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Dopo che il “Nome intero” è stato sottratto alla maggioranza del popolo ebraico, questa stessa maggioranza ha prestato l'adorazione a Dio servendosi di tre Nomi divini – Adonai, Elohenu, Jah – che insieme sostituiscono le “quattro lettere”. JaH sostituisce la prima metà di JHVH, quella che indica le tre sephiroth supreme. Elohenu, «Dio nostro” – che deriva da Eloha o da El o Elohai, che è il nome delle sei sephiroth attive dell'Edificio Cosmico – sostituisce la Vav. Adonai, il nome di Malcouth o della Shechinah, sostituisce la Hé finale o “Hé inferiore”. Nella sua manifestazione cosmica, Adonai indica la presenza materna di Dio sulla terra, che guida al paradiso celeste i Suoi fedeli servitori. Elohenu indica, sul piano cosmico, soprattutto la gloria di Dio che dimora nell'intera creazione sopraterrena, la presenza divina in cielo e anche nel mondo venturo. Sicché Adonai ed Elohenu sono essenzialmente i nomi della presenza terrestre e celeste di Dio; Jah, invece, è il nome della “inabitazione” interamente “trascendente” di Dio, la quale sopravanza tutte le creature e trasforma l'essere individuale terrestre-celeste o corporeo-psichico dell'uomo immedesimandolo con il suo aspetto supremo, con l'uomo-Dio sefirotico, la cui “triplice testa” — Kether-H’ocmâ-Binâ — ha nome Jah.

Grazie alla presenza della Divinità nei Nomi Adonai ed Elohenu, l'ebreo può realizzare l'eterna salvezza animica del suo essere individuale, può quindi raggiungere lo scopo della religione essoterica. Jah, invece, lo libera dalla sua individualità e da ogni creaturalità portandolo, per diversi gradi spirituali ascendenti, alla meta di ogni esoterismo, cioè alla Qabalah: l'eterno Jobel o “anno giubilare” della massima “liberazione” (Ge'ullah) nel solo Reale. Secondo il suo significato metafisico, Jah è il nome del principio di tutto ciò che esiste, nonché della fine, del riassorbimento di tutte le cose nel loro principio. Sul piano temporale, questo trova la sua espressione nella storia di Israele. In effetti, il Nome Jah, che sostituisce il Tetragramma, non rappresenta soltanto il mezzo essenziale con il quale il popolo ebraico può unirsi con Dio alla fine dei tempi; esso era efficace già ai tempi dei patriarchi, quando agiva come da precursore e battistrada del Nome con quattro lettere, che fu pienamente rivelato sul Sinai. La Sacra Scrittura collega spiritualmente Giacobbe con il nome Jah, mentre chiama JHVH il “nome di Israele” (in quanto Israele è tutt'uno con JHVH, è “Sua porzione”). Nel Salmo CXXXV, 3-4 è detto: “Lodate Jah, perché è buono! Inneggiate al Nome di JHVH, poiché è soave! Perché Giacobbe fu scelto per Jah, Israele come Suo possesso”, cioè come possesso di JHVH, secondo quanto si legge in Deuteronomio XXXII,9: “Poiché la parte di JHVH è il Suo popolo...”. Isaia XLIV,5 fa esplicita distinzione tra il “nome di Giacobbe” e il “nome di Israele”: “...quegli si chiamerà con il nome di Giacobbe; altri scriverà sulla mano: "Di JHVH", e verrà designato con il nome di Israele”.

