I PROTOCOLLI DEI SAVI ANZIANI DI SION
VERSIONE ITALIANA CON APPENDICE
DA: "
LA VITA ITALIANA"
RASSEGNA MENSILE DI POLITICA
Via dell'Unità, 25
1921

ROMA



PROTOCOLLO I


Parleremo apertamente, discuteremo il significato di ogni riflessione e, per mezzo di paragoni e deduzioni, arriveremo a dare una spiegazione completa esponendo così il concetto della nostra politica e di quella dei Goys (parola ebraica per definire tutti i Gentili). Si deve anzitutto notare che gl'individui corrotti sono assai più numerosi di coloro che hanno nobili istinti, perciò nel governare il mondo i migliori risultati sono ottenuti colla violenza e l'intimidazione, anziché con le discussioni accademiche. Ogni uomo mira al potere, ognuno vorrebbe essere un dittatore e sono, in vero, assai rari coloro che non sono pronti a sacrificare il benessere altrui pur di raggiungere le proprie finalità. Che cosa ha frenato quelle belve che chiamiamo uomini? Che cosa li ha governati? Nei primordi della civiltà si sono sottomessi alla forza cieca e brutale, poi alla legge la quale - in realtà - è la stessa forza, ma mascherata. Da ciò debbo dedurre che, secondo la legge della natura, il diritto sta nella forza. La libertà politica non è un fatto, ma una idea.
Si deve sapere come applicare questa idea quando necessita, allo scopo di servirsene come di un'esca per attirare la forza della plebe al proprio partito, se detto partito ha deciso di usurpare il potere di un rivale. Il problema viene semplificato, se questo rivale diventa infetto da idee di "libertà" - dal cosiddetto liberalismo - e se per questo ideale cede una parte del suo potere. In queste circostanze trionfa il nostro concetto. Una nuova mano afferra le abbandonate redini del Governo, secondo vuole la legge vitale, perché la forza cieca del popolo non può esistere per un solo giorno senza un Capo che la guidi, ed il nuovo Governo non fa che sostituire il vecchio indebolito dal suo liberalismo.
Oggi giorno la potenza dell'oro ha sopraffatto i regimi liberali. Vi fu un tempo in cui la religione governava. Il concetto della libertà non è realizzabile perché nessuno sa adoperarla con discrezione. Basta dare l'autonomia di governo ad un popolo, per un periodo brevissimo, perché esso diventi una ciurmaglia disorganizzata. Da quel momento stesso cominceranno i dissidi, i quali presto si trasformano in guerre civili, l'incendio si appicca ovunque e gli Stati cessano virtualmente di esistere. Lo stato, sia che si esaurisca in convulsioni interne, sia che la guerra civile lo dia in mano a un nemico esterno - può considerarsi definitivamente e totalmente distrutto e sarà in nostro potere. Il dispotismo capitalista, che è interamente nelle nostre mani, gli tenderà un fuscello al quale lo Stato dovrà inevitabilmente aggrapparsi per evitare di cadere inesorabilmente nell'abisso.
Se qualcuno per motivo di liberalismo asserisce che simili discussioni sono immorali farò una domanda: perché non è immorale per uno Stato che ha due nemici, uno esterno e l'altro interno, il servirsi contro l'uno di mezzi difensivi diversi da quelli che usa contro l'altro, formando cioè piani segreti di difesa, e di attacco di notte o con forze superiori? Dunque, perché dovrebbe essere immorale per lo Stato di servirsi di questi medesimi mezzi contro ciò che rovina le sue fondamenta ed il benessere della sua stessa esistenza? Può una mente sana e logica sperare di governare una massa con successo per mezzo di argomenti e ragionamenti, quando sussiste la possibilità che essi siano contraddetti da altri i quali, anche se assurdi e ridicoli, vengano presentati in guisa attraente a quella parte della plebe, che non è capace di ragionare o di approfondire, guidata come è interamente da piccole passioni e convenzioni, o da teorie sentimentali?
