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Dritarashtra si prepara alla grande tragedia

 Vyasa, osservando le due armate sconfinate appartenenti ai suoi discendenti, schierate l'una ad ovest e l'altra a est, grazie ai suoi poteri di chiaroveggenza, con nitidezza potè scorrere le pagine cruente della futura battaglia di Kurukshetra. Fu a quel punto che decise di andare ad Hastinapura a trovare suo figlio Dritarashtra.
"La guerra che avete accuratamente preparato durante questi lunghi anni è divenuta una realtà, oramai," gli disse. "Ho visto i due eserciti schierati in posizione di combattimento sulle rive del Gange e io ti avverto che saranno trascorsi solo pochi giorni dal suo inizio che ti ritroverai a piangere la perdita delle persone alle quali tieni maggiormente."
Dritarashtra non rispose. Sapeva bene che ciò che Vyasa diceva si sarebbe rivelata un'amara verità, ma dentro di sè rimaneva sempre un barlume di speranza, alimentato dalla sicurezza che gli derivava dalla forza immensa del suo esercito.
"Se vuoi osservare ciò che avverrà a Kurukshetra posso darti la possibilità di vedere ciò che avviene sul campo di combattimento," aggiunse poi.
"Padre mio," rispose lui, "io non desidero vedere il massacro fraticida che avverrà a partire da domani. Però non voglio neanche ignorare la realtà dei fatti. Fa in modo che qualcuno possa raccontarmi tutto nei minimi dettagli."
"Così sarà. Accorderò a Sanjaya il potere di osservare simultaneamente ciò che accade in ogni angolo della sconfinata terra di Kurukshetra. Potrà percepire i sentimenti e captare i pensieri più reconditi di coloro che si apprestano a morire o a sopravvivere; inoltre quando si troverà sul campo di battaglia, sarà invulnerabile all'urto di qualsiasi arma.
"Momenti tremendi si apprestano, figlio mio, ed io prevedo, senza ombra di dubbio, che la vittoria non potrà mai essere dei tuoi figli."
Detto ciò Vyasa partì.
Con l'animo turbato e la mente in subbuglio, Dritarashtra chiese a Sanjaya di parlargli dei numerosi luoghi santi e delle regioni di Bharatavarsha, così da dimenticare almeno per un pò la terribile ansietà che lo opprimeva.
Sanjaya, che era un grande erudito, gli parlò allora di delicati e controversi problemi filosofici quali le tre suddivisioni delle entità viventi che popolano l'intero universo e le complesse interazioni dei cinque elementi che compongono l'aspetto grossolano della creazione materiale. Ancora, descrisse fantastici luoghi come l'isola Sudarshana, Bharatavarsha ed altri, soffermandosi su ogni dettaglio e specificando persino la durata della vita dei loro abitanti.
Andò avanti a parlare per diverse ore, poi, terminato il discorso, si recò sul campo di battaglia.
Tornò ad Hastinapura dieci giorni dopo.
"O re, la politica demoniaca dei tuoi figli sta già dando i suoi primi frutti. Insieme a numerosissimi altri re e soldati, il grande e invincibile Bhishma, che ha provveduto a te nei primi anni della tua vita come se fossi stato suo figlio, il figlio di Ganga che possiede perfetta conoscenza dei principi che governano questo mondo e l'altro, è caduto sul campo ferito a morte, trafitto dalle centinaia di frecce scoccate dagli archi di Arjuna e Shikhandi. Egli sta ora aspettando il momento propizio chiamato Uttarayana per abbandonare le sue spoglie mortali."
Dritarashtra si sentì come fulminato: non trovava le parole per descrivere il suo dolore.
Poi, riavutosi, riuscì a dire:
"Come è stato possibile? Bhishma era invincibile e invulnerabile praticamente a qualsiasi arma, e sarebbe potuto morire solo quando lo avesse desiderato. Come hanno fatto? Egli è riuscito persino a confondere Parashurama e neanche i deva stessi avrebbero voluto incontrarlo sul campo di battaglia. O Sanjaya, appaga la mia curiosità, racconta gli eventi di questi primi dieci giorni di battaglia."
Sanjaya gli si sedette accanto e iniziò a parlare.
 
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Sanjaya inizia a raccontare
Non lontano dal lago Samantapanchaka, creato in tempi antichi dall'avatara Parashurama, stazionava la grande armata dei Pandava. Quando quella mattina uscirono dalle loro tende, tutti videro in lontananza un brulicare di stendardi e capirono che i Kurava erano arrivati. I loro cuori guerrieri, sempre assetati di battaglie, esultarono. Krishna e Arjuna soffiarono con forza nelle loro conchiglie devadatta e panchajanya per dar loro il benvenuto e i Kurava, anch'essi pieni di eccitazione, risposero con conchiglie, trombe e tamburi.
La mattina stessa i generali delle due parti si incontrarono per stabilire le regole da osservare durante la battaglia; poi il fermento delle ultime preparazioni tattiche riprese, più febbrile che mai.
"Dobbiamo dare il nostro massimo appoggio a Bhishma," disse Duryodhana al fratello Dusshasana mentre erano indaffarati ad organizzare le truppe, "specialmente durante gli attacchi di Shikhandi, che è predestinato ad uccidere Bhishma. Nella vita precedente egli era Amba e grazie a severe austerità è rinata come Shikhandi: il suo cuore è più che mai colmo di odio, e in questa vita non desidera altro che vedere ai suoi piedi il nostro amato e vecchio nonno. Proteggiamolo dunque con cura, poichè in assenza di Karna la nostra vittoria dipende da lui."
Intanto Bhishma, alla testa dell'undicesima falange, incoraggiava i soldati risvegliandone il loro ardore guerriero. Ognuno non aspettava altro che cominciare la battaglia, pronto a vincere o a morire. Fin dall'inizio sette tra i migliori si posero con i loro carri intorno a quello di Bhishma per proteggerlo dagli attacchi del figlio di Drupada.
All'infuori di Karna, tutti erano sul campo, pronti a combattere.
Dall'altra parte i Pandava osservavano lo sterminato esercito avversario. In quegli attimi di sottile tensione Krishna, per nulla preoccupato, ebbe per l'amico Arjuna, parole incoraggianti e fiduciose. Poi le manovre terminarono e sulla sconfinata piana calò un gran silenzio. Si sentiva solo il soffio leggero della brezza e il cinguettio degli uccelli.
Ma inaspettatamente Yudhisthira scese dal carro, si tolse l'armatura e gettò le armi sul terreno, seguito dai suoi fratelli. E tutti e cinque si diressero a piedi in direzione dell'esercito nemico, nel punto in cui si notavano i cavalli bianchi di Bhishma. Tutti erano stupiti: che voleva fare? che intenzioni aveva il figlio di Dharma?
"Sicuramente ha paura e cerca la protezione dell'anziano per evitare la sconfitta e salvare la sua vita e quella dei suoi fratelli," disse qualcuno.
"Come è potuto nascere un simile codardo nella razza kshatriya?", dissero allora altri. "La sua pazienza e la sua rettitudine erano invece una copertura alla sua vigliaccheria."
Nessuno capiva cosa stesse succedendo. Solo Bhishma, Drona e Kripa guardavano con un sorriso sulle labbra.
Arrivati di fronte all'anziano parente, Yudhisthira lo salutò con grande rispetto e gli disse:
"Sono venuto a porgerti i miei omaggi e a chiederti il permesso di combattere contro di te. Senza il tuo accordo noi non potremmo porci di fronte a te neanche per pochi istanti. Accordaci le tue benedizioni."
Bhishma sorrise e benedisse i nipoti. A quel punto i Pandava andarono da Drona e Kripa e chiesero anche a loro la stessa cosa.
I tre maestri furono felici nel vedere quanto i figli di Pandu fossero umili e rispettosi nell'osservare i sottili principi della religione. Ottenuto il consenso dai suoi maestri e superiori, Yudhisthira annunciò a voce alta che la guerra sarebbe cominciata immediatamente.
Tornati indietro, i cinque cominciarono a rimettersi le armature con movimenti talmente vigorosi ed energici che nessuno riusciva a distogliere lo sguardo dalle loro figure. Era uno spettacolo vederli in piedi sui loro carri, con lo sguardo fermo e solenne e splendenti come cinque Indra.
Duryodhana, dopo aver osservato attentamente la disposizione dei nemici, si recò da Drona.
"Guarda, o maestro, la grande armata guidata dal tuo intelligente discepolo Drishtadyumna. Guarda quanti eroi, tutti potenti come Arjuna e Bhima. Anche dalla nostra parte ci sono guerrieri invincibili come Bhishma, te stesso e altri ugualmente forti. Tuttavia noi sappiamo che essi tenteranno di colpire l'anziano Bhishma; per questo chiedo a voi tutti di dargli la massima protezione."
A quel punto il figlio di Ganga, notando la preoccupazione di Duryodhana, pensò di rincuorarlo suonando la sua conchiglia: a ruota fu seguito da tutti i soldati Kurava. Si produsse un suono assordante. Ma quando i Pandava risposero, il suono delle loro conchiglie giunse fino ai pianeti celesti, causando un vivo terrore nei cuori dei soldati Kurava.
 
