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Il primo Concilio di Nicea (anno 325) stabilì che la solennità della Pasqua di Resurrezione sarebbe stata celebrata nella domenica seguente il primo plenilunio (quattordicesimo giorno della luna ecclesiastica) che viene dopo l'equinozio di primavera.

In quell'occasione (ma più verosimilmente negli successivi) la data ufficiale dell'equinozio fu spostata dal 25 marzo al 21 marzo, poiché, a causa delle imprecisioni del Calendario Giuliano (1), si erano accumulati a quell'epoca quasi quattro giorni di ritardo rispetto alla riforma del calendario voluta da Giulio Cesare. (Va comunque detto che, per varie ragioni, la data astronomica esatta dell'equinozio varia da un anno all'altro e nel corso dei secoli).

La questione sul metodo di calcolo della data di Pasqua fu molto dibattuta all'interno della Chiesa, soprattutto prima, ma anche dopo il Concilio di Nicea.

Nel corso dei secoli V-VII si affermò, grazie soprattutto all'opera di Dionigi il Piccolo, il metodo di compilare delle tavole per le date di Pasqua, basato sul ciclo diciannovennale di Metone. In pratica, la data di Pasqua veniva calcolata su di un algoritmo che combinava il ciclo di Metone, e quindi il numero d'oro, con il ciclo solare (2), ottenendo così un ciclo di: 19 x 28 = 532 anni.

Ad ogni numero d'oro corrisponde una determinata epatta, per cui i valori possibili dell'epatta possono essere solo 19, ossia:

 

1, 3, 4, 6, 7, 9, 11, 12, 14, 15, 17, 18, 20, 22, 23, 25, 26, 28, 30.

 

La riforma Gregoriana (3) del 1582 rese più preciso il calcolo, introducendo una correzione del ciclo di Metone e utilizzando tutti e 30 i valori possibili dell'epatta.

In seguito a ciò, il ciclo delle date di Pasqua (al termine del quale si ricomincia dalla prima data) non è più di 532 anni, ma bensì di 5.700.000 anni, dato dal prodotto dei quattro numeri seguenti:

 

19 (durata in anni del ciclo di Metone)
400 (durata in anni del ciclo solare nel calendario gregoriano, che tiene conto dei giorni non più bisestili per effetto della riforma)
25 (numero che corregge il ciclo diciannovennale di Metone)
30
(numero delle diverse epatte possibili)

Parecchie chiese ortodosse utilizzano il Calendario Giuliano, anziché il Gregoriano, per il calcolo del giorno di Pasqua, che in tal modo viene celebrato in un giorno generalmente diverso rispetto a quello della Chiesa Cattolica e delle Chiese Protestanti.

 

Rebus sic stantibus, ecco quattro metodi per calcolare la data della Pasqua: il primo richiede la conoscenza dell'epatta; il secondo è un metodo aritmetico, dovuto al celebre matematico Karl Friedrich Gauss (1777-1855); il terzo è sotto molti aspetti il più comodo e universale di tutti, ed è un algoritmo di Oudin riproposto e modificato da Claus Tondering; col quarto, infine, la data di Pasqua si ricava dal numero d'oro mediante una tabella.

In realtà, di metodi ne esistono di svariati: mi limito a citarne altri due.
Uno è dovuto a Vincenzo Bronzin (1872-1970), ed è stato illustrato da Bruno Cester sulla rivista L'astronomia, nel numero 31 del marzo 1984 (occorre però consultare anche l'errata corrige apparsa nel numero 35 di luglio-agosto 1984).
Un altro è quello descritto da Leopoldo Benacchio nel numero 70 del 1987 della stessa rivista, che però risale all'Ecclesiastical astronomy di Butcher del 1876 e fu descritto anche da Spencer Jones in General astronomy nel 1961.

Se invece volete evitare qualsiasi spiegazione e passare subito al pratico, eccovi uno script che calcola per voi tutte le date della Pasqua Cristiana Ebraica ed Ortodossa... e molto di più.

 

 

1. Fu Giulio Cesare che, nel 46 a.C., procedette a una nuova riforma, dietro suggerimento, forse, dell'astronomo alessandrino Sosigene e, probabilmente, di vari filosofi e matematici.
Dopo aver assegnato la durata di 445 giorni all'anno 708 di Roma (46 a.C.), che definì ultimus annus confusionis, stabilì che la durata dell'anno sarebbe stata di 365 giorni, e che ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare. L'anno di 366 giorni fu detto bisestile, perché quel giorno complementare doveva cadere sei giorni prima delle calende di marzo (facendo raddoppiare il 23 febbraio), e chiamarsi così bis sexto die ante Kalendas Martias (= nel doppio sesto giorno prima delle calende di marzo).
Con la riforma di Giulio Cesare (che stabilì così la regola del calendario giuliano) l'anno restò diviso in 12 mesi, della durata, alternativamente, di 31 e 30 giorni, con la sola eccezione di febbraio, che era destinato ad avere 29 giorni oppure 30 (negli anni bisestili). Inoltre gennaio e febbraio diventarono i primi mesi dell'anno, anziché gli ultimi, com'era stato dai tempi di Numa Pompilio fino ad allora. E il calendario da lunisolare divenne in questo modo solare, simile dunque a quello degli Egizi.

