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Il documento che presentiamo ai nostri graditi Ospiti è tratto da Hiram n° 3-4 Marzo Aprile 1991 ed è opera d'ingegno del carissimo Fratello Eugenio Bonvicini. Ogni diritto è riconosciuto.

© Eugenio Bonvicini

 

La circolazione in rete del documento è subordinato alla citazione della fonte (completa di link attivo) e dell'autore.  

La letteratura sui Collegi dei Maestri Comacini è divisa fra coloro che affermano e coloro che negano la loro esistenza, sia come originari della zona di Como sia come libera associazione di maestri architetti e scultori.
Per Hoede, Ilg, Merzario, Frigerio, Mottini, Lorenzoni, Bonci, ed altri storici, attorno ai Laghi prealpini - del comasco, Canton Ticino, Valtellina - nelle relative vallate isolate dalle vie delle invasioni barbariche, sarebbe sopravvissuta una struttura Romana e la tradizione dei Corpora, in particolare per l'arte edile (Fabrorum murarii).
I conquistatori germanici avrebbero trovato nei maestri muratori della zona - i Comacini - i costruttori, in pietra ed in mattoni, di cui abbisognavano per edificare o restaurare chiese, palazzi, castelli, opere di difesa, ponti ecc. perché i Comacini, nell'ambito di clan familiari o di valligiani, avevano tramandato di generazione in generazione, collegiati in fratrie itineranti (Collegi), le antiche tradizioni e le tecniche edificatorie.
Per tali storici, l'Editto di Rotari del 643 - che menziona i Magistri Commacinorum - sancì una già da tempo perdurante attività comacina in Alta Italia per i barbari vincitori, prima dell'invasione Longobarda (568).

 

Per l'Editto di Rotari consultare il documento in archivio:

L'Editto di Rotari


Il Kayser, esasperando la tesi geografica, ha affermato che tale Editto riguardava soltanto gli artisti originari dell'Isola Comacina nel Lago di Como, ma tale tesi non appare suffragata da riscontri storici ed inoltre la piccola Isola non era idonea ad ospitare nuclei di maestri costruttori e scultori, con manovalanze e materiali occorrenti.
Knoop e Jones ed il Meyer, quest'ultimo appoggiandosi ad uno studio del Crivelli, negano invece la stessa esistenza dei maestri Comacini, in base ad una serie di tesi le cui argomentazioni non appaiono convincenti e comunque non sufficienti per negare la esistenza di Collegi di maestri Comacini - o Commacini - operanti fino dall'Alto Medioevo e soprattutto nel Tardo Medioevo.


Si sostiene che i barbari Longobardi abbiano "sterminato gli architetti Romani" e che i "Re non fecero costruire"; si afferma che l'etimo della parola Commacini - anziché Comacini - escluda l'origine da Como; si sostiene che l'Editto di Rothari del 643 e la Lex di Liutprando del 713-35 abbiano riguardato generici muratori a livello di manovalanza in regime di servitù di lavoro o di semiliberi ("Amund", "Aldii"); si afferma che i maestri Comacini - pur dubitando della loro stessa esistenza - non sarebbero comparsi prima del 12° secolo.
Meyer parte dalla opinione che dopo la conquista del 568 "la Tribù germanica dei Longobardi distrusse ogni legame con il passato Romano", "la popolazione Romana fu soggiogata, gli uomini sterminati, i proprietari terrieri cacciati".
"I sudditi erano 'Amund', senza diritti", "sotto i Longobardi non sorsero grandi costruzioni", "i Re non facevano costruire".
"Agli invasori germanici mancava completamente la conoscenza costruttiva in pietra".
"Loro avevano sterminato o scacciato gli architetti ed i costruttori Romani".
Il precedente stile architettonico Romano era caduto in dimenticanza... gli esperti non erano più necessari, così pure la loro istruzione", ed il Meyer afferma inoltre che "dopo il crollo dell'Impero Romano non potevano trasmettere nessuna particolare cognizione".
Per il Meyer vi sarebbe stato "un vuoto assoluto" fino al 12° secolo ed i Comacini apparterrebbero "al regno della fantasia".
 