Ciò non significa che Giacobbe e gli altri due patriarchi ignorassero il Nome JHVH, ma indica che la loro missione consistette soprattutto nell'attuare e nel rivelare al mondo la prima o “superiore” metà trascendente del Nome JHVH: JaH, l'unico e “massimo Dio” (El Eljon). Ma nella missione di Giacobbe avvenne infine un decisivo passaggio dalla trascendenza alla inabitazione di JHVH, una svolta che ebbe luogo a Penuel, durante la lotta notturna del patriarca con l'“uomo” divino che a Giacobbe, uscito vincitore, assegnò il nome Israele dandogli perciò anche la “parte inferiore” del Nome JHVH: “Perché la parte (inferiore) di JHVH è il Suo popolo”. “Giacobbe” non era però ancora il “popolo di Israele”; ne era propriamente il patriarca, la radice dalla quale il popolo si sviluppò tra fortune e sfortune, quasi in concomitanza con il Nome JHVH, raggiungendo il pieno rigoglio con Mosè, dopo che JHVH si era rivelato sul Sinai nella pienezza della Sua potenza e della Sua gloria. I grandi cicli storici di Israele possono infatti così essere suddivisi: epoca “patriarcale”, da Sem, primo dei tre figli di Noè, fino alla lotta e vittoria decisiva di Giacobbe a Penuel: prima epoca di Jah; epoca dello “sviluppo etnico” di Israele fino a Mosè, fino alla grande teofania del Sinai: epoca dello “sviluppo” dal Nome Jah al Nome JHVH; epoca del vero e proprio “Israele”, il cui carattere sacerdotale è connesso con il culto sacrificale e con l'invocazione di JHVH. Quest'ultimo periodo durò dal tabernacolo mosaico fino alla distruzione del primo tempio e, in senso lato, fino alla fine del secondo tempio sul quale si irradiava ancora la Shechinah, sebbene “con forza ridotta e in modo limitato”. La distruzione del secondo tempio segnò l'inizio della “fine dei tempi”, il periodo in cui sono cessati i sacrifici e l'invocazione da parte dei sacerdoti, quando “al mondo basta l'uso di due lettere (JaH)”, come nell'epoca premosaica personificata in “Giacobbe”.

“Giacobbe fu scelto per Jah” affinché, al pari dei suoi padri, si elevasse in spirito fino all'unico e massimo Dio, diventasse tutt'uno con Lui e Lo rivelasse al mondo. Ma a Penuel si verificò un radicale cambiamento nel destino spirituale del patriarca, destino che sarebbe diventato la storia del popolo uscito da lui: “Non sarà più Giacobbe il tuo nome, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto” (Genesi XXXII,29). Queste parole significano, fra l'altro: dopo che Giacobbe aveva lottato per Dio fino alla “vittoria”, fino a raggiungere la massima unione con Lui, fino a penetrare nella Sua trascendenza (JaH), vinse anche la manifestazione dell'Altissimo compendiata nell'Uomo Universale, cioè l'“uomo” o “essere umano” divino. Giacobbe realizzò la discesa liberatrice di Dio nell'umanità, cioè il “Figlio” di Dio, la “lettera Vav” (w), che è tutt'uno con l'inabitazione divina sulla terra, con la “Madre Inferiore”, con lo «Hé inferiore”: h. II Sohar scrive: “Quando la Vav emana misteriosamente dalla Yud-Hé: hy (JaH), Israele ottiene il suo prezioso possesso”, il suo “corpo mistico”, la Shechinah (h) che sulla terra si unisce con il “Figlio” (w), quindi il «Nome intero”: JHVH (hwhy). Al ceppo semitico cui apparteneva Giacobbe diede quindi, oltre al nome etnico Israele, anche il Nome divino JHVH, donandogli non soltanto il corpo mistico, la “Comunità sacrale di Israele”, ma anche la diffusione in dodici tribù, destinate a formare l'intero “Popolo Eletto”. Tutta questa ricchezza spirituale e terrena defluì dalla Yud-Hé (JaH) attraverso la Vav-Hé (VH), scaturì cioè dalla pienezza della luce primordiale o “Figlio” (w) disceso sulla terra e dal vuoto della “Madre Inferiore” (h), dal suo concepimento del”Figlio” luminoso, grazie al quale essa generò il corpo mistico di Israele. Questo corpo mistico è perciò composto dal Vav che ne è la luce primordiale, e dallo «Hé inferiore” che ne costituisce la sostanza primordiale; sicché “la parte (inferiore) di JHVH è il Suo popolo”: Israele è la “metà” o “sposa” di JHVH sulla terra.

