Il Sépher Yetzirah, il libro che tratta della formazione del cosmo, del quale secondo la tradizione Abraham sarebbe l'autore, o meglio il sapiente che nel Sépher raccolse anche i resti di dottrine più antiche (1), venne trasmesso oralmente da generazione in generazione dai discendenti del Patriarca. Dobbiamo risalire molto nel tempo prima che i saggi di Gerusalemme, considerati i pericoli che sovrastavano Israele, confidassero gli insegnamenti dei quali erano depositari ad arcani e a scritti dal significato oscuro e di non facile interpretazione. Il contenuto del libro è uno studio profondo sulla genesi dell'universo quale opera di un processo di creazione che Dio compie mediante la sua Parola (Logos), essendo scritto: «Poiché Egli lo disse, la cosa fu» (2). Parola che è quindi l'espressione della forza attiva Divina. Da ciò ne consegue lo studio incessante che i maestri della Qabalah dedicarono alle lettere dell'alfabeto, poiché per forza esse dovevano formare la «Parola» perduta. Parola che non si può pronunciare, non tanto perché venne esplicitamente vietato, quanto perché è impossibile nel senso più rigoroso del termine essendosene persa da tempo immemorabile la chiave (3).

L'origine di queste lettere non è di facile ricerca. Il Sépher ha Zohar, il Libro dello Splendore, altro testo fondamentale della tradizione esoterica d'Israele, ne accenna allegoricamente dove dice che prima ancora della creazione del mondo le lettere, e così i numeri, poiché le lettere ebraiche, oltre ad esprimere un determinato suono, hanno pure un valore numerico, «erano nascoste e Dio le contemplava facendone le sue delizie». In un altro passo è scritto che «Dio incise le lettere nel cielo» dove il geroglifico di ciascuna lettera dell'alfabeto sacro è rappresentato da una costellazione. Anche il Sépher Yetzirah conferma nel primo versetto questo passo dello Zohar poiché in esso è scritto: «É con le trentadue vie della Sapienza, vie ammirevoli e nascoste che Dio (seguono i dieci nomi attribuiti alla Divinità) incise il suo nome». «Egli le tracciò con la Voce e le compose con lo Spirito» (4). Nel testo, la parola «incise» è detta assolutamente, senza complemento oggetto; se ne deduce quindi che le «Trentadue vie della Sapienza», che sono alla base della Qabalah, vale a dire i dieci numeri e le ventidue lettere, vennero create e «incise» da Dio stesso nel firmamento.

Senza tener conto dell'ipotesi che fa derivare i caratteri della lingua ebraica da una dottrina rilevata ad Abraham, ipotesi che indubbiamente i filologi riterranno azzardata, probabilmente non sapremo mai con precisione quale scrittura venne adottata da Mosè per scrivere il suo Sépher Berechith. Nondimeno è lecito supporre che il grande legislatore ebraico, «ammaestrato in tutta la sapienza degli Egizi» (5) derivò la sua scrittura da quella sacra o ieratica appresa dai suoi Maestri, semplificando e riducendo i 26 segni fonetici egizi (4 dei quali sono doppi, gli uni riferendosi al Macrocosmo e gli altri al Microcosmo) ai soli 22 che esprimono i diversi suoni della lingua del popolo che stava forgiando. Lingua che ovviamente dovette essere quella del paese nel quale i discendenti di Abraham vissero per oltre quattrocento anni (6).