Il grosso della plebe, non iniziata ed ignorante, assieme a coloro che sono sorti e saliti da essa, vengono avviluppati in dissensi di partito, che rendono impossibile qualsiasi accordo anche sulla base di argomenti sani e convincenti. Ogni decisione della massa dipende da una maggioranza casuale o predisposta la quale, nella sua totale ignoranza dei misteri politici, approva risoluzioni assurde, seminando in questo modo i germi dell'anarchia. La politica non ha niente di comune con la morale; un sovrano che si lascia guidare dalla morale non è un accorto politico, conseguentemente non è sicuramente assiso sul trono. Chi vuol regnare deve ricorrere all'astuzia ed all'ipocrisia. L'onestà e la sincerità, grandi qualità umane, diventano vizi in politica. Esse fanno perdere il trono più certamente che non il più acerrimo nemico. Queste qualità devono essere gli attributi delle nazioni Gentili, ma noi non siamo affatto costretti a lasciarci andare da esse. Il nostro diritto sta nella forza. La parola "diritto" rappresenta un'idea astratta senza base alcuna, e significa né più né meno che: "datemi quello che voglio perché io possa dimostrarvi in conseguenza che io son più forte di voi".
Dove principia il diritto e dove termina? In uno Stato dove il potere è male organizzato, ove le leggi e le personalità del regnante sono resi inefficaci dal continuo liberalismo invadente, io mi servo di una nuova forma di attacco usando del diritto della forza per distruggere i canoni e i regolamenti già esistenti, impadronirmi delle leggi, riorganizzare tutte le istituzioni, e diventare così il dittatore di coloro i quali hanno spontaneamente rinunciato al loro potere conferendolo a noi. La nostra forza, nelle attuali traballanti condizioni dell'autorità civile, sarà maggiore di qualsiasi altra, perché sarà invisibile, sino al momento che saremo diventati tanto forti da non temere più nessun attacco per quanto astutamente preparato. Dal male temporaneo, al quale siamo obbligati a ricorrere, emergerà il benefizio in un regime incrollabile che reintegrerà il funzionamento dell'esistenza naturale, distrutto dal liberalismo.
Il fine giustifica i mezzi.
Nel formulare i nostri piani, dobbiamo fare attenzione non tanto a ciò che è buono e morale, quanto a ciò che è necessario e vantaggioso.
Abbiamo davanti un piano dove è tracciata una linea strategica dalla quale non dobbiamo deviare, altrimenti distruggeremo il lavoro di secoli. Per stabilire uno schema d'azione adeguato, dobbiamo tener presente la meschinità, l'incostanza e la mancanza di equilibrio morale della folla, nonché l'incapacità sua di comprendere e di rispettare le condizioni stesse del suo benessere e della sua esistenza. Si deve comprendere, che la forza della folla è cieca e senza acume; che porge ascolto ora a destra ora a sinistra. Se il cieco guida il cieco, ambedue cadranno nella fossa. Conseguentemente quei membri della folla che sono venuti su da essa, non possono, anche essendo degli uomini d'ingegno, guidare le masse senza rovinare la Nazione. Solamente chi è stato educato alla sovranità autocratica può leggere le parole formate con l'alfabeto politico. Il popolo abbandonato a sé stesso, cioè in balia di individui saliti su dalla plebe, viene rovinato dai dissensi di partito che hanno origine dall'avidità di potere e dalla bramosia di onori, generatrici di agitazioni e disordini.
È forse possibile che le masse possano giungere tranquillamente ed amministrare senza gelosia gli affari di Stato che non devono confondere con i loro interessi personali? Possono le masse organizzare la difesa contro il nemico esterno? Ciò è assolutamente impossibile, perché un piano suddiviso in tante parti quante sono le menti della massa, perde il suo valore e quindi diventa inintelligibile ed ineseguibile. Soltanto un autocrate può concepire piani vasti, assegnando la sua parte a ciascun ente del meccanismo della macchina statale. Quindi concludiamo essere utile per il benessere del paese, che il governo del medesimo sia nelle mani di un solo individuo responsabile. Senza il dispotismo assoluto la civiltà non può esistere, perché la civiltà può essere promossa solamente sotto la protezione del regnante, chiunque egli sia, e non dalla massa.