Le suddette argomentazioni appaiono infondate e contraddittorie.
Innanzi tutto infondate perché dopo il crollo dell'Impero Romano d'Occidente non si può negare che sotto i Goti siano state prodotte opere architettoniche di rilievo, sia in pietra sia in mattoni.
Ad esempio: il mausoleo di Teodorico, S. Apollinare nuovo a Ravenna, il Palatium a Pavia, né, dopo la riconquista di Giustiniano (554), va dimenticato l'apporto dell'Arte Bizantina, con quello che Mottini definisce "il miracolo" della Chiesa di S. Vitale a Ravenna.
Perciò nell'Italia Settentrionale, al momento dell'occupazione Longobarda (568), sopravviveva una tradizione artistica Romana - come comprovano le Basiliche ed i Battisteri - ed una tecnica costruttiva ed uno dei centri era proprio la Comacina e la Lombardia, oltre a Ravenna.
Inoltre, come affermò il Besta: "La conquista Longobarda non deve considerarsi come un cataclisma", "non tutto fu ciecamente sconvolto".
I Longobardi si insediarono prevalentemente nella pianura intorno a Pavia e "non erano più di 100.000" rispetto ai 5-9 milioni di Romani soggiogati (Besta, Savioli) e, scrisse Besta: "trovarono più comodo di vivere alle spalle dei proprietari Romani per mezzo di contribuzioni forzate", così come già avevano fatto nella Provincia Romana della Pannonia (Ungheria) e già in essa, per oltre un secolo, si erano "Romanizzati".
 

Anche nelle città, - sia pure impoverite e spopolate dalla peste - la vita non venne completamente sconvolta e nelle città regie: Pavia, loro capitale, Ivrea, Piacenza, Monza, Verona, Cividale, Spoleto, Benevento fecero i centri (Ducati) della loro dominazione e quindi si avvalsero della popolazione locale, accettando anche le modalità di vita, di organizzazione socio-economica, la lingua, il diritto, perfino la Religione con l'abbandono di quella Cristiano-Ariana con Re Agilulfo e Teodolinda (590).
Appare perciò infondata la tesi che essi abbiano sterminato gli architetti-costruttori Romani e che non abbiano fatto costruire.
Tesi che appare poi contraddittoria proprio perché essi non erano esperti di architettura e quindi, a maggiore ragione, dovettero avvalersi degli esperti indigeni, sia per le necessità edificatorie di castelli, di mura, di ponti, di chiese, sia per il restauro ed opere di adattamento delle costruzioni preesistenti utilizzate.
Infatti è documentato che ampliarono, come loro Reggia, il Palatium Ostrogoto di Pavia e, come attesta Paolo Diacono, la Regina Teodolinda fece costruire a Monza (590-615) la Reggia ed il Battistero, avvalendosi di maestri locali, la Regina Rodolinda (677) fece edificare a Pavia la Chiesa di S. Maria alla pertica, la Duchessa Permuda fece erigere (dal Comacino Paganus) a Cividale la Chiesa di S. Maria in Valle ed il Tempietto, il Duca Arechi 1 ° fece costruire (630-40) un palazzo ed Arechi 2° la Chiesa di S. Sofia a Benevento, Anselmo, cognato di Re Astolfo, la Abbazia di Nonantola, Re Liutprando fece ampliare a Bologna la Basilica di S. Stefano edificando attorno ad essa la così detta "Addizionale Longobarda" di palazzi-fortezza a difesa dagli assalti delle truppe dell'Esarcato Ravennate.
Di molte altre opere - in gran parte non giunte a noi - vi è documentazione storica (Arsian).
 

È evidente, quindi, che i Longobardi abbiano dovuto avvalersi di architetti e di scultori e di manovalanze esperte attinte dalla popolazione locale, soprattutto dalla Comacina, che si irradiarono in tutta l'Italia da loro dominata.
Mottini menziona che già nel 7°-8° secolo - sotto dominio Longobardo - a Viterbo esisteva un "centro d'irradiazione di maestri Comacini" ed a Tuscania in un documento si indica un "magister comacinus" (con una M) e Mottini considera la Chiesa di S. Pietro a Tuscania "il capolavoro della colonia Comacina".
 

