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Shalya nominato comandante

Era trascorso solo un giorno quando il giusto Sanjaya, il discepolo di Vyasa, tornò nuovamente da Kurukshetra.
E Dritarashtra, studiando la sua espressione, capì che tutto era finito, che Duryodhana e gli altri figli erano morti e il suo esercito era stato definitivamente devastato dalla forza dei nemici. Così ciò che Sanjaya gli raccontò non fu affatto una sorpresa.
"O re, il prode Shalya, investito della carica di generalissimo dopo la caduta di Karna, è morto verso la metà della giornata, e anche Shakuni e suo figlio Uluka. I tuoi figli sono stati sterminati, e fino al tardo pomeriggio l'unico rimasto in vita era il tuo primogenito, Duryodhana. Tuttavia anch'egli, ora, giace al suolo senza più vita, mortalmente ferito dalla mazza poderosa di Bhima. Tutto si è concluso, o re, i Pandava hanno vinto."
Dritarashtra pianse lacrime amare, e svenne. Vidura arrivò e subito gli fu vicino, proferendo frasi colme di saggezza.
Riacquistati i sensi, il re disse:
"Sanjaya, anche se conosco già l'esito infausto di quest'ultimo giorno di guerra, narrami tutto nei particolari, cosicché io sappia come mio figlio e tutti gli altri sono stati colpiti dalla mano del Destino che in questa circostanza ha voluto prendere le sembianze dei figli di Pandu e dei loro alleati."
E Sanjaya iniziò a raccontare.
Alle prime luci del'alba, di fronte allo sterminato teatro del più grande massacro che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto, l'anziano e virtuoso Kripa pregò Duryodhana di capitolare e fermare la strage. Oramai la vittoria era impossibile e tutti lo sapevano bene.
"Ieri Asvatthama mi ha chiesto la stessa cosa," rispose questi con tono dimesso, "ma non posso arrendermi. Non più. Se lo facessi ora direbbero che ho agito così solo per salvare la mia vita, proprio io che ho causato la morte dei miei fratelli e dei miei amici. No. In ogni caso è solo questione di tempo e poi tutti coloro che nascono in questo mondo sono destinati a morire; dunque la morte non deve spaventare un uomo che abbia la minima conoscenza delle verità della vita. E giacchè devo lasciare questo corpo, dopo ciò che è successo preferisco farlo combattendo."
Mentre i soldati svolgevano le loro devozioni mattutine, Duryodhana chiese ad Asvatthama di assumere il comando di ciò che rimaneva dell'esercito.
"Ti ringrazio della fiducia" ribatté il figlio di Drona. "É la seconda volta che mi offri di guidare le tue truppe, ma preferisco risponderti allo stesso modo. Io non credo di essere la persona più indicata, sono convinto invece che il potente ed esperto Shalya potrebbe ancora sovvertire le sorti di un confronto finora sfavorevoli per noi. Chiedi dunque a lui di portare alla battaglia i tuoi soldati."
Così Shalya fu nominato quarto generale dell'esercito dei Kurava: e subito innumerevoli strumenti musicali, quali trombe, conchiglie e corni, provocarono un suono simile a un poderoso tuono che finì con l'arrivare alle orecchie di Yudhisthira.
"Questo entusiasmo da parte dei Kurava può significare una sola cosa: Duryodhana ha nominato il nuovo comandante. Sono certo che nostro zio Shalya sarà il nuovo nemico da affrontare; nessuno più di lui è in grado di guidare ciò che rimane delle truppe nemiche. Dovremo prepararci a una dura prova."

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Il diciottesimo giorno

Shalya analizzò attentamente le sue forze e quelle soverchianti degli avversari, poi decise di non separare le sue truppe e di giocare il tutto per tutto attaccando frontalmente. Personalmente stazionato in testa alle milizie, il re di Madra dette il segnale di attacco.
Avendo studiato la disposizione dei Kurava, Drishtadyumna invece divise l'armata in tre tronconi, ed ordinò di caricare contemporaneamente il nemico di fronte e sui due lati.
E il diciottesimo giorno della guerra di Kurukshetra cominciò.