“Israele divenne proprietà di JHVH”, come JHVH divenne contemporaneamente il “prezioso possesso di Israele”. Si realizzò così l'“unione del Santo, sia Egli benedetto, con la Sua Shechinah”, l'unione del Dio trascendente (JaH) con la Sua inabitazione e con il ricettacolo di questa, Israele (wh). Da quel momento la Shechinah avrebbe peregrinato con Israele fino al sacratissimo centro del mondo per prendere là dimora nella propria “casa” terrena, per posarsi sul suo “trono inferiore” poggiato sulla “pietra fondamentale” del nostro universo. L'Altissimo, JaH, era disceso trasformandosi in JHVH per “dimorare tra i figli di Israele”, prima nel tabernacolo mosaico e infine nel tempio di Gerusalemme. Grazie alla discesa della Vav durante il combattimento notturno di Giacobbe, Israele ottenne tutte le luci spirituali e tutte le scienze sacre per mezzo delle quali avrebbe potuto raggiungere l'unione con la “Hé inferiore”, con la Shechinah quale tramite per l'unione con il Santo, sia Egli benedetto, e quale mezzo per realizzare sulla terra Malcouth, il “Regno” di Dio. A tale scopo Giacobbe, che fino a quel momento aveva avuto la missione di rivelare l'ascesa spirituale all'Altissimo, ebbe il compito di insegnare i «Vav” discendenti, vale a dire i “misteri della fede”, cioè i misteri dell'inabitazione di Dio sulla terra. Durante la schiavitù d'Egitto sembrò che i figli di Israele avessero smarrito tali misteri trasmessi di generazione in generazione; essi però li ricuperarono sul monte Sinai nel loro massimo e mai prima raggiunto rigoglio. Al Sinai la Vav, discendendo sulla terra in tutta la sua pienezza, rivelò a Mosè l'intera gloria divina inabitante sulla terra, l'intero “regno” di Dio sulla terra, la «Hé inferiore” di Dio. Ma avendo adorato il vitello d'oro, Israele “fu ritenuto indegno delle prime Tavole della Torah, che provenivano dall'Albero della Vita”. “La Vav — il Messia — fuggì” dal Sinai, e con lui la “Hé inferiore”, il “regno” di Dio sulla terra, che da quel momento divenne il “regno futuro”, il “mondo a venire”. Privato della Vav e della «Hé inferiore”, Israele si trovò svuotato della ragione immediata della sua esistenza, mentre JHVH aveva deciso di annientare il popolo idolatrico. Dio perdonò Israele soltanto grazie all'intercessione di Mosè, ma le prime Tavole erano infrante. Dio diede al Suo popolo immaturo “altre Tavole che provenivano dall'Albero della Conoscenza del bene e del male”: da quel momento l'umanità avrebbe dovuto lottare per il bene e combattere il male; avrebbe dovuto “generare nelle doglie il Messia”, che dopo essere disceso sul Sinai ne era fuggito via. Il tabernacolo - cioè il culto sacrificale e l'invocazione demandati ai sacerdoti - che era originariamente destinato a diffondere in tutto il mondo la luce messianica, d'ora in poi non avrebbe varcato i confini di Israele. JHVH, che aveva perdonato il Suo popolo, ridiscese come Vav — non però come Redentore universale, ma come “Dio di Israele” — nella “Hé inferiore”, ma non nel tempio dell'umanità, bensì nella “tenda di Israele”, nel tabernacolo di Mosè. Con l'aiuto della Shechinah — che dimorava nel cuore di Israele e che per quarant'anni accompagnò il popolo attraverso il deserto — Mosè preparò Israele a entrare nella terra promessa. Là Salomone avrebbe edificato il centro sacratissimo, la “casa” di Dio originariamente destinata a preparare l'umanità allo «Hé finale” di JHVH, alla Gerusalemme del futuro, al regno messianico universale.