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La Bhagavadgita
E in quel momento il figlio di Pandu, seduto sul carro con l'emblema di Hanuman, avendo visto il possente esercito nemico schierato con grande sapienza tattica, disse a Krishna:
"O infallibile, guidami tra le due armate così che io possa vedere chi, in disprezzo della propria vita, è venuto a partecipare a questa guerra."
Condotto da Krishna nel mezzo dei due schieramenti, Arjuna scorse i suoi parenti e amici, tutti armati e pronti a morire. Prevedendo il tragico destino che attendeva la maggior parte di loro, fu sopraffatto dalla compassione e con voce tremante per l'emozione disse:
"Krishna, dopo aver visto tanti che conosco e mi sono cari, ho perso la voglia di combattere. Come posso scagliare le mie armi contro i miei amici e parenti, che amo e rispetto più di ogni altra cosa? Io credo che da questa guerra non possa venire fuori niente di buono. A che ci servono gli onori e le ricchezze se li conquistiamo al prezzo della vita altrui? La morte di queste persone causerebbe solo grandi dolori e disordine in tutto il mondo e noi, che crediamo di essere virtuosi, saremmo macchiati dal peccato per l'eternità."
Dicendo queste parole, Arjuna gettò in terra il suo arco e le sue frecce, e si sedette sul carro, disperato, con la mente ansiosa e le mani rese malferme dall'agitazione.
A quel punto disse:
"O Govinda, io non combatterò."
Vedendo Arjuna depresso a causa della compassione che sentiva per tutti i suoi cari, Krishna disse:
"Mio caro Arjuna, quelle che hai detto solo apparentemente sono parole giuste. In realtà sei prigioniero di un'impotenza degradante che non conduce all'elevazione ma all'infamia. Non cedere a questa debolezza sentimentale e risorgi."
Arjuna, giungendo le mani in segno di rispetto, disse:
"O Madhusudana, mi sento confuso. Non so quale sia la cosa più giusta da fare. Per favore, dimmelo tu. Io sono tuo discepolo: istruiscimi."
E Shri Krishna cominciò a parlare:
"Il saggio non si lamenta nè per i vivi nè per i morti, in quanto sa che l'anima è eterna, che non nasce nè muore mai. Così come in questa stessa vita l'anima spirituale passa dal corpo di un fanciullo fino a quello di un anziano, in modo analogo al momento della morte passa in un altro corpo: una persona sobria non deve lasciarsi disturbare da questo fenomeno naturale.
"In questo mondo la sofferenza e il dolore appaiono e scompaiono periodicamente proprio come le stagioni; tali variazioni provengono dalla percezione dei sensi e non hanno realtà assoluta. Devi dunque imparare a tollerare senza esserne disturbato. Solo colui che raggiunge questo stadio di imperturbabilità è degno della liberazione. Considera, o discendente di Bharata, che ciò che pervade il corpo è eterno e indistruttibile e che solo il rapporto che lo lega ad esso è temporaneo; combatti, dunque, con animo sereno.
"Ma se anche tu credi che l'anima sia parte integrante di questo meccanismo di morti e rinascite, non hai ragione di lamentarti, in quanto la morte non sarebbe altro che un momento come un altro della storia dell'esistenza.
"Combattere è un tuo dovere naturale, che hai acquisito al momento della nascita e quindi devi farlo. In caso contrario la gente non crederà che tu l'abbia fatto per compassione, ma per paura, e il tuo nome sarà deriso per sempre. Dunque abbandona questa debolezza, alzati e combatti.
"Tuttavia poichè credi che le tue azioni sarebbero macchiate dal peccato, ti spiegherò come potrai agire pur restando libero dalle conseguenze.
"Ci sono uomini che sono attratti dal linguaggio fiorito dei Veda, che raccomandano attività interessate allo scopo di raggiungere i pianeti celesti o nascite migliori per una vita di gioie e opulenze: essi sostengono che niente è superiore a ciò. Nelle menti di costoro non può attecchire la determinazione per il servizio devozionale al Signore Supremo. Ma tu devi ergerti oltre le influenze della natura materiale, trascendere questo mondo, e per ottenere ciò devi agire secondo i tuoi doveri prescritti, ma senza pretendere di gioire dei frutti delle tue azioni; la tua perfezione consiste dunque nell'atto stesso e non nell'esito che potrà rivelarsi piacevole o meno. Non devi mai essere attaccato al successo o provare repulsione davanti al fallimento, ma fa tutto come servizio disinteressato alla Suprema Personalità di Dio. Avari sono coloro che vogliono godere dei risultati delle loro azioni.
"Se dunque ti comporterai secondo tale coscienza spirituale, in questa stessa vita trascenderai ogni condizionamento, sarai libero dal ciclo delle morti e delle rinascite e raggiungerai lo stadio che è al di là di tutte le miserie."
Arjuna chiese:
"O Krishna, da quali sintomi si può riconoscere colui che ha raggiunto la trascendenza?"
Shri Bhagavan rispose:
"Colui che ha abbandonato ogni desiderio per la gratificazione dei propri sensi, che nascono dalla speculazione della mente, e quando questa, così purificata, trova soddisfazione solo nel sé, puoi essere certo che è situato in pura coscienza trascendentale. E colui che non è più disturbato dalle miserie della vita materialistica, che non gioisce o si lamenta nelle situazioni di felicità o di sofferenza, che è libero da attaccamento, paura e rabbia, è un saggio dalla mente ferma. Arjuna, l'attaccamento per le cose di questo mondo si può vincere solo provando un gusto superiore, altrimenti i sensi, che sono più impetuosi e inarrestabili del vento, trascineranno nuovamente l'anima condizionata nel pozzo dell'esistenza materiale. É attraverso la contemplazione degli oggetti dei sensi che un uomo sviluppa attaccamento per essi, e per tale ragione perde la propria intelligenza. Ma se controlla i sensi servendosi dei principi regolatori della libertà, può ottenere la misericordia del Signore, riacquistare la propria intelligenza e raggiungere la vera pace. E al momento della morte può entrare nel regno di Dio."
Krishna continuò:
"O Arjuna senza peccato, a questo punto ti spiegherò meglio perché ti sto esortando a combattere. Non puoi ottenere la perfezione astenendoti dall'espletamento dei tuoi doveri, poichè tutti sono forzati ad agire secondo le caratteristiche che la natura materiale ha imposto loro. In funzione di ciò se anche ritirassi i tuoi sensi dall'azione, la mente rimarrà comunque sugli oggetti dei sensi, e prima o poi ritorneresti su di loro. Dunque ti dico di agire, ma in spirito di devozione; agisci offrendo le tue azioni a Vishnu, per la sua soddisfazione, e queste non ti legheranno al mondo fenomenico nè sarai nel peccato. Persino se tu fossi al di là di questo mondo e fossi già liberato, dovresti assolvere i tuoi doveri, poichè gli altri seguirebbero il tuo esempio e saresti causa di rovina per la società intera. Devi dunque armonizzare queste due cose, imparando a conoscere bene la differenza tra azione in spirito di devozione e azione motivata da interessi materialistici. Se tu Mi offri tutto ciò che fai senza volere nulla in cambio e senza credere che qualcosa ti appartenga, sarai libero da ogni peccato. Dunque, o Arjuna, combatti."
Arjuna chiese:
"Cos'è quell'energia che spinge un uomo a peccare, come se fosse costretto da una forza superiore?"
La Suprema Personalità di Dio rispose:
"É la lussuria, Arjuna, il nemico che tutto divora; essa nasce dal contatto con l'influenza della passione e poi si trasforma in collera. Questa lussuria non può mai essere saziata, brucia come il fuoco ed è l'eterno nemico della pura coscienza dell'entità vivente. O Arjuna, impara a controllarla fin dall'inizio, regola i sensi ed elimina questo assassino della conoscenza e della realizzazione spirituale."
Shri Krishna continuò:
"Questa scienza suprema che ti sto offrendo è la stessa che in tempi antichi impartii a Vivashvan. Io ti sto introducendo nei suoi meandri perché sei mio amico e devoto."
Arjuna chiese:
"Come puoi aver trasmesso questa conoscenza a Vivashvan, che è molto più anziano di te?"
Shri Bhagavan disse:
"Noi abbiamo vissuto molte esistenze, ma mentre Io posso ricordarle tutte, tu non ne sei in grado. Sebbene Io sia il nonnato, di millennio in millennio discendo in questo mondo nella mia forma trascendentale personale, ogni qualvolta si verifichi un declino nelle pratiche religiose. E chi viene a conoscenza della natura spirituale della Mia apparizione e delle Mie attività non prenderà più nascita in questo mondo materiale.
"Ora ricorda le differenze che esistono tra azione e inazione: colui che agisce libero dal desiderio di gratificazione dei sensi è un saggio i cui peccati sono stati bruciati dal fuoco della conoscenza perfetta; egli, sebbene si impegni in numerose attività, in realtà non agisce affatto e non si macchia di alcun peccato. Così, pur agendo in svariate maniere, si dirige verso la Meta Suprema. Tutto ciò devi impararlo da un maestro spirituale autentico, ponendogli domande e servendolo, e allora, se anche dovessi venire considerato dagli altri il peggiore dei peccatori, in realtà grazie a questa conoscenza trascendentale potrai attraversare l'oceano delle miserie materiali."
Arjuna chiese:
"O Krishna, prima Tu hai parlato di rinuncia all'azione, poi mi hai raccomandato l'azione devozionale. Puoi dirmi quale delle due è la migliore?"
E Shri Krishna disse:
"Entrambe conducono alla liberazione, ma di esse l'azione devozionale è la migliore, perché comprende anche l'altra; infatti colui che non odia nè desidera i frutti del suo lavoro è già rinunciato e sciolto dalle catene della dualità. É già completamente liberato. Lo studio analitico del mondo materiale (sankhya yoga) e il servizio devozionale (karmayoga) non differiscono affatto tra di loro e conducono allo stesso fine. Rinunciare ad agire senza impegnarti nel servizio devozionale non ti renderà felice, ed è anche pericoloso. Un saggio, sebbene sembri impegnato in normali attività mondane, in realtà le ha già trascese e vive felicemente persino in questo mondo."
Shri Bhagavan continuò:
"Dunque il vero rinunciato è colui che lavora come se vi fosse obbligato, con la mente distaccata dai frutti della propria azione. Questo è vero yoga: nessuno può diventare uno yogi a meno che non rinunci al desiderio per la gratificazione dei sensi. Ma devi imparare a controllare la tua mente, o Arjuna, la quale può essere la tua migliore amica o la tua più aspra rivale. Controllala, e liberati dai desideri e dal senso di possesso. Meditando su di Me, potrai raggiungere la Mia eterna dimora."
Arjuna disse:
"O Madhusudana, il metodo di realizzazione che mi hai appena riassunto mi sembra difficile, in quanto la mente è troppo instabile e irrequieta, e credo che sia difficile da controllare ancora più del vento."
Krishna rispose:
"Tale impresa è sicuramente difficile, o figlio di Kunti, ma diventa possibile se segui una giusta disciplina. In tal caso il successo è assicurato."
Arjuna chiese:
"Cosa succede a colui che inizia il cammino della liberazione e per qualche ragione non raggiunge la meta? viene forse privato di ogni successo e perisce come una nuvola solitaria?"
La Suprema Personalità di Dio rispose:
"Colui che tenta la via della realizzazione e non conclude il cammino, dopo tanti anni di gioie nei pianeti dove vivono coloro che sono pii rinasce in una famiglia di gente virtuosa, avanzata nella saggezza. E grazie a tale nascita, la sua coscienza divina si risveglia e riprende il cammino interrotto fino ad ottenere successo completo.
"Questa natura materiale è composta di otto elementi, e oltre ad essa esiste un'altra energia, costituita dalle entità viventi che cercano di sfruttare a proprio vantaggio le risorse della materia. E sappi anche che oltre a queste esisto Io, che ne sono l'origine e la dissoluzione, che non vi è verità superiore a Me, e che tutto in Me sussiste proprio come le perle di una collana sono tenute insieme dal filo. Io sono l'origine di tutto, o Arjuna, e solo chi si sottomette a Me potrà attraversare il vasto e difficile oceano dell'ignoranza."
Il Signore Supremo continuò:
"Mio caro Arjuna, poichè tu non sei invidioso di Me, ti impartirò la conoscenza più confidenziale. Questo intero universo è pervaso dalla Mia forma non manifestata e tutti gli esseri sono in Me, ma Io non sono in loro. Io sono il Creatore e il Mantenitore di tutto ciò che esiste. Alla fine del millennio tutto torna in Me e per Mio volere tutto automaticamente si manifesta ancora per poi essere nuovamente distrutto. Io controllo tutti i fenomeni dell'universo.
"Dunque, per liberarti dai legami dell'azione, fai tutto offrendolo in sacrificio a Me. Pensa sempre a Me, diventa Mio devoto, offriMi omaggi; così assorto nella Mia persona sicuramente verrai a Me."
Arjuna disse:
"Tu sei la Suprema Personalità di Dio, il rifugio ultimo, il più puro, la verità assoluta. Tu sei l'eterna e trascendentale persona suprema, il nonnato, il più grande. Tutti i saggi più puri come Narada, Asita, Devala e Vyasa confermano questa verità e ora Tu stesso me l'hai dichiarata. O Krishna, io accetto come verità qualsiasi cosa Tu mi abbia detto. Tu sei il Signore di tutto ciò che esiste. Ora, dunque, parlami delle Tue varie forme su cui posso meditare; descrivimi le Tue potenze infinite."
E il Signore, per accontentare il Suo intimo amico, le descrisse, poi gli mostrò la forma universale. Confuso e sbigottito nel vedere quell'aspetto del Signore, Arjuna lo pregò di ritornare alla sua originale forma.
Poi tornò a chiedergli:
"Chi deve essere considerato più elevato: colui che è impegnato correttamente nel Tuo servizio devozionale o colui che adora il Brahman impersonale?"
Shri Bhagavan disse:
"Colui che fissa la mente sulla Mia forma personale ed è sempre impegnato nell'adorarmi con grande fede trascendentale, è senz'altro il più avanzato. Anche chi medita e desidera raggiungere il non manifestato Brahman arriva a Me, ma arduo è il suo cammino. Al contrario libero velocemente dall'oceano di nascite e morti i miei devoti.
"Caro Arjuna, se desideri fissare la tua mente in Me senza mai deviare, allora segui i principi regolatori del bhaktiyoga; in questo modo svilupperai il desiderio di raggiungerMi. Ma se non riesci a fare neanche questo, allora cerca di agire per Me. Se anche questo ti riesce difficile, allora rinuncia ai risultati delle tue attività. E se anche ciò ti sembra impraticabile, coltiva la conoscenza trascendentale."
Arjuna chiese:
"O Hrishikesha, spiegami cosa sono la rinuncia (tyaga) e l'ordine di rinuncia (sannyasa)."
La Suprema Personalità di Dio disse:
"La cessazione di quelle attività che hanno il solo fine di soddisfare i propri desideri materiali è ciò che gli eruditi chiamano ordine di rinuncia; e l'abbandono dei risultati che provengono da esse è ciò che i saggi chiamano rinuncia (tyaga).
"Ogni cosa dovrebbe essere compiuta come se fosse un obbligo, senza attaccamento e senza aspettarsi alcun risultato. Mai devi astenerti dal compiere i tuoi doveri prescritti, poichè tale rinuncia è condizionata dall'influenza dell'ignoranza; se agisci in tale coscienza non sei toccato dalle reazioni del peccato.
"Solo attraverso il servizio devozionale puoi realizzarMi così come sono in realtà, e cioè la Suprema Personalità di Dio. E quando sarai in piena coscienza di Me grazie a tale devozione, entrerai nel Mio regno trascendentale.
"Così ti ho parlato degli aspetti più confidenziali della conoscenza, la quale non dovrebbe essere spiegata a coloro che non siano austeri, o devoti, o che siano vittime dell'invidia. Rifletti su tutto ciò che ti ho detto e poi agisci come meglio credi. Abbandona ogni dharma e sottomettiti a Me. Io ti libererò da ogni reazione peccaminosa. Non temere.
"Colui che studia questa nostra sacra conversazione Mi venera con la sua intelligenza, e se ascolta con fede e senza invidia si libererà dalle reazioni peccaminose e perverrà ai pianeti più alti."
Arjuna disse:
"O Acyuta, la mia confusione è svanita. Grazie alla tua misericordia, ho riguadagnato la pace e ora sono libero dai dubbi e pronto ad agire secondo le tue istruzioni."
Così, o Dritarashtra, per la misericordia di Vyasa ho ascoltato la conversazione tra le due grandi anime, Krishna e Arjuna. Essa è stata così meravigliosa che sento i capelli rizzarsi sulla testa e sensazioni di estasi pervadono il mio corpo; quando mi si ripresenta dinanzi agli occhi la sublime forma del Signore Krishna, la mia gioia è sempre più intensa.
Dovunque c'è Krishna, il Signore di tutti i mistici, e Arjuna, il supremo arciere, là sono certamente presenti l'opulenza, la vittoria, il potere sovrumano e la moralità. Questa è la mia opinione.
 
