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L'assassinio di Hiram Abif

Per ottenere l'energia necessaria a trionfare nell'imponente battaglia mentale condotta contro Apôpe, forza delle antiche tenebre materializzatasi nel re asiatico insediato nel Basso Egitto, a re Seqnenrîe occorreva tutto il potere del dio solare Amon-Rî’e. Tutti i giorni a mezzogiorno, quando il sole si trovava allo zenit e al suolo non v'era traccia d'ombra, di macchie di oscurità prodotte dall'uomo, egli abbandonava il palazzo reale di Malkata per visitare il tempio di Amon-Rî’e. Con il sole allo zenit la potenza di Rî’e era al culmine e quella di Apôpe, il serpente delle tenebre, era al punto più basso.

La frase «dove il nostro maestro Hiram Abif si era appartato per venerare l'Altissimo, com'era suo costume, allo scoccare delle dodici ore», recitata nel rituale massonico del terzo grado, si svela, a questo punto, in tutto il suo significato alla luce della vicenda di Seqnenrîe Te'o.

Ecco come si potrebbe ricostruire l'accaduto.

Un giorno, all'insaputa di Seqnenrîe, alcuni cospiratori mandati da Apôpe uccisero i due sommi sacerdoti, dopo aver tentato invano di carpire loro i misteri osiriani. Ciascuno appostato presso le varie porte del tempio, i sicari rimasero in attesa del sovrano con il cuore gonfio di terrore per l'azione che erano in procinto di compiere. Avendo terminato di recitare le proprie orazioni, Seqnenrîe si diresse verso l'uscita meridionale, dove il primo dei furfanti gli si fece incontro, intimandogli di svelare i segreti di Osiride e ottenendo per tutta risposta un netto e deciso rifiuto. Il raffronto tra la cerimonia del terzo grado massonico e le vicende accadute quel giorno nel tempio di Tebe, più di 3500 anni fa, acquista maggior enfasi se ai nomi del rituale massonico si sostituiscono gli appellativi egizi:

Terminata che fu la sua pratica devota, egli si apprestò a ritirarsi, dirigendosi verso la porta a sud, dove fu avvicinato dal primo dei tre furfanti, armato, in mancanza d'altro, di un regolo a piombo. Il quale furfante, con fare minaccioso, ordinò al maestro Seqnenrîe di rivelargli, pena la morte, i segreti autentici di Osiride. Fedele al proprio dovere, il maestro rispose che soltanto tre persone al mondo erano a conoscenza di tali misteri e che egli non avrebbe potuto né voluto acconsentire a divulgarli senza il benestare degli altri; ]...] Per quanto lo riguardava, egli avrebbe preferito affrontare la morte piuttosto che deludere la sacra fiducia riposta in lui.

Inappagato da tale risposta, il malfattore tentò di sferrare un colpo violento alla fronte del maestro, ma, sbigottito dalla fermezza della sua condotta, sbagliò la mira e si limitò a cogliere di striscio la tempia destra, facendolo comunque barcollare e cadere a terra sul ginocchio sinistro.

Rimessosi in piedi, il maestro si precipitò verso la porta di occidente, dove si imbatté nel secondo congiurato, al quale rivolse la stessa risposta, e con invariata fermezza, sicché costui, armato di livella, gli inferse un violento colpo alla tempia sinistra, che lo fece ricadere sul ginocchio destro.

Avendo trovato due delle uscite bloccate, debole e sanguinante, il maestro si diresse vacillando verso oriente, nel punto in cui il terzo ribaldo lo aspettava. Ricevuta dal maestro un'analoga replica alla sua insolente richiesta, giacché egli non venne meno alla propria obbligazione persino in tale drammatico frangente, lo scellerato lo percosse violentemente con un pesante maglietto di pietra, proprio in mezzo alla fronte, lasciandolo esanime ai suoi piedi”.

 

I segreti della intronizzazione del sovrano egizio si dileguarono con la morte di Seqnenrîe, l'uomo che i massoni chiamano Hiram Abif... «il re perduto».

 

Grande fu il nostro stupore quando, avendo deciso di analizzare a fondo i fatti riguardanti il personaggio che più verosimilmente poteva essere identificato con il maestro massone scomparso, ci scontrammo con una descrizione dettagliata della mummia di Seqnenrîe

e delle ferite che questa presenta:

Nello stesso nascondiglio in cui l'egittologo Brugsch scoprì la mummia del faraone Rameśśêśe II nel luglio 1881 si rinvenne un altro cadavere regale, più antico di 300 anni, che emanava un insopportabile miasma. Stando alle indicazioni della targhetta, si trattava del corpo di Seqnenrîe Te'o, uno dei faraoni egizi che vennero confinati a Tebe, nella parte meridionale del paese, durante il dominio degli Hyksôs, e le cui ferite indicavano in maniera evidente, persino all'occhio non esperto, una morte violenta. La parte centrale della fronte era fracassata ... Un altro colpo aveva determinato la frattura del naso e di orbita e zigomo destri. Una terza percossa, sferrata all'altezza dell'orecchio sinistro, aveva rotto il mastoide, penetrando in profondità sino alla prima vertebra dorsale. Giovane alto e affascinante in vita, Seqnenrîe dovette spirare in agonia, come si evince chiaramente dall'espressione tesa del volto. La pace non gli venne nemmeno con la morte, visto che l'imbalsamazione del corpo fu eseguita in un secondo tempo, fatto a cui si devono imputare i segni di una iniziale decomposizione e l'odore putrescente cui si è accennato.

