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© Professor Giancarlo Elia Valori
 

 

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 “Io, con questo favore fatto al secolo nostro, ho riformato tutte le scienze secondo la natura e la Scrittura, due codici di Dio”.
L’affermazione campanelliana, tratta dalle “lettere”, ci conduce fin dentro la struttura del pensiero dello Stilese.
Tommaso Campanella vuole infatti, in primo luogo, riformare totalmente il sapere, al fine di costruire una filosofia integralmente cristiana e totalmente nuova.
“Io faccio nuove tutte le cose”, dice Gesù nei Vangeli, e anche la nuova filosofia ripete il precetto del Salvatore.
E questo deve avvenire, per Campanella, tramite la Natura e la Scrittura, appunto, i due libri in cui unicamente Dio si è rivelato.
Tutto ciò che è entrato nella tradizione cattolica, Platone ma, soprattutto Aristotele, sono perniciosi secondo il Nostro Filosofo e, peggio, inutili per la Vera Fede e per la Vita Beata, obiettivo della Vera Filosofia.
Le posizioni di Aristotele, per esempio, sulla Natura di Dio, dove non si sa bene se Egli sia Uno o siano molti, l’Anima teorizzata dallo Stagirita, “forma incorporata nella materia” che la Fisica può studiare, il Mondo di Aristotele, ovvero la gerarchia discendente di sfere eterne, tutte queste teorie sono contrarie alla dottrina cristiana, secondo Tommaso Campanella.
Il problema qui è soprattutto politico, per il nostro Tommaso: Platone e Aristotele sono stati introdotti nelle scuole cristiane durante il periodo carolingio, per lui fase di crisi culturale europea, mentre occorre la completa lettura della Bibbia, il Vecchio Testamento che spiega integralmente quello nuovo.
Un “Nuovo Studio”, così lo chiamerà Campanella che presuppone, in chi lo compie, la Grazia Divina, che rappresenta la specifica superiorità del Cristianesimo rispetto ad ogni filosofia profana passata.
Uno studio, comunque, del tutto lontano dall’autoritarismo aprioristico dell’aristotelismo, figlio del principio di autorità e, proprio per questo, nemico del Cristianesimo.
Tema politico di Tommaso Campanella che ritroveremo nella “Città del Sole”.
Quindi, prima di tutto studio della Natura iuxta sua propria principia, come dirà in seguito Spinoza, che invece leggerà la Natura come estensione della Cabbala esoterica estratta dalla Bibbia.
E studio della Bibbia, per Campanella, in cui i due Testamenti si spiegano e si integrano perfettamente a vicenda.
Non esiste quindi, per il Nostro, una lettura riduzionista della Onnipotenza divina, tipicamente aristotelica, è invece la stessa Natura che dimostra tutta la potenza di Dio e anche la sua complessa volontà.
La Philosophia Sensibus Demonstrata fu scritta da Campanella proprio per difendere Telesio dagli consueti attacchi degli aristotelici, ed essa elabora un criterio filosofico basato sulla libera osservazione della Natura e sul contatto diretto con essa, di contro al verbalismo vuoto e astratto dei tardi seguaci dello Stagirita.
Rispetto a Bernardino Telesio, Campanella però muove da un diverso criterio.
Se Telesio è del tutto immanentista, lasciando la fede alla Grazia, Tommaso invece esalta anche con i sensi anche la assoluta trascendenza di Dio, l’autonomia dell’Unico dalla Natura che pure ha integralmente creato.
Qui c’è una possibile contraddizione: se, per Campanella, la Natura porta sempre a Dio, come mai allora essa è sganciata dall’Entità Suprema?
Semplice risoluzione: per Campanella la Natura è anch’essa infinita, e quindi può portare alla conoscenza dell’Unico anche se Egli non “E’” la Natura.
Il “Deus sive Natura”, l’equiparazione dell’Unico con la totalità della Natura di Spinoza non esiste, quindi, nell’architettura filosofica di Campanella.
La Natura è libera, e allora l’Uomo è libero, perché Dio, nel crearli, ha operato con assoluta libertà e gratuità.
Dio è sempre assolutamente libero, e quindi opera come vuole nella Natura e nel Mondo, non è legato nemmeno alle leggi che le Sue creature si danno o mostrano.