89
Il primo giorno
Riprese le armi con grande determinazione, Arjuna risalì sul suo carro da guerra.
Un silenzio ricco di attesa calò tra i soldati.
Poi i due eserciti si mossero dapprima con lentezza, poi aumentando gradualmente la velocità, fino a lanciarsi con decisione l'uno contro l'altro.
L'urto fu terribile.
Un frastuono assordante si udì particolarmente nel punto in cui Dusshasana aveva sferrato l'attacco, prontamente contrastato da Drishtadyumna.
Nonostante il rumore si levasse altissimo, si poteva distinguere nettamente il ruggito di Bhima, che era stato attaccato contemporaneamente da dodici dei fratelli di Duryodhana. Nel vedere il valido combattente oppresso da un nugolo di avversari assetati della sua vita, i cinque figli di Draupadi, Abhimanyu, Nakula e Sahadeva vennero in suo aiuto e il nemico fu ricacciato indietro. Erano passati solo pochi minuti che già era possibile capire cosa sarebbe stata quella battaglia: lo spettacolo di morte era tale da far rizzare i peli per il terrore.
Bhishma si ritrovò di fronte il battaglione capeggiato da Arjuna, e i soldati Kurava si resero immediatamente conto di cosa significasse avere di fronte il Pandava: l'arco Gandiva non si fermava un momento, le sue frecce erano fitte come le gocce di pioggia durante un tremendo temporale, e i soldati cadevano senza neanche accorgersi da chi o da cosa fossero stati colpiti.
In diverse parti dello sconfinato campo di battaglia si notavano fantastici duelli come quello fra Satyaki e Kritavarma, fra Abhimanyu e Brihadbala, e fra Yudhisthira e Shalya. La battaglia infuriava sempre più, tanto che il tumulto divenne indescrivibile. In un inferno di armi che saettavano tra corpi umani e animali, e carri di varia foggia, l'ardore kshatriya dei guerrieri si sfogò in tutta la sua violenza. Uno dei punti più caldi si rivelò quello in cui Bhima si ritrovò di fronte il battaglione di Duryodhana; avendo finalmente davanti a sè l'odiato cugino, questi scese dal carro e, da solo, contando unicamente sulla mazza che portava sempre con sè, si scagliò contro i soldati che lo circondavano provocando il panico e la fuga generale.
Ma fra tutti, colui che stava causando il maggior numero di vittime era sicuramente il figlio di Ganga, che sembrava il fuoco della dissoluzione quando, alla fine del tempo concesso all'esistenza dell'universo materiale, brucia i mondi. A causa sua i Pandava contavano, alla fine del pomeriggio, pesanti perdite. Bhishma era stato incontenibile; ogni qualvolta veniva in contatto con le truppe avversarie, queste sembravano squagliarsi come il burro quando lo si accosta a un grande fuoco.
Abhimanyu, che osservava quella catastrofe da vicino, a un certo punto non riuscì più a tollerare la vista di cotanta distruzione e attaccò il vecchio e venerabile guerriero; il più giovane contro il più anziano. Il figlio di Arjuna, nato dall'energia di Soma, era un grandissimo combattente, per cui riuscì a ferire Bhishma, Shalya e Kritavarma, facendo addirittura cadere la bandiera del carro dell'anziano; agitò così tanto le acque già tempestose della battaglia che i suoi soldati ripresero coraggio e speranza, e ritornarono ad affrontare il nemico con baldanza. Abhimanyu aveva dimostrato che Bhishma non era invincibile: tale riprova fu di fondamentale importanza per il morale delle sue truppe.
Le uniche perdite importanti che i Pandava quel giorno avevano subito, erano stati i due figli di Virata: il giovane Uttara e suo fratello Sveta, entrambi uccisi da Bhishma. I due ragazzi si erano battuti con grande valore.
Il sole aveva cominciato a celarsi dietro l'orizzonte e la luce pareva avere esaurito i bagliori pomeridiani; il generale più anziano, suonò la conchiglia che ordinava il rientro delle truppe.
Il primo giorno della più sanguinosa guerra mai combattuta era finito. Bhishma era stato tanto terribile che Duryodhana si sentiva ebbro di contentezza. Diceva a tutti che se il nonno avesse continuato a combattere in quella maniera, tutto sarebbe finito molto presto, e con la loro vittoria. I Pandava invece erano demoralizzati: avevano subito pesanti perdite.
"Hai visto cosa sa fare Bhishma?" si lamentò Yudhisthira alla presenza di Krishna. "Egli è invincibile, non è possibile stargli di fronte neanche per qualche secondo. Ora realizzo quanto sia stato sciocco credere in una vittoria contro un esercito forte della sua presenza. Sarebbe stato meglio per tutti se avessi continuato a stare nella foresta. Che si può fare contro di lui e Drona?"
"Non hai niente di cui preoccuparti," rispose Krishna. "Nessuno dei tuoi più cari amici è caduto, e io sono ancora qui con te, e anche Arjuna e tutti gli altri. Di cosa ti preoccupi? Domani troveremo il modo di fermarlo."
Ai guerrieri sembrò che le ore della notte passassero in un istante; appena il tempo di chiudere gli occhi ed era già l'aurora, che annunziava il secondo giorno.
 
90
Il secondo giorno
Con l'immagine di Bhishma ancora davanti agli occhi, i Pandava schierarono le loro truppe nella forma chiamata krauncha, ritenendola più efficace a contrastare la sua azione. Vedendo ciò, Duryodhana si allarmò e andò da Drona e Kripa, i quali lo incoraggiarono con parole sagge.
E i due eserciti si ritrovarono ancora l'uno al cospetto dell'altro.
Lo scenario di morte non fu meno terribile del giorno precedente: in pochi minuti il massacro si ripetè in maniera cruenta: il sangue cominciò a scorrere a ruscelli, i corpi umani ad ammucchiarsi l'uno sopra l'altro, insieme a quelli dei cavalli e degli elefanti e sopra il campo, in attesa di iniziare il loro pasto, volavano i falchi, gli avvoltoi e i corvi.
Quando videro avvicinarsi Bhishma, un grande numero di eroi Pandava, fra cui Abhimanyu, Bhima e Satyaki conversero in quella direzione, tentando inutilmente di fermarlo e di ricacciarlo indietro; ma l'anziano sembrava più un essere sovrannaturale che un uomo, e non c'era maniera di arrestarlo. Era come un tornado che al suo passaggio lascia solo distruzione.
Il figlio di Indra, avendo sentito il frastuono assordante di quella devastazione, si rivolse a Krishna e disse:
"Ascolta questi tremendi boati: sono prodotti dalle armi celestiali di Bhishma. E le grida appartengono ai nostri soldati che fuggono. E ascolta questi sibili: sono le sue frecce che cercano vite da spegnere. O Krishna, portami immediatamente dal grande figlio di Ganga, o egli incenerirà il nostro esercito in pochi secondi."
Quando furono sul posto, Arjuna non potè fare a meno di fermarsi un momento ad ammirarlo. Se non fosse stato per il fatto che stava perdendo tanti bravi soldati, non si sarebbe mai stancato di vederlo lottare. Ma poi decise di agire e gli si lanciò contro.
Vedendo avvicinarsi Arjuna, Bhishma lasciò perdere il crudele massacro di tutti quei soldati che nonostante il loro grande valore militare erano veramente indifesi davanti a lui, e si preparò a ricevere colui che solo egli stesso, Drona e Karna potevano fronteggiare.
E il fantastico duello cominciò.
Le frecce che scaturivano dai loro archi erano così numerose che il sole ne fu oscurato, perché quelle, scagliate con maestria sovrannaturale, si scontravano in cielo sprizzando scintille. Talvolta Arjuna deviava con una freccia cento di quelle di Bhishma, e altre volte l'anziano riuscì con una sola a spezzarne cento di quelle dell'avversario: ne risultò uno spettacolo meraviglioso. Molti guerrieri sospesero persino i duelli in atto per guardare i due sciorinare i loro repertori marziali umani e divini.
Ad un certo momento Bhishma cominciò ad avere la peggio. Ma accortosi che il comandante delle sue truppe veniva pressato con violenza, Duryodhana, seguito da Drona, Vikarna e Jayadratha accorse in suo aiuto. Pure il Pandava, il cui arco sembrava un cerchio di fuoco emanante armi micidiali, li tenne tutti lontani. Immediatamente anche Satyaki ed altri valorosi corsero in aiuto del maestro e si potrà concepire con gran facilità cosa potè causare un accentramento di forze di tale portata. Arjuna e Krishna sembravano presenti in più punti contemporaneamente, e ovunque venivano visti il risultato era sempre lo stesso: morte e distruzione.
Le prodezze di Bhishma del giorno precedente furono ripetute dal Pandava in quella sola mattinata; dinanzi a un Duryodhana sempre più allibito e incapace di reagire, il terzo figlio di Kunti distrusse una grossa porzione dell'esercito Kurava.
Terrorizzato, Duryodhana corse da Bhishma.
"Da come si stanno mettendo le cose, sembra che questa combinazione di Krishna e Arjuna causerà la nostra totale dissoluzione, e ciò sta accadendo perché tu e gli altri non volete combattere al massimo delle vostre possibilità. Se tu solo lo volessi, potresti ucciderlo in un momento, ma lo ami troppo per farlo. Ah, se avessi Karna qui con me. Per favore, unisciti a Drona e agli altri e fermali."
Punto da quelle parole e disgustato dall'atteggiamento del nipote Bhishma, maledicendo di essere nato kshatriya, avanzò in direzione di Arjuna e il duello tra i due riprese, affascinante come quello di Indra contro i più grandi asura.
Intanto da un'altra parte del campo Drona e Drupada si erano ritrovati dopo tanto tempo di fronte e tutto il vecchio rancore era riesploso lì, a Kurukshetra. Aiutato da Drishtadyumna, Drupada stava già mettendo le forze dell'acarya a dura prova quando Bhima, nel vedere il suo generale impegnato in quell'aspra battaglia, lasciando dietro di sè solo morte e devastazione, accorse e mise Drona in grave difficoltà.
Ma Duryodhana si accorse che il guru stava cominciando a vacillare sotto i colpi del nemico e mandò in suo soccorso il monarca di Kalinga con le sue truppe. Subito Bhima lasciò Drona a Virata e Drupada e si preparò a ricevere i nuovi arrivati. Mentre calava da solo contro le truppe, il Pandava si leccava le labbra: ne riuscì una distruzione totale: il re di Kalinga, i suoi figli e le sue truppe furono tutti trucidati da Bhima mentre i sopravvissuti, terrorizzati al solo sentire quei terribili ruggiti, fuggivano il più lontano possibile, ovunque non ci fosse il pericolo di incontrare ancora quel dio della morte.
Intanto Shikhandi, Drishtadyumna e Satyaki, vedendo Bhima circondato di nemici, erano accorsi nella zona dove questi ancora danzava come un leone impazzito, mai sazio di vittime: e i quattro, uniti, agitarono le falangi nemiche come un mare in tempesta. Alla vista di un tale sterminio, Bhishma intervenne nel tentativo di dividerli; un giavellotto distrusse il carro di Bhima e lo mise in una posizione svantaggiosa, ma Satyaki intervenne, uccise l'auriga di Bhishma e lo costrinse alla ritirata. I due si congratularono vicendevolmente per i successi che avevano riportato.
Era mezzogiorno.
In un'altra parte del campo Asvatthama stava causando serie difficoltà ai figli di Draupadi, ma Abhimanyu accorse e salvò i cugini dalla rabbia del brahmana. Tanto si muoveva con grazia ed efficacia sul campo di battaglia che sembrava un secondo Arjuna.
Per tutto il pomeriggio padre e figlio seminarono il terrore dovunque si trovassero.
Fu verso sera che Bhishma e Drona si incontrarono, e ambedue esternarono serie preoccupazioni al riguardo delle gesta del Pandava.
"Oggi Arjuna è talmente furioso che non si può contenere," disse il primo. "Neanch'io riesco a fermarlo. Per nostra fortuna il sole sta tramontando. Ordiniamo subito la ritirata; domani vedremo cosa fare."
Calò la sera, e tutti tornarono nelle proprie tende.
Gli eroi Kurava erano visibilmente preoccupati, i soldati semplici terrorizzati. L'armata aveva cominciato a perdere i primi grandi: Kalinga, Sakradeva, Bhanuman e tanti altri erano caduti, e quasi l'intera armata Kalinga era stata distrutta da Bhima.
Solo nella sua tenda, Duryodhana sconsolatissimo cominciava a realizzare che quella guerra non sarebbe finita tanto velocemente come aveva immaginato la sera precedente. Come in un incubo, non riusciva a cancellare l'immagine di Arjuna e Bhima che massacravano i suoi soldati con impeto inaudito. Quella sera per la prima volta cominciava a scorgere delle verità nelle parole di Bhishma, di Vidura e di tanti altri, i quali avevano sempre tentato di metterlo in guardia riguardo alla forza dei cugini. Ma fino a quel giorno non aveva mai realizzato quanto fossero forti in realtà.
Nell'altro accampamento si respirava ben altra atmosfera. Tutti, in special modo gli eroi della giornata, e cioè Bhima, Arjuna e Abhimanyu erano in visibilio per come era andata quella giornata di combattimento.
 
