 “Io, 
								con questo favore fatto al secolo nostro, ho 
								riformato tutte le scienze secondo la natura e 
								la Scrittura, due codici di Dio”.
 “Io, 
								con questo favore fatto al secolo nostro, ho 
								riformato tutte le scienze secondo la natura e 
								la Scrittura, due codici di Dio”.
								L’affermazione campanelliana, tratta dalle 
								“lettere”, ci conduce fin dentro la struttura 
								del pensiero dello Stilese.
								Tommaso Campanella vuole infatti, in primo 
								luogo, riformare totalmente il sapere, al fine 
								di costruire una filosofia integralmente 
								cristiana e totalmente nuova.
								“Io faccio nuove tutte le cose”, dice Gesù nei 
								Vangeli, e anche la nuova filosofia ripete il 
								precetto del Salvatore.
								E questo deve avvenire, per Campanella, tramite 
								la Natura e la Scrittura, appunto, i due libri 
								in cui unicamente Dio si è rivelato.
								Tutto ciò che è entrato nella tradizione 
								cattolica, Platone ma, soprattutto Aristotele, 
								sono perniciosi secondo il Nostro Filosofo e, 
								peggio, inutili per la Vera Fede e per la Vita 
								Beata, obiettivo della Vera Filosofia.
								Le posizioni di Aristotele, per esempio, sulla 
								Natura di Dio, dove non si sa bene se Egli sia 
								Uno o siano molti, l’Anima teorizzata dallo 
								Stagirita, “forma incorporata nella materia” che 
								la Fisica può studiare, il Mondo di Aristotele, 
								ovvero la gerarchia discendente di sfere eterne, 
								tutte queste teorie sono contrarie alla dottrina 
								cristiana, secondo Tommaso Campanella.
								Il problema qui è soprattutto politico, per il 
								nostro Tommaso: Platone e Aristotele sono stati 
								introdotti nelle scuole cristiane durante il 
								periodo carolingio, per lui fase di crisi 
								culturale europea, mentre occorre la completa 
								lettura della Bibbia, il Vecchio Testamento che 
								spiega integralmente quello nuovo.
								Un “Nuovo Studio”, così lo chiamerà Campanella 
								che presuppone, in chi lo compie, la Grazia 
								Divina, che rappresenta la specifica superiorità 
								del Cristianesimo rispetto ad ogni filosofia 
								profana passata.
								Uno studio, comunque, del tutto lontano 
								dall’autoritarismo aprioristico 
								dell’aristotelismo, figlio del principio di 
								autorità e, proprio per questo, nemico del 
								Cristianesimo.
								Tema politico di Tommaso Campanella che 
								ritroveremo nella “Città del Sole”.
								Quindi, prima di tutto studio della Natura iuxta 
								sua propria principia, come dirà in seguito 
								Spinoza, che invece leggerà la Natura come 
								estensione della Cabbala esoterica estratta 
								dalla Bibbia.
								E studio della Bibbia, per Campanella, in cui i 
								due Testamenti si spiegano e si integrano 
								perfettamente a vicenda.
								Non esiste quindi, per il Nostro, una lettura 
								riduzionista della Onnipotenza divina, 
								tipicamente aristotelica, è invece la stessa 
								Natura che dimostra tutta la potenza di Dio e 
								anche la sua complessa volontà.
								La Philosophia Sensibus Demonstrata fu scritta 
								da Campanella proprio per difendere Telesio 
								dagli consueti attacchi degli aristotelici, ed 
								essa elabora un criterio filosofico basato sulla 
								libera osservazione della Natura e sul contatto 
								diretto con essa, di contro al verbalismo vuoto 
								e astratto dei tardi seguaci dello Stagirita.
								Rispetto a Bernardino Telesio, Campanella però 
								muove da un diverso criterio. 
								Se Telesio è del tutto immanentista, lasciando 
								la fede alla Grazia, Tommaso invece esalta anche 
								con i sensi anche la assoluta trascendenza di 
								Dio, l’autonomia dell’Unico dalla Natura che 
								pure ha integralmente creato.
								Qui c’è una possibile contraddizione: se, per 
								Campanella, la Natura porta sempre a Dio, come 
								mai allora essa è sganciata dall’Entità Suprema?
								Semplice risoluzione: per Campanella la Natura è 
								anch’essa infinita, e quindi può portare alla 
								conoscenza dell’Unico anche se Egli non “E’” la 
								Natura.