Altrimenti, dice Campanella, non potrebbe nemmeno crearle.
In seguito, dopo il suo primo testo, Tommaso Campanella scrive opere nelle quali la base filosofica e naturalistica, ereditata da Telesio, si amplia nel senso che il Cosmo, che Telesio leggeva come un immenso “animale”, rappresenta invece una immane teofania, sempre in costruzione, di Dio.
Egli, nello sviluppo e nella vita del Cosmo, nella Sua forma di Intelletto Puro, dispiega i Suoi concetti, mentre il Mondo diviene il “vivo Tempio” con gli Uomini e la Natura che dispiegano entrambi la Volontà, libera, di Dio.
Nel Senso delle Cose e della Magia Campanella poi intende esaltare la stessa Natura nei suoi infiniti e cangianti particolari, nei quali si deve percepire, con le dovute tecniche, la stessa volontà di Dio, universale per tutti gli Enti ma anche particolare per quel singolo Ente che stiamo studiando.
E’ questa la “Magia Intellettuale e Pratica” che crea Campanella, non altra.
Comunque, si tratta anche qui di Magia vera e propria, “sperimentale” nel senso medievale del termine.
La stessa esistenza e sopravvivenza degli Enti è allora metafisica, Dio opera sempre e ovunque, e solo la Presenza della “causa prima”, per dirla in termini aristotelici, che spiega la Natura e l’Uomo, quello sì sive Natura.
Quindi, la infinitezza della varietà degli Enti è essa stessa dimostrazione della infinità del Primo Essere, e di Lui vi è continua presenza in tutti i particolari dei vari Enti naturali.
Da un punto di vista strettamente ontologico potenza, sapienza e amore sono quindi assolutamente eguali, presenti in ogni Ente creato, è il Senso che è quindi espressione della Natura Divina e dell’assoluta autonomia del vivente.
Il sensus rerum, un criterio spesso presente nelle opere di Campanella, non spiega solo la vita vegetale e animale, il suo svolgimento secondo il Grande Disegno di Dio, ma caratterizza tutte le specificazioni naturali e le riunisce in una sola Entità Creata, in un grande e unico abbraccio tra Dio e la Natura.
Tutte le scienze conosciute e valorizzate da Campanella portano al “senso delle cose”: Fisica, Antropologia, Magia, Astrologia, Epistemologia si riuniscono tutte nella teoria, specificamente campanelliana, della “universale sensibilità” degli Enti.
E qui si materializza, a partire dalla filosofia della natura di Tommaso Campanella, l’immagine, che si ripete nelle sua Cantica, di un mondo che palpita di vita come un solo “grande animale”.
E la sua contemplazione porta all’amore della filosofia come “amor di senno”, il quale porta alla luce tutti quei rapporti di somiglianza e affinità che ci fanno dedurre la intera Natura come opera continua e permanente di Dio.
Itinerarium Mentis in Natura sive Deo, quindi.
E allora, per Campanella, si tratta di teorizzare e scoprire un nuovo “pansensismo universale” che ci fa accedere alla divinità del Creato.
Differenze e affinità con Bruno: per il Nolano Dio è “ascoso” tra la Natura, per Campanella invece Dio appare continuamente nella Natura come insieme dei viventi e in ogni singolo vivente, è la sua “forza insita” che lo fa appunto vivere.
E il concetto di “forza insita” nasce proprio nella Fisica aristotelica.
Dopo Tommaso Campanella, avremo a che fare con i “sensisti” inglesi, divinizzati dal filosoficamente primitivo illuminismo francese, in cui i sensi nascono e finiscono nel Soggetto, e poi allora non si capisce coma facciano a indicare il Mondo.
E, d’altro canto, Campanella differisce dalla filosofia occultistica di Spinoza, in cui i sensi sono inutili perché è la Ragione che unifica Uomo e Dio.
E allora i sensi a cosa servono, e perché modificano sempre la stessa Ragione, come è comune esperienza?
Il senso, per Campanella, è comunque la scintilla della Divina Sapienza, ed è proprio il senso a determinare la misura del sapere di ogni Ente, perché, dice il Nostro Autore, “sapere” non è altro che “sàpere”, ovvero l’assaporamento della cosa sperimentata, oltre e prima del linguaggio.