Sappiamo quali disastri colpirono il popolo ebraico dopo la morte del loro teocratico condottiero. La vita nomade influì non poco sul linguaggio che degenerò rapidamente. Riferendosi a questo periodo della storia d'Israele, così scrive Fabre d'Olivet: «Il suo carattere si inasprisce, il suo spirito turbolento si riaccende. Volge la mano contro sé medesimo. Su dodici tribù che lo compongono, una, quella di Beniamino, è quasi totalmente distrutta. Nondimeno, la missione che doveva compiere e che necessitava di leggi esclusive, allarma i popoli vicini; i suoi costumi, le sue istituzioni straordinarie, il suo orgoglio, li irrita e si espone ai loro attacchi. In meno di quattro secoli, subisce fino a sei volte la schiavitù e sei volte è liberato dalla mano della Provvidenza che vuole la sua conservazione. Nel turbine di queste catastrofi, il Sépher è conservato: coperto da un'utile oscurità, segue i vinti, sfugge ai vincitori e durante lungo tempo permane sconosciuto agli stessi suoi possessori. Un'eccessiva pubblicità avrebbe provocata la sua perdita. Se è vero che Mosé aveva lasciato delle istruzioni orali per evitare la corruzione del testo, non vi è dubbio che furono prese tutte le precauzioni possibili per la sua conservazione. Possiamo quindi considerare come molto probabile che coloro che si trasmettevano in silenzio e nel più inviolabile segreto il pensiero del Profeta, si confidavano nello stesso modo il Libro e, anche nelle più feroci persecuzioni, lo preservarono dalla distruzione. Infine, dopo quattro secoli di disastri, un giorno più propizio sembra sorgere per Israele. Lo scettro teocratico è diviso, gli Ebrei si eleggono un re e il loro regno, per quanto rinchiuso tra possenti vicini, non è senza splendore. Qui, un nuovo ostacolo si eleva. La prosperità determinerà quanto non avvenne durante le persecuzioni più spaventose. La mollezza, salita in trono s'insinua fino nelle ultime file del popolo. Qualche fredda cronaca, qualche allegoria mal compresa, canti di vendetta e d'orgoglio, poemi voluttuosi, decorati dai nomi di Giosué, di Ruth, di Samuele, di Davide, di Salomone usurpano il posto del Sépher. Mosé viene trascurato, le sue leggi misconosciute. I depositar! dei suoi segreti, sommersi nel lusso, in preda a tutte le tentazioni dell'avarizia, stanno per obliare i loro giuramenti. La Provvidenza leva la mano su questo popolo indocile, lo colpisce quando meno se lo aspetta. Esso si agita in convulsioni intestine, si lacera. Dieci tribù si separano e conservano il nome di Israele. Le due altre tribù prendono il nome di Giuda. Un odio inconciliabile divide i due popoli rivali, elevano altare contro altare, trono contro trono, Samaria e Gerusalemme hanno ciascuna il loro tempio. La sicurezza del Sépher nasce da questa divisione. Nel mezzo delle controversie che fa nascere questo scisma, ciascun popolo ricorda la propria origine, invoca le sue leggi misconosciute, cita il Sépher obliato. Tutto prova che né l'uno, né l'altro possedeva più questo libro e solo per una grazia del Cielo venne ritrovato molto tempo dopo (7) in fondo a un vecchio forziere ricoperto di polvere, ma felicemente conservato, sotto un ammasso di monete che l'avarizia aveva verosimilmente accumulate in segreto nascondendole a tutti. Questo avvenimento decise della sorte di Gerusalemme. Samaria, privata del suo palladio, colpita un secolo prima dalla potenza Assira, era caduta; e le sue tribù, prigioniere, disperse tra le nazioni asiatiche, non avendo alcun legame religioso, o per esprimerci più chiaramente, non entrando più nel piano conservatore della Divina Provvidenza, si erano smembrate; mentre Gerusalemme, avendo ritrovato nel momento del maggior pericolo il suo codice sacro, si attaccò ad esso con una forza che nulla poté piegare. Vanamente le genti di Giuda furono condotte in schiavitù; vanamente la loro città regale fu distrutta, come lo fu Samaria; il Sépher che li segue a Babilonia, fu il loro usbergo. Poterono anche perdere, durante i settant'anni che durò la loro cattività, anche la loro lingua materna, ma non essere sviati dall'amore per le loro leggi. Non occorreva per restituirle ad essi che un uomo di genio,- questo uomo si trovò, poiché il genio non manca mai là dove la Provvidenza lo chiama. Esdra fu il nome di questo uomo» (8). Scriba esercitato nella Legge e talmente stimato dal gran re che nulla gli venne mai negato di quanto egli chiedeva (9). Valendosi degli insegnamenti di Daniele, Esdra compose a sua volta una nuova scrittura. Ciò fu necessario perché, durante la cattività di Babilonia, i geroglifici originali vennero completamente obliati e l'insegnamento primitivo ricevuto nel centro iniziatico di On in Egitto, aveva subito la forte influenza della dottrina Caldea con la quale era venuto in contatto. Conseguentemente, anche il nuovo alfabeto più che al precedente geroglifico, si avvicinò a quello cuneiforme. Infatti, come vedremo, tutte le lettere ebraiche si presentano come un ulteriore sviluppo della lettera Yud; lettera che determina la loro formazione proprio come il segno del chiodo (Till nella scrittura babilonese) o in seguito lo stilo di canna con il quale gli scrivani incidevano le tavolette d'argilla, compone tutte le lettere dell'alfabeto cuneiforme. Questa innovazione, se così possiamo definirla, resa necessaria dalle circostanze, rimase tuttavia fedele alla concezione originale di Mosè poiché l'ideazione e la fonetica della lettera Yud conservarono ambedue i significati del geroglifico egizio I, che rappresenta la cannuccia tagliata da uno stelo di papiro mediante la quale gli scribi tracciavano le «parole degli Dei». Ma il fatto che lo Yud necessita alla formazione materiale delle altre lettere dell'alfabeto ebraico dimostra che questa idea venne ispirata dal sistema adottato dai Caldei per la scrittura cuneiforme. Il genio di Daniele e di Esdra, ideatori della scrittura ebraica, consiste nel fatto che essi pervennero mediante l'esiguo numero di ventidue lettere con le quali composero il loro alfabeto, non solo a esprimere i suoni fonetici della loro lingua, ma considerando la composizione dei vari segni e il loro raggruppamento in circa mezzo migliaio di radici monosillabiche primitive, (formate dai ventidue segni legati a due e due) riuscirono ad esprimere una rappresentazione grafica delle forze della natura ed a sviluppare tutte le azioni universali e feconde. Con il sistema escogitato, presentarono inoltre un mezzo di composizione così semplice quanto inesauribile. Poiché - scrive Fabre d'Olivet nella sua presentazione al vacabolario radicale - non esiste una sola parola ebraica di oltre una sillaba che non sia un composto derivante da una radice primitiva.

