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Il documento che presentiamo ai nostri graditi Ospiti è tratto da Hiram 2 Febbraio 1988 ed è opera d'ingegno del carissimo Fratello  Fulvio Bramate. Ogni diritto è riconosciuto.

©  Fulvio Bramate

 

La circolazione in rete del documento è subordinato alla citazione della fonte (completa di link attivo) e dell'autore.

Giovan Battista Biffi, letterato e massone cremonese, intorno al 1786 avviò una ricerca sulla storia dei Templari, avvalendosi della consulenza e collaborazione di eruditi e letterati come Girolamo Tiraboschi ed Isidoro Bianchi. Gli esiti delle sue ricerche non si conoscono, in quanto le carte "templari" dell'illuminista lombardo risultano andate perdute. Da inedite Memorie raccolte dall'abate Antonio Dragoni nel 1811 si apprende, tuttavia che Biffi con le sue ricerche voleva dimostrare che "i Templari e i così detti Franchi Muratori non fossero che una cosa sola" e "voleva far vedere che erano ingiuste le accuse che ai primi si erano fatte" . Biffi, inoltre, voleva "dimostrare che i Liberi Muratori come erano succeduti ai Templari ne avevano ereditate le massime, e come de' primi era sana la dottrina, così pure doveva esser sana quella de' secondi'".

 

Nell'ideare il suo progetto di studio sembra che Biffi sia stato in qualche modo influenzato da quelle tradizioni che indicano in talune forme organizzate di confraternite e corporazioni edili lo strumento attraverso il quale le "massime" templari si sarebbero trasferite nei rituali di alcuni alti gradi massonici.

Anche ammesso che tali tradizioni siano state rispondenti alla realtà storica, quali documenti a riguardo poté consultare l'illuminista cremonese? Presso quali archivi gli stessi documenti si trovavano conservati e a quale epoca o area geografica risalivano, dandone per scontata l'autenticità? Purtroppo, quelle appena formulate, sono domande destinate a restare senza risposta non tanto perché, come ricordato, le carte di Biffi sui Templari sono andate smarrite, quanto perché è molto probabile che i rapporti intercorsi fra comunità templari e collegia fabrorum si siano sviluppate sulla base di un rapporto di committenza esterna con l'automatica esclusione di una qualsivoglia forma organizzata di lavoro edile all'interno delle comunità rosso-crociate, attive in Europa fra il XII ed il XIV secolo. Appare emblematico, a riguardo, quanto emerge da alcuni documenti dell'epoca circa il rapporto intercorso in Italia fra comunità templari e mondo dei costruttori.

 

Presente con proprie fondazioni sin dal1130-1140 in diversi centri della penisola italiana, la Sacra Militia vi agì sempre da fedele strumento al servizio della politica pontificia, contribuendo nel contempo ad alimentare la "passione crociata". Quanti non poterono partire come palmieri o guerrieri per la Terra Santa vollero in qualche modo rendersi benemeriti verso la stessa con il sostenere anche le fondazioni templari, donando loro case, terre, denaro, armi, chiese ed ospedali. Altri divennero frati serventi dell'Ordine cavalleresco presso questa o quella fondazione e posero al servizio del Tempio la propria capacità ed esperienza professionale.

Molto verosimilmente la maggior parte dei predetti servientes traevano le proprie origini dal mondo contadino e svolsero mansioni bracciantili all'interno delle varie comunità templari italiane, consentendo all'Ordine di coltivare o migliorare i propri possedimenti terrieri. Accanto ai contadini, all'interno delle comunità templari italiane è molto probabile che abbiano operato anche alcuni "artisti" e, fra questi, dei muratori, carpentieri o scalpellini, i quali, di fatto, consentiranno a qualche fondazione rosso-crociata di allacciare rapporti, magari episodici, con il mondo italiano dei costruttori.