Purtroppo, già nel 44 a.C., subito dopo la morte di Cesare, si iniziò a commettere errori, inserendo un anno bisestile ogni tre anziché ogni quattro anni. A ciò si pose rimedio nel 8 a.C., quando Augusto ordinò che fossero omessi i successivi tre anni bisestili, rimettendo a posto le cose.
In quello stesso periodo il Senato decise di dare il nome di Augustus al mese di Sextilis, in onore dell'imperatore. Non limitandosi a ciò, stabilì anche che questo mese dovesse avere lo stesso numero di giorni del mese che onorava la memoria di Giulio Cesare, ossia Julius. Fu così che fu tolto un giorno a febbraio, che scese a 28 giorni (29 negli anni bisestili), per darlo ad agosto, mentre fu cambiato il numero dei giorni degli ultimi quattro mesi dell'anno, per evitare che ci fossero tre mesi consecutivi con 31 giorni. In definitiva, da una situazione di mesi alterni di 31 e 30 giorni si passò alla situazione, un po' più pasticciata, che persiste tutt'oggi.

2. É stato dato questo nome a un periodo di 28 anni, per il fatto che ogni 28 anni i giorni della settimana tornano sempre a corrispondere con i giorni del mese.
La ragione di ciò è che in un periodo di 28 anni si elidono tutti gli spostamenti del calendario dovuti non solo agli anni comuni, ma anche agli anni bisestili (in quanto in questo arco di tempo sono contenuti esattamente 7 anni bisestili). Se il periodo di 28 anni è scelto a cavallo fra due secoli, quanto detto non è più valido quando l'anno secolare, a causa della riforma gregoriana, non è bisestile (come il 1900).
Negli almanacchi è riportato sotto il nome di ciclo solare il numero d'ordine che l'anno corrente occupa nel ciclo solare in corso. Poiché dai cronologisti è stato adottato l'anno 9 a.C. come primo anno di un ciclo solare, per trovare il numero del ciclo solare relativo, poniamo, al 1900, si svolge la seguente operazione:

(1900 + 9) : 28.

Se svolgiamo la divisione abbiamo come quoziente 71, col resto di 11: il primo è il numero di cicli solari interi trascorsi dal 9 a.C. fino al 1900, il secondo indica il posto occupato dal 1900 nel ciclo in corso a questa data (ed è il numero riportato dagli almanacchi sotto il nome di ciclo solare).
Se il resto della divisione è uguale a 0, il numero relativo al ciclo solare dell'anno in corso risulta essere 28.

3. Lo scopo di far aderire il calendario civile all'anno solare non era stato ancora raggiunto perfettamente, poiché quest'ultimo è circa undici minuti più corto di 365 giorni e un quarto. Questa piccola differenza produce il divario di un giorno intero in circa 128 anni, o di circa tre giorni in 400 anni. Da questa constatazione derivò la riforma attuata nel 1582 da papa Gregorio XIII, dietro proposta di una Commissione ai cui lavori diedero un contributo decisivo il medico calabrese Aloysius Lilius (o Luigi Giglio o Luigi Lilio), il matematico gesuita Christopher Clavius e il matematico perugino Padre Ignazio (al secolo Carlo Pellegrino Danti).

Con tale riforma, che fu detta gregoriana (e diede il via al calendario gregoriano), si stabilì che dovessero essere comuni (anziché bisestili) quegli anni secolari che non fossero divisibili per 400. Quindi, in definitiva, rimangono bisestili tutti gli anni non terminanti con due zeri e divisibili per 4, e quegli anni terminanti con due zeri ma divisibili per 400. Dalla data della riforma a oggi, dunque, fu bisestile l'anno 1600, non lo furono gli anni secolari 1700, 1800 e 1900, mentre lo è il 2000. La differenza fra il calendario gregoriano e quello giuliano è che il primo conta solo 97 anni bisestili nel corso di 400 anni, anziché 100 anni bisestili, come invece fa il secondo. Ciò significa anche che ogni 400 anni vi sono 97 giorni che si aggiungono ai 365 di ogni anno comune; e siccome 97 giorni equivalgono a 97 x 24 x 60 x 60 = 8.380.800 secondi, dividendo questa cifra per 400 abbiamo una media annua di 20.952 secondi, equivalenti a 5 ore, 49 minuti primi e 12 secondi. Quindi l'anno civile medio risulta di 365 giorni, 5 ore, 49 minuti e 12 secondi, con una differenza per eccesso di soli 26-27 secondi da quello solare. Ciò comporta la differenza di un giorno dopo circa 30 secoli, o meglio, di tre giorni ogni 10000 anni.

Con l'attuazione della riforma gregoriana si provvide anche a correggere gli errori che erano venuti accumulandosi nel passato: il giorno successivo a quello di giovedì 4 ottobre 1582 divenne venerdì 15 ottobre, attuandosi così un salto di 10 giorni. Fu scelto tale periodo perché in esso non ricorrevano feste solenni.