La folla è barbara, ed agisce barbaramente in ogni occasione. La turba, appena acquista la libertà, rapidamente la trasforma in anarchia, la quale è per sé stessa la massima delle barbarie. Date uno sguardo a quei bruti alcoolizzati ridotti all'imbecillità dalle bevande il cui consumo illimitato è tollerato dalla libertà! Dovremo noi permettere a noi stessi ed ai nostri simili di fare altrettanto? I popoli della Cristianità sono fuorviati dall'alcool; la loro gioventù è resa folle dalle orge classiche e premature alle quali l'hanno istigata i nostri agenti - e cioè i precettori, i domestici, le istitutrici, gli impiegati, i commessi e via dicendo -; dalle nostre donne nei loro luoghi di divertimento; ed a queste ultime aggiungo anche le cosiddette "Signore della Società" - loro spontanee seguaci nella corruzione e nella lussuria.
Il nostro motto deve essere: "Qualunque mezzo di forza ed ipocrisia!".
In politica vince soltanto la forza schietta, specialmente se essa si nasconde nell'ingegno indispensabile per un uomo di Stato. La violenza deve essere il principio; l'astuzia e l'ipocrisia debbono essere la regola di quei governi che non desiderano di deporre la loro corona ai piedi degli agenti di una potenza nuova. Il male è l'unico mezzo per raggiungere il bene. Pertanto non dobbiamo arrestarci dinanzi alla corruzione, all'inganno e al tradimento, se questi mezzi debbono servire al successo della nostra causa.
In politica dobbiamo saper confiscare le proprietà senza alcuna esitazione, se con ciò possiamo ottenere l'assoggettamento altrui e il potere per noi. Il nostro Stato, seguendo la via della conquista pacifica, ha il diritto di sostituire agli orrori della guerra le esecuzioni, meno appariscenti e più utili, che sono i mezzi necessari per mantenere il terrore, producendo una sottomissione cieca. La severità giusta ed implacabile è il fattore principale della potenza dello Stato. Non solo perché è vantaggioso, ma altresì per dovere e per la vittoria, dobbiamo attenerci al programma della violenza e dell'ipocrisia. I nostri principi sono altrettanto potenti quanto i mezzi coi quali li mettiamo in atto. Questo è il motivo per cui non solo con questi mezzi medesimi ma anche con la severità delle nostre dottrine, trionferemo ed assoggetteremo tutti i Governi al nostro Super-Governo. Basta che si sappia che siamo implacabili per prevenire ogni recalcitranza. Anche nel passato noi fummo i primi a gettare al popolo le parole d'ordine: "Libertà, uguaglianza, fratellanza". Parole così spesso ripetute, da quel tempo in poi, da pappagalli ignoranti accorrenti in folla da ogni dove intorno a quest'insegna. Costoro, ripetendole, tolsero al mondo la prosperità ed all'individuo la vera libertà personale, che prima era stata così bene salvaguardata, impedendo alla plebaglia di soffocarla.
I Gentili sedicenti dotti e gli intelligenti, non percepirono quanto fossero astratte le parole che pronunciavano e non si accorsero che queste parole non solo non si accordavano, ma si contraddicevano addirittura.
Essi non seppero vedere che l'eguaglianza non esiste nella natura, la quale crea calibri diversi e disuguali di mente, carattere e capacità. Così è d'uopo assoggettarsi alle leggi della natura. Questi sapientoni non seppero intuire che la massa è una potenza cieca e che coloro i quali, emergendo da essa, vengono chiamati al governo, sono ugualmente ciechi in fatto di politica; che un uomo destinato a regnare può governare, anche se sia uno sciocco, ma che un uomo il quale non è stato preparato a tale compito, non comprenderebbe nulla di politica anche se fosse un genio. I Gentili hanno messo da parte tutto ciò, mentre è su questa base, che fu fondato il governo dinastico.