La Shechinah entrò nella terra promessa come “corpo mistico” o “Comunità sacrale di Israele”, e là infine dimorò nel tempio di Salomone come presenza reale di JHVH. Nel tempio il sommo sacerdote benediceva l'intero popolo con il “Nome intero”, unendolo in tal modo con la gloria immanente di Dio e, grazie ad essa, con la Sua infinita trascendenza, con il “Santo”, sia Egli benedetto. In virtù di tale sconfinata benignità, che fluendo dal Nome vivente di Dio lo univa a Lui, il Popolo Eletto “prefigurava” entro i confini della Terra Santa il futuro regno di Dio sulla terra. Ma Israele ricadde nel peccato dell'idolatria e nei vizi che essa comporta, fino a che il meraviglioso tempio fu distrutto e il popolo, spiritualmente corrotto, fu trascinato nell'esilio di Babilonia. Lo Zohar scrive: “Durante i settant'anni d'esilio Israele non ricevette dall'alto più alcuna luce che lo guidasse; questa fu la vera essenza del suo esilio. Quando infine Israele fu liberato dall'oppressione di Babilonia e ritornò nella Terra Santa, quando infine spuntò nuovamente per lui una luce, questa non risplendette più come prima (quando il popolo era totalmente inondato dalla luce del Nome JHVH; infatti, a causa del suo peccato il "Nome intero" si era in larga misura sottratto a Israele, come indicavano la distruzione del primo tempio e l'esilio); (nel secondo tempio) regnava ormai soltanto l'emanazione dello "Hé inferiore" (della Shechinah, della "Madre Inferiore" o ricettività di Dio sulla terra, che ormai non riceveva più l'influsso pieno della luce primordiale, del "Figlio" o Vav, quindi neppure più quello della Yud-Hé o JaH), perché non tutto Israele era ritornato a quell'antica purezza che aveva fatto di lui il "Popolo Eletto". Sicché l'emanazione della Yud non discendeva più, come prima, dall'alto, ma si manifestava soltanto in misura ridotta. Da quel momento Israele fu coinvolto in numerose guerre, finché "le tenebre avvolsero la terra" e anche la "Hé inferiore" si ottenebrò e infine "si frantumò" (onde il "Nome intero" si sottrasse totalmente al popolo e ne fu vietata la pronuncia, non soltanto alla massa di Israele ma anche ai suoi sacerdoti). La sorgente superiore si disseccò nuovamente (come quando il primo tempio rovinò su se stesso), il secondo tempio fu distrutto e le dodici tribù trascinate in esilio nel regno di Edom (1). Anche la Hé andò in esilio...”. La Shechinah abìbandonò la sua sacratissima dimora visibile e seguì Israele disperso per il mondo, continuando a diffondere, con le sue scintille, una debole luce ovunque si trovassero comunità di ebrei fedeli. Tuttavia, nella sacra cenere della sua gloria carbonizzata si celavano talvolta alcuni barlumi, cioè persone magnanime nel cui cuore si era riaccesa prepotentemente la luce primordiale; subordinatamente alla ricettività spirituale dell'ambiente che accoglieva l'influsso di tali persone, la Shechinah tornava a brillare anche all'esterno in tutta la sua reale luminosità. Questa élite spirituale sopravvisse e sopravvive tuttora nei veri Mekubbalim o cabalisti iniziati, che costituiscono le segrete e talvolta manifeste “colonne” del popolo disperso, nonostante che oggi tali eletti sembrino ridotti a un numero estremamente limitato in questo mondo ateo in cui trionfa la civiltà di “Edom” penetrata nella Terra Santa stessa.

Davide, che secondo Lo Zohar previde per virtù dello Spirito Santo la fine dell'ultima dispersione di Israele – che secondo i profeti coinciderà con la fine dei tempi –, rivelò nel Salmo CII,19: (2) “Sia scritto tutto ciò per la generazione futura (dor acharon: letteralmente, "ultima generazione") e il popolo che sarà ricreato (alla fine dei tempi) lodi JaH”. L'ultima parola dei profeti ebraici suona: “Ecco, Io vi manderò Elia (Elijah = "mio Dio è JaH") il profeta (il cui nome rivela quale Nome divino dovrà essere invocato da Israele quando egli comparirà sulla terra per preparare la venuta del Messia), prima che venga il giorno di JHVH, quello grande e terribile (perché in quel giorno le Sue "quattro lettere" si manifesteranno nella loro intera pienezza visibile)...”. L'invocazione del Nome JaH è il mezzo con cui l'uomo può “unirsi gradualmente” con Dio, e insieme il modo per prepararsi a ricevere il Nome JHVH nel “giorno grande e terribile”, quando l'unione – e la distruzione – sarà fulminea. L'uomo deve invocare JaH fino a quando riceverà la Sua risposta illuminante e liberatrice. Quale sarà la risposta? È wh, la Sua discesa e l'“unione del Suo Nome”. Il peccato dell'uomo ha, per così dire, esiliato la Shechinah, la inabitazione di Dio (VH), quasi separandola dalla Sua trascendenza (yh), dal Santo, sia Egli benedetto. Perciò l'uomo – come insegnò con insistenza il grande maestro cabalistico Isacco Luria – deve osservare i comandamenti con questa intenzione: “Perché il Santo, sia Egli benedetto, si unisca con la Sua Shechinah, nel timore e nell'amore, per ricomporre il Nome J"H, sia Egli benedetto, in una unione perfetta, in nome dell'intero Israele” (3).