								Il “Deus sive Natura”, l’equiparazione 
								dell’Unico con la totalità della Natura di 
								Spinoza non esiste, quindi, nell’architettura 
								filosofica di Campanella.
								La Natura è libera, e allora l’Uomo è libero, 
								perché Dio, nel crearli, ha operato con assoluta 
								libertà e gratuità.
								Dio è sempre assolutamente libero, e quindi 
								opera come vuole nella Natura e nel Mondo, non è 
								legato nemmeno alle leggi che le Sue creature si 
								danno o mostrano. 
								Altrimenti, dice Campanella, non potrebbe 
								nemmeno crearle.
								In seguito, dopo il suo primo testo, Tommaso 
								Campanella scrive opere nelle quali la base 
								filosofica e naturalistica, ereditata da Telesio, 
								si amplia nel senso che il Cosmo, che Telesio 
								leggeva come un immenso “animale”, rappresenta 
								invece una immane teofania, sempre in 
								costruzione, di Dio.
								Egli, nello sviluppo e nella vita del Cosmo, 
								nella Sua forma di Intelletto Puro, dispiega i 
								Suoi concetti, mentre il Mondo diviene il “vivo 
								Tempio” con gli Uomini e la Natura che 
								dispiegano entrambi la Volontà, libera, di Dio.
								Nel Senso delle Cose e della Magia Campanella 
								poi intende esaltare la stessa Natura nei suoi 
								infiniti e cangianti particolari, nei quali si 
								deve percepire, con le dovute tecniche, la 
								stessa volontà di Dio, universale per tutti gli 
								Enti ma anche particolare per quel singolo Ente 
								che stiamo studiando.
								E’ questa la “Magia Intellettuale e Pratica” che 
								crea Campanella, non altra.
								Comunque, si tratta anche qui di Magia vera e 
								propria, “sperimentale” nel senso medievale del 
								termine.
								La stessa esistenza e sopravvivenza degli Enti è 
								allora metafisica, Dio opera sempre e ovunque, e 
								solo la Presenza della “causa prima”, per dirla 
								in termini aristotelici, che spiega la Natura e 
								l’Uomo, quello sì sive Natura.
								Quindi, la infinitezza della varietà degli Enti 
								è essa stessa dimostrazione della infinità del 
								Primo Essere, e di Lui vi è continua presenza in 
								tutti i particolari dei vari Enti naturali.
								Da un punto di vista strettamente ontologico 
								potenza, sapienza e amore sono quindi 
								assolutamente eguali, presenti in ogni Ente 
								creato, è il Senso che è quindi espressione 
								della Natura Divina e dell’assoluta autonomia 
								del vivente.
								Il sensus rerum, un criterio spesso presente 
								nelle opere di Campanella, non spiega solo la 
								vita vegetale e animale, il suo svolgimento 
								secondo il Grande Disegno di Dio, ma 
								caratterizza tutte le specificazioni naturali e 
								le riunisce in una sola Entità Creata, in un 
								grande e unico abbraccio tra Dio e la Natura.
								Tutte le scienze conosciute e valorizzate da 
								Campanella portano al “senso delle cose”: 
								Fisica, Antropologia, Magia, Astrologia, 
								Epistemologia si riuniscono tutte nella teoria, 
								specificamente campanelliana, della “universale 
								sensibilità” degli Enti.
								E qui si materializza, a partire dalla filosofia 
								della natura di Tommaso Campanella, l’immagine, 
								che si ripete nelle sua Cantica, di un mondo che 
								palpita di vita come un solo “grande animale”.
								E la sua contemplazione porta all’amore della 
								filosofia come “amor di senno”, il quale porta 
								alla luce tutti quei rapporti di somiglianza e 
								affinità che ci fanno dedurre la intera Natura 
								come opera continua e permanente di Dio.
								Itinerarium Mentis in Natura sive Deo, quindi.
								E allora, per Campanella, si tratta di 
								teorizzare e scoprire un nuovo “pansensismo 
								universale” che ci fa accedere alla divinità del 
								Creato. 
								Differenze e affinità con Bruno: per il Nolano 
								Dio è “ascoso” tra la Natura, per Campanella 
								invece Dio appare continuamente nella Natura 
								come insieme dei viventi e in ogni singolo 
								vivente, è la sua “forza insita” che lo fa 
								appunto vivere.