L'Editto di Rothari del 643 menziona il "magister commacinus cum colligantes suos" e ne precisa le funzioni: "Restaurandum vel Fabricandum"; era l'esperto necessario ai Longobardi per edificare, e per restaurare ed adattare le costruzioni preesistenti.
Ragghianti, giustamente, riconosce che l'Editto di Rothari del 643 e la Lex di Liutprando, databile dal 713 al 735-40, erano stati dettati "non per servi ed aldii come i Romani ed Italici soggetti, ma piuttosto per Longobardi cui era riservato il privilegio delle costruzioni pubbliche e private nei territori sotto giurisdizione Longobarda", ed essendo i Longobardi poco esperti di arte muratoria, "estesero ai Romani Longobardizzati possessori per eredità delle tecniche costruttive i suddetti privilegi" e ciò - per Ragghianti - che dubita sull'etimo geografico - si verificò non soltanto in riferimento alla zona di Como, ma alla Lombardia in senso lato. Per negare la valenza dell'Editto di Rothari come prova dell'esistenza dei Collegi Comacini e la loro origine dalla zona di Como, si discute sulla dizione: Magistri Commacinorum (Magister Commacinus).
 

Il Crivelli, Meyer ed Altri sostengono che con le due M la dizione non possa significare: Comacini, cioè di Como, o della Comacina, e ricercano altri etimi.
Si sostiene che la parola Commacinus sarebbe derivata da Gemachinus, o, per Grozio, da Gemach ovvero da Machia, nel latino significante "congegno meccanico, quale carrucola, leva, rullo, impalcatura" e da ciò, ad "opera dei Glossatori" (che però sono databili dopo il Mille) sarebbe derivato: Com-Magister, e da qui: Com-Machinator, Com-Machionis, Com-Macinus.
Altri Autori - non vediamo con quale fondamento - sostengono che derivi da: Cum = Macigno.
 

Per Ragghianti sarebbe più fondata la tesi di una derivazione dall'etimo germanico: Makjo, Macio, che significherebbe: "fare costruire", equivalente ad "imprenditore edile", od "imprenditore-costruttore, ed organizzatore", che si sarebbe differenziato dai "magistri murarii", architetti e capi mastro, che "operam dictabant", cioè dirigevano i lavori, mentre l'esecuzione spettava ai "Collegas" o "Consortes". Ragghianti non esclude anche la valenza dell'interpretazione del Downey che fa derivare Com-Macinus da Mekené - macchina, macina - e dal greco Mekanikòs equivalente a progettatore e direttore di architetture, mentre Architektòn sarebbe stato il responsabile delegato ai lavori edili. Si dà così risalto ad una tipicità di funzione, ma non ci sembra che essa sia indicata nelle leggi Longobarde che si riferiscono a dei maestri, operatori e progettatori - "restaurandum vel fabricandum" - che come tali potevano usare macchinari, non agli imprenditori d'opere.
 

Knoop e Jones sostengono che Commacinus derivi da Com-Monachus = confratello monaco, da cui sarebbe derivato: Com-Monachus Meant, e da qui: Fellow Monk, Fellow Meson ed il francese: Maçon. Anche se è indubbio che nell'Alto Medioevo le costruzioni di Chiese e Monasteri furono in gran parte gestite da monaci, appare improbabile che Com-Monachus sia diventato sinonimo di muratore-costruttore, anche perché l'attività monacale fu multiforme ed investì tutti i campi della produzione artigianale ed agricola, nonché della raccolta bibliografica e della ricerca teologica e filosofica e conseguentemente nessuna attività si identificò con Com-Monachus e non si vede perché ciò debba essere avvenuto per la muratoria, che coinvolse anche laici, sia come operatori-progettatori, sia come committenti di opere pubbliche e private, che non ebbero soltanto carattere ecclesiale.

Le suddette tesi lessicali - assai variegate e contraddittorie fra loro - che ricercano un etimo diverso dal riferimento geografico, appaiono soltanto illazioni, non suffragate in documenti dell'epoca.
 

In primo luogo appare improbabile che una Lex Regia abbia usato un sinonimo per qualificare una categoria dedita ai lavori edili a livello di maestri - che nel latino, lingua ufficiale dei Longobardi, era: Fabrorum Murarii (o Muri) - valevole per tutto il corpus indipendentemente dalle funzioni in esso esercitate. Da esso è derivato il termine Muratore - Murer nel Veneto, Murador nel Lombardo, Emiliano, Romagnolo, Maurer nel Tedesco - per indicare il costruttore di muri, in pietra ed in mattoni.
Le parole Mason e Masonry compaiono già nel Poema Regio del 1390 e nel Manoscritto di Cooke del 1430-40 e - facendo essi riferimento ad una anteriore normativa dettata da Re Althestan nel 930 - è probabile che tali parole siano state usate nelle Craft anglo-sassoni dell'Alto Medioevo. Anche in Francia - nelle Corporazioni e nei Compagnonnage - la parola Maçon era, ed è, usata come sinonimo di muratore. Non siamo in grado d'individuare con precisione l'etimo di Mason e di Maçon, ma forse è ipotizzabile - in Gran Bretagna ed in Francia - l'origine da una antica parola Celtica, più che da una derivazione latina, o germanica, o greca, e non ci sembrano collegabili né con il latino machis, macis, né con il germanico makjo, né con il greco mekenè - in riferimento all'uso di apparecchiature - né, per quanto si è detto, con com-monachus.
 