Il padre soleva istruire il figlio nel significato e nello svolgimento delle evoluzioni politiche in maniera tale che nessuno, fuorché i membri della dinastia, potesse averne conoscenza e che pertanto nessuno potesse svelarne i segreti al popolo governato. Col tempo il significato dei veri insegnamenti politici, quali erano trasmessi nelle dinastie da una generazione all'altra, andò perduto, e questa perdita contribuì al successo della nostra causa. Il nostro appello di: "libertà, uguaglianza, fratellanza", attirò intiere legioni nelle nostre file dai quattro canti del mondo attraverso i nostri inconsci agenti, e queste legioni portarono i nostri stendardi estaticamente. Nel frattempo queste parole rodevano, come altrettanti vermi, il benessere dei Cristiani e distruggevano la loro pace, la loro costanza, la loro unione, rovinando così le fondamenta degli Stati. Come vedremo in seguito, questa azione determinò il nostro trionfo. Esso ci dette, fra l'altro, la possibilità di giocare l'asso di briscola, vale a dire di ottenere l'abolizione di privilegi; ossia, in altre parole, l'abolizione dell'aristocrazia dei Gentili, la quale era l'unica difesa che le Nazioni ed i paesi possedevano contro di noi. Sopra le rovine di una aristocrazia naturale ed ereditaria, costruimmo un'aristocrazia nostra a base plutocratica. Fondammo questa nuova aristocrazia sulla ricchezza, che noi controllavamo, e sulla scienza promossa dai nostri dotti. Il nostro trionfo fu facilitato dal fatto, che noi, mediante le nostre relazioni con persone che erano indispensabili, abbiamo sempre agito sulla parte suscettibile della mente umana; cioè sfruttando l'avidità di guadagno delle nostre vittime, la loro ingordigia, la loro instabilità, nonché profittando delle esigenze naturali dell'uomo, poiché ognuna di queste debolezze, presa da sé, è capace di distruggere l'iniziativa, ponendo così la potenza volitiva del popolo in balìa di coloro che vorrebbero privarlo di tutto il suo potere di iniziativa. Il significato astratto della parola libertà rese possibile di convincere le turbe che il Governo non è altro che un gerente rappresentante il possessore - vale a dire la Nazione -; e pertanto può essere messo da parte come un paio di guanti usati. Il fatto che i rappresentanti della Nazione possono essere destituiti li diede in nostro potere e fece sì che la loro nomina è praticamente nelle nostre mani.




PROTOCOLLO II


Per il nostro scopo è indispensabile che le guerre non producano modificazioni territoriali. In tal modo, senza alterazioni territoriali, la guerra verrebbe trasferita sopra una base economica. Allora le nazioni dovranno riconoscere la nostra superiorità per l'assistenza che sapremo dare ad esse, e questo stato di cose metterà entrambe le parti alla mercè dei nostri intermediarii internazionali dagli occhi di lince, i quali hanno inoltre mezzi assolutamente illimitati. Allora i nostri diritti internazionali cancelleranno le leggi del mondo e noi governeremo i paesi nello stesso modo che i singoli governi governano i loro sudditi.
Sceglieremo fra il pubblico amministratori che abbiano tendenze servili. Essi non avranno esperienza dell'arte di governare, e perciò saranno facilmente trasformati in altrettante pedine del nostro giuoco; pedine che saranno nelle mani dei nostri astuti ed eruditi consiglieri, specialmente educati fino dall'infanzia nell'arte di governare il mondo. Come già sapete, questi uomini hanno studiato la scienza del governo dai nostri piani politici, dall'esperienza dataci dalla storia e dalla osservazione degli avvenimenti che si susseguono. I Gentili non traggono profitto da costanti osservazioni storiche, ma seguono una routine teorica senza considerare quali possano esserne le conseguenze, quindi non occorre prenderli in considerazione. Lasciamo che si divertano finché l'ora suonerà, oppure lasciamoli vivere nella speranza di nuovi divertimenti, o nel ricordo di godimenti che furono. Lasciamoli nella convinzione che le leggi teoriche, che abbiamo ispirato loro, siano per essi di suprema importanza. Con questa mèta in vista e coll'aiuto della nostra stampa, aumentiamo continuamente la loro cieca fiducia in queste leggi. Le classi istruite dei Gentili si vanteranno della propria erudizione e metteranno in pratica, senza verificarle, le cognizioni ottenute dalla scienza che i nostri agenti scodellarono loro allo scopo prefisso di educarne le menti secondo le nostre direttive. Non crediate che le nostre asserzioni siano parole vane: notate il successo di Darwin, di Marx e di Nietsche, che fu intieramente preparato da noi. L'azione demoralizzatrice di queste scienze sulle menti dei Gentili dovrebbe certamente esserci evidente. Per evitare di commettere errori nella nostra politica e nel nostro lavoro di amministrazione, è per noi essenziale di studiare e di tener presente l'attuale andamento del pensiero, le caratteristiche e le tendenze delle nazioni.