 

Pochissime e frammentarie le notizie allo stato disponibili per precisare i tempi, i luoghi e le circostanze del primo incontro fra le comunità templari italiane ed il mondo dei costruttori. Alcuni indizi ci vengono segnalati a riguardo dal testamento dei coniugi mantovani Ugone ed Alda, allegato in copia ad un fascicolo processuale del 1580 relativo alla controversia insorta a Brescia fra l'Ordine di Malta ed il paratico dei fabbri circa la proprietà della chiesa di S. Maria del Tempio. L'atto rogato da Oldeprando, notano sacri palatii, stabiliva che Ugo ed Aida lasciavano a frate Oberto della mansione del Tempio e della chiesa di S. Maria ventotto biolche di terra e seicento lire milanesi affinché fossero accresciuti i possedimenti ed i beni della mansione. Fra le condizioni poste era prevista la circostanza che nel caso in cui i Templari in qualche momento non avessero avuto più la possibilità di restare a Gerusalemme e non avessero più potuto difendere il sepolcro di Cristo, allora i beni, i possessi, il danaro del lascito sarebbero passati al paratico dei fabbri di Brescia (2).

Quanti si sono occupati del documento hanno sempre accolto con riserva la data cronica dello stesso (13 gennaio 1101) ed hanno fatto bene poiché l'avallo della stessa avrebbe comportato l'individuazione di una presenza templare in Italia non solo prima del 1130-1138 - scisma di Anacleto II - ma, addirittura, prima del concilio di Troyes (1128) e della stessa data convenzionale della costituzione a Gerusalemme della comunità di Ugo di Payns (1118). Al contrario, la data del documento andrebbe ricercata in un anno compreso fra il 1139 ed il 1187 per le seguenti ragioni:

 

a) nel 1139 Innocenzo II con la bolla Omne datum optimum consentiva ai Templari di costruire proprie cappelle e nel documento bresciano si legge ad un certo punto che la Chiesa di S. Maria "nuper est incepta redificari per fratres ordinis Templi Hierosolimitani";

b) nel 1187 cadde Gerusalemme e nel documento viene precisato espressamente che il donativo dei coniugi mantovani sarebbe passato al paratico dei fabbri nel momento in cui i Templari non sarebbero più stati in grado di tenere "terram et camminum predictum de Jerusalem securum sicuri nunc agunt".

Si consideri, da ultimo, che l'unico Oberto templare di cui parlano i documenti sin qui esaminati del XII secolo è il "missus de Tempio de Jerusalhem" al quale nel 1143 Lombarda, figlia di Oddone di Legeno, donava la metà di un chiuso "in plano Albinganensis" (3).

 

Tanto premesso ne consegue che molto verosimilmente il fabbro mantovano effettuò il suo lascito intorno al 1150 e che allo stesso periodo potrebbe risalire la lapide posta sulla porta della chiesa della mansione templare bresciana la cui epigrafe così recitava: "HOC. EST. OPUS. ECCLESIE. SUB (TITULO S.) MARIE. MANSIONIS. TEMPLI. QUAE AEDIFICATA ET. COMPLETA. PER PARATICUM. FERRARIORUM BRIXIE. ET. DIOCESIS. AD HONOREM. DEI ET VIRGINIS. MARIE'' (4).

Anche per quanto riguarda le ecclesie consacrate a S. Maria de Tempio in altre città italiane, come, ad esempio. Piacenza, Parma e Venezia, è probabile che siano state edificate ad opera di maestranze locali e non da serventi del Tempio, così come sembra voglia far intedere qualche passo di opera settecentesca.

Più o meno contemporaneamente al completamento dei lavori della chiesa bresciana di S. Maria del Tempio, a Pisa, secondo Andrea Fermini, Diotisalvi progettò ed edificò per conto dei Templari la chiesa del S. Sepolcro (5).

La notizia, però, non è certa e non è detto che da un suo approfondimento verrebbe confermata nei termini riferiti da Fermini (6)

 

Sempre intorno al 1150 venne avviata da parte dei Templari la costruzione del monastero e della chiesa di S. Pietro, posti sul monte Cervino, nei pressi dell'attuale Sermoneta, della chiesa di Ognissanti di Trani e di S. Leonardo di Andria (7). Appare improbabile che, così come per la chiesa di S. Maria del Tempio di Brescia e del S. Sepolcro di Pisa, siano stati materialmente i Templari a provvedere alla progettazione e costruzione delle chiese di S. Pietro, Ognissanti e S. Leonardo e delle altre eventualmente edificate nel corso dello stesso periodo per almeno due motivi. Le comunità rosso-crociate italiane a quindici anni dal loro primo costituirsi dovevano aver conservata pressoché intatta la originaria vocazione cavalleresca; gli edifici sacri sopra ricordati vennero progettati sulla base dei principi architettonici in uso nelle varie zone della penisola, non avendo l'Ordine di propri da applicare (8). Pertanto, non essendo realistico supporre che le comunità templari di Brescia, Pisa, Sermoneta, Trani, Parma, Piacenza e Venezia fossero state costruite nella prima metà del XII secolo anche da edili, si deve concludere che gli edifici da quelle occupati furono eretti ad opera di maestranze locali.