Nelle Gilden germaniche compare la parola Steinmetzen per designare scalpellini e muratori e nello Statuto di Strasburgo del 1459 - che si richiama ad una normativa anteriore - i Maestri erano definiti "coloro che sanno costruire e costruiscono", mentre gli altri associati erano definiti: "uomini del mestiere" e non compare, come sinonimo dei primi - che usavano apparecchiature per costruire ed erano progettatori e direttori di architetture - machis, makjo, macio, com-machionis.
Nell'italiano i termini Massone e Massoneria giunsero d'Oltralpe con la Massoneria moderna nel 18° secolo, non dalle corporazioni medioevali.
In esse si usarono le parole muratore e muratoria, od arte muratoria o quella dei Taglia pietra (Tajapiera) a Venezia, dove però - come si legge in un atto del 1268 - esistevano altre 2 corporazioni: dei costruttori di fabbricati, quella dei Murer e dei carpentieri edili, e quella dei Marangoni de case ed entrambe usavano impalcature e congegni meccanici e progettavano opere di architettura e non venne mai usata, come sinonimo, la parola Com-Macini - da Com-Machinator, Com-Machionis - ovvero per designare i maestri progettatori od impresari di opere.

Nella Carta di Bologna del 1248 - che Ferrer Benimeli considera il documento statutario massonico più antico del mondo - si legge: "Magistrorum Muri" e nella "Matricola" del 1272 l'elenco dei maestri è preceduto dall'annotazione dialettale: Muradur, eppure erano progettatori-costruttori ed impresari appaltatori che usavano congegni meccanici, carrucole, impalcature, peraltro fondamentali in una città di alte torri e caratterizzata dai portici.
L'accostamento di Commacinus a machis, mach appare pertanto una mera combinazione fonetica, senza riscontro nella realtà di un sinonimo nei vari dialetti e nella lingua italiana, né nel senso di costruttore, né d'impresario edile, né di un generico muratore operante su impalcature.


Le impalcature, od i congegni meccanici, divennero un simbolo dell'attività muratoria, ma sullo stesso piano di altri simboli: squadra, compasso, livella, scalpello, maglietto ecc. e di disegni geometrici: triangoli, stelle, quadrati, cerchi ecc. e della numerologia usata per i "quadrillage" e che finirono per assumere significati "esoterici" per l'elevazione spirituale dell'uomo attraverso il lavoro.
Sul piano filologico, quindi, non vi sono riscontri documentari a favore delle varie tesi che prospettano la parola Commacinus diversa dal riferimento all'origine geografica.
Commacinus - o Comacinus - compare invece in documenti antichi con riferimento geografico, e ci è comprensibile, data la frequenza nel lessico dell'epoca di usare una o due consonanti nei nomi di persona o di località, specie se latinizzati dai barbari, che spesso seguivano la fonetica gutturale germanica portata al raddoppio delle consonanti.
Resta, infine, da esaminare un altro punto delle argomentazioni di Meyer e Crivelli, che peraltro sono su posizioni opposte rispetto a quelle di Ragghianti e Downey.
 