Il successo del nostro piano consiste nella sua adattabilità al temperamento delle nazioni colle quali veniamo a contatto. Esso non può riuscire se la sua applicazione pratica non è basata sull'esperienza del passato, integrata con le osservazioni dell'ora presente. La stampa è una grande forza nelle mani dei presenti Governi, i quali per suo mezzo controllano le menti popolari. La stampa dimostra le pretese vitali della popolazione, ne rende note le lagnanze e talvolta crea lo scontento nella plebe. La realizzazione della libertà di parola nacque nella stampa, ma i governi non seppero usufruire di questa forza ed essa cadde nelle nostre mani. Per mezzo della stampa acquistammo influenza pur rimanendo dietro le quinte. In virtù della stampa accumulammo l'oro: ci costò fiumi di sangue ed il sacrificio di molta gente nostra, ma ogni sacrificio dal lato nostro, vale migliaia di Gentili nel cospetto di Dio.



PROTOCOLLO III


Oggi vi posso assicurare che siamo a pochi passi dalla nostra mèta. Rimane da percorrere ancora una breve distanza e poi il ciclo del Serpente Simbolico - emblema della nostra gente - sarà completo. Quando questo ciclo sarà chiuso, tutti gli Stati Europei vi saranno costretti come da catene infrangibili. La bilancia sociale ora esistente andrà presto in isfacelo, perché noi ne alteriamo continuamente l'equilibrio, allo scopo di logorarla e distruggerne l'efficienza al più presto possibile.
I Gentili credettero che tale bilancia fosse forte e resistente e confidavano di tenerla sempre accuratamente in equilibrio, ma i suoi sostegni, cioè i capi degli Stati, trovano un impedimento nei loro servitori i quali non giovano nulla ad essi, perché sono trascinati dalla loro illimitata forza d'intrigo, causata dai terrori che prevalgono nelle Corti. Il Sovrano, siccome non ha i mezzi per penetrare nel cuore del suo popolo, non può difendersi contro gli intriganti avidi di potere. Dacché noi abbiamo scisso il potere vigile dal potere cieco della popolazione, entrambi hanno perduto il loro significato, perché una volta divisi, sono spersi l'uno e l'altro come un cieco al quale manchi il suo bastone. Per indurre gli amanti del potere a fare cattivo uso dei loro diritti, aizzammo tutte le Potenze, le une contro le altre, incoraggiandone le tendenze liberali verso l'indipendenza. Abbiamo fomentato ogni impresa in questo senso, ponendo così delle armi formidabili nelle mani di tutti i partiti, e abbiamo fatto sì che il potere fosse la mèta di ogni ambizione. I governi li abbiamo trasformati in arene dove si combattono le guerre di partito. Fra poco il disordine ed il fallimento appariranno ovunque. Chiacchieroni irrefrenabili trasformarono le assemblee parlamentari ed amministrative in riunioni di controversia. Giornalisti audaci, e sfacciati scrittori di opuscoli, attaccano continuamente i poteri amministrativi. L'abuso del potere preparerà definitivamente il crollo di tutte le istituzioni e tutto cadrà sotto i colpi della popolazione inferocita. Il popolo è assoggettato nella miseria dal sudore della sua fronte in un modo assai più formidabile che non dalle leggi della schiavitù. Da quest'ultima i popoli poterono affrancarsi in un modo o in un altro, mentre nulla li potrà liberare dalla tirannide della completa indigenza. Ponemmo cura di inserire nelle costituzioni molti diritti che per le masse sono puramente fittizi. Tutti i cosiddetti "diritti del popolo" possono esistere solo in teorie le quali non sono praticamente applicabili. Qual vantaggio deriva ad un operaio del proletariato, curvato dalle sue dure fatiche ed oppresso dal destino, dal fatto che un ciarlone ottiene il diritto di parlare, od un giornalista quello di stampare qualsiasi sciocchezza? A