91
Il terzo giorno
La disfatta del giorno precedente aveva messo in guardia Bhishma, che organizzò più prudentemente i suoi eserciti nella formazione garuda. Nel becco del gigantesco uccello s'era posto egli stesso; negli occhi stazionavano Drona e Kritavarma; Asvatthama e Kripa, con i loro battaglioni, formavano la testa; i Trigarta e Jayadratha erano nel collo, ed il corpo era formato da Duryodhana con tutti i suoi fratelli. Nella coda infine c'era Brihadbala, il re di Koshala. Tutti erano ovviamente accompagnati dalle rispettive armate.
Prima di lanciarsi ancora all'attacco, Bhishma parlò ai soldati, rinnovando in loro il coraggio che sembravano avere smarrito.
Quando Arjuna vide la formazione nemica avanzare verso di loro, si consultò con Drishtadyumna: i due decisero di rispondere all'attacco con l'assetto a mezzaluna. Nella prima punta, con la sua armata, c'era Bhima; lungo il fianco, in crescente densità, Drupada e Virata; poi Nila e Drishtaketu; dopodichè si ammiravano il possente Drishtadyumna e suo fratello Shikhandi; seguivano Yudhisthira con il suo esercito di elefanti, Satyaki e i cinque figli di Draupadi. Anche Abhimanyu e il fratellastro Iravan erano nelle vicinanze. Infine Ghatotkacha e i Kekaya. All'altra punta, incutendo terrore a chiunque li guardasse, si erano posti Arjuna e Krishna, che teneva le redini in mano. Tutti erano ansiosi di tornare al combattimento.
Bhishma, con il suono della sua conchiglia, diede il segnale dell'inizio della battaglia.
In un fitto polverone che impediva una chiara visuale, l'anziano, aiutato da Drona, fu affrontato da Bhima e dal figlio Ghatotkacha; ma gli sforzi dei due eroi non servirono ad impedirgli il solito immane massacro. Simile a un enorme fuoco che muovendosi fra batuffoli di cotone, l'incendia in un batter d'occhio, Bhishma fece il vuoto attorno a sè, costringendo ancora una volta Arjuna a dirigersi verso di lui. Vedendolo arrivare, i soldati che coprivano le spalle al Kurava si batterono al massimo delle loro forze, volendo permettere al loro generale di continuare la sua opera di devastazione. Shakuni riuscì persino a distruggere il carro di Satyaki, ma non riuscì ad ucciderlo. L'eroe Vrishni saltò sul carro di Abhimanyu, dal quale continuò a combattere.
E mentre Bhishma e Drona si dirigevano verso Yudhisthira, che intanto veniva protetto dai gemelli di Madri, la confusione diventò indescrivibile.
Chi si mise veramente in luce, quel giorno, fu Ghatotkacha, che si mosse con furia terribile, incutendo spavento ancora più di quanto avesse fatto il padre sino ad allora. Scontratosi con Duryodhana e il suo battaglione, lo annientò completamente, risparmiando quet'ultimo solo per non rompere il giuramento del padre.
Vedendolo combattere come ispirato, Bhima accorse e si scagliò contro l'odiato nemico, che potè salvarsi solo grazie all'intervento dei due anziani maestri. Essi riuscirono a portarlo fuori dal campo e a farlo curare dalle numerose ferite che gli erano state inferte. Passarono pochi minuti e Duryodhana tornò, in tempo per vedere la sua armata martoriata dai prodigi di Bhima e di Satyaki. Non sopportando la vista di tale carneficina, corse da Bhishma.
"perché guardate quei due massacrare i nostri uomini e non fate nulla per impedirlo?" gridò infuriato. "Eppure tu sei ancora in vita, e anche Drona, e suo figlio Asvatthama, perciò come potete permettere che tutto ciò accada? Potevate dirlo subito che amate i Pandava così tanto da volere la loro vittoria. Se avete già perso la voglia di lottare ditemelo, e io chiederò a Karna di venire a combattere per me."
Bhishma lo guardò e gli rise in faccia.
"Sono anni che ti sto dicendo che i Pandava non possono essere vinti, che persino Indra stesso non sarebbe in grado di affrontarli in battaglia; ma non hai mai voluto ascoltarmi, non hai mai voluto prestare attenzione a ciò che ti dicevo. Tutti noi stiamo facendo ciò che è nelle nostre capacità, specialmente io che sono oramai vecchio e non posso fare più di quanto non stia già facendo."
Ma poichè Duryodhana continuava a rimproverarlo Bhishma, punto dalle parole aspre del nipote, si lanciò con furia decuplicata nella mischia.
E la situazione di quella mattina, che era stata fin troppo favorevole ai Pandava, si capovolse al punto che tutti dovettero risvegliarsi alla dura realtà di quella presenza asfissiante. L'arco del vecchio guerriero sembrava cantare, e il sibilo delle frecce, che correvano alla velocità della luce, ne era l'accompagnamento. Colpiti a centinaia, i soldati Pandava cadevano mutilati e fiumi di sangue ripresero a scorrere: lo stesso Bhishma sembrava correre alla velocità delle sue frecce.
Accorgendosi di quell'esplosione di aggressività, Arjuna tentò di opporsi, ma gli riusciva difficile individuarlo: in un momento sembrava materializzarsi a est, l'istante dopo a ovest, in altri ancora non riusciva a vederlo affatto. Sembrava che Bhishma avesse preteso il palcoscenico del campo tutto per sè, che solo lui ne fosse diventato il protagonista, e che il suo solo desiderio fosse diventato ad un tratto distruggere, senza l'aiuto di nessuno, l'intera armata dei Pandava. Vedendo tutto ciò, Krishna rimproverò l'amico Arjuna.
"perché guardi questo massacro e non intervieni? Tu potresti fermarlo e non lo fai perché ami e rispetti questo grande uomo; ma hai dimenticato il tuo dovere di kshatriya? hai dimenticato i soprusi che hai dovuto subire dai Kurava? e la promessa che mi hai fatto?"
"Guida il carro dove si trova ora il grande Bhishma," ribattè il Pandava in tono risoluto.
E i due si scontrarono ancora.
Il combattimento elegante ma efficace di Arjuna fu applaudito apertamente da Bhishma, il quale man mano che questi sciorinava il suo vasto repertorio di maestria marziale, sottolineava quelle meraviglie gridandogli: "Ben fatto!", oppure, "bravo Arjuna!", oppure, "continua così, figlio di Indra." Ma nonostante fosse in totale ammirazione per il nipote, egli combatteva sempre con rabbia tremenda. Arjuna invece si manteneva morbido, quasi gentile, parendo timoroso di offendere quella grande personalità. Tutti lo notarono. Krishna guardò Satyaki.
"Amico mio," gli disse, "io ho promesso a Draupadi di vendicarla di tutte le sofferenze che ha subito, e ho anche promesso di liberare questo pianeta dall'assillo degli asura. Ma Arjuna ama troppo i suoi parenti e i suoi maestri, rispetta troppo Bhishma e Drona e non mette cuore nella battaglia. Se continua così, non riusciremo mai a vincere. Ora, siccome la mia promessa non può mai riuscire vana e giacchè non vuole prestarsi al mio servizio, farò io ciò che avrebbe dovuto compiere lui."
E mentre parlava con Satyaki, la sua furia aumentava visibilmente, finchè il divino Krishna abbandonò la forma umana e assunse quella del distruttore Narayana. Non appena ebbe assunto tale aspetto, pensò alla sua arma, il Sudarshana che immediatamente, brillante come mille soli, comparve nella sua mano destra. Era terribile e nel contempo affascinante vederlo sul carro di Arjuna con il disco che gli girava a una velocità vertiginosa intorno all'indice destro. Tra nuvole di polvere Krishna saltò giù dal carro, con il cipiglio di un leone infuriato.
Tutti, fermandosi, pensarono:
"Ora Krishna distruggerà il mondo intero."
Nessuno poteva distogliere lo sguardo da quell'immagine. E mentre avanzava verso Bhishma con tutta l'intenzione di ucciderlo sul posto, le gocce di sudore si mischiavano alla polvere, mentre i suoi lunghi capelli venivano mossi delicatamente dal vento.
A quella scena fantastica, Bhishma scese dal carro e s'inginocchiò in terra.
"O Signore dei Signori," pregò con umiltà, "io mi inchino davanti a Te. Non merito l'onore della Tua furia quando potresti distruggermi semplicemente volendolo. Ma poichè vuoi benedirmi, ti scagli contro di me brandendo Sudarshana. O Narayana, non può esserci gloria più grande di questa. Vieni, dunque; togliendomi la vita mi libererai della compagnia empia dei Kurava."
Vedendo Krishna che si avvicinava minacciosamente all'anziano eroe, Arjuna saltò giù dal carro e gli corse dietro, afferrandolo il Signore per il braccio che brandiva il disco. Poi cadde ai suoi piedi.
"Amico mio, non devi rompere un giuramento per colpa mia: tu hai promesso che non avresti preso le armi in questa battaglia. Ora se tu lo facessi, la tua reputazione verrebbe compromessa. Non adirarti con me, non uccidere Bhishma personalmente; io ti giuro che lo fronteggerò con maggiore impegno e che lo fermerò."
Placato dalle parole di Arjuna, Krishna tornò sul carro e riprese le redini in mano: poi alzò la conchiglia trascendentale panchajanya e la suonò con forza, imitato dal Pandava. Quei suoni fecero perdere ai loro nemici ogni coraggio, ogni speranza di vittoria. Scosso dall'insolita visione del volto furioso di Krishna, quel giorno Arjuna combattè come non mai, usando contro Bhishma le sue armi celestiali e causando una terribile carneficina.
Fu una grande fortuna per i Kurava che mancasse poco al tramonto, cosicché i generali Kurava poterono richiamare i loro eserciti. Qualora la battaglia fosse continuata, Arjuna avrebbe distrutto l'intero esercito nemico quella sera stessa.
Nella sua tenda, Duryodhana era l'immagine della disperazione. Per la prima volta aveva visto le terribili capacità del cugino, e ne era terrorizzato.
Poi, scesa la notte, trovò un pò di sollievo nel sonno.
 