								E il concetto di “forza insita” nasce proprio 
								nella Fisica aristotelica.
								Dopo Tommaso Campanella, avremo a che fare con i 
								“sensisti” inglesi, divinizzati dal 
								filosoficamente primitivo illuminismo francese, 
								in cui i sensi nascono e finiscono nel Soggetto, 
								e poi allora non si capisce coma facciano a 
								indicare il Mondo.
								E, d’altro canto, Campanella differisce dalla 
								filosofia occultistica di Spinoza, in cui i 
								sensi sono inutili perché è la Ragione che 
								unifica Uomo e Dio.
								E allora i sensi a cosa servono, e perché 
								modificano sempre la stessa Ragione, come è 
								comune esperienza?
								Il senso, per Campanella, è comunque la 
								scintilla della Divina Sapienza, ed è proprio il 
								senso a determinare la misura del sapere di ogni 
								Ente, perché, dice il Nostro Autore, “sapere” 
								non è altro che “sàpere”, ovvero l’assaporamento 
								della cosa sperimentata, oltre e prima del 
								linguaggio.
								E’ questo “sapore” a mettere insieme 
								immediatamente gli esseri tra di loro, a 
								separarli o a unirli a seconda dei sapori e dei 
								dissapori, delle affinità o differenze 
								immediate, che rende conto della immediata, 
								spontanea, disposizione degli Esseri nel Mondo e 
								nella Natura.
								E ancora, il Senso, il “sapore” crea le fattezze 
								esterne dello “spirito”, e della sua 
								realizzazione nell’Uomo con la mens, che è per 
								Campanella immortale e del tutto immateriale.
								
								E’ nel De Gentilismo che si compongono i livelli 
								naturali, umani e universali della filosofia di 
								Campanella. 
								E a questo punto occorre mettere insieme e 
								spiegare l’apparato metafisico di Tomaso 
								Campanella e il suo pensiero politico.
								Che è un tratto essenziale della sua opera, il 
								riformatore della filosofia, Colui che pensa 
								“oltre e contro Aristotele”, come disse di lui 
								Hegel, non può non pensare alla riforma radicale 
								della politica, che è una costruzione a partire 
								della Natura, secondo tutti i canoni 
								campanelliani.
								Nel concetto politico dello Stilese, si passa 
								dall’immanentismo nel rapporto uomo-natura alla 
								creazione della “communitas humana”, che si basa 
								sulla composizione duale, corporea e dotata di 
								una Anima, dell’Essere Umano. 
								Tema patristico, peraltro.
								Al primo livello analitico, come il filosofo 
								afferma in una sua poesia, si deve seguire un 
								criterio essenziale: la Norma secondo la quale 
								l’uomo imita il Creatore, e così Lo loda.
								Il Sole, la cui città è quella perfetta, è il 
								generatore della Luce, materiale e simbolica 
								insieme; e quindi rigenera la Natura, operando 
								direttamente quasi come il Creatore, di cui è, 
								lo ripete spesso Campanella nelle sue poesie, il 
								simbolo perfetto.
								Ecco quindi perché la Civitas di Tommaso 
								Campanella è, appunto, dedicata al Sole.
								L’opera consiste nel dialogo tra un Cavaliere di 
								Malta e un ammiraglio genovese, “nochiero de 
								Colombo” che è appena tornato da un giro del 
								mondo; e narra appunto di aver trovato la strana 
								e unica “Civitas Solis” che si trova sulla linea 
								dell’Equatore.
								Perché Un Cavaliere di Malta? Forse il ruolo di 
								un cavaliere della “Religione” maltese deriva 
								dalla probabile fondazione, da parte dei 
								Cavalieri, di Monasterace in Calabria e dalla 
								presenza di loro castelli nella zona di Stilo, 
								dove nacque proprio Campanella.
								La città perfetta si troverebbe, dice 
								l’Ammiraglio, sull’isola di Taprobana, che è 
								probabilmente corrispondente all’attuale Ceylon.
								
								Ceylon, che appare come limite ad Est proprio in 
								tante carte nautiche che disegnano la rotta 
								oltre l’Asia Minor…ma l’isola dell’arcipelago 
								indiano è, come dire, l’Altro e il Limite 
								insieme, simbolicamente.
