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L'arte del murare, dello scolpire e anche dell'ornare, prima ancora dei Plinii, era cresciuta ed avanzata entro ed all'interno di Como...

Lo scritto che si presenta ai visitatori esoterici, opera dell'ingegno del Carissimo F...  Latino Bonci è stato pubblicato sul volume LXX-XIV della nuova serie di "Rivista Massonica" nel mese di Ottobre 1979, Editrice Erasmo. Ogni diritto gli è riconosciuto.

 

© Latino Bonci

 

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I Maestri Comacini

L'arte del murare, dello scolpire e dell'ornare, anche prima dei Plinii, era cresciuta ed avanzata entro ed all'interno di Como.

Abbiamo un architetto ossia maestro comacino sino dal I sec. d. C. ai tempi di Traiano citato e lodato da Plinio Cecilio, in una lettera da Nicomedia di Bitinia diretta all'imperatore stesso, nella quale elogia una villa suburbana amenissima e deliziosa di Como e parla dell'istituzione di un collegio di fabbri, respinto dall'imperatore, per tema delle eterie, ossia fazioni che in esso si sarebbero potute infiltrare ( Lib. X, Epist. 42).

I maestri comacini raccolgono e tramandano in età infelicissima, i precetti e le pratiche dell'arte edificatoria dei Romani.

In mezzo alle distruzioni delle irruenti orde barbariche, rimangono vivi e quasi soli lavorano, creano o restaurano.

Editti di Rotari, re dei Longobardi, del 22 Novembre 643 (Decimo Kalendas Decembris DCXLIII ) e di Liutprando dell'anno 713, parlano di loro. Nel primo sono inclusi due articoli sui maestri comacini ed i loro colleganti, e si indicano le tariffe per l'esercizio della loro arte, persino comminando pene per casi di infortunio sul lavoro e vengono stabilite le regole per il lavoro stesso. Nel secondo si parla e si legifera sulla Società di magistri comacini.

Per quanto alcuni autori e studiosi affacciassero l'ipotesi che il loro nome derivasse o da Commacineus, cioè compagno di Officina e di qualche altro dall'espressione cum machinis donde anche la seconda pronuncia di Comàcini, per indicare i loro strumenti di lavoro, il loro vero nome giustamente tramandato ai posteri è quella derivato dalla loro Città e dal loro territorio d'origine: Como.

Gli antichi - chiamavano il Lago omonimo Lago Comacino, anziché Comense: Comacinus è il sinonimo di Comensis, Rupi comacine si chiamavano i monti e le alture sovrastanti a Como ed ancor oggi a Milano Comacina o Com’asina è chiamata la via e la Porta che immettono verso Como.

Taluni vollero ricercare nella loro associazione l'origine della Massoneria.

Potremo discutere assieme questo asserto.

Sta di fatto che essi furono artisti di età remotissima, ed ebbero i loro Colliganti, ossia soci, o consorti, o confratelli, che con essi si confusero e formarono unioni di uomini intelligenti ed operosi, collegati da scuola comune e da comuni statuti ed interessi sin dai primordi dell'Età Medioevale, quasi dalla caduta dell'Impero Romano, tempo della loro prima manifestazione.

La loro storia si congiungerebbe a quei tempi antichi nei quali andavano scomparendo gli artisti romani insieme con le leggi, con l'impero e con lo stesso popolo di Roma.

Sbucati dai tre laghi, dalle valli e dai colli adiacenti, migranti come rondini o grù, dai luoghi comacini di nascita e unitisi in squadre, per dialetto ed abitudini eguali, intrapresero grandi lavori edilizi, lasciando ovunque impronta onorata, quella della forte resistenza, non di rado l'altra di un'elevata intelligenza, talvolta persino quella del genio.

Furono un piccolo popolo meraviglioso che visse dell'arte e per l'Arte attraversò i secoli.

La storia dei Maestri Comacini s'intreccia pure con la storia civile ed artistica d'Italia e con quella d'altre Nazioni dal 600 al 1500.

Li troviamo desti agli inizi ed ai succeduti splendori del Risorgimento politico ed artistico quando improvvisamente si appalesa e si impone la potenza della loro mente nell'ideare, la forza della riflessione nel calcolare, la tenacia della volontà nell'eseguire; chiusi nelle loro unioni, consorterie e fratellanze, ora mescolati, il più delle volte distinti, con artisti ed artefici italiani ed anche stranieri, con abitudini e tendenze loro proprie.

Continuatori delle Eterie dei Greci, dei Collegi, dei Romani, essi furono i depositari di quell'arte antica, che si insegnava a porte chiuse, e si propagava nella schola e nel laborerium ed il vincolo di solidarietà e di fraternità che fu a loro tutti comune, più che presso altri, giustamente li appellerà: Maestri e Fratelli Comacini.