E’ questo “sapore” a mettere insieme immediatamente gli esseri tra di loro, a separarli o a unirli a seconda dei sapori e dei dissapori, delle affinità o differenze immediate, che rende conto della immediata, spontanea, disposizione degli Esseri nel Mondo e nella Natura.
E ancora, il Senso, il “sapore” crea le fattezze esterne dello “spirito”, e della sua realizzazione nell’Uomo con la mens, che è per Campanella immortale e del tutto immateriale.
E’ nel De Gentilismo che si compongono i livelli naturali, umani e universali della filosofia di Campanella.
E a questo punto occorre mettere insieme e spiegare l’apparato metafisico di Tomaso Campanella e il suo pensiero politico.
Che è un tratto essenziale della sua opera, il riformatore della filosofia, Colui che pensa “oltre e contro Aristotele”, come disse di lui Hegel, non può non pensare alla riforma radicale della politica, che è una costruzione a partire della Natura, secondo tutti i canoni campanelliani.
Nel concetto politico dello Stilese, si passa dall’immanentismo nel rapporto uomo-natura alla creazione della “communitas humana”, che si basa sulla composizione duale, corporea e dotata di una Anima, dell’Essere Umano.
Tema patristico, peraltro.
Al primo livello analitico, come il filosofo afferma in una sua poesia, si deve seguire un criterio essenziale: la Norma secondo la quale l’uomo imita il Creatore, e così Lo loda.
Il Sole, la cui città è quella perfetta, è il generatore della Luce, materiale e simbolica insieme; e quindi rigenera la Natura, operando direttamente quasi come il Creatore, di cui è, lo ripete spesso Campanella nelle sue poesie, il simbolo perfetto.
Ecco quindi perché la Civitas di Tommaso Campanella è, appunto, dedicata al Sole.
L’opera consiste nel dialogo tra un Cavaliere di Malta e un ammiraglio genovese, “nochiero de Colombo” che è appena tornato da un giro del mondo; e narra appunto di aver trovato la strana e unica “Civitas Solis” che si trova sulla linea dell’Equatore.
Perché Un Cavaliere di Malta? Forse il ruolo di un cavaliere della “Religione” maltese deriva dalla probabile fondazione, da parte dei Cavalieri, di Monasterace in Calabria e dalla presenza di loro castelli nella zona di Stilo, dove nacque proprio Campanella.
La città perfetta si troverebbe, dice l’Ammiraglio, sull’isola di Taprobana, che è probabilmente corrispondente all’attuale Ceylon.
Ceylon, che appare come limite ad Est proprio in tante carte nautiche che disegnano la rotta oltre l’Asia Minor…ma l’isola dell’arcipelago indiano è, come dire, l’Altro e il Limite insieme, simbolicamente.
La costruzione della Città del Sole avviene su una collina, come le città che si difendevano dai pirati “mori” nel Sud d’Italia e, simbolicamente, come Troia e Roma.
Le entrate sono quattro, come i punti cardinali.
La città perfetta di Campanella è posta quindi correttamente all’interno della Natura, di cui è perfetta continuazione, nella ragione umana e nell’Idea di Dio, che collaborano insieme come accade nella ricerca detta naturale e della “filosofia”.
Il Sole o il “Metafisico” è anche il nome di colui che regna sulla Città del Sole, il quale esercita un potere assoluto sia civile che religioso.
Il che è ovvio, nel pensiero campanelliano: se Uno è Dio, che governa tutto il visibile e anche l’Invisibile, Uno deve essere anche colui che comanda nel solo mondo sensibile e politico.
Ma Egli, il Metafisico è assistito da tre Principi, Pon, (Potenza) Sin (Sapienza) e Mor (Amore).
Nel comando della Città sono divise, quindi, le facoltà, qui rappresentate da tre prìncipi, facoltà che nella vita dell’uomo e del cosmo operano unitariamente e simultaneamente.
E’ come se la Città Perfetta dovesse scomporre la Natura per ricomporla nel solo universo politico, ma secondo la Forma dell’Anima Umana.
Pon è ovviamente il capo militare, e qui non si capisce bene quale è il rapporto tra il “metafisico” ovvero il “Sole” e i suoi Principi.