92
Il quarto giorno
Il quarto giorno ripropose i soliti temi: Bhishma da una parte, Arjuna dall'altra imperversarono nelle file nemiche, seminando morte e terrore.
Ma quella mattina anche Abhimanyu fu tremendo. Sembrava addirittura che non ci fosse differenza tra il padre e il figlio: quest'ultimo infatti con le sue prodezze stupì moltissimo i soldati amici e nemici, che non riuscivano a capacitarsi di come un ragazzo appena sedicenne potesse combattere in quel modo. Vedendolo opprimere celebri guerrieri quali Bhishma, Shalya, Citrasena e Asvatthama, Arjuna intanto lo incoraggiava e lo applaudiva, lanciando grida guerriere. Comunque per non correre rischi, Drishtadyumna era lì pronto ad aiutarlo.
Quella mattina cadde un altro eroe, il figlio di Shala, ucciso dalla mazza di Drishtadyumna. Vedendolo cadere al terreno senza vita il padre, con le lacrime agli occhi, accorse per vendicarlo, e con lui Shalya; in quel punto del campo lo scompiglio divenne frenetico.
Più in là intanto Satyaki veniva apertamente applaudito per essere riuscito a mettere in fuga il rakshasa Alambusha.
A un certo punto della giornata, per nulla dimentico del suo voto di uccidere personalmente tutti i figli di Dritarashtra, Bhima ne adocchiò un gruppo e si lanciò contro di esso, ingaggiando subito una lotta furibonda. Appena Duryodhana vide la scena, impaurito per la vita dei fratelli, accorse e si battè con valore; ma il Pandava non sembrava affatto preoccupato del numero degli avversari che tentavano invano di proteggere i figli di Dritarashtra, e continuava la sua opera di distruzione, uccidendo senza alcuna discriminazione uomini, cavalli ed elefanti. Per tutto il tempo danzò alla stregua di un leone inferocito che ha trovato le sue prede. E quando quello stato di esaltazione fu giunto all'apice Bhima, con la mazza sollevata sopra la testa, corse contro i figli di Dritarashtra e con un tremendo colpo ne uccise il primo.
"Ne mancano novantanove, ora," gridò in preda a un raptus omicida.
Nel proferire quelle parole il tono della sua voce risultò spaventoso. Impazzito dalla furia ed ebbro, nel contempo, di gioia, ne uccise otto in pochi minuti. Sembrava completamente fuori di sè.
Vedendolo in quello stato, Bhishma incaricò il grande Bhagadatta di proteggere i fratelli del re, sui quali incombeva quella tremenda minaccia. Il nobile monarca, che combatteva sulla groppa di Supratika, un magnifico, gigantesco elefante, si lanciò all'inseguimento di Bhima. Sotto l'incedere dei suoi zoccoli la terra sussultava, e tutti fuggivano per non essere calpestati. Appena furono vicini, l'anziano e venerabile Bhagadatta scagliò contro il Pandava un pesante giavellotto, colpendolo in pieno petto. Per la violenza del colpo, veloce e possente come un fulmine, Bhima svenne. Ghatotkacha vide il padre in difficoltà e corse in suo aiuto, riuscendo a mettere in fuga il re, che si era visto incapace di sostenere la furia del rakshasa. Bhima, che in pochi minuti aveva riacquistato i sensi, inseguì insieme a suo figlio inseguì Bhagadatta e la sua armata; e ripresero il combattimento.
Preoccupato per quella micidiale accoppiata, e in ansia per la vita del re di Prajyotisha, Bhishma chiamò a sè diversi eroi, tutti molto forti, e con loro accorse sul posto in cui i due stavano compiendo un autentico massacro. Ma essi, per nulla impensieriti dall'accorrere di numerosi e valorosi nemici, si leccarono le labbra pregustando il piacere dell'imminente lotta. L'impatto fisico dei corpi fu terribile. Bhima e Ghatotkacha, in pochi istanti, spazzarono via migliaia di vite. Vedendoli più simili a spettri invasati che a uomini, Bhishma capì che non era possibile combattere contro di loro in quel momento e ordinò la ritirata.
E per quarta volta da quando era iniziata la terribile battaglia di Kurukshetra, il sole tramontò.
Nel loro accampamento i Pandava si complimentarono con Ghatotkacha. Sicuramente l'eroe della giornata era stato lui.
Solo quando si ritrovarono nelle loro tende i Kurava realizzarono quanti morti avevano lasciato sul terreno: quel giorno avevano perso decine e decine di migliaia di soldati. Esausti e scoraggiati, tutti andarono a dormire senza quasi proferire parola.
Ma Duryodhana no. Piangeva sconsolato, non riuscendo a scacciare l'immagine dei fratelli, uccisi da Bhima sotto i suoi stessi occhi. Pensava che se questi avesse continuato in quel modo li avrebbe avuti uno ad uno tutti massacrati: a tale pensiero sentì un tremito irrefrenabile invadergli il corpo. Tentò di dormire, ma dopo svariati e vani tentativi decise di andare a trovare Bhishma.
"Otto dei miei fratelli sono stati uccisi," gli disse con tono dimesso, "e la furia di Bhima non sembra affatto placata. Come è potuto accadere? Tu, Drona, Kripa, Bhagadatta e tutti gli altri avete guardato senza intervenire e avete permesso questo tremendo eccidio. Io non sapevo che i Pandava e i loro alleati fossero così forti; credevo che questa battaglia si sarebbe conclusa in pochi giorni con la loro resa. Cosa sta accadendo? cosa li rende invincibili?"
"Caro figliolo," gli rispose gentilmente Bhishma, "io te l'ho ripetuto per anni fino alla nausea: i Pandava sono più forti. Sbagli quando ci accusi di aver assistito all'uccisione dei tuoi fratelli senza intervenire. La spiegazione è molto più semplice: non abbiamo potuto fare niente per loro, come non abbiamo potuto farlo per tutti gli altri.
"Sei ancora in tempo. Fai pace con Yudhisthira e vivi tranquillamente con gli amici e i parenti che ti rimangono. I Pandava sono pii e non rifiuteranno la tregua nè la pace. Se invece sceglierai di continuare sulla strada dell'empietà, allora ti dirò subito, se proprio lo vuoi sapere, cosa li rende invincibili: hanno Krishna dalla loro parte, ecco perché nessuno, dico nessuno, può niente contro di loro. Riconsidera l'entità della nostra forza; quattro giorni di battaglia non sono bastati per farti aprire gli occhi sulla verità?"
Duryodhana ascoltò le parole dell'anziano a testa bassa. Poi, senza aggiungere altro, uscì dalla tenda.
Bhishma lo conosceva bene; sapeva che la sua natura era tale che mai avrebbe ammesso la sconfitta. Si sdraiò e provò a dormire, ma invano. Pensava al duello con Arjuna, a quali strabilianti capacità questi avesse dimostrato, e rivide anche l'incredibile Abhimanyu, che si faceva strada con la potenza di un tornado. E poi gli apparve la sua immagine preferita, Krishna, sulla quale meditava ogni giorno, con il bellissimo viso alterato dalla furia che, con Sudarshana nella mano, correva verso di lui intenzionato ad ucciderlo.
Pensando al Signore, Bhishma dall'animo puro si addormentò.
 
93
Il quinto giorno
All'alba del quinto giorno Bhishma, sommo maestro del Dhanurveda, sistemò l'esercito secondo la forme del makara. A queste i Pandava risposero con la disposizione tattica del falco.
Di nuovo i guerrieri si scontrarono con indicibile furore.
Il rumore delle spade, il guizzo delle lance e delle frecce, il boato delle esplosioni delle varie armi celestiali e altre decine di spaventevoli fragori si mischiarono alle grida di guerra, ai richiami delle sfide, agli ordini dei comandanti e ai lamenti dei feriti e dei moribondi. Erano terribili scene di morte.
Deciso a non lasciargli troppa iniziativa, Bhima si oppose al comandante nemico, ma la sua forza sovrumana non gli fu sufficiente. Così contro il figlio di Ganga dovette intervenire Arjuna, che riuscì a fatica a contenerne l'azione devastatrice. Bhima, d'altro canto, non si perse d'animo e, scorti alcuni figli di Dritarashtra nelle vicinanze, si lanciò al loro inseguimento. Duryodhana corse immediatamente da Drona.
"Guarda Bhima: sta per lanciarsi contro i miei fratelli. Tu e gli altri cosa fate? Correte in loro aiuto!"
"Sei uno sciocco," rispose con rabbia l'acarya. "É inutile che ci rimproveri quando noi stiamo facendo il nostro meglio per portarti alla vittoria. Ma non ti rendi conto di quanto siano forti i tuoi odiati nemici?"
E senza neanche aspettare la replica del discepolo, Drona tornò nel vivo della battaglia, ove fu prontamente affrontato da Satyaki. Il duello che ne scaturì fu spettacolare.
Nel frattempo per la prima volta Bhishma e Shikhandi si erano ritrovati di fronte, faccia a faccia. Shikhandi non era altri che la reincarnazione di Amba che nella vita presente era rinata donna e solo in seguito, grazie a uno yaksha, aveva acquisito gli organi sessuali maschili. Non volendo rispondere agli attacchi dell'avversario, Bhishma subiva senza batter ciglio.
Intanto Drona, che era seriamente impegnato in una lotta contro Satyaki, si accorse della situazione critica in cui si era ritrovato Bhishma e ricordò gli avvertimenti di Duryodhana: l'anziano doveva essere protetto da Shikhandi, perché si sarebbe rifiutato di reagire ai suoi attacchi. Nonostante Bhishma fosse del tutto inerme davanti a lui, Shikhandi continuava a colpirlo, trafiggendolo con le sue frecce in più punti del corpo, tanto da farlo sanguinare abbondantemente. I cinque fratelli Pandava, vedendo il Panchala in posizione di vantaggio, si unirono a lui e attaccarono in forze. Il terreno era intriso di sangue e interamente lastricato di corpi, tanto che muoversi con i carri cominciava a essere difficoltoso. Arrivò a dar man forte anche Virata, che trafisse Bhishma con una freccia aguzza.
Intanto Asvatthama e Arjuna avevano iniziato un furioso duello sotto gli occhi di Drona, che sorrideva deliziato nell'appurare quanto il figlio e il suo discepolo favorito avessero imparato a combattere. Ma Arjuna, per rispetto verso il figlio del guru, si spostò su un altro fronte ed evitò di continuare il duello.
Bhima e Abhimanyu seguitavano a seminare panico: Duryodhana tentò di opporsi al prodigioso ragazzo mentre questi, penetrando all'interno della sua armata, la divideva in due parti; ma fu ferito gravemente al petto. Vedendo il padre in difficoltà, era intervenuto anche Lakshmana, ma anch'egli era stato ridotto a mal partito e salvato miracolosamente da Kripa.
Quel giorno il discepolo favorito di Arjuna, Satyaki, era in forma smagliante; tutti riscontrarono in lui la stessa rapidità di movimenti, la stessa leggerezza di tocco e la stessa potenza del maestro. Ne ammirarono la grazia e l'efficacia delle azione, che costrinsero alla fuga l'acerrimo nemico Bhurishrava.
Al tramonto Bhishma ordinò la ritirata; i superstiti, stanchi e feriti, tornarono all'accampamento.
Quella sera fu Arjuna a sentirsi particolarmente depresso: odiava dover combattere contro l'amato nonno, contro il venerabile Drona, e Kripa e migliaia di altri amici e parenti. Odiava quella guerra e Duryodhana che l'aveva promossa.
 
94
Il sesto giorno
Di prima mattina la battaglia divenne subito intensa come il giorno precedente. Drona preferì evitare lo scontro con Bhima e si concentrò sulla decimazione dei soldati. Anche lui, come Bhishma, non poteva concepire di uccidere nessuno dei Pandava.
Ma approfittando di un momento di confusione il Pandava, forte al pari di diecimila elefanti, ordinò al suo auriga di puntare verso l'armata avversaria e di penetrarla; e allorchè i soldati lo videro sopraggiungere con il suo tipico cipiglio furibondo, ne furono terrorizzati. Si diffuse il panico.
"Bhima sta arrivando; fuggiamo, o questo sarà il nostro ultimo momento di vita," gridavano.
Lasciando dietro di sè lo scompiglio generale, penetrò nelle file nemiche con la rapidità del vento. Ma calcolò che la velocità dei cavalli non gli era sufficiente per cui, afferrata la gigantesca mazza, continuò la sua corsa a piedi con la stessa violenza di un uragano. Nessuno riusciva neanche a vederlo: il suo passaggio poteva essere dedotto solo dalla scia di distruzione che si lasciava dietro. Quando Drishtadyumna seppe che Bhima era penetrato nelle file nemiche senza l'aiuto delle truppe, preoccupatosi volle seguirlo.
A un certo punto trovò Vishoka, l'auriga del Pandava.
"Dov'è Bhima, il mio più caro amico? dov'è andato? perché non è più sul suo carro?" gridò.
"Egli non ha voluto la protezione del carro," rispose questi. "É sceso con la sola mazza in mano ed è penetrato nelle fila nemiche a piedi. Io gli ho consigliato di non farlo, ma lui non ha voluto ascoltarmi."
Drishtadyumna, che conosceva bene l'innata impulsività di Bhima, particolarmente in ansia, decise di continuare a cercarlo finchè non l'avesse trovato. E anch'egli si scagliò contro il nemico, incuneandosi sempre di più, e causando come già l'amico un'immane desolazione. Non andava alla cieca, aveva una traccia da seguire: ovunque vi fossero cadaveri di uomini e di animali ancora sanguinanti, il Pandava doveva essere passato di là da poco.
D'un tratto riuscì a scorgerlo mentre, fumante rabbia e terribile come il dio della morte, era attorniato da migliaia di nemici. Accortosi dell'arrivo di Drishtadyumna, Bhima gli lanciò uno sguardo compiaciuto. I due continuarono a combattere insieme con terribile efficacia. Alla vista dei due maharatha che fronteggiavano i suoi soldati, Duryodhana si preoccupò di quello che avrebbero potuto causare. Mandò un gruppo dei suoi fratelli più forti a proteggere le truppe.
Dopo aver messo in fuga Drupada, Drona s'accorse che molti fratelli del re erano nelle vicinanze di Bhima: correvano perciò un pericolo mortale. E cercò di aiutarli. Ma quando, sulla scia dei Pandava, arrivò anche Abhimanyu, divenne inenarrabile la carneficina che ne scaturì. Terrorizzati da quel trio di indiavolati, i figli di Dritarashtra fuggirono precipitosamente; l'unico che rimase fu Vikarna, che ingaggiò un favoloso duello contro Abhimanyu, durante il quale fu impossibile determinare chi tra i due fosse il migliore.
Duryodhana vide i suoi fratelli scappare e si scagliò contro il figlio di Pandu, ma riuscì a malapena a mantenere salva la vita. Alla fuga del re Kurava seguì un grande massacro.
Durante quei durissimi scontri, il sole tramontò. Subito dopo le milizie si ritirarono.
La sera Bhishma andò nella tenda di Duryodhana, che soffriva penosamente per le ferite inflittegli da Bhima e lo curò con degli infusi di erbe. Pure la pena causatagli dalle ferite era ben poca cosa in confronto al dolore che gli procurava il suo orgoglio deluso. Una giostra di immagini gli affollava in continuazione la mente ed ognuna riproduceva nitidamente il ghigno furioso di Bhima, l'abilità guerriera di Arjuna e di Abhimanyu, le sue truppe trucidate sul campo.
 