Così, ogni lettera dell'alfabeto ebraico presenta, oltre il significato fonetico, grammaticale, simbolico e numerale, la formula di una particolare combinazione delle forze costruttive. Appare quindi chiaro il concetto che si volle esprimere nel seguente passo tratto dal Libro della Formazione: «Dio ha creato con le ventidue lettere tutto quello che doveva essere creato e tutto quello che è da creare» (10).

«A prima vista - commenta Enel - la composizione dell'alfabeto ebraico può sembrare molto più semplice di quanto non sia quella dei geroglifici egizi. L'opinione è corretta, ma solo fin a un certo punto. Per esprimere le loro idee gli Egizi usarono una grande quantità di segni il significato dei quali era in parte ideografico e in parte simbolico oltre ad essere nello stesso tempo fonetico e grammaticale. Gli Ebrei pervennero a riassumere tutta la loro sapienza entro il limite ridotto di ventidue segni. Così, volendo esprimere come intesero il principio della creazione, ovviamente, dovettero esperirlo in una forma precisa e schematica» (11).

In questo breve saggio, in mancanza di riferimenti precisi, ci limiteremo a fornire soltanto un'idea della costruzione geroglifica delle lettere ebraiche e del loro articolato in rapporto al loro ordine architettonico, come ne scrissero vari autori, particolarmente a Enel e Fabre d'Olivet.