Se la Potenza, che è anche Regalità e immagine del Divino, è titolo di un solo principe, allora la Città di Campanella appare piuttosto come una Triarchia “moderata” dal Sole, il Metafisico.
Sin si occupa invece dell’istruzione, essenziale in ogni costruzione utopistica e quindi anche nella Civitas Solis di Tommaso Campanella.
Poi vi è Mor, che si occupa di tutto ciò che riguarda la generazione e riproduzione umana e allora anche la salute, l’alimentazione, il vestiario.
La società perfetta si basa sulla comunione dei beni, come in Platone, comunione anche delle donne, e questo sempre come accade nel testo Platonico.
Anche in questo caso, sul comunismo di Campanella (e poi di Tommaso Moro) dobbiamo riportarci alla tradizione greca: i Dori in Laconia distribuivano infatti in parti eguali le terre e mantenevano il pascolo in comune, ci narra Plutarco riguardo a Licurgo, il legislatore di Sparta.
Qui sorge il rilievo del concetto di “limite”, così importante nel mondo classico e greco in particolare e a cui corrisponde l’ùbris, la “punizione”.
Il “limite” di tipo spartano è quindi, per Campanella, il criterio del possesso materiale oltre il quale l’Uomo si crede Dio e, soprattutto, ne modifica la volontà comprando e soggiogando i suoi simili.
E fu proprio a Crotone in Calabria che il “comunismo” degli “amici” (e l’amicizia è anch’essa un cardine della filosofia politica platonica) pitagorici raggiunse la sua massima potenza e perfezione istituzionale.
Sempre per Platone, ma anche per Campanella, se la via dell’uomo è la ricerca del Bene, ed esso è anche la Verità, quella che si raggiunge fuori dalla Caverna, caverna che è insieme schiavitù dei luoghi comuni, schiavitù della ragione dominata dai sensi, schiavitù dell’anima legata al mondo sensibile.
Ma anche l’Isola del Sole di Giambulo, uno storico che è fonte di Artemidoro per i suoi viaggi, è fondata sulla tradizione greca e sulla narrazione delle isole narrate da Omero.
Fu comunque Giambulo, mercante di origini nabatee a raggiungere, ce lo dice Diodoro Siculo, l’Isola del Sole nel remoto Oceano Australe.
E’ molto probabilmente questa la fonte storica di Tommaso Campanella per il suo mito egualitario, che anche Giambulo, lo abbiamo notato, sottolinea.
Peraltro, è bene ricordare che ai tempi di Tommaso Campanella e di Tommaso Moro non era stata ancora formulata una vera e propria teoria della “proprietà privata”, che nasce esplicitamente solo con John Locke.
Egli, il Locke, scrive dopo la rivoluzione puritana del 1640, dove si notano i larvati inizi del capitalismo manifatturiero, e dove il lavoro “servile” diviene, in qualche modo, intercambiabile e quindi, come direbbe Marx, “astratto”.
E ancora, quando scrivono Campanella e Moro, sia in Italia che in Inghilterra non sono ancora state chiuse e privatizzate tutte le terre comuni dei villaggi, anche se il processo di privatizzazione dei “commons” è iniziato.
E’ proprio questo ciò che Tommaso Moro definisce come “le recinzioni dove le pecore mangiano gli uomini”.
Ma ritorniamo ora alla struttura della “Città del Sole”.
L’educazione è fornita a tutti i cittadini solari dai tre anni in su, fino alla fine della vita.
Ogni vera formazione intellettuale e spirituale è quindi sempre infinita.
Ogni abitante della Civitas campanelliana deve poi avere conoscenze di agricoltura, di pastorizia e militari, oltre a quelle del proprio specifico mestiere.
E’ un anticipo della teoria economica dei Fisiocrati, secondo i quali tutto il surplus economico proviene unicamente dall’agricoltura e dalla pastorizia, e il commercio non ha alcuna influenza nella creazione del valore.
Tesi improbabile, ma quella era la scienza economica di allora.
Il commercio, evidentemente esiste nella Città del Campanella solo nella dimensione dello scambio tra oggetti e del dono.
Se il dono, come ci hanno spiegato antropologi come Mauss e Lévy-Strauss, è il fondamento dello scambio e la sua origine, è naturale che abbia un ruolo importantissimo nella Città del Sole dove tutto esiste in quanto è, appunto, originario ed elementare.