che giova una costituzione al proletariato, se da essa non riceve altro benefizio che le briciole che gli gettiamo dalla nostra tavola quale ricompensa perché dia i suoi voti ai nostri agenti? I diritti repubblicani sono un'ironia per il povero, perché la dura necessità del lavoro quotidiano gli impedisce di ricavare qualsiasi beneficio da diritti di tal genere e non fa che togliergli la garanzia di uno stipendio fisso e continuo rendendolo schiavo degli scioperi, di chi gli dà lavoro e dei suoi compagni. Sotto i nostri auspici la plebe ha completamente distrutto l'aristocrazia, la quale sempre la sovvenne e la custodì per il vantaggio proprio, che era inseparabile dal benessere della popolazione. Oggi giorno il popolo, avendo distrutto i privilegi dell'aristocrazia, è caduto sotto il giogo di furbi sfruttatori e di gente venuta su dal nulla. Noi abbiamo l'intenzione di assumere l'aspetto di liberatori dell'operaio, venuti per affrancarlo da ciò che lo opprime, quando gli suggeriremo di unirsi alla fila dei nostri eserciti di socialisti, anarchici e comunisti. Sosteniamo i comunisti, fingendo di amarli giusta i principii di fratellanza e dell'interesse generale dell'umanità, promosso dalla nostra massoneria socialista. L'aristocrazia, la quale - per diritto - spartiva il guadagno delle classi operaie, si interessava perché queste classi fossero ben nutrite, sane e robuste. Il nostro scopo è invece l'opposto, vale a dire che ci interessiamo alla degenerazione dei Gentili. La nostra forza consiste nel tenere continuamente l'operaio in uno stato di penuria ed impotenza, perché, così facendo, lo teniamo assoggettato alla nostra volontà e, nel proprio ambiente, egli non troverà mai la forza e l'energia di insorgere contro di noi. La fame conferirà al Capitalismo dei diritti sul lavoratore infinitamente più potenti di quelli che il legittimo potere del Sovrano potesse conferire alla aristocrazia.
Noi governiamo le masse mediante i sentimenti di gelosia ed odio fomentati dall'oppressione e dalla miseria. Ed è facendo uso di questi sentimenti che togliamo di mezzo tutti coloro che ci ostacolano.
Quando verrà il giorno dell'incoronazione del nostro Sovrano Mondiale, provvederemo con questi stessi mezzi, e cioè servendoci della plebe, a distruggere tutto ciò che potrebbe ostacolare il nostro cammino. I Gentili non sono più capaci di ragionare in materia di scienza, senza il nostro aiuto. Per questo motivo essi non comprendono la necessità vitale di certe condizioni, che noi ci facciamo un dovere di tener nascoste sino al momento in cui giungerà la nostra ora; specialmente, che nelle scuole si dovrebbe insegnare la sola vera e più importante di tutte le scienze, e cioè la scienza della vita dell'uomo e delle condizioni sociali, le quali richiedono entrambe la spartizione del lavoro e conseguentemente la classificazione degli individui in caste e classi.
È indispensabile che tutti sappiamo che la vera eguaglianza non può esistere, data la natura diversa delle varie qualità di lavoro; e che pertanto coloro i quali agiscono a detrimento di tutta una casta incorrono in una responsabilità ben diversa, davanti alla legge, di quelli che commettono un delitto nocivo soltanto al loro onore personale.
La vera scienza delle condizioni sociali, ai segreti della quale non ammettiamo i Gentili, convincerebbe il mondo che il lavoro e gli impieghi si dovrebbero assegnare a caste ben distinte, allo scopo di evitare insofferenze umane derivanti da una educazione non corrispondente al lavoro che gli individui sono chiamati ad eseguire. Se essi studiassero questa scienza, il popolo si sottometterebbe volontariamente ai poteri governativi e alle caste di governo classificate da essi.