								La costruzione della Città del Sole avviene su 
								una collina, come le città che si difendevano 
								dai pirati “mori” nel Sud d’Italia e, 
								simbolicamente, come Troia e Roma.
								Le entrate sono quattro, come i punti cardinali.
								
								La città perfetta di Campanella è posta quindi 
								correttamente all’interno della Natura, di cui è 
								perfetta continuazione, nella ragione umana e 
								nell’Idea di Dio, che collaborano insieme come 
								accade nella ricerca detta naturale e della 
								“filosofia”.
								Il Sole o il “Metafisico” è anche il nome di 
								colui che regna sulla Città del Sole, il quale 
								esercita un potere assoluto sia civile che 
								religioso.
								Il che è ovvio, nel pensiero campanelliano: se 
								Uno è Dio, che governa tutto il visibile e anche 
								l’Invisibile, Uno deve essere anche colui che 
								comanda nel solo mondo sensibile e politico.
								Ma Egli, il Metafisico è assistito da tre 
								Principi, Pon, (Potenza) Sin (Sapienza) e Mor 
								(Amore).
								Nel comando della Città sono divise, quindi, le 
								facoltà, qui rappresentate da tre prìncipi, 
								facoltà che nella vita dell’uomo e del cosmo 
								operano unitariamente e simultaneamente. 
								E’ come se la Città Perfetta dovesse scomporre 
								la Natura per ricomporla nel solo universo 
								politico, ma secondo la Forma dell’Anima Umana.
								Pon è ovviamente il capo militare, e qui non si 
								capisce bene quale è il rapporto tra il 
								“metafisico” ovvero il “Sole” e i suoi Principi.
								Se la Potenza, che è anche Regalità e immagine 
								del Divino, è titolo di un solo principe, allora 
								la Città di Campanella appare piuttosto come una 
								Triarchia “moderata” dal Sole, il Metafisico.
								Sin si occupa invece dell’istruzione, essenziale 
								in ogni costruzione utopistica e quindi anche 
								nella Civitas Solis di Tommaso Campanella. 
								Poi vi è Mor, che si occupa di tutto ciò che 
								riguarda la generazione e riproduzione umana e 
								allora anche la salute, l’alimentazione, il 
								vestiario. 
								La società perfetta si basa sulla comunione dei 
								beni, come in Platone, comunione anche delle 
								donne, e questo sempre come accade nel testo 
								Platonico.
								Anche in questo caso, sul comunismo di 
								Campanella (e poi di Tommaso Moro) dobbiamo 
								riportarci alla tradizione greca: i Dori in 
								Laconia distribuivano infatti in parti eguali le 
								terre e mantenevano il pascolo in comune, ci 
								narra Plutarco riguardo a Licurgo, il 
								legislatore di Sparta.
								Qui sorge il rilievo del concetto di “limite”, 
								così importante nel mondo classico e greco in 
								particolare e a cui corrisponde l’ùbris, la 
								“punizione”.
								Il “limite” di tipo spartano è quindi, per 
								Campanella, il criterio del possesso materiale 
								oltre il quale l’Uomo si crede Dio e, 
								soprattutto, ne modifica la volontà comprando e 
								soggiogando i suoi simili. 
								E fu proprio a Crotone in Calabria che il 
								“comunismo” degli “amici” (e l’amicizia è 
								anch’essa un cardine della filosofia politica 
								platonica) pitagorici raggiunse la sua massima 
								potenza e perfezione istituzionale.
								Sempre per Platone, ma anche per Campanella, se 
								la via dell’uomo è la ricerca del Bene, ed esso 
								è anche la Verità, quella che si raggiunge fuori 
								dalla Caverna, caverna che è insieme schiavitù 
								dei luoghi comuni, schiavitù della ragione 
								dominata dai sensi, schiavitù dell’anima legata 
								al mondo sensibile. 
								Ma anche l’Isola del Sole di Giambulo, uno 
								storico che è fonte di Artemidoro per i suoi 
								viaggi, è fondata sulla tradizione greca e sulla 
								narrazione delle isole narrate da Omero. 
								Fu comunque Giambulo, mercante di origini 
								nabatee a raggiungere, ce lo dice Diodoro 
								Siculo, l’Isola del Sole nel remoto Oceano 
								Australe. 