95
Il settimo giorno
Quando al sorgere del sole i guerrieri si riaffacciarono sul campo di Kurukshetra, realizzarono cosa erano stati capaci di fare il giorno prima. Le vittime erano state molte decine di migliaia.
Quella mattina ambedue gli eserciti si disposero in formazioni difficilissime da penetrare.
E l'inizio della giornata fu testimone di duelli fra i maharatha più celebri: Drona contro Virata e Drupada, Asvatthama contro Shikhandi, Duryodhana contro Drishtadyumna, Nakula e Sahadeva contro lo zio Shalya; Vinda e Anuvinda tentarono di fronteggiare il figlio di Indra, e Bhima fu affrontato da Kritavarma; Abhimanyu si scontrò con Citrasena, Vikarna e Dusshasana, mentre Bhagadatta tentò di frenare l'irruenza di Ghatotkacha; Satyaki si ritrovò a lottare con il rakshasa Alambusha.
Le prime battute furono davvero promettenti per quei guerrieri che non temevano la morte e che amavano ammirare ogni prodigio di arte marziale.
Non lontano da Arjuna c'era la grande armata dei Trigarta. Così quest'ultimo disse a Krishna:
"Amico mio, lì comincia il vasto esercito di Susharma, che è sempre stato un nostro nemico. Guida il carro in quella direzione, affinchè io possa annientarlo."
Facendo sentire il suono di Gandiva, Arjunainvocò l'arma chiamata aindra e da una singola freccia ne scaturirono a migliaia; in pochi secondi una tempesta di frecce ruppe la barriera difensiva e diffuse il terrore. I soldati fuggirono da Bhishma per chiedere protezione. Vedendo Susharma impotente contro Arjuna, il figlio di Shantanu si precipitò in difesa dei Trigarta e il favoloso duello riprese. Ma Duryodhana, che temeva per la vita di Bhishma, non era affatto contento di quei duelli, e ordinò di portargli soccorso.
Virata, che aveva già perso due figli in quella battaglia, quel giorno ne pianse un terzo: mentre si trovava impegnato in un duello contro Drona, il suo carro era stato distrutto e il figlio Shankha era corso in suo aiuto. Ma proprio mentre Virata saliva sul veicolo da guerra, una formidabile freccia dell'acarya aveva colpito il figlio in pieno petto, penetrandolo fino al cuore. Disperato per la perdita dei suoi tre figli, questi tentò di vendicarsi, ma nulla potè contro lo strapotere guerriero del brahmana.
Gravemente ferito alla fronte da Shikhandi, Asvatthama reagì con furia, uccidendogli l'auriga e i cavalli, e tempestandolo di frecce. Il prode Panchala, a terra e senza alcuna protezione, si difendeva facendo roteare la spada, tagliando a mezz'aria le armi che gli venivano scagliate contro, mentre si avvicinava sempre di più al suo avversario. Schivando tutto con la leggerezza di un'aquila, Shikhandi sembrava la regina dell'aria mentre è sul punto di afferrare una preda. Ma d'un tratto fu messo in difficoltà; Satyaki, che aveva appena completato la distruzione dell'armata di Alambusha, accorse e lo prese nella protezione del suo carro.
Più in là Duryodhana non riusciva a contrastare Drishtadyumna, proprio mentre Kritavarma fuggiva dal cospetto di Bhima. Questi si era appena ritirato che Bhima si concentrò sulla sua attività preferita: il massacro dell'esercito degli elefanti.
Anche quel giorno gli alleati dei Kurava si prodigarono con tutte le loro forze al fine di fronteggiare valorosamente i Pandava, ma non c'era proprio nulla da fare. Così come il mare ingoia le acque del Gange e ne dissolve il sapore dolce, alla stessa maniera la bravura dei Pandava dissipava la forza Kurava. Non si poteva rimproverare niente a nessuno perché ognuno si stava impegnando al massimo delle proprie capacità, senza pensare a mantenere la propria incolumità.
Ma Duryodhana continuava a essere ossessionato dalla stessa domanda: perché stava perdendo? Eppure la risposta, per quanto fosse così semplice e logica, non riusciva a farsi strada nella sua mente.
Uno dei duelli più belli della giornata fu quello tra Bhagadatta che, sul suo elefante, splendeva come un secondo Indra e Ghatotkacha. Quella volta però fu il figlio di Bhima a doversi ritirare.
Intanto Sahadeva era riuscito a ferire gravemente Shalya, che cadde svenuto sul suo carro.
Venne mezzogiorno, l'ora in cui il sole culmina.
Yudhisthira combatteva come un cobra infuriato contro Shrutayu, costringendo il celebre guerriero a ritirarsi. Il maggiore dei Pandava quel giorno fu irriconoscibile, non sembrava più la stessa persona gentile di sempre: quel giorno combattè come un ossesso.
Kripa fu sconfitto da Chekitana, mentre Abhimanyu risparmiò di proposito tre dei figli di Dritarashtra e fissò la sua attenzione su Bhishma. Arjuna, che si era accorto dei propositi del figlio, disse a Krishna:
"Oggi il nostro giovane leone darà del filo da torcere al figlio di Ganga; per un pò non dovremo stare in ansia a causa sua. Possiamo andare da un'altra parte."
Così il Pandava perseguitò ancora i Trigarta che, spaventati e demoralizzati, cercarono rifugio della fuga.
E ad un certo momento la situazione volse in un modo tale che i cinque fratelli Pandava si ritrovarono uniti di fronte a Bhishma: fu una visione da favola, un combattimento come si sarebbe potuto ammirare solo sui pianeti celesti. Molti accorsero ad aiutare Bhishma il quale oltre a dover tenere testa ai fratelli aveva di fronte anche Shikhandi, e questo lo rendeva impacciato. Shalya allora intercettò il Panchala e lo trascinò via dalla scena. Da ogni parte si accesero duelli furibondi, e le armi guizzarono con grande violenza.
Ma anche quel giorno terminò. I Pandava avevano ottenuto grandi successi, specialmente nei duelli personali, ma avevano anche perso molti soldati per opera di Bhishma.
Shikhandi era indignato: avrebbe voluto combattere contro l'anziano, ma ogni volta che provava a lanciargli la sfida, questi si girava di spalle e non reagiva.
 
96
L'ottavo giorno
E il sole sorse per l'ottava volta su quella distesa di uomini, animali e mezzi riuniti a Kurukshetra.
Dopo aver compiuto le sue devozioni mattutine, Bhishma si soffermò a riflettere su ciò che era successo il giorno precedente e credette giusto organizzare l'armata secondo la urmi, l'oceano. Tale formazione permetteva continui dilagamenti offensivi che si sarebbero potuti diffondere in ogni parte, proprio alla stregua delle onde del mare.
Yudhisthira, che aveva osservato attentamente il formidabile schieramento nemico, chiese ai suoi generali di rispondere con la shringataka. Praticamente si trattava di molteplici corni che avrebbero potuto penetrare facilmente la formazione nemica.
Le ostilità ebbero inizio.
Deciso a non permettere la solita carneficina giornaliera, Bhima si pose davanti al vecchio Bhishma e non si arrese finchè non gli ebbe ucciso l'auriga e distrutto il carro. Ma mentre continuava a combattere contro il nonno, proprio nelle vicinanze scorse con la coda dell'occhio otto figli di Dritarashtra abbastanza vicini l'uno all'altro. Ruggendo di gioia, li attaccò con furia tremenda e dopo aspri duelli li uccise tutti. Duryodhana, che era lì da presso, dovette assistere alla scena senza poter intervenire: come in un incubo gli tornò in mente la voce del Pandava che lontana negli anni giurava:
"Ucciderò te e tutti i tuoi fratelli. Che io possa perdere i miei meriti spirituali se non manterrò la promessa."
Ora, a vederlo combattere con quell'ardore, si capiva che Bhima aveva tutta l'intenzione di mettere in atto i suoi propositi. E di nuovo Duryodhana ebbe paura per la propria vita e per quella dei suoi fratelli. Ma quando rivelò le sue preoccupazioni al maestro, questi gli rispose con gli ammonimenti di sempre. Così, con le immagini di quell'ennesima tragedia impresse nella mente, riprese a combattere con grande tristezza.
Giunse il mezzogiorno su quell'immensa carneficina.
Quella volta furono Nakula e Sahadeva a destare l'ammirazione di tutti, combattendo con le spade sguainate l'uno a fianco dell'altro. Quel giorno furono tremendi. Tale era la loro velocità che riusciva difficile a chiunque determinare dove fossero: talvolta li si vedeva correre sul terreno roteando le armi, altre volte in aria come se volassero, oppure sui tetti dei carri mentre con incredibile velocità decimavano i loro avversari. Ma bisogna riconoscere che Bhishma e Drona non furono da meno ai gemelli e a Bhima.
Purtroppo nelle prime ore del pomeriggio fu Arjuna a subire una grave perdita: il figlio Iravan, nato da Ulupi durante il suo tirthayatra, così valoroso da poter essere paragonato ad Abhimanyu, dopo aver messo Shakuni in fuga, cadde in un aspro combattimento per mano di Alambusha.
E i Kurava, trascinati dalle ali dell'entusiasmo per il successo ottenuto dal rakshasa, sferrarono un veemente attacco che travolse l'armata dei Pandava. Fu Ghatotkacha che, furibondo per la morte del cugino, salvò la situazione. Giocando con i nemici come un gatto fa col topo, dapprima sconfisse Duryodhana, poi causò al suo esercito enormi perdite e respinse l'offensiva. E ancora ebbe diversi figli di Dritarashtra sotto il suo potere e avrebbe potuto ucciderli, ma non lo fece per rispetto verso il giuramento del padre. Come sopracitato, Duryodhana si era ritrovato in balia del rakshasa ed erano dovuti intervenire in forze per soccorrerlo. Ma quando Ghatotkacha aveva visto così tanti eroi davanti a sè non solo non si era spaventato, ma aveva sentito crescere dentro di sè l'eccitazione per il combattimento. Ora le sue grida rimbombavano ovunque: era come se milioni di spettri sanguinari avessero invaso il campo e stessero sterminando i Kurava.
Yudhisthira riuscì a distinguere la voce del nipote e fece chiamare Bhima.
"Fratello, ascolta, questo è Ghatotkacha. Non c'è dubbio che in questo momento è tutt'altro che in difficoltà. Sarà sicuramente impegnato a uccidere migliaia dei nostri nemici. Ma è meglio essere prudenti. Giacchè Arjuna è occupato a difendere i figli di Drupada da Bhishma, ora come ora nessun altro all'infuori di te può essergli veramente utile; va tu da lui, quindi, e sostienilo nel combattimento.
Bhima raggiunse il figlio con grande velocità.
Sotto i loro colpi possenti sembrava che l'intera armata Kurava fosse sul punto di essere schiacciata, tanto che anche i più coraggiosi dovevano cercare scampo nella fuga. Duryodhana, chiumante di rabbia, incitò il suo auriga a dirigersi verso Bhima, ma non ci mise molto a realizzare che il Pandava era troppo forte; così nel momento in cui lo vide precipitarsi contro di lui con la mazza sollevata e con tutta l'intenzione di schiacciarlo sotto i suoi colpi possenti, fuggì via precipitosamente. Appena i soldati videro il re scappare, lo imitarono. Da soli Bhima e Ghatotkacha erano riusciti a mettere in fuga una buona parte dell'esercito nemico.
Duryodhana corse da Bhishma.
"Bhima e il figlio stanno causando una vera devastazione; non si riesce a contenerli. Vieni tu e proteggi le nostre truppe."
"Kurava, purtroppo non posso venire personalmente, altrimenti Arjuna e Abhimanyu bruceranno le nostre armate in pochi minuti. Manderò Bhagadatta a fronteggiare il figlio di Vayu."
E ancora l'anziano monarca e il suo elefante Supratika accorsero e riordinarono le truppe in fuga. Poi si scagliarono contro quei due nemici indiavolati.
Il monarca di Dasharna, che pure cavalcava un enorme e possente elefante, tentò di impedire loro l'avanzata, ma dovette battere in ritirata: Supratika, con centinaia di ferite e la testa inondata di sangue, non si curava del dolore, anzi più veniva bersagliato più la sua furia distruttrice aumentava. Sentendo i barriti furibondi dell'animale e il guizzo delle armi, Arjuna accorse e il putiferio aumentò. Fu allora che il figlio di Indra apprese la notizia della morte di Iravan.
"Così tanti morti solo a causa dell'invidia di Duryodhana," disse con voce triste a Krishna, "Vidura lo aveva predetto, lui sapeva chiaramente cosa sarebbe successo. Per questo ha sempre cercato la maniera di evitare tutto ciò. In una settimana le nostre armate, che pure erano così imponenti, si sono assottigliate di molto. Quanti morti, quanto sangue."
La notizia della morte del nipote Iravan arrivò anche a Bhima. La sua rabbia divampò. Cercò altri figli di Dritarashtra da immolare sull'altare della vendetta e soltanto quando nel pomeriggio riuscì ad ucciderne altri otto sembrò acquietarsi un pò. Sapendo ormai bene che il raptus di follia distruttiva che lo aveva preso in quel momento non si sarebbe del tutto placato fino a che non avesse sterminato qualsiasi uomo o oggetto gli fosse capitato a tiro, i Kurava persero ogni voglia di continuare la battaglia e si ritirarono.
Scese l'oscurità.
I Pandava avevano subito pesanti perdite, ma quelli che avevano avuto la peggio erano stati senz'altro i Kurava.
 