Conoscenza, questa, basilare per includere dai geroglifici che ideano le singole le lettere le diverse applicazioni delle varie forze creatrici delle quali le stesse lettere sono il simbolo e pesare in tale modo i molteplici significati, oltre quelli fonetici, grammaticali simbolici e numerali, che la Qabalah attribuisce all'alfabeto ebraico.


Alla base della costruzione geroglifica dell'alfabeto ebraico - come si è detto - vi è la lettera Yud, unità di secondo ordine perché il valore numerico che ad essa corrisponde è 10 (10=1+0=1).

Il Principio dell'unità che contiene tutte le lettere potenzialmente, è la prima lettera dell'alfabeto Aleph, ma l'unità in movimento, l'unità creatrice e quindi concreta, è lo Yud e come decomponendo un numero ne risulta una somma determinata di unità, così lo Yud è presente in tutte le lettere. Ecco perché nella scrittura ieratica il punto iniziale fu l'unità manifestata e non il Principio dell'unità che tutto comprende, anche l'infinito stesso.

Lo Yud (nella figura grande al punto 1) è la rappresentazione grafica della Potenza manifestata, come pure dell'Eternità, della Vita che si rinnova perennemente, vita latente nel chicco di grano, morto e sepolto in apparenza ma che in sé porta il germe della vita futura. Infatti, la rappresentazione del segno Yud è data da un ellissoide a due fuochi, come la radice e il germe che si formano nel chicco interrato. Con la radice si esprime simbolicamente l'unione con il Principio Vitale, con la sua Fonte Spirituale per l'uomo, che evoca la vita dell'essere; vita che si svolge nel mondo fenomenico del divenire nel quale il germe darà a sua volta un novello frutto. Nell'uomo questo germe scaturito dalla manifestazione della Vita, può evolvere verso la sua Fonte spirituale, come affondare sempre più nella materia.

L'origine di questo geroglifico si perde nella buia notte dei tempi in quanto ritroviamo analoghe rappresentazioni simboliche nelle lingue orientali come il cinese, devanagari, ecc. La stessa cosa non può dirsi delle altre lettere che compongono l'alfabeto ebraico che risalgono ad una epoca molto più prossima alla nostra. Questo alfabeto è costruito sulla linea verticale ׀, segno attivo, e sulla linea orizzontale , segno passivo. Le diverse combinazioni di queste linee fra loro e con lo Yud esprimono, come si è detto, le varie manifestazioni delle forze della Natura.

 

Nella lettera Aleph ritroviamo lo schema (Aleph-Mem-Schin letto da destra a sinistra: se - m - a = schema, le tre lettere Madri (12) «La Bilancia» del Libro del Mistero (13) il concetto Trinitario della Divinità) della Creazione del mondo reso intelligibile con dei segni che si riferiscono all'unità riflessa: Yud. Infatti, nel geroglifico che esprime la lettera Aleph, (nella figura grande al punto 2) lo Spirito di Dio, il primo Séphiroth, la Forza creatrice, l'Alito espansivo e vivificante, rappresentato dal primo Yud (di colore rosso) si muoveva sulla superficie delle acque (14) inerti, passive, fredde che stagnavano nelle profondità dell'abisso, rappresentate da una linea orizzontale di colore azzurro (nella figura grande al punto 3), L'atto creatore iniziale fu quello di scuotere la massa inerte (il caos: thohù - wa - bohu) togliendola dallo stato passivo e ciò è indicato nella struttura della lettera dall'urto impresso dal Principio vivificante (la Yud) alla materia inerte (la linea orizzontale) ponendola in movimento. Simbolicamente la rappresentazione grafica del movimento impresso alla linea orizzontale viene rappresentato mutando la direzione di questa linea in diagonale (nella figura grande al punto 4). L'urto iniziale del Principio vivificante nella materia inerte, animandola, fa comparire l'Aria, l'equilibrio, raffigurato dal secondo Yud, di colore giallo, che completa il segno (nella figura grande al punto 5).