Yudhisthira e Bhima attaccarono direttamente Shalya, il quale ricevette i due fratelli senza alcun timore e, anzi, li affrontò apertamente. Bhima gli si era posto di fronte con la mazza nella mano, allorché Shalya scese dal carro e lo sfidò a piedi: lo scontro fisico fra i due possenti corpi risultò grandioso, e il duello degno della loro fama; ma fu il Pandava ad avere la meglio.
Kripa accorse in grande fretta, e portò via dal campo il ferito. In pochi minuti Shalya si era già rimesso in sesto e potè tornare a combattere, calando come una furia scatenata sui nemici e seminando un vivo terrore. Ma oramai i Pandava erano ansiosi di far terminare quella grande carneficina e Yudhisthira, aiutato da Satyaki e da Drishtadyumna, lo affrontò, sicuro che morto Shalya, di fatto la battaglia sarebbe terminata.
E così fu.
Centrato da una grossa lancia che era stata scagliata con furore dal primo dei Pandava, col cuore trafitto, il grande Shalya, tanto amato dai suoi nipoti, cadeva morto al terreno con le braccia spalancate.
Eppure, nonostante il panico causato dalla fine di Shalya, il combattimento non si interruppe. Duryodhana incitava tutti alla guerra, alla vendetta.
"Non preoccupatevi per le vostre vite," diceva. "L'anima è eterna e nessuna arma può distruggerla. E chi muore combattendo valorosamente sul campo di battaglia raggiunge i pianeti celesti, mentre a chi si comporti da vile, al momento della morte tali delizie saranno rifiutate. Battetevi, possiamo ancora vincere."
Spronati da quelle parole, nessuno si ritirò.
E in quell'immenso cimitero la mischia divenne furibonda. La polvere si alzava fino al cielo e accecava i guerrieri.
Quel giorno Duryodhana stesso combattè bravamente, ma non potè proteggere i suoi fratelli da Bhima; lasciato per ultimo il prode Sudarshana, il Pandava finì di sterminare tutti i figli di Dritarashtra. Il suo voto era quasi stato assolto. Era ebbro di gioia.
"Ne ho uccisi novantanove," gridò, improvvisando una specie di danza, "ne manca solo uno, manca solo il peccatore principale, manca solo Duryodhana. E tra un pò anche lui assaggerà la mia deliziosa mazza."
Il campo non più affollato come nei primi giorni, Arjuna imperversava senza più ostacoli, seminando morte e terrore. In quelle condizioni era impossibile contrastarlo.
Non lontano, Shakuni lottava valorosamente a fianco dell'ultimo figlio rimastogli, Uluka. Ma presto, durante uno scontro con Nakula, vide morire anche quest'ultimo.
E neanche il tempo di piangere su quella disgrazia che il rabbioso Sahadeva, memore del suo giuramento, lo uccideva.
Per Duryodhana le ultime speranze svanirono con Shakuni. Per un momento si fermò e si guardò attorno con profonda ansietà, con le lacrime agli occhi: solo allora realizzò veramente che aveva perso la guerra, che era rimasto praticamente solo, senza gli amici più intimi, senza i suoi stessi fratelli. Degli 11 akshauhini di cui disponeva diciotto giorni prima, gli erano rimasti solo 200 carri, 500 cavalli, 100 elefanti e 3000 soldati: niente per i grandi eroi Pandava.
Infatti fu questione di istanti, e Arjuna, Bhima, Satyaki e tutti gli altri calarono sui soldati spaventati; l'effetto fu simile a un'esplosione nucleare.
Il silenzio divenne totale. Erano rimasti in quattro: Duryodhana, Kripa, Asvatthama e Kritavarma.

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Duryodhana si immerge nel lago

In quegli ultimi momenti, Duryodhana si trovava lontano dal luogo degli scontri quando da un'altura gli si prospettò la piana di Kurukshetra, interamente ricoperta di un impressionante strato di cadaveri e detriti.
In quel momento ricordò le parole di Vidura: "Tu sarai la causa della distruzione dell'intera razza kshatriya," e la sua mente vacillò.
In preda ai rimorsi e ai più neri pensieri, ricordò Karna, Dusshasana, Vikarna e tutti gli altri amici e parenti che ora giacevano senza vita in chissà quale punto del campo. E prese a vagare senza meta nei dintorni, sofferente nell'anima e nel corpo.
