presentarle, Albotini si dice consapevole dei rischi cui si espone l’aspirante mistico, al quale consiglia di ottenere, prima di cominciare qualsiasi pratica, il permesso del Cielo. Si temeva infatti che la conoscenza dei Nomi divini potesse essere utilizzata per fini non solo mistici, ma anche magici o escatologici. Il permesso poteva essere ottenuto ricorrendo alla tecnica che abbiamo menzionato sopra, e cioè la she-‘elat halom (domanda onirica). Il nesso proposto da Albotini fra Nomi divini, domanda onirica e imprese messianiche ricorda una situazione vicina al circolo dei cabalisti legati al Sepher ha-meshiv, che descriveremo poco oltre.

Fin qui abbiamo esaminato i passi di tre cabalisti estatici: Avraham Abulafia, Yitzhaq di Acco e Yehudah Albotini. Come già detto, anche un’epistola anonima attribuita a Maimonide, e ispirata dalla scuola di Abulafia, tratta della domanda onirica.

È altrettanto importante ricordare che nella Qabalah estatica, il cui studio e i cui esercizi pare fossero una pratica diurna, tecniche ed esperienze mistiche vengono generalmente descritte come eventi notturni, in armonia, del resto, con lo studio della Torah e della Qabalah non estatica, che si raccomandava avvenisse durante la notte. Nondimeno, mentre per molti cabalisti notturni l’evento rivelatore può verificarsi in sogno, per Abulafia la forma di coscienza privilegiata è lo stato di veglia, anche nel caso in cui la rivelazione avvenga durante la notte. 

 


 

1. L’idea che le lettere dell’alfabeto ebraico siano una tecnica fondamentale per una conoscenza esperienziale di Dio è di capitale importanza nella Qabalah estatica.  [Torna a Testo]

2. I sigilli sono combinazioni differenti delle lettere del Tetragramma che secondo il Sepher yetzirah marcano le estremità dell’universo, e quindi lo limitano.               [Torna a Testo]

3. Si tratta di una tecnica mantica menzionata diverse volte nella Bibbia (la prima in Es, 28, 29-30). Secondo l’interpretazione talmudica funzionava mediante l’illuminazione di certe lettere sul pettorale del Sommo Sacerdote. Combinate fra loro, queste lettere fornivano la risposta alla sua domanda (Nota di Elisabetta Zevi).           [Torna a Testo]

4. Il cabalista dispone le cinque parole dell’originale ebraico del versetto in tutte le loro possibili combinazioni, che ammontano a sessanta. [Torna a Testo]

5. Infatti, le 12 consonanti dei nomi Eyeh, hhwh, Adonay, equivalgono in gematria a 112, come le consonanti ybq  [Torna a Testo]

6. La gematreya di questo nome divino è 65. [Torna a Testo]

 

 

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