Se la parola Commacinus dell'Editto di Rothari del 643 avesse indicato - come sostengono Meyer e Crivelli - genericamente il muratore a livello di manovalanza in regime di servitù di lavoro e di amund (senza diritti) o di aldii (semi liberi), ve ne sarebbe stata traccia nei Capitulari che regolavano i Ministeria che raggruppavano le attività esercitate dalle popolazioni sottomesse - degli amund od aldii - e non sarebbe stata inserita la regolamentazione di Commacinorum nella Lex Longobardorum (Edictum), cioè disposta per i conquistatori e per coloro che erano liberi, od affrancati, e quindi titolari dei diritti riconosciuti ai Longobardi: "i Romani Longobardizzati". Inoltre la Lex - com'è chiaramente indicato - era per dei "magistri" e non per generici muratori o per una manovalanza.
Maestri che, resi liberi e beneficiati del "privilegio", avevano sentito il bisogno di "collegiarsi", dandosi un jus proprium, ma che singolarmente rispondevano dell'osservanza dell'Edictum.
La loro organizzazione non era, quindi, un ministerium, né fu mai una corporazione generalizzata di mestiere, ma fu una schola, un collegium, una fratria di maestri liberi muratori itineranti, beneficiati di "guarentigie" e salvaguardati dalle tariffe - "mercedes commacinorum" della Lex di Liutprando - che forse rappresentarono un minimo dovuto - come "palmarium", dato il carattere extra-contrattuale delle prestazioni delle "Arti Liberali" - rapportato alla povera economia dell'epoca. Se fosse stato un ministerium dei non liberi e per una manovalanza, non vi sarebbe stato bisogno di "tariffe", perché sarebbe stato il "munderaldo", governante il Ministerium, che avrebbe determinato i miseri compensi dei lavoratori coatti ed una manovalanza, per dove occorreva, sarebbe stata asservita con la forza.
Le "tariffe" però non sarebbero state neppure necessarie se i Commacinorum fossero stati soltanto degli imprenditori - nel senso dato da Ragghianti a Makjo - differenziati dai "magistri murarii", operatori.
Appare invece attendibile l'opinione del Ragghianti che Commacinorum indichi maestri "possessori per eredità delle tecniche costruttive", i "Romani Longobardizzati", ma riteniamo che la Lex abbia incluso i maestri collegiati nelle loro molteplici funzioni e specializzazioni: di operatori-progettatori ed esecutori - che a volte potevano assumere anche la veste d'impresari.
Maestri itineranti che, almeno inizialmente, provenivano dalla Comacina o Commacina.
Dove in essa, ragioni storico-ambientali, maggiormente avevano consentito di preservare "per eredità le antiche tecniche costruttive" dei Corpora Romani dei Fabrorum Murarii, sia perché le vallate della Comacina erano rimaste fuori dalle vie d'invasione e dagli stanziamenti barbarici - incentrati nella Pianura Padana - sia perché in esse vi erano cave - per marmi, pietre, mattoni - già famose fino dai tempi di Tito Livio - sia perché l'ambiente delle vallate favoriva la trasmissione ereditaria del mestiere e lo spirito di fratria fra le famiglie che l'esercitavano.
 

Comacina che peraltro va identificata con quella che all'epoca era la Diocesi Vescovile di Como, comprendente - anche ai fini politici - l'intera zona dei Laghi pre-alpini, D'Oria, Maggiore, di Varese, di Lugano, di Como - con le relative vallate, il Canton Ticino, il Campionese, parte dell'Engadina e dei Grigioni, la Valtellina, parte delle vallate di Sondrio e del Bresciano, cioè vaste zone della Lombardia e della Svizzera meridionale.
Questa origine geografica del nome Commacinorum non esclude che poi la Lex possa essere stata applicata a maestri operanti nell'intero territorio italiano dominato dai Longobardi, quando avevano la caratteristica dell'organizzazione in collegi itineranti, con i "Colligantes Suos", cioè quando avevano preso a modello quanto era già avvenuto nella Comacina (o Commacina).
 

Meyer sostiene che "è inspiegabile il perché fu attribuita ai muratori di Como la particolare importanza di costruttori ed architetti qualificati" e che "solo dopo il 12° secolo in poi si può documentare la prova di una rinnovata attività di costruzione".
"Solo a partire da quel momento si sviluppa l'arte Lombarda..."; dopo il crollo dell'Impero Romano, dice il Meyer, vi sarebbe stato "un vuoto assoluto" fino al 12° secolo ed afferma categoricamente: "tanto la storia dell'architettura quanto della Massoneria devono escludere i maestri Comacini dalle loro trattazioni".
Sono opinioni che si palesano in netto contrasto con i maggiori storici dell'arte e con le documentazioni.
È infatti provato che nel periodo Longobardo molti "artisti", scultori ed architetti, provenivano dalla Comacina e spesso hanno lasciato, fra il 713-40, le loro "firme": Ursus, con Juvintinus e Johannes a Valpolicella, Paganus a Cividale (Lorenzoni) Rodpertus, di Como, che si qualificò: "magister Commacinus" ed un "magister Comacinus" (si osservi con una sola M) risulta, come scrive Mottini, a Tuscania, dove vi era una "colonia Comacina", operante nel 7°-8° secolo a Viterbo, cioè nel Ducato di Spoleto.
 