Come si deduce dai testi scritturistici citati e dal Talmud, dopo la distruzione del tempio Israele deve invocare JaH. A parte questi testi, la Cabala ne parla specificamente dandone anche le varie ragioni e aggiungendo a quelle già dette una motivazione intesa a spiegare in modo particolare perché, sul piano puramente pratico, il Nome JaH è uno dei mezzi più essenziali con cui Israele potrà ottenere l'aiuto divino alla fine dei tempi (quando cioè la maggioranza degli ebrei, essendo inserita in un mondo materialista e incredulo, troverà l'osservanza perfetta della Legge “difficile come scalare la parete liscia di una montagna»): “Tutto è contenuto in questo nome (JaH), tutto ciò che è in alto (e che si assomma nella realtà trascendente della Yud, la prima lettera di JHVH) e tutto ciò che è in basso (nella onnipresente inabitazione della Hé inferiore o "Hé finale"). In questo nome sono contenute tutte le seicentotredici leggi della Torah (perciò l'essenza dei misteri celesti e terrestri)”. Chi pecca contro i seicentotredici precetti o divieti della Legge mosaica, pecca nei confronti di JaH; ma chi confessa a JaH il suo peccato chiedendogli perdono con cuore contrito e sincero – chi Lo “invoca con verità” – è uguale a chi osserva tutta la Legge. Poiché JaH è il Nome del “Padre misericordioso” e contiene tutto ciò che è in alto e tutto ciò che è in basso, tutti i precetti e divieti della Torah, Egli compensa benignamente le insufficienze di chi Lo invoca: JaH perdona le trasgressioni a chi è sinceramente contrito. Per questo il salmista e profeta di JaH ha esclamato: “Nell'angustia invocai JaH, mi rispose portandomi in salvo, JaH!... Non morirò, anzi vivrò e narrerò le opere di JaH. JaH mi punì con severità, ma non mi consegnò alla morte! Spalancatemi le porte di giustizia, che io vi entri e ringrazi JaH!”. Dio non libererà Sion con la severità, bensì con la compassione, quando sarà venuto il momento stabilito: “Tu sorgi e hai compassione di Sion; poiché è tempo di graziarla, è venuto il momento”." “Poiché mirò dall'alto della Sua santità, JHVH dai cieli guardò sulla terra per udire il sospiro dell'uomo in catene (in questo mondo di "Edom"), per sciogliere i votati alla morte (cioè tutti coloro che ripongono in Lui la loro fiducia e Lo invocano quale Padre misericordioso, JaH, perché li liberi dalle tenebre spirituali della fine dei tempi)”. “Misericorde e pietoso JHVH, tardo all'ira e pieno di bontà. Non rimprovera sempre né in eterno mantiene lo sdegno. Non ci tratta secondo i nostri peccati né ci ripaga secondo le nostre iniquità. Perché, anzi, quanto il cielo soverchia la terra, tanta è la Sua bontà con coloro che Lo temono; perché di quanto dista l'oriente dall'occidente di tanto allontana da noi le nostre trasgressioni. Come ha pietà un padre dei figli, ha pietà JHVH (o "Padre misericordioso", JaH) di coloro che Lo temono. Perché Egli sa come siamo composti, ricorda che siamo polvere (e non possiamo cambiare il mondo materialista in cui siamo nati e dove dobbiamo vivere da spirituali)”.

 

 

 

1 -  É il nome della terra degli Edomiti, che si stendeva tra il Mar Morto e il golfo Elanitico (golfo di Akaba), e qui indica simbolicamente l'intero impero romano. Secondo la Bibbia (Genesi XXXVI,8 e seguenti), "Esaù è Edom", onde gli "edomiti discendono da Esaù", che per un piatto di lenticchie cedette il diritto di primogenitura - quindi la benedizione paterna privilegiata e l'eredità spirituale che essa includeva - al fratello minore Giacobbe, il futuro Patriaca di Israele. La Tradizione giudaica ravvisa perciò in Esaù la personificazione degli istinti animali e materiali dell'uomo, che contrasta con la disposizione alle cose spirituali personificata in Giacobbe o Israele. Nella cornice di tale Tradizione la Qabalah ha considerato i re di Edom enumerati in Genesi XXXVI,31-39 - eccettuato l'ultimo Hadar - come altrettanti simboli dello stato incompiuto del cosmo precedente il Fiat Lux

A proposito di tale soggetto consultare anche, in questa stessa sezione,

Caduta e Restaurazione.

Storicamente, gli ebrei hanno chiamato "Edom" l'impero romano e tutti i popoli pagani dell'antichità, mentre nell'epoca moderna hanno attribuito tale denominazione alla civiltà materialistica e incredula dell'Occidente.

2 - Il Salmo CII - che può definirsi il Salmo della "fine" - è la "preghiera di un afflitto" (titolo) i cui giorno "svanirono come fumo" e "scomparvero come ombra al declino".

3 - Questa formula si trova per esteso nei libri Hassidici di preghiere ed era recitata quando si indossava il mantello e si cingeva la cintura per la preghiera quotidiana. 

 

Indice

JHVH e JaH Significato delle quattro lettere Il nome divino della fine dei tempi

L'efficacia graduale del nome JaH