Simplex Sigillum Veri, come diceva la Scolastica.
Tutti i solari di più di venti anni partecipano poi alle assemblee, dove possono discutere le loro rimostranze, mentre le leggi sono tutte poche e brevi, ma rimane il criterio del taglione nelle sanzioni.
Taglione che è, come punizione del reato, l’equivalente logico del dono in un rapporto legale.
Per la religione, i solari credono nel cristianesimo naturale: onorano l’Universo come immagine di Dio e Sua opera, credono nell’immortalità dell’anima ma non conoscono l’esatta definizione dei luoghi futuri di penitenza o di gioia nel vedere il Signore.
E i Sacramenti? Qui Campanella torna ad una religio medici, un tema che va dal Rinascimento all’Illuminismo.
Certamente, Tommaso Campanella non vede il futuro della Chiesa come Istituzione, ma come lievito evangelico di tutte e organizzazioni umane e le associazioni tra produttori e lavoratori.
Un tema, questo, che è circolato continuamente nella Teologia contemporanea.
Se la Chiesa debba essere struttura a parte, istituzione potentissima tra le altre, oppure se i cristiani debbano essere da soli il sale della terra, come Gesù peraltro dice ai Suoi Apostoli.
Tema che passa attraverso la storia di due secoli, tre anzi, d’Italia.
Il Modernismo viene letto dalle Gerarchie ecclesiastiche come adattamento ingenuo al mondo moderno e abbandono della Fede dei Semplici, tesoro della Chiesa e segno dell’autonomia politica del Vaticano.
“Democrazia Cristiana”, il movimento popolare e le leghe bianche di Guido Miglioli, lo stesso cattolicesimo in politica sono visti malissimo dalla Gerarchia, che teme sempre il solito “modernismo”.
E’, paradossalmente, la stessa opinione della Massoneria al potere dell’Italia appena unita dal Risorgimento, che deve appunto “prendere Roma”.
Ma arriva lo straordinario momento del “Codice di Camaldoli del 1943.
Nel momento più basso e buio dell’Italia unita, in cui la stessa Chiesa pone le basi moderne e laiche del rinnovamento, secondo la Sua Dottrina e usufruendo della migliore élite economica, giuridica e politologica dei cattolici italiani.
Il Vaticano II è il momento poi in cui, grazie alla Costituzioni sul laicato cattolico, si sviluppano nuovi fermenti, non sempre utili, nel sistema politico italiano.
Che sono paralleli a quelli che subisce il mondo del laicato e l’intera società mondiale.
Non sono quindi convinto, come invece lo è Tommaso Campanella, che la Chiesa sia da sciogliere, come il sale dentro la società umana, un sale evangelico che deve fare paradossalmente anche da “lievito” del mondo.
Era un tema sul quale discutevamo anche con Francesco Cossiga: se l’ubbidienza alla Santa Madre Chiesa debba essere totale e priva di accordo con la società laica e lo Stato.
Il Presidente, se da un lato accettava l’ubbidienza del fedele senza discussioni, come il suo amatissimo Tommaso Moro, che non si piega all’Atto di Supremazia di Enrico VIII, dall’altro non accettava la “sedizione” dentro lo Stato.
E come gli pesò questa mentalità, quando dovette gestire il caso di Aldo Moro e come sapeva, Cossiga, che il suo maestro e amico sarebbe stato silente di fronte alle richieste dei brigatisti sui segreti più profondi dello Stato, e questa fedeltà gli veniva proprio, ad Aldo Moro, dal sui essere credente nella Santa Chiesa.
Certo, è probabile che qualche “interrogatorio del popolo” sia stato manovrato da potenze avversarie, che gestivano talvolta le Brigate Rosse.
Qualche camioncino è uscito da Forte Braschi, ma certamente mai con materiali tali da mettere in pericolo lo Stato.
E Francesco Cossiga, nel suo essere ministro proprio in quella fase, ebbe la maestria di scindere le indubitabili scelte della Fede con i doveri del vero uomo di Stato.
La Politica, probabilmente, sta proprio nell’arte di scegliere la cosa giusta tra due comandamenti entrambi astrattamente giusti.