Poi anche il suo cavallo stramazzò al suolo; le sue ferite erano state così gravi e numerose che era già un miracolo che fosse vissuto fino a quel giorno. Il Kurava si sentì ancora più solo.
Camminò per ore, torturato dal dolore fisico delle ferite che gli bruciavano e dagli spasimi della mente che non lo lasciavano in pace un solo istante.
Ad un tratto si imbattè in un lago fresco e placido e pensò che avrebbe potuto ristorarsi prima di riprendere il combattimento e morire da soldato. Avvezzo ai più grandi lussi, ora per riposarsi aveva solo le acque di un lago; abituato ad avere ogni cosa di cui abbisognasse, ora con sé aveva solo la sua mazza. Mentre stava per immergersi nelle acque, vide Sanjaya venire verso di lui e lo aspettò.
"É un piacere vederti ancora vivo," disse il brahmana. "Quali sono ora le tue intenzioni? c'è qualcosa che posso fare per te?"
"Sì. Torna da mio padre e digli che gli chiedo perdono per tutti gli errori che ho commesso. Raccontagli ciò che è successo ed anche che ora io entrerò in questo lago per riprendere le forze, dopodichè tornerò a combattere contro i miei nemici. Digli addio da parte mia, perché è certo che non ci rivedremo più."
Dopo averlo salutato, Sanjaya salì sul carro e corse verso Hastinapura. Per la strada incontrò gli altri tre sopravvissuti.
"Sanjaya, dove stai andando di così gran carriera? Noi stiamo cercando Duryodhana e non riusciamo a trovarlo. Sai forse dove è andato?"
"Sto andando ad Hastinapura, come il nostro re mi ha chiesto. Egli si è immerso nelle acque del lago Dvaipayana, allo scopo di curare le sue ferite. Dopodichè vuole riprendere il combattimento. Andate da lui."
Kripa, Asvatthama e Kritavarma erano diretti verso il lago, quando intravidero i Pandava e i loro alleati che evidentemente cercavano Duryodhana. A quel punto decisero che avrebbero fatto bene ad aspettare il pomeriggio.
Quando furono arrivati nel posto indicato loro da Sanjaya, chiamarono Duryodhana.
"O discendente di Kuru, o Bharata," disse Asvatthama, "emergi dalle acque e torna a combattere con noi. Non temere un'ennesima sconfitta, perché noi quattro uniti insieme possiamo distruggere i Pandava e i loro alleati. Hai la nostra parola d'onore: noi lotteremo insieme a te fino alla morte."
Dalle profondità del lago, Duryodhana rispose.
"Non pensate che mi sono immerso in queste acque per paura; io l'ho fatto solo per lenire il dolore delle mie piaghe. Appena mi sentirò meglio, tornerò sul campo di battaglia."
Mentre i tre parlavano dalla riva e il Kurava rispondeva da dentro le acque, dei cacciatori che passavano di lì per caso assistettero alla scena e, sperando in una ricompensa, andarono a riferire ogni cosa ai Pandava. A quella notizia, Bhima diventò ebbro di gioia.
"Ecco dove si è nascosto quel vigliacco," gridò. "Sono ore che lo cerchiamo dappertutto e non riuscivamo a trovarlo. Amici, le tenebre non sono ancora calate, corriamo a Dvaipayana e facciamo giustizia."
I Pandava, accompagnati dagli alleati e dalle truppe, partirono immediatamente e in poco tempo arrivarono al lago.
Messi in allarme dal rumore dei cavalli e dei carri che si avvicinavano, Asvatthama, Kripa e Kritavarma si allarmarono e il loro coraggio venne meno.
"Duryodhana, i Pandava stanno arrivando. Ti hanno trovato. Noi siamo stanchi e feriti, e non ce la sentiamo di riprendere subito il combattimento. Vogliamo andare a nasconderci."
"Andate pure. Non preoccupatevi per me. Dai miei amici ho già avuto anche troppo."
Celati dietro un gigantesco albero banyano, i tre si disposero in modo da poter vedere cosa sarebbe successo.