Così la lettera Aleph esprime il principio del Ternario originale, il primo sdoppiamento ideale avvenuto in perfetto equilibrio. Come pure i tre elementi Fuoco (primo Yud) Acqua (linea diagonale) e Aria (secondo Yud).

Considerata nel suo insieme, la rappresentazione grafica esprime l'eterno dinamismo del Logos e, come tale, contiene potenzialmente tutto quello che venne creato e può essere concepito dall'uomo.

Riferendoci ai I Nomi Divini (15), è interessante notare che il valore numerico degli elementi che costituiscono la lettera Aleph, la loro somma corrisponde a quella delle lettere che compongono il «Grande Nome». Inuna fatti, Aleph, essendo composto da due Yud e da una Waw disposto diagonalmente fra loro, come simbolo di unione-separazione (nella figura grande al punto 6), sostituendo il valore numerico alle lettere abbiamo: Yud--Yud = 10 + 6 + 10 = 26 = 2 + 6 = 8 e per il «Grande Nome»: Yud--Waw- = 10 + 5 + -f 6 + 5 = 26 = 2 + 6 = 8. Quindi nell'unità espressa da Aleph esistono potenzialmente: i due piattelli della «Bilancia sospesa nel luogo che non esiste» (16) e gli Élohïm, i sei Séphiroth della Costruzione. Perciò è scritto nel Sépher Yetzirah Gap. I 12: «Egli (il Dio vivente) scelse tre lettere tra le semplici per essere simbolicamente tre Madri: Aleph, Mem, Schin e le collocò nel suo Grande Nome».

Aleph, la prima lettera madre, rappresenta il primo elemento, l'Aria, e considerata come tale viene tracciata in colore giallo. [Non siamo in accordo con l'autore, la lettera Aleph, il cui valore numerico è 1, rappresenta il primo elemento, il Fuoco e come tale viene tracciata in colore rosso]

Il secondo elemento: l'Acqua, è simbolizzato dalla successiva lettera madre Mem, segno che esprime la creazione di questo elemento quando Dio separò le acque di sotto da quelle di sopra, (17) atto che determinò la perenne circolazione dell'acqua mediante la sua ascesa come vapore e la sua caduta in pioggia, fenomeno che permette la vita sul nostro pianeta.

 Il geroglifico della lettera Mem (nella figura grande al punto 7) è composto da una linea orizzontale inferiore, che raffigura la superficie dell'acqua (le acque di sotto) linea che prosegue elevandosi verticalmente fin a terminare con una curva disposta parallelamente sopra la parte inferiore, quale rappresentazione simbolica del firmamento (le acque di sopra). Segue nel geroglifico un nodo, un arresto, che esprime la condensazione del vapore e la linea in direzione discendente, che da esso si diparte, raffigura la caduta dell'acqua. Concludendosi in tale modo l'intero ciclo.

Questo geroglifico è la semplificazione di una rappresentazione simbolica egizia che lo ha ispirato (18) che rappresenta la dea del cielo Nut e il dio della terra Geb separati dal loro amplesso dal dio dell'aria Shu. Il geroglifico Samaritano della stessa lettera (nella figura grande al punto 8) è simile ai precedenti però in esso manca l'ultimo tratto discendente. In quest'ultimo carattere la linea verticale inframmezzata da un nodo, che unisce le acque di sotto con le acque di sopra, deve quindi considerarsi percorsa da forze agenti nei due sensi, di ascesa e di caduta. Il segno samaritano è molto simile per la sua composizione al geroglifico egizio che ha per fonetica lo stesso suono M (nella figura grande al punto 9).