Furono chiamati anche Fabbri muratori, i quali anche ora presso di noi conservano il titolo di Maestro, ossia di Mastro.

Lo scopo principale di queste Unioni o Società d'Artefici era quello di promuovere gli interessi delle loro Arti e Mestieri, di aiutarsi a vicenda nel caso di bisogno, di soccorrere i soci ammalati e di onorare con esequie i morti.

Essendo stati per lunghi anni assieme sullo stesso territorio di Como, essi strinsero legami di amicizia che più aumentarono col vivere in comune e nei comuni patimenti e si collegarono di un'arte, alla quale i più erano inclinati o addetti, unendosi - come dice il Merzario nei suoi volumi sui Maestri Comacini - in un Fratellevole e rispettoso sodalizio.

È ancora il Merzario che parla: Quando si dice che il Maestro Comacino deve occuparsi delle case di signori e di poveri, ben s'intende da sé che in lui si supponevano le cognizioni e la perizia per far sorgere e condurre a compimento, tanto l'abitazione di un privato, quanto il palagio di un Signore e il Castello di un Principe, tanto il romitorio di un fraticello e la Chiesuola di un villaggio, quanto il Cenobio di ricchi monaci ed il tempio di una, Città, che da Domus o Domo fu chiamato Duomo.

Essi contribuirono efficacemente alla diffusione di un'architettura romanica derivata dalla classico-bizantino-ravennate, interpretata con spirito estremamente libero, risolvendo con nuove soluzioni i dati architettonici (Es. S. Pietro in Tuscania - VIII sec. - pilastri compositi, arcature ornamentali, che daranno pieno sviluppo all'architettura romanica).

Lavorando dapprima nell'Alta Lombardia e nei paesi d'oltralpe, essi si diffusero dovunque: verso la Borgogna, la Svizzera e la Valle del Reno.

Dalle fabbriche più semplici (Chiese di Civate, del Lago di Como, della Val d'Intelvi, Briosco, ecc. ) si giungerà alle complesse Basiliche di Pavia S. Michele, S. Teodoro, S. Ambrogio di Milano per arrivare al perfetto grado di stile e di tecnica, come architetti e scultori, delle Basiliche di Pavia, Milano, Trento, Bergamo, Modena, Ferrara, Ancona, Pistoia, Arezzo sino - vicino a noi - a San Zeno di Verona, ed a Venezia, a Siena, ad Orvieto e ad Assisi, ove scopersi la palazzina della loro Loggia con il loro simbolo, il compasso aperto contenente una rosa, e poi giù sino nel Barese.

Tra i più famosi citeremo Benedetto da Antélamo o Antélami e Guidetto da Como. Il primo, luganese, trasferitosi in Liguria, a Genova principalmente e poi a Parma con un folto gruppo di Maestri Comacini, chiamati essi stessi gli Antélami, che lavorarono attorno alla Cattedrale ed al Battistero - la maggior scuola del Medioevo romanico - ed il secondo, vero rinnovatore delle Chiese di Lucca (il Duomo dedicato a S. Martino, S. Michele in Foro e S. Frediano. A Barga nel Duomo, è presente un pulpito scolpito da Guido Bigarelli da Como).

Circa il nome di Antélami deriverebbe esso dal luogo di origine: la Val d'Intelvi, nelle prealpi lombarde.

Importante è come la prima notizia di Benedetto Antélami ci venga dalla meravigliosa opera datata e firmata: La Deposizione dalla Croce del Duomo di Parma ove leggesi: Anno Milleno Centeno Septuagesimo Ottavo Sculptor patuit mense secondo Antélami dictus Sculptor fuit hic Benedictus. ( Nel mese II del 1178 uno scultore si rilevò, e questo scultore fu Benedetto detto Antélami).

Il modo di esprimersi dell'Antélami va talvolta oltre il romanico italiano per avvicinarsi al provenzale ma anche più a N (Francia settentrionale), ove sarebbe fiorito il linguaggio gotico.

 

I Maestri Comacini e la Massoneria

Nelle loro peregrinazioni ed i lunghi viaggi all'estero ove i Maestri Comacini compirono lavori difficili e grandiosi, spinti dal loro innato ingegno e dal loro carattere intraprendente, sia per ragioni di lucro sia per assicurarsi una vecchiaia felice, essi vennero ad unirsi con Maestranze d'Arte di ogni luogo, che per tradizioni e statuti speciali occulti, di eguale pensiero e pari sentimento, li portarono a compenetrarsi in quella diffusa associazione universale, che si elevò a potenza nell'ordine filantropico nel Medioevo e divenne politica - prima fuor d'Italia poi in casa nostra nella seconda metà del secolo scorso - ch'era la nostra famiglia: La Massoneria o Framassoneria, istituzione inizialmente tranquilla, ordinata, cristiana, rivolta al bene materiale e spirituale degli associati, dedita all'incremento delle Arti, alla comunicazione segreta dei precetti specialmente dell'edificare e del soccorso vicendevole nei bisogni della vita ed in quelli dell'intelletto.