								E’ molto probabilmente questa la fonte storica 
								di Tommaso Campanella per il suo mito 
								egualitario, che anche Giambulo, lo abbiamo 
								notato, sottolinea. 
								Peraltro, è bene ricordare che ai tempi di 
								Tommaso Campanella e di Tommaso Moro non era 
								stata ancora formulata una vera e propria teoria 
								della “proprietà privata”, che nasce 
								esplicitamente solo con John Locke. 
								Egli, il Locke, scrive dopo la rivoluzione 
								puritana del 1640, dove si notano i larvati 
								inizi del capitalismo manifatturiero, e dove il 
								lavoro “servile” diviene, in qualche modo, 
								intercambiabile e quindi, come direbbe Marx, 
								“astratto”.
								E ancora, quando scrivono Campanella e Moro, sia 
								in Italia che in Inghilterra non sono ancora 
								state chiuse e privatizzate tutte le terre 
								comuni dei villaggi, anche se il processo di 
								privatizzazione dei “commons” è iniziato.
								E’ proprio questo ciò che Tommaso Moro definisce 
								come “le recinzioni dove le pecore mangiano gli 
								uomini”.
								Ma ritorniamo ora alla struttura della “Città 
								del Sole”.
								L’educazione è fornita a tutti i cittadini 
								solari dai tre anni in su, fino alla fine della 
								vita.
								Ogni vera formazione intellettuale e spirituale 
								è quindi sempre infinita.
								Ogni abitante della Civitas campanelliana deve 
								poi avere conoscenze di agricoltura, di 
								pastorizia e militari, oltre a quelle del 
								proprio specifico mestiere.
								E’ un anticipo della teoria economica dei 
								Fisiocrati, secondo i quali tutto il surplus 
								economico proviene unicamente dall’agricoltura e 
								dalla pastorizia, e il commercio non ha alcuna 
								influenza nella creazione del valore.
								Tesi improbabile, ma quella era la scienza 
								economica di allora.
								Il commercio, evidentemente esiste nella Città 
								del Campanella solo nella dimensione dello 
								scambio tra oggetti e del dono.
								Se il dono, come ci hanno spiegato antropologi 
								come Mauss e Lévy-Strauss, è il fondamento dello 
								scambio e la sua origine, è naturale che abbia 
								un ruolo importantissimo nella Città del Sole 
								dove tutto esiste in quanto è, appunto, 
								originario ed elementare.
								Simplex Sigillum Veri, come diceva la 
								Scolastica.
								Tutti i solari di più di venti anni partecipano 
								poi alle assemblee, dove possono discutere le 
								loro rimostranze, mentre le leggi sono tutte 
								poche e brevi, ma rimane il criterio del 
								taglione nelle sanzioni.
								Taglione che è, come punizione del reato, 
								l’equivalente logico del dono in un rapporto 
								legale.
								Per la religione, i solari credono nel 
								cristianesimo naturale: onorano l’Universo come 
								immagine di Dio e Sua opera, credono 
								nell’immortalità dell’anima ma non conoscono 
								l’esatta definizione dei luoghi futuri di 
								penitenza o di gioia nel vedere il Signore.
								E i Sacramenti? Qui Campanella torna ad una 
								religio medici, un tema che va dal Rinascimento 
								all’Illuminismo. 
								Certamente, Tommaso Campanella non vede il 
								futuro della Chiesa come Istituzione, ma come 
								lievito evangelico di tutte e organizzazioni 
								umane e le associazioni tra produttori e 
								lavoratori.
								Un tema, questo, che è circolato continuamente 
								nella Teologia contemporanea. 
								Se la Chiesa debba essere struttura a parte, 
								istituzione potentissima tra le altre, oppure se 
								i cristiani debbano essere da soli il sale della 
								terra, come Gesù peraltro dice ai Suoi Apostoli.
								Tema che passa attraverso la storia di due 
								secoli, tre anzi, d’Italia.
								Il Modernismo viene letto dalle Gerarchie 
								ecclesiastiche come adattamento ingenuo al mondo 
								moderno e abbandono della Fede dei Semplici, 
								tesoro della Chiesa e segno dell’autonomia 
								politica del Vaticano.
								“Democrazia Cristiana”, il movimento popolare e 
								le leghe bianche di Guido Miglioli, lo stesso 
								cattolicesimo in politica sono visti malissimo 
								dalla Gerarchia, che teme sempre il solito 
								“modernismo”.