Più che adattarsi meccanicamente al detto machiavelliano, di seguire i fatti piuttosto che le “belle fole”, che è talvolta quasi una ovvietà, bisogna pensare che la Politica come tale è selezione, morale e scientifica, tra opzioni che noi non possiamo scegliere.
Certo, se torniamo ora alla discussione su Campanella, ci viene subito in mente come il frate di Stilo fosse un esplicito nemico del Segretario Fiorentino.
Per Campanella la convivenza, la creazione dello Stato, lo stare insieme nelle istituzioni pubbliche derivano dall’Armonia, che è certamente un tratto comune a tutti gli uomini ma che viene stimolata dalla educazione.
Per Machiavelli e per Hobbes, che scrive dopo la trasformazione capitalistica delle campagne, quello che fa stare gli uomini insieme è la coazione.
Dal punto di vista antropologico, Tommaso Campanella vede invece gli uomini come composti di ogni elemento della Natura e dello Spirito, non necessariamente buoni o cattivi, mentre l’antropologia più semplice, ma non per questo maggiormente realistica, di Machiavelli ritiene l’uomo sempre volto al male e “nimico naturale” dei suoi simili.
L’Umanità come “legno storto” da raddrizzare, come dirà molto tempo dopo Kant.
Ma è davvero così? E’ possibile fondare un sistema politico pensando solo al male che alberga nell’uomo e non alla sua ben più complessa natura?
Non è che questa concezione, che ha dato origine al mondo moderno, non genera essa stessa il Male nell’uomo e diviene essa stessa l’immagine del maligno?
Ecco quindi la dura polemica di Tommaso Campanella con Machiavelli, che teorizza lo stato nazionale e non lo stato potenzialmente universale volto al miglioramento degli uomini, alla loro completezza, e contro Lutero, che ha distrutto l’unità dei cristiani.
Cristiani e non cattolici, invero.
Poiché, come sostiene con molte buone ragioni Luigi Firpo Campanella, abbandonata la fede cattolica nella cupa prigione dell’Inquisizione, si rende conto che non può più esternare la sua nuova religione e quindi inserisce elementi di cattolicesimo nella sua “Città del Sole”: “ho visto Mosè, Osiride, Giove, Mercurio, Maometto ma, in un luogo particolare, Gesù Cristo”, dice Campanella descrivendo la sua città ideale.
E, poco prima di morire, dedicherà un’ode nella speranza che il prossimo Re di Francia, Luigi XIV, sarà all’inizio di una nuova Età dell’Oro, che dovrebbe iniziare proprio con il “Re Sole”.
Quindi, per il frate di Stilo, martoriato dall’Inquisizione, la ragione umana è capace di comprendere da sola la Santissima Trinità e di arrivare da sola a comprendere la Rivelazione e la duplice natura di Cristo.
Se è naturale comprendere questi concetti, è quindi del tutto ovvio non aver bisogno dell’Istituzione ecclesiastica.
Tutto il mondo moderno è percorso da questo tema della “religione naturale”, che non ha bisogno di istituzioni, e sarà un tema dell’empirismo inglese e poi della sua brutta copia, l’illuminismo francese.
Dall’altra parte, vi è la linea Machiavelli-Hobbes, per la quale la società non è in sé armonica e i cittadini hanno bisogno di una autorità che inculchi, magari anche con le cattive, i comportamenti positivi agli uomini.
E la Chiesa è in mezzo, tentata, come tutti gli uomini, dall’abbandonarsi alla ipotetica ma talvolta reale natura armonica dei rapporti o dal rafforzarsi come istituzione, per inculcare il Vero nei fedeli erranti, nei due sensi del termine.
Certo, la coercizione, nella Città del Sole esiste, eccome.
I funzionari, per esempio, controllano gli accoppiamenti per favorire la razza, ad ore e luoghi precisi.
Selezionare la razza umana è stato il delirio del momento più cupo del Novecento ma anche dell’intera storia dell’Uomo, mentre per Campanella è una semplice e quasi ovvia nota alla sua “Città”.
Tema campanelliano questo che verrà ripreso in seguito dai Gesuiti nelle loro “estancias” del Paraguay, dove i Reverendi Padri salvarono dai mercanti di schiavi numerosissimi indios.
Ogni notte, ad una certa ora, la campana della Chiesa suonava, indicando ai lavoratori il momento più adatto per accoppiarsi.