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Preparativi del duello finale

Giunti sul posto, i guerrieri scesero dalle cavalcature e Yudhisthira si avvicinò alla riva, chiamando Duryodhana a voce alta.
"Cugino, cosa fai lì? dov'è finita la tua arroganza? non sei più tanto sicuro delle tue capacità, ora? dicevi che in battaglia ci avresti sconfitti senza difficoltà, ma che ne è del trionfo di cui eri tanto convinto? Vedo che ti sei nascosto. Non hai proprio nessuna dignità: dopo aver causato la morte di tutti gli kshatriya della Terra, con quale coscienza speri di salvare la tua inutile vita? Esci e combatti da uomo."
"Ti sbagli se pensi che sono entrato in questo lago per paura di voi," rispose questi. "Il mio corpo era coperto di ferite e bruciava come se fossi stato avvolto dalle fiamme; per questo sono qui. Ma domani stesso intendo riprendere il combattimento."
"Noi ti vogliamo subito," gridò Yudhisthira, con una furia insospettabile in una persona di solito così controllata. "I milioni di morti non hanno avuto il lusso di perdere la vita quando volevano, e la maggior parte non era neanche colpevole di nulla. E ora tocca a te morire. Esci subito, se hai un minimo di dignità."
"Non devi più combattere, Yudhisthira, il regno è tuo: goditelo. Io preferisco starmene nella foresta come un eremita piuttosto che vivere senza i miei fratelli e i miei amici."
Queste parole fecero infuriare Yudhisthira ancora di più.
"Tu ci permetti di prendere possesso del regno? cosa dici? Il regno noi l'abbiamo conquistato con la forza delle armi e non certo per tua concessione, come più volte ti abbiamo pregato di fare pur di evitare questa inutile carneficina. Ora non siamo venuti per chiederti la nostra parte di regno: noi vogliamo la tua vita."
A quelle parole aspre e colme di rancore, Duryodhana, con la mazza fra le mani, sorse dalle acque del lago.
Yudhisthira sorrise.
"Sono contento di constatare che mio cugino non è diventato vigliacco d'un tratto. Dunque ti faccio una proposta: scegli di combattere contro uno di noi con qualsiasi arma tu desideri. Se vincerai potrai tenere il regno, se perderai avrai perso ogni cosa, compresa la vita."
Tutti guardarono il Pandava con stupore: che proposta era quella? Con la mazza Duryodhana era un grande combattente e invitarlo a battersi in quel modo faceva venire in mente la sfida ai dadi che aveva causato tutte quelle sventure.
I suoi amici divennero nervosi e qualcuno protestò a voce alta.
Ma in fondo Duryodhana era uno kshatriya nobile e ringraziò il cugino della generosa opportunità che gli era stata accordata.
"Voglio combattere contro Bhima, con la mazza," disse a denti stretti. "Lui è l'assassino dei miei fratelli; quale migliore opportunità di avere vendetta?"
Il Pandava, ringhiante come un lupo affamato, si fece avanti, con l'aria di chi voglia distruggere il mondo intero.
I due si prepararono accuratamente.
Tuttavia proprio nel momento in cui stavano per iniziare, di ritorno dal suo tirthayatra, arrivò Balarama. I due lo salutarono con rispetto: era stato proprio lui il loro insegnante in quella particolare disciplina marziale.
Guardandosi intorno, il nobile fratello di Krishna non ci mise molto a capire che quello che stava per iniziare sarebbe stato il duello decisivo.
"Sono appena tornato da un lungo pellegrinaggio, durante il quale ho visitato molti dei luoghi più santi di Bharatavarsha," disse. "Durante il viaggio ho incontrato persone pie ed ho gustato la vita pacifica e meditativa delle foreste. Purtroppo ora sto constatando con tristezza che gli uomini migliori del mondo si sono fatti trascinare dall'odio e dall'avidità, e si sono massacrati fra di loro. Addirittura i miei più cari discepoli sono pronti ad uccidersi: tutto ciò non è affatto virtuoso. Ma io so che a questo punto non intendete sentire ragioni e che volete regolare una volta per tutte le vostre vecchie questioni. Uno di voi due oggi dovrà morire. Dunque, se proprio volete combattere, fatelo almeno in un luogo sacro, dove chi lascia il proprio corpo ottiene grande vantaggio spirituale."