								E’, paradossalmente, la stessa opinione della 
								Massoneria al potere dell’Italia appena unita 
								dal Risorgimento, che deve appunto “prendere 
								Roma”.
								Ma arriva lo straordinario momento del “Codice 
								di Camaldoli del 1943. 
								Nel momento più basso e buio dell’Italia unita, 
								in cui la stessa Chiesa pone le basi moderne e 
								laiche del rinnovamento, secondo la Sua Dottrina 
								e usufruendo della migliore élite economica, 
								giuridica e politologica dei cattolici italiani.
								Il Vaticano II è il momento poi in cui, grazie 
								alla Costituzioni sul laicato cattolico, si 
								sviluppano nuovi fermenti, non sempre utili, nel 
								sistema politico italiano.
								Che sono paralleli a quelli che subisce il mondo 
								del laicato e l’intera società mondiale.
								Non sono quindi convinto, come invece lo è 
								Tommaso Campanella, che la Chiesa sia da 
								sciogliere, come il sale dentro la società 
								umana, un sale evangelico che deve fare 
								paradossalmente anche da “lievito” del mondo.
								Era un tema sul quale discutevamo anche con 
								Francesco Cossiga: se l’ubbidienza alla Santa 
								Madre Chiesa debba essere totale e priva di 
								accordo con la società laica e lo Stato.
								Il Presidente, se da un lato accettava 
								l’ubbidienza del fedele senza discussioni, come 
								il suo amatissimo Tommaso Moro, che non si piega 
								all’Atto di Supremazia di Enrico VIII, 
								dall’altro non accettava la “sedizione” dentro 
								lo Stato.
								E come gli pesò questa mentalità, quando dovette 
								gestire il caso di Aldo Moro e come sapeva, 
								Cossiga, che il suo maestro e amico sarebbe 
								stato silente di fronte alle richieste dei 
								brigatisti sui segreti più profondi dello Stato, 
								e questa fedeltà gli veniva proprio, ad Aldo 
								Moro, dal sui essere credente nella Santa 
								Chiesa.
								Certo, è probabile che qualche “interrogatorio 
								del popolo” sia stato manovrato da potenze 
								avversarie, che gestivano talvolta le Brigate 
								Rosse.
								Qualche camioncino è uscito da Forte Braschi, ma 
								certamente mai con materiali tali da mettere in 
								pericolo lo Stato.
								E Francesco Cossiga, nel suo essere ministro 
								proprio in quella fase, ebbe la maestria di 
								scindere le indubitabili scelte della Fede con i 
								doveri del vero uomo di Stato.
								La Politica, probabilmente, sta proprio 
								nell’arte di scegliere la cosa giusta tra due 
								comandamenti entrambi astrattamente giusti. 
								Più che adattarsi meccanicamente al detto 
								machiavelliano, di seguire i fatti piuttosto che 
								le “belle fole”, che è talvolta quasi una 
								ovvietà, bisogna pensare che la Politica come 
								tale è selezione, morale e scientifica, tra 
								opzioni che noi non possiamo scegliere.
								Certo, se torniamo ora alla discussione su 
								Campanella, ci viene subito in mente come il 
								frate di Stilo fosse un esplicito nemico del 
								Segretario Fiorentino.
								Per Campanella la convivenza, la creazione dello 
								Stato, lo stare insieme nelle istituzioni 
								pubbliche derivano dall’Armonia, che è 
								certamente un tratto comune a tutti gli uomini 
								ma che viene stimolata dalla educazione.
								Per Machiavelli e per Hobbes, che scrive dopo la 
								trasformazione capitalistica delle campagne, 
								quello che fa stare gli uomini insieme è la 
								coazione.
								Dal punto di vista antropologico, Tommaso 
								Campanella vede invece gli uomini come composti 
								di ogni elemento della Natura e dello Spirito, 
								non necessariamente buoni o cattivi, mentre 
								l’antropologia più semplice, ma non per questo 
								maggiormente realistica, di Machiavelli ritiene 
								l’uomo sempre volto al male e “nimico naturale” 
								dei suoi simili. 
								L’Umanità come “legno storto” da raddrizzare, 
								come dirà molto tempo dopo Kant.
								Ma è davvero così? E’ possibile fondare un 
								sistema politico pensando solo al male che 
								alberga nell’uomo e non alla sua ben più 
								complessa natura? 