Con gran facilità i Maestri Comacini, che già vivevano di eguali principi, entrarono e si fusero in Essa.

Scrive il Selvatico come tutto quanto giovasse a dare uniformità allo stile sacro avesse fatto sorgere i Liberi Muratori, e definisce la loro unione una grande corporazione congregatasi per approvare i modi di costruzione e mantenerli fra loro come un segreto; perciò inventarono segni di accordo e un'iniziazione simbolica. Hope attribuisce loro il primo concetto dello stile lombardo e crede che i Maestri di Como fossero il nocciolo di questa grande fratalea.

Si racconta che nel Sec. XIII venne da Francia in Italia Ivo da Narbona, e fu accolto a Como ed a Milano e Cremona, sempre in luogo segregato, con scambio di segni degli uni agli altri.

In tali Città era in quel tempo gran numero di Maestri Comacini. Nelle Cronache di Parma prima ancor dell'anno 1200, si confermava l'esistenza in quella Città di un Laborerium e pure più tardi a Modena. Difatti in quell'epoca, come abbiamo già visto, vi operavano un folto gruppo di Maestri Comacini guidati da Benedetto Antélami e nella seconda sotto Arrigo ed altri Maestri da Campione.

Il Laborerium, citato altre volte, era costituito da una Loggia e da una Schola, come si ricava dai documenti d'epoca del Duomo d'Orvieto. La Loggia teneva occulti gli Statuti e le Regole, mentre nella Schola e nel Laborerium si raccoglieva la vita, si agitava il pensiero, si raffinava l'azione della fratellanza, della mutua assistenza e dell'arte multiforme.

L'Unione o Massoneria dei Maestri Comacini si troverà a Lucca prima del 1000 e nel 1332 otterranno dei privilegi. Una Massoneria esisteva nella Fabbrica del Duomo di Milano. Negli Atti del Duomo si parla del Modello del Tempio, eseguito dal Gramodio, ed in essi e trascritto l'invito del 3.2.1382 ad osservare quel modello ai Fratelli, agli Ingegneri ed agli altri Informati ai lavori: Fiat invitamentum de Fratribus. Chi potevano essere i Fratelli?!

Nei verbali nei quali sono riassunte le idee di tre ingegneri si leggono le seguenti parole: Nos inzignirii et operarii massonerie (non ae) e più innanzi: Nobis videtur quo si habeant unum bonum Magistrum operarium massoneriae, qui faciat cambiare, ecc. (a noi pare che se vi è un buon Maestro della Massoneria, i1 quale faccia cambiare. ecc.).

Documenti ancora indicano la ricerca di tre Maestri Francesi di scegliere in detta Framassoneria un buon Maestro che sapesse eseguire bene certe opere indicate.

Ma quello che immortalerà la loro Unione sarà l'Area di S. Agostino di Pavia, opera del 1370 dei Maestri Comacini Bonino, Matteo, Zeno ed altri.

Sopra i capitelli dell'arca stanno dodici statue e dinnanzi a queste sono collocati i simulacri dei Santi Quattro Coronati, artisti del Basso Impero: Claudio, Nicostrato, Sinfroniano e Simplicio, suppliziati per non essersi prestati a scolpire l'effigie di Dei falsi e bugiardi. Di questi artefici il primo sta abbassato e curvo nell'atto di considerare e studiare una colonna con base e capitello, il secondo esamina con la squadra una colonna inclinata ed ha vicino al piede un cestello con gli attrezzi di lavoro, il terzo con il compasso misura un capitello capovolto su di un rialzo e tiene nella sinistra un papiro svolto, nel quale è scritto in carattere gotico Quatuor Coronatorum, il quarto, infine, sembra stia mettendosi al lavoro munito di uno scalpello e di un martello.

A nessun altro scultore poteva venir in mente od essere concesso di porre in vista quelle figure, quei simboli e quella leggenda tranne che ai Maestri Comacini, i quali si ebbero un loro altare e sepolcri propri nella Chiesa dei SS. Quattro Coronati sull’Aventino a Roma. Altri sepolcri trovansi pure, in loro cappelle, negli Abruzzi e nelle Marche.

Lavori meravigliosi ed esempi stupendi d'arte diedero i Maestri Comacini nel corso di quasi un Millennio, dal 600 al 1500 nella nostra Penisola e fuori di Essa. Nessun altro Paese nelle età antiche e nuove fece mai tanto!

Eleviamo il nostro affettuoso pensiero ed il più vivo applauso a questi nostri Grandi Fratelli Lombardi.

 

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