"Quale credi sia il posto migliore per questa sfida?" chiese Yudhisthira.
"Non lontano da qui c'è Samantapanchaka, dove molto tempo fa Parashurama riunì il sangue degli kshatriya empi. Chi vi muore ottiene la liberazione. Io consiglio che questa sfida fra Bhima e Duryodhana avvenga in quel luogo."
In testa i due furenti guerrieri che stringevano con impazienza le loro armi, il drappello si incamminò verso Samantapanchaka.

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Duryodhana sconfitto

Davanti a una platea trepidante, il duello conclusivo della lunga e sanguinosa guerra di Kurukshetra cominciò.
Furono subito evidenti gli stili guerrieri che li caratterizzavano: i due si presentavano molto diversi l'uno dall'altro: Bhima ovviamente più possente, Duryodhana più abile e regale. Ambedue avevano avuto Balarama come maestro e studiato intensamente lo stesso numero di mesi, in teoria avevano le stesse possibilità di vittoria.
I colpi che scagliavano erano di un vigore impressionante, così come incredibili erano l'agilità e la destrezza con cui l'uno o l'altro paravano o schivavano le mosse dell'altro. Talvolta era Bhima a cadere in terra sotto i robusti colpi dell'avversario, altre volte Duryodhana, sanguinante e lacero, veniva a trovarsi in difficoltà. Ma la cosa che apparve subito chiara fu che in definitiva Duryodhana non era la vittima predestinata che avrebbe dovuto soccombere in un nulla, schiacciata dalla forza devastante del Pandava. Anche Bhima se ne stupì: non lo credeva così abile. Era sempre stato certo che qualora si fosse trovato a combattere contro Duryodhana, lo avrebbe sconfitto con irrisoria facilità. Evidentemente si era sbagliato.
"Secondo te chi fra i due è il migliore?" chiese Arjuna a Krishna.
"Da ciò che si è visto finora Duryodhana è senz'altro più abile," rispose questi con una vena di rimprovero. "Questo duello non avrebbe mai dovuto avvenire. É stato solo l'ennesimo gioco d'azzardo che tanto piace a tuo fratello."
Arjuna era preoccupato.
"Allora cosa possiamo fare per aiutare Bhima? Non sarebbe giusto perdere tutto ora che abbiamo vinto una guerra devastante, e che tanti bravi soldati sono morti proprio per portarci al trionfo."
Krishna sorrise e ammiccò.
"Non c'è nulla che possiamo fare. Bhima deve solo ricordare il suo giuramento e comportarsi come di dovere."
Arjuna fece un cenno con la testa per mostrare che aveva capito, e a sua volta sorrise.
Krishna aveva dato la soluzione.
Il duello si protrasse per ore.
I due si sentivano esausti; erano diciotto giorni che combattevano, ed entrambi avevano subito serie ferite. Il sangue scendeva copiosamente da molte parti dei loro corpi. Ad un tratto il Pandava sentì dentro di sé che l'ultima ora di Duryodhana era arrivata, e guardò in direzione di Arjuna. Questi si diede uno schiaffo sul fianco.
Bhima capì il messaggio.
Fece la finta di voler scagliare un colpo contro il petto dell'avversario, che saltò in alto per evitarlo, ma con una rapidissima inversione di movimenti il figlio di Vayu lo colpì al fianco, in una zona del corpo solitamente proibita dalle regole dei duelli singoli.
La mazza si abbattè contro il corpo di Duryodhana provocando il fragore di un tuono: con i fianchi spezzati, cadde nella polvere, ferito mortalmente. Dalla folla si alzò un forte brusio; era stato un atto sleale.
Nessuno festeggiò quella vittoria. Ma Bhima non sembrava particolarmente preoccupato, né si rammaricava della maniera in cui l'aveva conseguita. Saltando dalla gioia, gridava "ce l'ho fatta, ce l'ho fatta!"