Lo notava con malizia, il controllo erotico dei lavoratori, anche Vilfredo Pareto nei suoi “Sistemi Socialisti”.
Troviamo cose del genere anche nell’utopismo Francese e, da lì, nelle teorie positiviste.
Certo, davvero l’utopismo dei Gesuiti meriterebbe un convegno a parte.
Secondo Campanella, peraltro, è proprio la proprietà privata a generare conflitti tra la popolazione, così come scrive peraltro Tommaso Moro nella sua Utopia.
Thomas More, nella sua “Utopia”, parte da un concetto simile a quello campanelliano, in cui Natura e Grazia si compenetrano.
La persona umana, in quanto toccata comunque dal peccato originale, ha bisogno di un aiuto soprannaturale per salvarsi, ma anche di un aiuto naturale dato dagli altri uomini, che rappresentano il “dato naturale” di ogni comunità politica.
E il dato naturale, anche, della stessa Salvezza.
Tale sussidio è l’ordinamento politico e giuridico, nel meccanismo filosofico sia di Moro che di Campanella nei loro universi utopici.
Abolire la proprietà privata, per entrambi i teorici, significa liberare sia la comunità in sé che l’uomo singolo dalla brama di beni, che è il modo primario in cui si perde il senso della Vita dello Spirito.
Moro e Campanella superano e rovesciano, a mo’ della dialettica marxiana, il criterio dei Padri della Chiesa, i quali ritenevano che il male non sta nella proprietà in sé, ma nell’attaccamento morboso alle ricchezze nel cuore dell’uomo, ovvero il peccato del singolo.
Campanella e Moro, invece, fanno della trasformazione radicale delle strutture esterne la condizione necessaria ma non sufficiente per la costruzione di una società virtuosa.
Quindi Campanella e Moro teorizzano, per la realizzazione delle loro città utopiche e solari, la simultaneità dell’esterno, le leggi, e dell’interno, la trasformazione spirituale dell’uomo e il suo raggiungimento del Volere di Dio.
Nella teorica laica del comunismo, si parla di condizioni esterne che innescheranno, non si sa quando ma sicuramente, la trasformazione dell’uomo e del suo spirito.
Campanella e Moro, più concreti, vogliono cambiare l’esterno e l’interno quasi contemporaneamente, con i loro ordinamenti, e non si sa ancora se il pensiero utopico, che parte dai nostri due Autori per arrivare fino a Fourier o Saint Simon, non sia invece più paradossalmente concreto di quello del “materialismo dialettico”.
E quindi, non a caso, sia l’Utopia di Tommaso Moro che La Città del Sole di Campanella danno una rilevantissima importanza all’educazione, alla formazione dell’uomo il cui solo peccato rimane quello originale.
Per Campanella, peraltro, il peccato originale è proprio l’abbandono del nesso immediato e divino tra uomo e mondo naturale, tra Adamo e il Paradiso Terrestre.
Viene qui in mente, a chi parla, la grande passione che, per Thomas More, aveva il mio amato amico Francesco Cossiga, che vedeva nel frate britannico il limite della coscienza individuale rispetto al dominio della legge che diventa tirannide.
Si riferiva, naturalmente, al rifiuto che Thomas More fece dell’Atto di Supremazia in cui Enrico VIII si separò dalla Chiesa Cattolica.
Essere utopisti ma fedeli a Roma e alla tradizione, era questo il punto, anche per Francesco.
E certo, per il nostro Presidente, vi era una lunga linea grigia tra Tommaso Moro, che contribuì, con le sue pressioni in Vaticano, a far dichiarare santo, e Aldo Moro, che era rimasto zitto sotto un “dominio pieno e incontrollato”, per dirla con le sue lettere dal carcere delle brigate rosse.
Sentire il futuro, come gli utopisti cinquecenteschi, programmarlo e poi patire, come patirono Campanella in carcere e Tommaso Moro con l’assassinio, il peccato di intravedere i segni dei tempi futuri.

 

Frate Tommaso La città del sole: Utopia o Progetto Massonico   La Città del Sole Questioni sulla Città del Sole

Estasi Filosofica La Buona Magia Nella Luce degli Astri   Pensare Tommaso Campanella

 

 

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