 

Nel corso degli anni intercorrenti fra il 1150 ed il 1291, l'Ordine templare, benché avesse registrato in Italia il suo massimo sviluppo, continuò ad affidare l'attività edificatoria a confraternite di mestiere ad esso esterne. Significative appaiono a riguardo le circostanze che nel 1273 frate Pietro precettore templare della chiesa di S. Ambrogio e dell'ospedale del ponte sul Panaro, nei pressi di Modena, si fosse accordato con sette operai del luogo per restaurare una casa ed una chiesa presso il ponte e per far eseguire "trifunam quadratam in crucem cum redondino desuper inciso'' (9), e che nel 1279 i Templari facessero costruire accanto alla loro fondazione piacentina una torre, rovinata da fulmini nel 1344 e nel 1553 (10).

Da quanto sino ad ora esposto, sembra doversi escludere con decisione la possibilità che nell'ambito delle comunità rosso-crociate italiane abbiano operato delle maestranze particolarmente specializzate nella progettazione ed esecuzione di vaste e complesse opere murarie.

É probabile, però, che qualche operaio edile, attratto dalla causa crociata o spinto dalla necessità di comunque lavorare, abbia servito l'Ordine templare con l'entrare a far parte di questa o quella comunità rosso-crociata e che ad esso sia stata affidata l'esecuzione di piccoli lavori come l'erezione di un muro a secco, il rifacimento di un tetto o la sistemazione di un parapetto.

Siano state o meno le comunità templari italiane costituite anche da maestranze edili, è indubbio che nel corso dell'intera loro storia mantennero delle relazioni con il mondo dei costruttori. L'instaurarsi ed il consolidarsi di tali relazioni costituì un evento di particolare importanza, poiché anche attraverso di esse il mondo artistico italiano conobbe ed acquisì taluni principi ispiratori della cultura crociata. D'altro canto, la collaborazione fra Templari e maestranze edili, consolidatasi nel corso del periodo 1150-1291 in stretta relazione con le crescenti possibilità per l'Ordine militare di finanziare in Italia l'edificazione di opere murarie, consentì al mondo dei costruttori italiani di conoscere più a fondo la conversatio templare, la cui essenza venne talvolta raffigurata nei simboli scolpiti sulle pietre di alcune fondazioni rosso-crociate.

 

Il triplice recinto è forse uno dei più emblematici fra tali simboli (11) e la sua presenza nelle chiese e nelle abbazie del Tempio (12), inintelligibile ai più, costituì certamente un richiamo per quanti erano in grado di comprendere che la scelta di vita dei Templari poteva anche essere vista come un viaggio alla ricerca della Gerusalemme interiore, dove "debellato il male, la morte ed il peccato", il monaco-cavaliere avrebbe potuto "incontrare il Cristo e fare della sua presenza l'unica preminente istanza della propria avventura terrena" (13). I Templari, dunque, affidarono anche ai simboli di alcune loro chiese o monasteri il compito di esternare al mondo cavalleresco italiano la loro più profonda natura, proponendo allo stesso un originale strumento di realizzazione spirituale. Basata essenzialmente sulla pratica attuazione della dottrina bernardiana della duplice battaglia, la ritualità ascetica templare, sulla quale poco o nulla ci è pervenuto di documentato, autentico ed originale, ebbe modo così di diffondersi nella penisola italiana, suscitando, probabilmente, interesse presso quegli stessi ambienti sociali che avevano recepito o si accingevano a farlo i modelli ideali e comportamentali teorizzati e divulgati dalla letteratura provenzale e dalla mitologia cavalleresca (14).

 

 

 

1. Cremona. Biblioteca Comunale. ANTONIOANTONINO DRAGONI, Memorie per servire all'elogio del conte Gian Battista Biffi, pp. 60-1.