97
Nella tenda di Bhishma
Ciò che era successo durante la giornata era insostenibile per Duryodhana. L'arroganza dei primi giorni era scomparsa: sempre più stava constatando che non solo la battaglia non si sarebbe conclusa tanto velocemente, cosa di cui invece era sempre stato sicuro, ma al contrario i Pandava sembravano vicini a un'inesorabile vittoria. L'unico che potesse risollevarlo dal suo dolore, pensò, era Karna. Andò a trovarlo nella sua tenda e gli raccontò tutto.
"Le nostre armate sono guidate dai più grandi generali che esistano al mondo," gli disse Duryodhana sconsolato, "ma essi, Drona, Bhishma, Shalya e Kripa si rifiutano di uccidere i Pandava. É vero che ogni giorno fanno strage di soldati, ma a che serve? Bhishma assottiglia le loro file e Arjuna fa lo stesso con le nostre, così la situazione non si sblocca. Per vincere questa guerra dobbiamo uccidere i Pandava, non i loro soldati."
"So come stanno andando le cose," ribattè Karna, "e vorrei fare qualcosa per vederti vittorioso e felice, ma al momento non posso. Finchè Bhishma vivrà io non interverrò in questa guerra. Tuttavia, se non sei soddisfatto della sua condotta, chiedigli di ritirarsi, per permettere a me di scendere sul campo."
Rincuorato da quel discorso, Duryodhana decise di andare a parlare con l'anziano. Ma questi, ferito dalle veementi parole del re Kurava, controllò a fatica la rabbia.
"Io non potrei uccidere i Pandava neanche se lo volessi," ribattè con tono forzatamente gentile. "Sono protetti da Krishna, e dunque neanche i deva possono nulla contro di loro; ma non vedi cosa è in grado di fare Arjuna? Comunque domani vedrai cosa saprò fare io."
Malgrado quella promessa, quando tornò nella tenda Duryodhana non si sentiva ancora soddisfatto. Solo Karna aveva la voglia e la capacità di battersi contro i Pandava. Ma questi non poteva combattere a causa di Bhishma. Sapeva già cosa sarebbe successo l'indomani: l'anziano guerriero avrebbe causato un'enorme carneficina ma i Pandava sarebbero rimasti in vita. Allora, a cosa sarebbe servito?
Ma se Duryodhana era triste, anche Karna lo era. Sentiva che si stava avvicinando il giorno in cui avrebbe dovuto combattere contro i fratelli. Mentre rifletteva gli tornò in mente la forma universale del Signore, così con quella visione davanti agli occhi riuscì un pò alla volta a calmare quel turbine di pensieri e si addormentò.
 
98
Il nono giorno
Quella mattina Duryodhana sembrava particolarmente eccitato.
"Questo è il giorno della nostra vittoria," disse al fratello Dusshasana. "Il nostro Bhishma ieri notte mi ha assicurato che oggi avrebbe fatto meraviglie. Noi dobbiamo proteggerlo, specialmente da Shikhandi. Va, dunque, e disponi una massiccia protezione intorno a lui."
Di prima mattina Bhishma organizzò l'esercito nella formazione chiamata sarvatobhadra, impenetrabile da qualsiasi direzione. Dopo aver preso atto delle sue iniziative, i Pandava sistemarono le loro truppe.
E per la nona volta i combattimenti cominciarono.
Colui che sferrò il primo attacco fu Abhimanyu. Nonostante la formazione nemica fosse praticamente impenetrabile per chiunque, il ragazzo in pochi secondi vi si insinuò e seminò il panico. Abhimanyu era un grande devoto del Signore ed era talmente elevato in spiritualità che un'aureola di luce circondava costantemente il suo bel viso.
Drona e Kripa e Jayadratha e Asvatthama cercarono di fermarlo, ma non ci riuscirono.
Allora Bhishma gli mandò contro il potente Alambusha, ma i cinque figli di Draupadi accorsero e aiutarono il fratello. Quella volta le arti magiche rakshasa non poterono dargli la vittoria, così dopo breve tempo anche Alambusha dovette ritirarsi.
Essendo stato spettatore di quegli incredibili prodigi, Bhishma stesso accorse, ma neanch'egli potè fermare quel giovane che sul campo di battaglia sembrava possedere una formidabile combinazione tra le capacità di Krishna e quelle di Arjuna. Abhimanyu era veramente inarrestabile.
Numerosissimi furono i duelli diretti che si combatterono su tutto il campo. Kripa e Asvatthama erano appena stati sconfitti da Satyaki, quando venne in loro soccorso Drona: l'impatto tra i due guerrieri ebbe lo stesso effetto di uno scontro fra due pianeti. L'arrivo di Arjuna non fece che rendere la mischia ancora più furibonda.
A Duryodhana però questi duelli diretti non piacevano. Aveva paura che Shikhandi incontrasse Bhishma, così come temeva Drishtadyumna che era nato con il compito di uccidere Drona.
Ma quella mattina fu Arjuna a incontrare il maestro. Poi il Pandava si scagliò contro i Trigarta, i quali dovettero abbandonare precipitosamente la scena. Al pari del fratello, anche Yudhisthira e Bhima ebbero la loro parte in quell'opera di distruzione.
Ma colui che provocò il maggiore sconquasso fu senz'altro Bhishma. I Trigarta avevano trascinato via il figlio di Indra e ora sembrava che Bhishma avesse deciso di porre fine alla guerra quel giorno stesso. Nel pomeriggio la sua azione si intensificò e nessuno poteva niente contro di lui: tutti stavano lì a guardare mentre i corpi si ammucchiavano sempre di più. D'un tratto Krishna sembrò non tollerare oltre quella scena.
"Arjuna, se non intervieni subito, oggi stesso Bhishma annienterà il nostro esercito."
Ma la tiepida reazione del Pandava fece infuriare ancora una volta il divino figlio di Devaki che, con una smorfia, gettò via le redini e saltò in terra. Brandendo nella mano destra la ruota di un carro come arma, corse verso l'anziano. Vedendo il meraviglioso Krishna coi vestiti in disordine, i capelli al vento, il viso sfigurato dalla collera, tutti dissero: "Bhishma è morto."
Ma questi non sembrava per nulla preoccupato del pericolo imminente.
"Vieni, vieni, Signore Beato," gridò infatti scendendo dal carro e giungendo le mani in preghiera, "Essere Supremo e Protettore dei Tuoi devoti, io non desidero altro che ricevere la morte dalle Tue mani benedette."
Ma come era già accaduto qualche giorno addietro, Arjuna rincorse il Supremo Narayana incarnato e lo fermò, promettendogli la vita di Bhishma.
E il resto del pomeriggio fu tutto all'insegna delle gesta di Arjuna; la sua abilità si rivelò doppia di quella di Bhishma e i Kurava non riuscivano a contrastare i suoi attacchi. Poi scese la sera e il massacro fu sospeso.
Per i Pandava una cosa era chiara: finchè l'anziano guerriero fosse stato in vita, non avrebbero potuto vincere quella guerra. Come diceva Krishna, Bhishma doveva morire.
 
99
I Pandava da Bhishma
Quella sera Yudhisthira era senza parole. Aveva visto da vicino le terribili capacità distruttive di Bhishma e ora si sentiva più che mai costernato. Se il nonno avesse continuato a combattere in quel modo, per loro la vittoria finale sarebbe rimasta un sogno e niente più. Si rivolse a Krishna per avere consiglio.
"Bhishma non è affatto invincibile," gli rispose il Signore, "ma i tuoi fratelli che lo amano e lo rispettano non hanno il coraggio di ucciderlo. D'altra arte non possiamo continuare in questo modo: se domani stesso Arjuna non lo attaccherà determinato ad ucciderlo, io prenderò le armi e farò giustizia. Dammi il tuo consenso e distruggerò tutti i tuoi nemici."
"No, non farlo," ribattè Yudhisthira. "Non voglio che il tuo nome rimanga macchiato dall'onta di aver trasgredito a una promessa così importante. Dobbiamo trovare un'altra soluzione."
Per un pò il figlio di Pandu rimase in silenzio.
"Bhishma non è contento di dover combattere questa guerra," riprese poi, "perché Duryodhana è malvagio e non ha alcun riguardo per la moralità e la virtù. Io so che odia questa guerra, che non vuole viverla fino in fondo, e che vorrebbe morire. Ma è pur vero che, a meno che non sia egli stesso a decidere di lasciare il suo corpo, nessuno potrà mai sconfiggerlo. Una soluzione potrebbe essere questa: fare in modo che egli stesso scelga di abbandonare questa vita."
A Krishna l'idea parve buona. Così i cinque Pandava e il Signore, protetti dal buio della notte, si recarono nella tenda dell'anziano e gli offrirono i loro rispettosi omaggi. Contento di poterli rivedere in una circostanza che non fosse il polveroso campo di battaglia, Bhishma sorrise a tutti.
"Cosa posso fare per voi?" chiese.
"Finchè tu sei sul campo di battaglia noi non abbiamo nessuna possibilità di vincere la guerra," rispose Yudhisthira, "e d'altra parte non è destino che Duryodhana trionfi. In questo frangente cosa possiamo fare?"
"É vero: finchè io vivrò, non potrete battere i Kurava. Quindi dovrete uccidermi."
"Ma noi ti amiamo e ti rispettiamo come un padre, e nessuno se la sentirebbe di affrontarti con lo scopo di darti la morte. Non esiste qualche altra soluzione?"
"No, non ce ne sono altre," rispose Bhishma, "dovete farlo; ma non dispiacetevi troppo perché io ho vissuto su questa Terra a lungo e mi sento tremendamente stanco. Da tempo desidero soltanto ritornare nel mio mondo di provenienza. Inoltre il soggiorno qui, alla corte dei Kurava, mi è diventato intollerabile, specialmente per colpa di Duryodhana, il quale ha rigettato del tutto il senso della virtù. Dunque fatelo senza rattristarvi; in realtà mi renderete felice.
"Sarà Arjuna a dovermi togliere la vita. In questo mondo infatti ci sono solo due persone capaci di sconfiggermi: uno è Krishna, l'altro è Arjuna. Domani portate Shikhandi sul fronte e fatevi scudo di lui. Io non combatterò perché, come si sa, è nato donna e anche perché è giusto che Amba abbia la sua vendetta; dalle sue spalle scagliate contro il mio corpo migliaia di frecce e in questo modo risulterete vittoriosi."
E ancora una volta Bhishma raccontò la tragica storia di Amba; poi i Pandava tornarono al loro accampamento.
Quella notte Krishna ebbe il suo da fare a convincere Arjuna che l'indomani avrebbe dovuto uccidere Bhishma.
 