Date le condizioni attuali della scienza, che segue una linea tracciata da noi, la plebe, nella sua ignoranza, crede ciecamente nelle parole stampate e nelle illusioni erronee opportunamente ispirate da noi, ed odia tutte le classi che crede più elevate della sua. Ciò perché essa non comprende l'importanza di ogni singola casta. Questo odio diventerà ancora più acuto quando si tratterrà di crisi economiche, perché allora arresterà i mercati e la produzione. Determineremo una crisi economica universale con tutti i mezzi clandestini possibili coll'aiuto dell'oro, che è tutto nelle nostre mani. In pari tempo getteremo sul lastrico folle enormi di operai, in tutta l'Europa. Allora queste masse si getteranno con gioia su coloro dei quali, nella loro ignoranza, sono stati gelosi sin dall'infanzia, ne saccheggeranno gli averi e ne verseranno il sangue. A noi non recheranno danno, perché il momento dell'attacco ci sarà ben noto, e prenderemo le misure necessarie per proteggere i nostri interessi. Siamo riusciti a persuadere i Gentili che il liberalismo avrebbe dato loro il regno della ragione. Il nostro dispotismo sarà di questa specie perché avrà il potere di sopprimere le ribellioni e di sradicare con giusta severità ogni idea liberale dalle istituzioni.
Quando la plebe si avvide che in nome della libertà le venivano concessi diritti di ogni genere, si immaginò di essere la padrona e tentò di assumere il potere. Naturalmente s'imbatté come un cieco qualsiasi, in ostacoli innumerevoli. Allora, non volendo tornare al regime di prima, depose il suo potere ai nostri piedi.
Ricordatevi della rivoluzione francese, che chiamiamo la Grande Rivoluzione: ebbene, tutti i segreti della sua preparazione organica ci sono ben noti, essendo lavoro delle nostre mani. Da allora in poi abbiamo fatto subire alle nazioni una delusione dopo l'altra, cosicché esse dovranno perfino rinnegarci, in favore del Re Despota, uscito dal sangue di Sionne, che stiamo preparando al mondo.
Nel momento attuale noi come forza internazionale siamo invulnerabili, perché quando siamo assaliti da uno dei governi dei Gentili, altri ci sostengono. Nella loro immensa bassezza, i popoli Cristiani aiutano la nostra indipendenza. Ciò fanno quando si prosternano davanti alla forza; quando sono senza pietà per i deboli; crudeli per le colpe e indulgenti per i delitti; quando si rifiutano di ammettere le contraddizioni della libertà; quando sono pazienti fino al martirio nel sopportare la violenza di una tirannia audace.
Essi tollerano da parte dei loro attuali dittatori, Presidenti dei Consigli e Ministri, degli abusi per il più piccolo dei quali avrebbero ucciso cento re. Come si spiega questo stato di cose? Perché le masse sono tanto illogiche nel farsi un concetto degli avvenimenti? La ragione è che i despoti persuadono il popolo, per mezzo dei loro agenti, che l'abuso del potere con evidente danno allo Stato è compiuto per uno scopo elevato, vale a dire per ottenere la prosperità della popolazione e per l'amore della fratellanza internazionale, dell'unione e dell'eguaglianza. Si capisce che questi agenti non dicono al popolo, che tale unificazione può essere ottenuta soltanto sotto il nostro dominio; di modo che vediamo la popolazione condannare gl'innocenti ed assolvere i colpevoli, convinta che potrà sempre fare ciò che le pare e piace. La plebe, data questa sua condizione mentale, distrugge tutto ciò che è stabile e crea lo scompiglio ovunque. La parola "libertà" porta la società a lottare contro tutte le potenze, persino contro le potenze della Natura e di Dio. Questo è il motivo per cui, quando noi arriveremo al potere, dovremo cancellare la parola "libertà" dal dizionario umano, essendo essa il simbolo della forza bestiale che trasforma le popolazioni in belve assetate di sangue. Occorre però tener presente che queste belve si addormentano appena saziate di sangue e che in quel momento è facile affascinarle e ridurle in ischiavitù. Se non si procura ad esse del sangue, non si addormenteranno ma lotteranno fra di loro.