Dei Comacini vi sono tracce nel 9°-10° secolo, sotto i Franchi e gli Ottoni, e come esempi di prova si possono assumere le opere di Vuolvino nel 9° e di Ansperto nel 10° secolo in S. Ambrogio a Milano, i Battisteri di Biella, Agliate, Almeno, gli oratori di Civalte e nella Chiesa di S. Satiro a Milano che, per Mottini, rivelano "impronta Comacina".
Inoltre è noto (Besta, Calasso) che dopo la caduta del Regno Longobardo (754) i Franchi e poi gli Ottoni, mantennero in Italia il titolo di Rex Longobardorum, sempre con capitale Pavia e conservarono ed ampliarono le Lex Longobardorum e quindi si può presumere che conservarono i "privilegi" concessi ai maestri Comacini, estesi a maestri di altre zone organizzati su modello Comacino.
Non si può infine concepire storicamente un salto di 4 secoli nella tradizione Comacina per poi rivederla, improvvisamente su vaste proporzioni, in Italia ed in Europa nel 12° secolo.
Ciò smentisce la tesi del Meyer e del Crivelli che non vi sarebbero tracce dei Comacini ed ancor più la tesi che non vi sarebbe stata attività di costruzione, né una "Arte Lombarda" prima del 12° secolo.
Potrà forse non piacere, ma non si può negarla.
 

Gli artisti dell'epoca diedero vita a quella che Ragghianti definisce: "Architettura Lombarda" o di "Proto-Romanico Lombardo", ma diedero vita anche a quello che egli chiama: "il fenomeno della scultura astratta geometrica dal 6° al 9°, all'11° secolo, con trapianto in Francia, Svizzera, Germania occidentale, Dalmazia ad opera di scultori italici" e fra essi molti provenivano dalla Comacina, o Lombardia in genere.
Negli stessi termini si esprimono: Merzario, De Francovich, Arslan, Mottini, Salmi, Lorenzoni ed Altri, che non vedono un "vuoto assoluto" dal crollo dell'Impero Romano al 12° secolo e non negano una "arte Lombarda" o "proto-romanica" dal 6° al 12° secolo, anche se essa fu di minore rilievo artistico rispetto a quella del 12° secolo in poi, che fu però la derivazione e la rielaborazione dell'anteriore periodo proto-romanico. "Lombardus" - scrive Ragghianti - "divenne sinonimo di maestro muratore e costruttore tramite i maestri Comacini dopo il secolo 8° dal centro della Lombardia fino ai secoli 9°-12°".
 

Per Mottini "I maestri Comacini del 7°-8 ° secolo sarebbero i creatori e diffusori di quello stile architettonico che si chiama 'Lombardo', o più genericamente 'Romanico' ". Ragghianti considera: "il fenomeno dei maestri Comacini di grande importanza in quei secoli" - compresi dunque i secoli 6°-8° di dominazione Longobarda, 8°-11° sotto i Franchi e gli Ottoni - ed analogamente si esprimono: Merzario, Cordiè, Salmi, Lorenzoni, Bonci, Magni ed altri.
Ragghianti inoltre afferma: "La scultura astratta geometrica rivela un nesso organico con l'architettura di quei maestri".
Infatti molti furono contemporaneamente architetti, scultori e sovente anche musicisti e pittori su affreschi murari.
Hoede documenta l'attività di maestri Comacini come costruttori e scultori di chiese, palazzi, monumenti in Germania, Austria, Boemia, Ungheria, Svizzera, Francia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna, Dalmazia, prima e dopo l'11° secolo.
Tale irradiazione dei Comacini in tutta Europa è documentata da Hoede nei secoli 11 °-14° ed oltre, ed egli precisa le località di provenienza degli artisti - in maggioranza dalla Comacina latamente intesa - e per molti segnala i nomi e le stirpi di familiari o valligiani, dimostrando la costanza di una tradizione artistica tramandata di generazione in generazione.
 