100
Il decimo giorno
All'alba del decimo giorno, Bhishma si alzò d'umore lieto: non sarebbero passati molti giorni e lui, dopo così lungo tempo, sarebbe ritornato al suo pianeta celestiale, dalla sua compagna e dai suoi fratelli. Era talmente sereno e felice che tutti lo notarono.
Lo stato d'animo di Arjuna era ben diverso: pensava che era terribile ciò che avrebbe dovuto fare tra breve.
L'attacco alle armate Kurava sarebbe stato condotto fin dalle prime ore dal valoroso guerriero Shikhandi, spada in pugno, pronto in qualsiasi momento a scagliarsi contro l'odiato anziano della casata rivale. Subito dietro di lui c'erano Arjuna e Bhima. Seguivano Abhimanyu e i figli di Draupadi, e poi Satyaki, Drishtadyumna, Yudhisthira e i gemelli Pandava. Il resto dell'armata, guidata da Virata e Drupada, era leggermente più indietro. Da quella disposizione tutti poterono capire che lo scopo prefisso per quella giornata era di porre fine alla vita di Bhishma.
Dall'altra parte, come sempre, Bhishma era in prima linea, seguito da Drona, Asvatthama, Bhagadatta, Kritavarma, Kripa e tutti gli altri, ognuno dei quali era scortato dal rispettivo esercito. Il suono dei corni annunciò l'inizio delle ostilità.
Quella mattina si notò subito che Nakula e Satyaki erano particolarmente ispirati nel combattimento. Nè Bhishma fu da meno; anzi, sembrò suscitare l'ammirazione generale ancora più del solito. Tuttavia chi lo conosceva bene notò distintamente in lui qualcosa di anomalo: la sua espressione non era la solita, era più sereno, sembrava addirittura felice.
Shikhandi lo assalì subito, ma egli per l'ennesima volta si rifiutò di accettare la sfida, affermando che mai avrebbe combattuto contro una donna. Di nuovo umiliato, Shikhandi sfogò la sua furia contro lo stesso Bhishma. Lo colpì ripetutamente senza però riuscire a ottenere alcuna reazione. In quel frangente giunse Arjuna.
"Continua a colpirlo anche se si rifiuta di combattere," gli gridò nel clamore della battaglia. "Non lo lasciare un istante."
In quel momento molti grandi guerrieri accorsero per proteggere Bhishma dal figlio di Drupada; ma Arjuna li respinse tutti. Fin dalle prime ore di quella giornata, quando avevano visto Shikhandi in prima linea, tutti avevano capito le intenzioni dei Pandava; e ora quell'incredibile affannarsi attorno a Bhishma non faceva altro che confermare a Duryodhana il fatto che il loro comandante stava correndo un grosso pericolo. Il Kurava riuscì a raggiungerlo.
"Arjuna sta bruciando la nostra armata al pari di un immenso fuoco," gli gridò, "e anche suo figlio Abhimanyu e Bhima ci stanno facendo soffrire terribilmente. Tu sei la nostra sola speranza: proteggici."
"Fin dall'inizio ti avevo detto che non avrei ucciso i figli di Pandu," gli rispose questi con tono duro, "e ti avevo promesso che ogni giorno avrei eliminato diecimila dei tuoi nemici. Oggi ho quasi completato il numero; il mio debito verso di te è pagato. Ma ormai sono stanco di uccidere, non voglio più macchiarmi di altro sangue innocente solo per soddisfare i tuoi capricci. Per di più i Pandava non possono essere uccisi neanche dai deva. Oggi stesso io cadrò sul terreno ferito a morte, e spero proprio che almeno questo ti faccia tornare il buon senso."
Con nessuna voglia di discutere ulteriormente, Bhishma tornò a concentrarsi sui combattimenti.
Nel frattempo, per tutto il campo infuriavano grandi duelli diretti, come quello fra Arjuna e Dusshasana, fra Bhima e Bhurishrava, fra Alambusha e Satyaki, e tanti altri. Nella lotta ingaggiata tra Alambusha e Satyaki, Bhagadatta dovette intervenire per salvare la vita al rakshasa, che era stato messo in seria difficoltà dal Vrishni. E sempre intorno a quel duello, si levò un grande clamore quando Duryodhana mandò altri generali ad aiutare Bhagadatta. Ma Satyaki, che era amico intimo di Krishna e il discepolo preferito di Arjuna, non tremò un solo istante e continuò a seminare il terrore e la morte. Più in là Sahadeva infliggeva una brutta sconfitta all'acarya Kripa.
Intanto Asvatthama e Drona si erano fermati; tremendi presagi li avevano messi in guardia: qualcosa di infinitamente spiacevole stava per accadere. Quella combinazione di Arjuna, Bhima e Shikhandi in testa alla formazione non faceva prevedere niente di buono. Non ci volle un grande sforzo per capire quali fossero i loro propositi. Subito Asvatthama si affiancò a Bhishma nel tentativo di proteggerlo.
 
101
La caduta di Bhishma
Mentre centinaia di uomini, molti dei quali conosceva di persona, continuavano a cadere per mano sua, d'un tratto il più anziano dei guerrieri fu assalito da un profondo disgusto verso la guerra, verso il suo stesso valore, verso quella crudeltà che lo spingeva a massacrare soldati che davanti a lui erano come bambini inermi. Si avvicinò a Yudhisthira.
"Desidero smettere di combattere, ora. Fate come vi ho detto ieri notte."
Allora Shikhandi gli si mise di fronte e lo bersagliò con frecce, lance e asce. Era quello il momento più delicato, Arjuna lo sapeva. I Kurava avrebbero fatto di tutto pur di non permettere la caduta di Bhishma. Dovette combattere come mai aveva fatto in precedenza per creare il vuoto attorno a quel carro d'argento. E ci riuscì.
"Questo è il momento," gli disse Krishna, "poniti dietro Shikhandi e trafiggi Bhishma con quante più frecce puoi."
E mentre gli altri Pandava, Satyaki e Abhimanyu facevano muro per impedire a chiunque di venire a soccorrerlo, Arjuna e Shikhandi lo assalirono con violenza. L'anziano ripensò a tutta la sua vita: una profonda mestizia lo prese al pensiero dello stato di degradazione in cui si era ridotta la sua nobile dinastia, a causa di quella guerra fraticida. Krishna lesse tutto questo sul suo viso e gridò ad Arjuna:
"Ora Bhishma vuole veramente concludere la sua partecipazione a questa guerra."
Fiumi di frecce volarono dagli archi di Arjuna e di Shikhandi, e tutte colpirono il venerabile Kurava trapassandolo da una parte all'altra del corpo. E mano a mano che le frecce cadevano su di lui, Bhishma parlando a voce alta in modo che Dusshasana, che intanto era accorso, potesse sentire, disse:
"Queste sono di Arjuna, e queste sono di Shikhandi. Vedi, quelle di Arjuna penetrano più profondamente e bruciano, mentre quelle di Shikhandi si sentono appena."
Ma nonostante le frecce continuassero a piovergli addosso, questi ancora volle tentare di combattere.
Tutti guardavano l'incredibile scena: trapassato da centinaia di frecce, Bhishma scese dal carro e lanciò un giavellotto che Arjuna spezzò in tre parti nel momento in cui se lo vide guizzare contro. Quando anche quell'arma fallì, le grida si placarono: i duelli si interruppero e tutti i soldati restarono con le armi ferme in mano, desiderosi soltanto di vedere Bhishma sommerso dal fiume di armi che cadevano su di lui. Allora il silenzio si fece totale; era un silenzio carico di costernazione e di dolore. Nell'aria si vedeva e si sentiva solo il guizzo delle frecce del Pandava e del figlio di Drupada. Il sole al suo calare inondò con i suoi raggi soffusi il grande Bhishma che cadeva sul terreno, senza toccarlo: le frecce che lo avevano trafitto lo facevano restare a mezz'aria.
Nessuno si muoveva, nessuno proferiva parole, sembrava una finzione scenica. Poi si udì una voce eterea provenire dal cielo.
"Mahatma Bhishma non è ancora morto, nè morirà fino a uttarayana. Egli ha deciso di rimanere in quella posizione fino a quel giorno, quando offrirà a tutti i suoi insegnamenti di anima realizzata."
Quando la dea Ganga seppe del figlio, mandò i sette grandi saggi nelle sembianze di cigni a porgergli i suoi saluti. Poi essi tornarono e le riferirono le ultime decisioni di Bhishma.
In tutta Kurukshetra non si combatteva più: la caduta dell'anziano eroe aveva paralizzato chiunque.
I figli di Dritarashtra erano pietrificati e piangevano come bambini spauriti; alcuni persero addirittura i sensi per il dolore. Dimentichi per un attimo della loro aspra inimicizia, tutti, Pandava e Kurava, si riunirono intorno a quella grande personalità. Alla visione di quel corpo martoriato e trafitto da mille frecce che gli impedivano di toccare il terreno, tutti maledissero la loro professione di kshatriya.
Duryodhana era il più disperato.
Drona, che in quel momento stava combattendo su un fronte lontano, apprese la notizia da Dusshasana e per il dolore svenne. Anche se aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe dovuto accadere, la cosa gli sembrò ugualmente così inverosimile che stentava ancora a crederci.
Sull'istante dette l'ordine di cessare ogni combattimento. Tolti i sandali e le corazze e gettate via le armi, furono milioni i soldati che disciplinatamente sfilarono davanti a Bhishma, il quale salutò tutti con affetto e amicizia, dando loro consigli e istruzioni.
"La mia testa pende in giù," disse a un certo punto, "e non riesco a vedervi bene. Per favore, portatemi dei cuscini."
Impetuosamente Duryodhana ordinò che venissero portati i cuscini fatti con le stoffe più pregiate; ma quando questi gli furono offerti, Bhishma li rifiutò.
"Questi guanciali non sono degni di un vero kshatriya. Non poggerò la testa dove siedono le persone che amano le comodità di questo mondo. Voglio ben altro, io."
A quelle parole i presenti rimasero interdetti; non capivano che tipo di cuscino desiderasse. Notando l'imbarazzo generale, Bhishma si rivolse ad Arjuna.
"Loro sono guerrieri e non sanno che tipo di cuscino dovrebbero usare. Faglielo vedere tu, allora."
Prontamente, davanti ai soldati stupefatti, il Pandava scagliò delle frecce sotto la testa del nonno, in modo che potesse poggiarla sulle estremità delle asticelle. L'anziano sorrise.
"Avete visto? Sembra che solo Arjuna sappia quali sono i guanciali che usano gli kshatriya."
Nel frattempo erano arrivati i dottori che Duryodhana aveva convocato in tutta fretta, ma Bhishma disse loro:
"Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, ma io non desidero essere curato. Quando uttarayana arriverà, abbandonerò questo corpo che ho usato per fin troppo tempo e tornerò sul pianeta da cui provengo."
Dopo avergli rivolto i propri saluti, i soldati si ritirarono nelle proprie tende. Solo pochi intimi gli rimasero vicino.
Bhishma, a voce bassa, disse:
"Ho sete; per favore, portatemi dell'acqua."
Duryodhana fece portare dell'ottima acqua dolce, ma Bhishma rifiutò anche quella.
"Non è questa l'acqua che voglio. Forse Arjuna sa quello che desidero in questo momento della mia vita."
Con un cenno del capo il Pandava assentì tristemente. E ancora una volta scagliò una freccia vicino al suo capo con tanta potenza che essa perforò il terreno fino ad arrivare al Gange: in pochi secondi uno zampillo d'acqua spuntò dal terreno, permettendo al valoroso guerriero di bere. Grazie ad Arjuna, Ganga in persona era venuta per dissetare il figlio. A quel punto Bhishma guardò il re dei Kurava forte intensità e serietà.
"Duryodhana, vedi cosa può fare Arjuna? Lui e Krishna sono i saggi Nara e Narayana reincarnati. Non puoi vincerli. Fa in modo che la mia morte serva a fermare questa inutile guerra e fai pace con loro. I Pandava sono pii e non rifiuteranno la tregua, anzi la accetteranno con gioia."
Duryodhana non rispose. Non lo guardava neanche più negli occhi, ma osservava con aria mesta il terreno. Quella reazione non sorprese Bhishma; sapeva bene che le sue parole non avrebbero avuto effetto neppure in quel frangente. Chiese allora di rimanere solo; tutti si ritirarono.
Il saggio si chiuse in sè, e cominciò la sua meditazione sulla Verità Assoluta Personale, cosicché presto dimenticò le miserie di questo mondo. Quando Karna venne a sapere dall'amico Duryodhana della caduta di Bhishma, decise di andare a trovarlo; e quando arrivò, accanto a lui non c'era più nessuno. Si sedette al suo fianco e pianse.
"Io ti ho sempre trattato duramente non perché ce l'avessi veramente con te," gli sussurrò Bhishma, "ma perché non potevo fare altrimenti. Odiavi così tanto i Pandava che per il loro bene era necessario diminuire la tua energia mentale; in quel modo intendevo proteggere i Pandava dal tuo valore. Del resto, anche tu eri un mio nipote, per cui non avrei mai potuto detestarti veramente."
Karna era stupito. Anche Bhishma era al corrente del mistero della sua nascita e non gli aveva mai detto niente.
"É stato Vyasa a rivelarmi il segreto," continuò l'anziano quasi avesse letto nei suoi pensieri, "ma non potevo dirtelo perché dietro a tutto ciò che è accaduto c'è un preciso piano divino che non potevo danneggiare. Questo mondo è stato sovraccaricato di forze demoniache e deve essere liberato. Noi tutti siamo stati solo degli strumenti nelle mani di un onnipotente volere celestiale."
I due conversarono a lungo.
Poi Karna chiese al venerabile Bhishma di benedirlo, in quanto il giorno seguente sarebbe dovuto scendere sul campo di battaglia. E il virtuoso figlio di Surya, con il cuore pesante, tornò alla sua tenda.
I suoi sogni furono torturati da mille pensieri desolati.