								Non è che questa concezione, che ha dato origine 
								al mondo moderno, non genera essa stessa il Male 
								nell’uomo e diviene essa stessa l’immagine del 
								maligno?
								Ecco quindi la dura polemica di Tommaso 
								Campanella con Machiavelli, che teorizza lo 
								stato nazionale e non lo stato potenzialmente 
								universale volto al miglioramento degli uomini, 
								alla loro completezza, e contro Lutero, che ha 
								distrutto l’unità dei cristiani.
								Cristiani e non cattolici, invero. 
								Poiché, come sostiene con molte buone ragioni 
								Luigi Firpo Campanella, abbandonata la fede 
								cattolica nella cupa prigione dell’Inquisizione, 
								si rende conto che non può più esternare la sua 
								nuova religione e quindi inserisce elementi di 
								cattolicesimo nella sua “Città del Sole”: “ho 
								visto Mosè, Osiride, Giove, Mercurio, Maometto 
								ma, in un luogo particolare, Gesù Cristo”, dice 
								Campanella descrivendo la sua città ideale.
								E, poco prima di morire, dedicherà un’ode nella 
								speranza che il prossimo Re di Francia, Luigi 
								XIV, sarà all’inizio di una nuova Età dell’Oro, 
								che dovrebbe iniziare proprio con il “Re Sole”.
								Quindi, per il frate di Stilo, martoriato 
								dall’Inquisizione, la ragione umana è capace di 
								comprendere da sola la Santissima Trinità e di 
								arrivare da sola a comprendere la Rivelazione e 
								la duplice natura di Cristo.
								Se è naturale comprendere questi concetti, è 
								quindi del tutto ovvio non aver bisogno 
								dell’Istituzione ecclesiastica.
								Tutto il mondo moderno è percorso da questo tema 
								della “religione naturale”, che non ha bisogno 
								di istituzioni, e sarà un tema dell’empirismo 
								inglese e poi della sua brutta copia, 
								l’illuminismo francese.
								Dall’altra parte, vi è la linea 
								Machiavelli-Hobbes, per la quale la società non 
								è in sé armonica e i cittadini hanno bisogno di 
								una autorità che inculchi, magari anche con le 
								cattive, i comportamenti positivi agli uomini.
								E la Chiesa è in mezzo, tentata, come tutti gli 
								uomini, dall’abbandonarsi alla ipotetica ma 
								talvolta reale natura armonica dei rapporti o 
								dal rafforzarsi come istituzione, per inculcare 
								il Vero nei fedeli erranti, nei due sensi del 
								termine.
								Certo, la coercizione, nella Città del Sole 
								esiste, eccome. 
								I funzionari, per esempio, controllano gli 
								accoppiamenti per favorire la razza, ad ore e 
								luoghi precisi.
								Selezionare la razza umana è stato il delirio 
								del momento più cupo del Novecento ma anche 
								dell’intera storia dell’Uomo, mentre per 
								Campanella è una semplice e quasi ovvia nota 
								alla sua “Città”.
								Tema campanelliano questo che verrà ripreso in 
								seguito dai Gesuiti nelle loro “estancias” del 
								Paraguay, dove i Reverendi Padri salvarono dai 
								mercanti di schiavi numerosissimi indios.
								Ogni notte, ad una certa ora, la campana della 
								Chiesa suonava, indicando ai lavoratori il 
								momento più adatto per accoppiarsi. 
								Lo notava con malizia, il controllo erotico dei 
								lavoratori, anche Vilfredo Pareto nei suoi 
								“Sistemi Socialisti”.
								Troviamo cose del genere anche nell’utopismo 
								Francese e, da lì, nelle teorie positiviste.
								Certo, davvero l’utopismo dei Gesuiti 
								meriterebbe un convegno a parte.
								Secondo Campanella, peraltro, è proprio la 
								proprietà privata a generare conflitti tra la 
								popolazione, così come scrive peraltro Tommaso 
								Moro nella sua Utopia.
								Thomas More, nella sua “Utopia”, parte da un 
								concetto simile a quello campanelliano, in cui 
								Natura e Grazia si compenetrano.
								La persona umana, in quanto toccata comunque dal 
								peccato originale, ha bisogno di un aiuto 
								soprannaturale per salvarsi, ma anche di un 
								aiuto naturale dato dagli altri uomini, che 
								rappresentano il “dato naturale” di ogni 
								comunità politica.