2. Cfr. FEDERICO ODORICI, Storie bresciane. Brescia, 1856, vol. V, doc. XIX, pp. 80-3.

3. Cfr. PAOLO ACCAME, Notizie e documenti inediti sui Templari e Gerosolimitani in Liguria, Finalborgo, Tip. Rebaglietti, 1902, doc. I, pp. 37-8; Id., Instrumenta episcoporum Albinganensium. (Documenti del R. Archivio di Stato di Torino), a cura di Giovanni Pesce, Albenga, 1935, doc. XLV, pp. 64-5. Per il solo regesto, cfr. FULVIO BRAMATO, Regesti diplomatici per la storia dei Templari in Italia, in "Rivista Araldica", LXXVIII (1980), p. 39, n. 3.

4. PAOLO GUERRINI, La "mansio templi" di Brescia, in "Rivista Araldica", XXXIV (1935), p. 315.

5. Cfr. ANDREA FERMINI, Il Tempio del Santo Sepolcro di Gerusalemme, in "Crociata", II (1935), p. 122.

6. Cfr. GRAZIA PANNILINI, Gli studi del prof Giorgio Casini della Seta sulla chiesa templare di Pisa, in AA.VV., Atti del III Convegno di ricerche templari. Casale Monferrato. 26/27 ottobre 1985, a cura della L.A.R.T.I., Torino, 1985, pp. 81-2.

7. Su di esse, cfr. FULVIO BRAMATO, L'Ordine dei Templari in Italia. Dalle origini al pontificato di Innocenzo III (1135-1216), in "Nicolaus", XII (1985), fasc. I, pp. 183-221.

8. Cfr. ELIE LAMBERT, L'architecture des Templiers, in ' Bullettin Monumental'', CXII (1954), pp. 7-60, 129-65. Con tale lavoro l'A. interviene criticamente sulla tesi enunciata sin dal 1868 da Violletle-Duc (Dictionnaire raisonné de l'Architecture française, Paris, 1854-1868, vol. VI, p. 290), secondo la quale sarebbe esistita una architettura propria dei Templari. La più recente e seria esposizione di tale tesi, collegata, a quelle relative all'esistenza di un rapporto intercorso nel Medioevo fra comunità templari e confraternite muratorie, è contenuta in PAUL NAUDON, Les origines religieuses et corporatives de la Franc-Maconnerie. L'influence des Templiers, Paris, Dervy-Livres, 1953, più volte riedito. Il quinto capitolo del libro è interamente dedicato alla dimostrazione della tesi secondo la quale i Templari avrebbero creato corporazioni di mestiere ed avrebbero intrattenuto stretti rapporti con i maestri costruttori, ai quali l'Ordine cavalleresco avrebbe trasmesso dopo il 1314 i segreti iniziatici acquisiti in Oriente.

9. GUSMANO SOLI, Le chiese di Modena, a cura di Giordano Bertuzzi, Modena, Deputazione Storia Patria per le Provincie Modenesi, 1974, p. 443.

10. Cfr. GIUSEPPE VALENTINI, La torre di S. Maria del Tempio in un disegno di Antonio da Sangallo, in "Bollettino Storico Piacentino", LXXIII (1978), fasc., p. 139.

11. Sul simbolodi origini celtiche e presente in diversi contesti socio-culturali dell'Europa medioevale, oltre RENÉ GUENON, Simboli della Scienza Sacra, Milano, Adelphi, 1975, pp. 76-80, cfr. l'iconografia raccolta in MINO GABRIELE, Sul significato dell'arte nelle forme simboliche, in ''Conoscenza Religiosa", 1976, n. 4, pp. 300-35.

12. Il simbolo, scolpito su pietra, è presente anche nel pavimento della chiesa di S. Maria di Sovereto (Terlizzi-Bari) e nel chiostro dell'abbazia di Valvisciolo. Su queste due fondazioni templari, cfr. BRAMATO, L'Ordine dei Templari cit., pp. 197 e 210.

13. COSIMO D. FONSECA, Introduzione al Liber ad Milites Templi. De laude novae Militiae, in Opera di S. Bernardo. I. Trattati, a cura di Ferruccio Casteldelli, Milano, Fondazione di Studi Cisterciensi-Scriptorium Claravallensis, MCMLXXXIV, p. 434.

14. Per una lettera dell'Ordine templare in chiave provenzale, cfr. MIRCEA ELIADE, Storia delle credenze e delle idee religiose, Firenze, Sansoni, 1983, vol. III, pp. 117 ss.

 

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