Infine il terzo elemento, il Fuoco, è raffigurato nella lettera Schin con appropriata similitudine (nella figura grande al punto 10). Il segno essendo composto da tre lingue di fuoco che sembrano «levarsi in alto» (19) dalla superficie dell'acqua dopo l'urto iniziale, lingue culminanti con tre Yud. Ciò per di mostrare che la ventunesima lettera dell'alfabeto, terminando il ciclo della manifestazione, l'evoluzione sta per concludersi con la lettera Taw, che corrisponde al segno di vita Ankh, la croce ansata egizia.

Nella cosmogonia ebraica, il quarto elemento, la Terra, al quale viene attribuito il colore verde risultante, evolverà più tardi quando l'universo creato in principio svilupperà le sue forze cosmiche: l'Astrale che Adam, l'uomo universale, proietterà in seguito nella materia.

 

Consideriamo le rimanenti lettere ebraiche divise per la loro struttura nei gruppi che seguono.

 

 

1. Dottrine conservate e inconsciamente documentate nel libro stesso da chi, in tempi a noi più vicini, per la prima volta lo scrisse riportando fedelmente quei riferimenti astronomici che ci permettono di prendere in considerazione questa ipotesi. Infatti, nel capitolo VI 3 è scritto: «IL Dragone è nell'universo (immobile) come un re sul suo trono. Verso l'anno 2800 a.C. il polo fu così prossimo alla brillante Alpha della costellazione del Dragone come lo è ora all'Alpha dell'Orsa minore. Durante i quindici secoli che separano l'anno 3500 dall'anno 2000 a.C. fu certamente questa stella ad indicare il polo essendo la più splendente vicina ad esso. Quindi è opinione di alcuni studiosi che entro tale periodo di tempo deve ricercarsi l'origine del Sèpher Yetzirah

2. Salmo xxxiii y 9. Nel Siphra de-Tzeniutha, il "Libro del Mistero Nascosto", che fa parte del Sèpher ha Zohar, Cap. i y 31 è scritto: «E Dio disse: Sia luce e la luce fu. Il significato è: Poiché Egli lo disse, la cosa fu».

3. Infatti, pronunciare questa «Parola» non significa niente, poiché essendo in essa racchiusi tutti i sensi (la Parola non solo è l'espressione del tutto, ma anche la sua ragione di essere) non ha un peculiare corrispondente fonetico e nessuno potrà mai comunicare tale corrispondente.

4. Op. cit. C. ii, y3

5. Atti vii, y 22

6. Esodo xii y 40

7. Vedi II Cronache xxxiv y 14 e seg. e II Re xii

8. Autore citato della "La langue hèbraique restituée" T. I. n. XXX e seg.

9. Esdra vii y 6.

10. Sépher Yetzirah vi, y 6

11. La Langue Sacrée pag. 31

12. Sépher Yetzirah C. i y 9 - «Egli (Dio) tracciò e formò le 22 lettere di fondamento, 3 madri, 7 doppie e 12 semplici, ma solo è lo Spirito in esse.

13. Sépher ha Zohar - Siphra de-Tzeniutha C. I yl. il "Libro del Mistero Nascosto" è il libro che descrive lo sviluppo della Bilancia.

14. Genesi I y 2. Sépher Yetzirah C. I y 8.9.10. «Dieci Séphiroth immateriali: il primo lo Spirito del Dio vivente. Il secondo, l'alito dello Spirito, il terzo, l'Acqua dall'alito. Il quarto, il Fuoco dall'Acqua».

15. "Teodicea della Qabalah" di Francis Warrain, traduzione di Pignatelli Federico.

16. Siphra de-Tzeniutha C. I y 5

17. Genesi I y 1

18. Vedi il saggio «I Nomi di Adamo»

19. Sépher Yetzirah VI, y 3 .

 

Architettura delle Lettere Ebraiche Gruppo della Waw Gruppo della Daleth

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Le Lettere Aïn e Tzadé