PROTOCOLLO IV


Ogni Repubblica attraversa varie fasi. La prima fase è rappresentata dai primi giorni di furia cieca, quando le turbe annientano e distruggono a destra e a sinistra. La seconda è il regno del demagogo che promuove l'anarchia ed impone il potere assoluto. Questo dispotismo non è ufficialmente legale ed è, pertanto, irresponsabile; esso è nascosto ed invisibile, ma nel medesimo tempo si fa sentire. Esso è generalmente controllato da una organizzazione segreta la quale agisce dietro le spalle di qualche agente ed è conseguentemente tanto più audace e senza scrupoli. A questa forza segreta non importerà di mutare gli agenti che la mascherano. Questi mutamenti aiuteranno persino l'organizzazione, la quale con questo mezzo si sbarazzerà dei suoi vecchi servitori, ai quali avrebbe dovuto dare un forte premio, data la durata del loro servizio. Chi o che cosa può detronizzare una potenza segreta? Ebbene tale è appunto il nostro Governo. La loggia massonica in ogni parte del mondo agisce inconsciamente da maschera al nostro scopo. Ma l'uso che faremo di questa potenza nel nostro piano di azione, come i nostri quartieri generali, restano perpetuamente sconosciuti all'universo.
La libertà potrebbe non essere danno e sussistere nei governi e nei paesi senza pregiudicare il benessere del popolo, se fosse basata sulla religione, sul timore di Dio e sulla fratellanza umana, scevra da quei concetti di uguaglianza che sono in contraddizione diretta con le leggi della creazione che hanno ordinato la sottomissione. Retto da una fede simile, il popolo sarebbe governato dalle parrocchie e vivrebbe tranquillamente ed umilmente sotto la tutela dei suoi pastori spirituali, sottomettendosi all'ordinamento da Dio stabilito sulla terra. Ed è perciò che dobbiamo cancellare persino il concetto di Dio dalle menti dei Cristiani, rimpiazzandolo con calcoli aritmetici e bisogni materiali. Allo scopo di stornare le menti Cristiane dalla nostra politica è assolutamente necessario di tenerle occupate nell'industria e nel commercio. Così tutte le nazioni lavoreranno incessantemente per il loro proprio vantaggio, ed in questa lotta universale non si accorgeranno del nemico comune. Ma perché la libertà sconnetta e rovini completamente la vita sociale dei Gentili, dobbiamo mettere il commercio sopra una base di speculazione. Il risultato di ciò sarà che le ricchezze della terra, ricavate per mezzo della produzione, non rimarranno nelle mani dei Gentili, ma passeranno, attraverso la speculazione, nelle nostre casseforti. La lotta per la supremazia e la speculazione continua nel mondo degli affari, produrrà una società demoralizzata, egoista e senza cuore. Questa società diventerà completamente indifferente e persino nemica della religione e disgustata dalla politica. La bramosia dell'oro sarà l'unica sua guida. E questa società lotterà per l'oro, facendo un vero culto dei piaceri materiali che esso può procacciarle. Allora le classi inferiori si uniranno a noi contro i nostri rivali - cioè contro i Gentili privilegiati - senza neppur fingere di essere animate da un motivo nobile, e neppure per amore delle ricchezze, ma unicamente per il loro odio schietto contro le classi più elevate.


Testo dei Protocolli dei "Savi Anziani" di Sion

Introduzione ▪ Protocolli 1 - 4 Protocolli 5 - 8 Protocolli 9 - 12 Protocolli 13 - 16 ▪

 ▪  Protocolli 17- 20Protocolli 21 - 24 Epilogo ▪ Appendice Il documento video di RAI 3

Indice "I Protocolli dei Savi Anziani di Sion"



Musica: "Exiit di luculo" (Carmina Burana  secolo XIII)