								E il dato naturale, anche, della stessa 
								Salvezza.
								Tale sussidio è l’ordinamento politico e 
								giuridico, nel meccanismo filosofico sia di Moro 
								che di Campanella nei loro universi utopici. 
								Abolire la proprietà privata, per entrambi i 
								teorici, significa liberare sia la comunità in 
								sé che l’uomo singolo dalla brama di beni, che è 
								il modo primario in cui si perde il senso della 
								Vita dello Spirito.
								Moro e Campanella superano e rovesciano, a mo’ 
								della dialettica marxiana, il criterio dei Padri 
								della Chiesa, i quali ritenevano che il male non 
								sta nella proprietà in sé, ma nell’attaccamento 
								morboso alle ricchezze nel cuore dell’uomo, 
								ovvero il peccato del singolo.
								Campanella e Moro, invece, fanno della 
								trasformazione radicale delle strutture esterne 
								la condizione necessaria ma non sufficiente per 
								la costruzione di una società virtuosa.
								Quindi Campanella e Moro teorizzano, per la 
								realizzazione delle loro città utopiche e 
								solari, la simultaneità dell’esterno, le leggi, 
								e dell’interno, la trasformazione spirituale 
								dell’uomo e il suo raggiungimento del Volere di 
								Dio.
								Nella teorica laica del comunismo, si parla di 
								condizioni esterne che innescheranno, non si sa 
								quando ma sicuramente, la trasformazione 
								dell’uomo e del suo spirito. 
								Campanella e Moro, più concreti, vogliono 
								cambiare l’esterno e l’interno quasi 
								contemporaneamente, con i loro ordinamenti, e 
								non si sa ancora se il pensiero utopico, che 
								parte dai nostri due Autori per arrivare fino a 
								Fourier o Saint Simon, non sia invece più 
								paradossalmente concreto di quello del 
								“materialismo dialettico”.
								E quindi, non a caso, sia l’Utopia di Tommaso 
								Moro che La Città del Sole di Campanella danno 
								una rilevantissima importanza all’educazione, 
								alla formazione dell’uomo il cui solo peccato 
								rimane quello originale.
								Per Campanella, peraltro, il peccato originale è 
								proprio l’abbandono del nesso immediato e divino 
								tra uomo e mondo naturale, tra Adamo e il 
								Paradiso Terrestre. 
								Viene qui in mente, a chi parla, la grande 
								passione che, per Thomas More, aveva il mio 
								amato amico Francesco Cossiga, che vedeva nel 
								frate britannico il limite della coscienza 
								individuale rispetto al dominio della legge che 
								diventa tirannide.
								Si riferiva, naturalmente, al rifiuto che Thomas 
								More fece dell’Atto di Supremazia in cui Enrico 
								VIII si separò dalla Chiesa Cattolica.
								Essere utopisti ma fedeli a Roma e alla 
								tradizione, era questo il punto, anche per 
								Francesco. 
								E certo, per il nostro Presidente, vi era una 
								lunga linea grigia tra Tommaso Moro, che 
								contribuì, con le sue pressioni in Vaticano, a 
								far dichiarare santo, e Aldo Moro, che era 
								rimasto zitto sotto un “dominio pieno e 
								incontrollato”, per dirla con le sue lettere dal 
								carcere delle brigate rosse.
								Sentire il futuro, come gli utopisti 
								cinquecenteschi, programmarlo e poi patire, come 
								patirono Campanella in carcere e Tommaso Moro 
								con l’assassinio, il peccato di intravedere i 
								segni dei tempi futuri. 
 
								
								
								
				 Frate Tommaso
				Frate Tommaso 
				 La città del sole: 
				Utopia o Progetto Massonico
				La città del sole: 
				Utopia o Progetto Massonico 
				  La Città del Sole
				La Città del Sole 
				
				 Questioni sulla Città 
				del Sole
				Questioni sulla Città 
				del Sole 
				
				 Estasi Filosofica
				Estasi Filosofica 
				
				 La Buona Magia
				La Buona Magia
				
				 Nella Luce degli Astri
				Nella Luce degli Astri
				
				
				 Pensare Tommaso Campanella
 
				Pensare Tommaso Campanella
				
				