É proprio questa caratteristica che, a mio avviso, rende singolare il fenomeno dei maestri Comacini.
Fenomeno che ebbe il suo momento focale nei secoli 11°-13°, ma che è preesistente già nei secoli 6°-10°, anche se minori sono le prove pervenute su quei secoli e molte opere, delle quali vi è documentazione storica, sono andate in rovina od hanno subito vasti rifacimenti.
In Italia, nei secoli 11°-13°, molte sono le opere autorevolmente attribuite ai maestri Comacini.
Di particolare rilievo fu Benedetto Antelami - originario di Antelamo sul Lago Maggiore o della Valle d'Intelvi - che operò a Parma (1178), Vercelli, Milano, Fidenza, Genova.
Lorenzoni, Cordiè, Bonci, De Francovich, Ragghianti ed altri - rimarcando l'importanza di questo artista - affermano che egli diede vita ad una "scuola", "cultura", "architettura" "Antelamica" e che egli abbia creato una "Loggia" o "collegio" a Genova, a Parma e forse a Modena, che si diffuse in tutta l'Italia Settentrionale attraverso i suoi seguaci detti "Antelamici".
Ma già un Antelami aveva operato nel 10° secolo a Pavia nella Chiesa in Ciel D'Oro - due secoli prima di Benedetto - ed il Lorenzoni precisa che un "gruppo di Antelami" si era trasferito a Genova costituendo una "corporazione di costruttori" della quale fu "allievo" lo stesso Benedetto.
Ciò indica una attività familiare o di clan di maestri ed allievi provenienti dalla Valle di Antelamo (o D'Intevi), tramandata per generazioni.
Una "Loggia" - o "Schola" - sorse anche a Bologna verso il 1150 attorno a Mastro Alberto, ritenuto campionese, che forse fu l'origine - almeno per il tipo di struttura interna - della società dei maestri del muro e del legno (carpentieri) documentata dalla Carta di Bologna del 1248.
Vi fu, quindi, tutta una stagione artistica - architettonica e scultorea - che dal 6° al 14° secolo ha ruotato attorno a maestri originari della Comacina latamente intesa, con propaggini in tutta la Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio e che si strutturò in collegi di maestri itineranti, con allievi e maestranze qualificate, operanti in Italia ed in Europa.
Non può essere perciò casuale la coincidenza del termine Comacini o Commacini, con la Comacina ed appare ingiustificata la ricerca di altri etimi.
Scuola Comacina che raggruppò seguaci locali ed ispirò un modello di associazionismo muratorio.
Scuola che poi si innestò con la stagione artistica Provenzale-Borgognona e con la così detta Architettura dei Cistercensi - con il Gotico - che fu fatta propria e rielaborata dai Comacini - in particolare da Guglielmo Lombardo, Benedetto Antelami, Guido Bigarelli da Como, Guidetto da Como - che nel così detto Gotico Italiano ebbe caratterizzazioni stilistiche particolari: Lombarde, Emiliane, Venete, Toscane, Umbre, come in quest'ultima, ad Assisi, con Filippo di Campiello.
Questo comprova una prospettazione Europea degli artisti di scuola Comacina, che presuppone contatti e collegamenti con artisti d'Oltralpe ed una loro sensibilità verso le nuove tecniche portate dal Gotico, quanto a quelle della tradizione Romanica, che seppero mirabilmente fondere in uno stile proprio, sul quale poi si innestò quello del Rinascimento italiano, con apice Firenze.
L'origine geografica dalla Comacina, latamente intesa, non esclude però che il modello Comacino dei Collegi itineranti di maestri non abbia trovato imitazioni, proprio in ragione dei contatti fra nuclei di artisti in Italia e in Europa, ad esempio in Provenza e Borgogna, forse già nell'8°-9° secolo, dove maggiormente si ebbe il fenomeno di maestri itineranti e nell'Italia Normanna di Federico I e Federico II ed a Roma e Firenze.
 

I Comacini furono, quindi, un modello per la Massoneria antica ed il loro lungo perdurare nel tempo ben può avere facilitato l'osmosi e reciproche influenze, non solo nell'arte, con altre forme di associazionismo libero muratorio a carattere stanziale e di corporazione, ed anche con quello gravitante attorno agli Ordini Monastici: Benedettini, Cistercensi, Francescani, Domenicani, Ospitalieri, Templari che ebbero i loro fratres, confratres, oblati - costruttori e scultori - operanti spesso con i maestri Comacini, con reciproche influenze, come appare tipico ad Assisi con Fra' Elia, Filippo di Campiello e la Loggia dei Comacini.
La presenza dei maestri Comacini è inoltre documentata nell'Appennino Bolognese dal 10° al 15° secolo con nomi aventi l'aggiunta "de Como" registrati in atti dei Capitani della Montagna.
Nella così detta "casa dei Comacini", nel "Borgo della schola", presso Zola, nella Chiesa di Montovalo del 1211 con cripta del 10° secolo, sono riscontrabili i simboli: della squadra, compasso, livella, martello, scalpello, rosa e rota comacina, triangoli, stelle a 5 e 6 punte, labirinti, ruota cosmica, sole, animali ed ibridi.
Nella "matricola" del 1272 della "Società dei maestri del muro" di Bologna figurano numerosi maestri "de Como" e di località limitrofe e da ciò si può dedurre un collegamento con i Comacini.
Ad Assisi esiste un palazzetto del 13°-14° secolo, definito da una lapide "Loggia dei maestri Comacini" che nella facciata reca scolpiti: squadra e compasso intrecciati e triangoli e gli stessi simboli, con altri muratori, compaiono in Chiese di Assisi.
 

