Due tipi di Luce

 

 

 

È scritto (Genesi I,5): E Élohïm chiamò la luce giorno.

Per quale motivo la Scrittura si serve del termine chiamare? Perché Élohïm fece venire, vale a dire fece uscire questa luce perfetta che emana dall’ipostasi centrale, quella stessa che istituisce la base del mondo e sulla quale tutti i mondi sono fondati. È di questa stessa luce perfetta, emanante dalla Colonna di mezzo, che è fatto il fondamento di Chi vive da ogni eternità; questa luce del lato destro è il giorno. La Scrittura aggiunge: E chiamò l’oscurità notte. Élohïm fece venire, in altre parole, fece uscire dal lato dell’oscurità una luce passiva, simile a quella della luna visibile di notte; questa luce passiva è chiamata notte. Questo mistero è contenuto nelle parole: Il mio maestro, maestro di tutta la terra.

La luce del lato destro di questa Colonna, come anche quella passiva del sinistro, si ritira nella Colonna perfetta di centro. In questa maniera, la luce passiva del lato sinistro viene in contatto, nella Colonna di centro, con quella emanante dal Punto supremo e da queste due luci [17a] unite si manifesta il Verbo.

Questo è il mistero simbolizzato dai tre punti vocali: Holem ( . ), Schoureq (…) e Hireq ( . ). Il Punto centrale rappresenta il seme sacro, senza il quale la fertilità[1] non sarebbe possibile. Con l’unione della luce attiva del lato destro e di quella passiva della parte sinistra (inclusione che si opera nella Colonna centrale) appare la base del mondo chiamata Tutto, così indicata perché essa unisce tutte le luci, quella del lato destro e del sinistro.

La luce del lato sinistro è costituita di riflessi (Minhath Yehouda, foglio 72b) ed è di natura simile alla luce passiva della luna (Zohar foglio 20a). Questa luce è chiamata oscurità perché proviene da un corpo oscuro. Le due luci dell’essenza divina hanno, perciò, la particolarità che una, quella attiva, è maschile e l’altra, quella passiva, femminile[2]. Quando, unita nella Colonna centrale, la luce maschile riempie della propria eccedenza[3] di attività la mancanza costituita dalla passività di quella femminile, l’equilibrio è statuito. Ogni qualvolta che tra l’attività e passività l’equilibrio è statuito, si generano le delizie sia dell’essere che dona la propria eccedenza sia di quello che, per colmare il proprio passivo, lo riceve; e da queste gioie nasce un terzo[4] essere.

Anche l’unione delle due luci celesti determina una gioia immensa; e da questo piacere sconfinato emana una terza luce, chiamata aumento (Moussaph) che costituisce la base dei mondi. Tutte le potenze inferiori, gli spiriti e tutte le anime sante, emanano da quest’ultima luce (Tiqouné Zohar XIII e Mikdasch Mélekh a.1). È questo il mistero raccontato nelle parole della Scrittura: Jéhovah Çebaoth, Dio e maestro degli spiriti, maestro di tutta la terra.

Il giorno e la notte sono la rappresentazione delle luci celesti. Fin quando la luce domina, l’oscurità, che è passiva, si tiene da parte; ma quando alla fine del giorno, la luce scema e si unisce all’oscurità nel crepuscolo[5], l’equilibrio si instaura ed essa occupa il posto del giorno. È quindi dall’unione tra il giorno e la notte, nel crepuscolo che simboleggia il seme, che scaturisce il giorno dopo; senza notte non vi sarebbe il dì seguente[6]. La sola differenza fra le frazioni del giorno e le luci celesti è questa: mentre le parti del giorno sono susseguenti, vale a dire al crepuscolo succede il giorno e la notte al tramonto, le tre luci celesti si manifestano simultaneamente.

Come è necessario, per produrre la fertilità, che l’apporto del maschile ecceda quello femminile, così Élohïm, che costituisce la Colonna centrale e condivide la stessa essenza della luce attiva del lato destro e di quella passiva del lato sinistro, compartecipa più della prima che della seconda. Ecco il motivo delle parole della Scrittura, Élohïm chiamò, vale a dire, fece venire da un lato la luce rappresentata dal giorno, in altri termini, quella attiva del lato destro; e chiamò, vale a dire fece venire dall’altro lato l’oscurità, in altre parole la luce passiva chiamata oscurità, simbolizzata dalla notte. In altre parole Élohïm formò la Colonna centrale nella quale furono unite la luce del lato destro e quella della parte sinistra (Sepher ha-Kavanoth cap. XIII e Reschith Hocmâ cap. XLVII). Considerato però come Élohïm compartecipi maggiormente della luce del lato destro, la Scrittura fa uso, per esprimere la chiamata che fece al giorno, la parola Vaïkra… e chiamò, mentre si serve di un termine che conta due lettere di meno, ovverosia della parola Qara, per raccontare la chiamata che fece alla notte.

È in questo mistero che si trova la ragione delle settantadue lettere sacre (Zohar II 132b) incise nella corona superiore.

 


 

[1] L’edizione di Lublino e quella di Amsterdam contengono il seguente passo awrm rb urdzad aurz tyl ahd (Senza quel mistero, la fecondità sarebbe impossibile). Le altre edizioni non riportano la parola awrm (mistero). [Torna al Testo]

[2] Si troveranno le spiegazioni di questi termini, maschile e femminile, nello Zohar III 44a e 45a. Vedere anche Pardés Rimonim VIII cap. XX e Mebo Schaarim III parte II cap. LXXXII. [Torna al Testo]

[3] Le edizioni di Sulzbach, Amsterdam e Vilna riportano awhhm arhn twpswt (della propria eccedenza di luce). [Torna al Testo]

[4] Le edizioni di Przemysl e di Amsterdam riportano adysy qypn }ym lud; è esattamente quanto lo Zohar dirà nella frase successiva. Questa lezione costituisce, quindi, un pleonasmo. [Torna al Testo]

[5] Le edizioni di Lublino Brody e Francoforte riportano twcmch }yb. È evidente che la nostra lettura fcptal yrac db hlyl yah conserva ugualmente il senso di transizione tra il giorno e la notte, in altri termini, il crepuscolo. [Torna al Testo]

[6] Con rab llbta dk ala ryhn al lo Zohar non intende quando la notte è unita al giorno ma piuttosto, è grazie alla notte che vi è un giorno successivo. [Torna al Testo]