"Maledetto della nostra razza," gridò poi, "ricordi quando mostrasti la coscia a Draupadi, invitandola a venire con te? Allora io giurai che te l'avrei rotta con la mia mazza. Ora l'ho fatto. E ricordi che mentre io e i miei fratelli lasciavamo Hastinapura per andare in esilio voi, prendendovi gioco di me, sghignazzavate e mi chiamavate 'mucca, mucca'? Quella volta io pronunziai il voto che quando ti avessi sconfitto in duello e ti avessi avuto alla mia mercè, avrei messo il mio piede sulla tua testa. É l'ultimo giuramento che mi manca da assolvere, e ora lo farò."
E prima che Yudhisthira riuscisse in qualche modo a impedirglielo, Bhima spinse il possente piede sul capo del ferito, e glielo sprofondò nella polvere.
Intanto che Bhima veniva trascinato a forza da Arjuna e Satyaki, Yudhisthira si chinò sul moribondo.
"Duryodhana, perdona mio fratello per ciò che ha fatto. Tu sei un Bharata, e devi comunque essere rispettato. Purtroppo a volte Bhima non riesce a controllare la sua furia."
"No, non ce l'ho per questo," rispose il Kurava in un rantolo di dolore, "in fin dei conti io muoio e vado a Svarga, mentre lui dovrà vivere ancora ed essere ricordato come una persona che ha vinto un duello in modo sleale."
E in quel luogo, a Samantapanchaka, mentre Bhima per nulla placato ancora scalciava per scagliarsi contro l'odiato nemico, e Duryodhana a terra sanguinava moribondo, e Yudhisthira chino chiedeva perdono, e tutti rimproveravano il figlio di Vayu per quell'atto, si avvertiva una pesante atmosfera di tragedia.
D'un tratto dal gruppo dei guerrieri presenti, Balarama emerse con furia, brandendo minacciosamente la sua arma preferita. Intenzionato a fare giustizia sommaria, si precipitò contro il reo digrignando i denti.
"Tu hai trionfato in questo duello nella maniera più empia e crudele che si possa immaginare, e in più hai umiliato un mio discepolo ponendogli il piede sulla testa in un momento in cui non poteva più difendersi. Il sangue di Duryodhana chiama il tuo e ora io ti ucciderò."
Ma Krishna riuscì a fermarlo e gli parlò, ricordandogli tutti i torti commessi da Duryodhana.
"Bhima ha agito così perché aveva dei voti da assolvere. Uno kshatriya che tralasci di adempiere ai propri doveri, non potrà mai arrivare ai pianeti celesti. Per questa ragione io non sono stato contrario al suo comportamento. Egli va perdonato, in quanto troppo gravi sono state le angherie che i fratelli Pandava hanno dovuto subire a causa di Duryodhana."
A quelle parole Balarama desistette dal proposito di combattere e si avvicinò a Duryodhana.
"Muori dignitosamente, o re. A differenza di Bhima, tu sarai ricordato come un buon combattente, mentre il suo ricordo sarà sempre contraddistinto dalla macchia della slealtà."
E senza salutare i Pandava, Balarama montò sul carro e partì in direzione di Dvaraka.
Bhima era sconvolto dalle parole del suo maestro, e non riusciva a darsi pace.
"Non preoccuparti," lo consolò Krishna. "Conosco bene mio fratello, e so che col tempo si placherà. Non angustiarti, goditi questa sfolgorante vittoria."
Così, tranquillizzato dalle parole di Krishna, Bhima si avvicinò al fratello Yudhisthira a mani giunte.
"Sconfiggendo il malvagio Duryodhana che presto morirà, ho riconquistato il regno. Da oggi sei ancora l'imperatore del mondo, e potrai governare senza preoccupazioni, in quanto i tuoi nemici sono tutti morti. Con un re come te, nessuno conoscerà più la sofferenza, la fame e la degradazione di discendere in specie inferiori di vita. E per quanto riguarda qualsiasi errore io possa avere commesso, sappi che l'ho fatto ritenendo di essere nel giusto. Ti prego quindi di perdonarmi e di accordarmi le tue benedizioni."
A quelle parole Yudhistira abbracciò con grande trasporto e gioia il glorioso fratello, e a quel gesto tutti lanciarono alte grida, festeggiando così la grande impresa di Bhima.
Lasciato solo Duryodhana oramai morente, i Pandava e i loro alleati andarono via.