Può essere indicativo constatare l'analogia dei simboli - anche nello stile - reperibili a Bologna, particolarmente nella Basilica di S. Stefano, a Modena, Ferrara, Parma, sull'Appennino, a Prato, Lucca, Pistoia, Pisa, Siena, Arezzo, Firenze, Perugia, Assisi, Spoleto, cioè in città dove è documentata la presenza dei Comacini e l'Hoede riscontra analoghi simboli in varie città d'Europa.
Si deve dunque dedurre l'esistenza di una perdurante tradizione tramandata da una generazione all'altra di clan familiari o di valligiani originari della Comacina, latamente intesa, fra loro legati in "Collegia", o "Logge" dal 600 al 1500 e ritengo che si debba ammettere che ciò sia collegabile, come origine, all'Editto di Rothari del 643 sui magistri Commacinorum.
Perciò i Comacini - o Commacini - non appartengono al "regno della fantasia", ma alla realtà della Storia dell'arte e della Massoneria.
Questo però non deve significare l'accettazione di fantasiose ricostruzioni sui loro ordinamenti e riti, rimasti sconosciuti.
Non sono giunti a noi documenti statutari dei Maestri Comacini, ma ciò può spiegarsi con il loro carattere itinerante e perché essi non assunsero mai le caratteristiche di corporazione avente un potere nell'ambito dell'ordinamento Comunale italiano e quindi non furono tenuti - attorno al 13° secolo - a pubblicare i loro statuti, come invece avvenne, ad esempio, nel 1248 per la "Società dei maestri del muro e del legno" di Bologna che aveva i propri "Anziani" in seno al Consiglio del Popolo del Comune.
 

I collegi itineranti dei Comacini non erano una corporazione, ma godevano di "privilegi" e di "guarentigie" e forse si appoggiarono in loco su una corporazione libero muratoria esistente che invece esercitava un potere nell'ambito dell'ordinamento Comunale e ciò può spiegare forse i nomi dei maestri "de Como" inseriti nella "matricola" Bolognese del 1272.
Probabilmente essi erano i rappresentanti, in seno alla "Società", di Collegi, o Logge, o nuclei di Comacini operanti a Bologna.
Questo probabile collegamento può apparire avvalorato se si osserva che la così detta "Carta di Bologna" del 1248, nella sua struttura, pare ricalcare le caratteristiche che la tradizione e vari storici attribuiscono ai Collegi Comacini.
Appare quindi prospettabile che l'antica corporazione Bolognese possa essere derivata da un antecedente Collegio Comacino - forse dalla Schola di Mastro Alberto, campionese - ovvero che abbia preso a modello la regola Comacina.

In mancanza di statuti dei Comacini la "Carta di Bologna" del 1248 può quindi prospettarsi come una attendibile ipotesi di ordinamento Comacino.
 

Sui Comacini - o Commacini - termini equivalenti - ci sembra ampiamente provata la loro esistenza e la loro origine geografica: dalla Comacina - o Commacina, latamente intesa, comprendente una vasta zona dell'Alta Lombardia e della Svizzera meridionale.
È provato inoltre il loro irradiarsi, per secoli, in Italia ed in Europa come Collegi itineranti di maestri e questa appare la loro principale caratteristica, unita a quella di un forte spirito di fratria fra le famiglie di "artisti" originari della Comacina, che spesso si innestarono o si collegarono con altre associazioni libero muratorie a carattere locale, alle quali probabilmente trasmisero non soltanto le loro tecniche edificatorie e scultoree, ma anche simbolismi, usanze, allegorie, "messaggi" esoterici, ed un modello di associazionismo muratorio.
Soprattutto è comprovata la loro esistenza ed importanza nella storia dell'arte, architettonica e scultorea, ma anche nella storia della Massoneria così detta "operativa" in Italia ed in Europa.

 


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