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Olocausto: "sacrificio supremo nell'ambito di una dedizione totale a motivi sacri o superiori"; "Sacrificio alla divinità, in cui la vittima veniva interamente arsa". Così il Devoto-Oli, e definizioni analoghe si leggono su tutti i principali dizionari. Alcuni di essi, però, hanno recentemente aggiunto un altro significato: "Olocausto" come strage degli ebrei operata dal regime nazista. Che cos'hanno a che vedere l'accezione tradizionale e quest'ultima che va di moda in questi anni? Si può ravvisare nello sterminio nazista un intento religioso? O una superiore finalità, che conferirebbe un'utilità al "sacrificio"? A me non sembra, perciò mi chiedo il perché della fortuna di questa parola in questa impropria accezione. La spiegazione più semplice è che venne scelta come titolo di una serie televisiva che ricostruiva con attori le vicende degli ebrei deportati nei campi di sterminio. E si sa che, come diceva Jannacci "La televisiùn la gà la forsa de un leùn". Eppure sospetto che debbano esserci anche ragioni più profonde. Lo sterminio nazista costituisce per molti aspetti la più grande barbarie registrata dalla nostra storia. La crudeltà con la quale le vittime vennero destinate, trasportate, selezionate, torturate, costrette spesso a farsi del male a vicenda o a collaborare con il detentore per sopravvivere qualche giorno, nell'impossibilità di qualsiasi tentativo di fuga o di ribellione, suscitano un orrore che la maggior parte di noi stenta a reggere. Forse si può intuire perché, negli anni che seguirono la guerra, i sopravvissuti non avevano voglia di parlare di tutto ciò, o gli altri non avevano voglia di ascoltarli. E molti si sono decisi a parlare della propria esperienza solo ora, magari (come una deportata milanese) perché da parte di qualcuno si sente dire addirittura che tutto ciò non è vero. Ma a chiunque viene voglia di dire "non è possibile, non può essere accaduto, non voglio crederci". Allora, una parola che sembra attribuire agli orrori del nazismo un significato religioso, sacrificale, è un modo di allontanare un pochino la realtà storica, di respingerla verso un piano lievemente metafisico, come per diminuire l'angoscia che suscita. In questi decenni abbiamo assistito con stupore al fenomeno del cosiddetto "revisionismo storico", cioè dell'affermazione che lo sterminio nazista non ci fu, che le morti nei campi di concentramento furono dovute a malattie, o che comunque i numeri dello sterminio sono stati artatamente esagerati di molto. La reazione più logica a queste affermazioni sarebbe di opporre la realtà delle inoppugnabili prove materiali, delle testimonianze, dei numeri. Sicuramente è stato fatto. Ma per lo più si è reagito con lo scandalo. Mentre il negare che la terra sia rotonda apparirebbe ridicolo, il negare la realtà dello sterminio nazista sembra non un'offesa alla storia, ma un'offesa al popolo ebraico. In Germania è stato addirittura vietato affermare che lo sterminio nazista non sarebbe avvenuto: una sconcertante eccezione alla democratica libertà di parola. Ma supponiamo per un minuto che al posto di "olocausto" si dica "la grande sfiga". Avrebbero senso affermazioni dl tipo: "la grande sfiga è un patrimonio del popolo ebraico, che nessuno ha diritto di negare"? Eppure ho letto questo genere di affermazioni. Le persecuzioni naziste sono state per gli ebrei (e per le altre vittime, naturalmente) una colossale sfortuna, perché vengono sentite anche come "patrimonio"? Le risposte non sono facili, ma la più interessante si comprende solo alla luce del problema dell'identità ebraica. É noto che con l'assimilazione, la perdita di importanza della religione, l'esistenza di uno stato ebraico, molti ebrei si chiedono cosa significhi, in pratica, per loro essere ebrei. Anzi, personalmente tendo a definire "ebreo" chiunque si chieda che cosa significhi per lui essere ebreo. La coscienza, o quasi il culto delle sofferenze patite dalle generazioni che ci precedono giunge a costituire una ragione, quasi un pretesto, per rafforzare un'identità in crisi, un'identità non più tenuta viva dalle credenze religiose, né da tradizioni che da molti vengono sentite e seguite sempre meno. Forse qualcuno ne ha parlato, ma io ho letto su questo argomento solo un articolo di Fiamma Nirenstein di diversi anni fa. Come ha detto Elie Wiesel, se non siamo in grado di capire fino in fondo le ragioni degli orrori del nazismo, è importante conservarne il ricordo e la coscienza. Secondo me la parola "Olocausto" rischia solo di offuscarle.

Michael Zeller

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