I testi di storia egizia tacciono sulla morte di Seqnenrîe, quasi certamente

avvenuta per mano dei Cananei-Hyksôs”.

 

L'impossibile si era fatto realtà: non soltanto avevamo identificato Hiram Abif, ma il suo corpo imbalsamato si era conservato nel

tempo!

Le ferite riscontrate sulla mummia coincidono con il racconto della cerimonia massonica. Un colpo violento, tale da fracassare le ossa facciali, sferrato sul lato destro del volto sarebbe certo bastato a far barcollare e cadere in ginocchio il sovrano. Il quale, essendo un uomo alto, in giovane età e di corporatura robusta, riuscì a rimettersi in piedi, come accade ai forti in tali circostanze. Ma fu subito colpito da un altro assalitore, questa volta sul lato sinistro del capo, procurandosi così un'altra frattura. Sfinito, ormai prossimo al collasso, il sovrano procedette vacillando un altro po' incontro al terzo ribaldo, che infine gli inferse la ferita letale in piena fronte, uccidendolo. […]

 

Il ritardo degli imbalsamatori di palazzo nell'eseguire il rito della mummificazione, testimoniato dai primi segni di decomposizione osservati sul corpo di Seqnenrîe Te'o, fa pensare alle circostanze descritte nella narrazione della cerimonia di terzo grado, quando il corpo di Hiram Abif sembrava per sempre scomparso:

 

“Temendo, a ragione, per l'incolumità del maestro architetto, il re scelse quindici compagni d'arte di fiducia e ordinò loro di mettersi all'accurata ricerca del maestro, per sincerarsi se costui fosse ancora vivo o se avesse patito nel difendere i misteri del proprio grado superiore.

Fissata una data per il ritorno a Gerusalemme dei compagni d'arte, questi si suddivisero in tre logge e si dipartirono dalle tre porte del tempio. Molti giorni trascorsero in infruttuose ricerche, e già il primo gruppo faceva ritorno senza portare notizie di particolare rilievo. Il secondo gruppo fu più fortunato: accadde, infatti, che un giorno, sul far della sera, reduce da enormi privazioni e personali fatiche, uno dei fratelli decidesse di coricarsi per trovare un po' di riposo. Rialzandosi, costui si aggrappò a un arbusto che cresceva lì accanto, il quale, con sua grande sorpresa, si sradicò dal terreno con estrema facilità. A un esame più attento l'uomo scoprì che il terreno era stato smosso di recente e, chiamati a gran voce i compagni, si unì a loro nei lavori di scavo, che portarono alla luce i resti del maestro barbaramente inumati. Essi ricoprirono allora il corpo con sommo rispetto e devozione e, come punto di riferimento, impiantarono un germoglio di acacia in corrispondenza della parte superiore della fossa, affrettandosi quindi alla volta di Gerusalemme, per informare re Salomone del luttuoso accaduto.

Placata che fu la sua costernazione, il re ordinò al gruppo di ritornare sul posto e dare alle spoglie del maestro un sepolcro confacente al suo rango e al suo eccezionale talento; per soprammercato, egli prescrisse ai compagni, giacché i segreti di maestro massone erano andati per sempre perduti con la precoce scomparsa di Hiram, di prestare particolare attenzione a qualsiasi segno, indizio o parola si fossero manifestati nel corso di questo triste tributo degli onori a un valente uomo scomparso”.

 

A eccezione della collocazione storica degli eventi ai tempi di re Salomone, il resto del racconto combacia perfettamente con le circostanze della scomparsa di Seqnenrîe, unico re dell'antico Egitto a morire di morte violenta.

[…] Mancavano però le tracce di una resurrezione, alquanto improbabile visto che il corpo di Seqnenrîe si trova attualmente al museo del Cairo.

 

Altri elementi dovevano aggiungersi alla storia. Con tali presupposti esaminiamo il rituale massonico.

 

Gli assassini di Hiram Abif

I responsabili della morte del maestro architetto della leggenda massonica si chiamano Jubelo, Jubela e Jubelum, denominati con l'appellativo collettivo Juwes, suonando più come creazioni simboliche che come nomi reali. L'unico significato deducibile, e comunque del tutto trascurabile, è quello rinvenuto nella comune radice gebel, termine che in arabo indica il monte.

 

Ma l’interesse non è già per il simbolismo di origine tarda, quanto per gli esecutori materiali del crimine.

Se, come si è constatato, Giuseppe fu veramente nominato viceré dal faraone asiatico Apôpe, egli non dovette essere estraneo alla congiura architettata per strappare a Seqnenrîe Te'o i segreti di Osiride.

Narra la Bibbia che, negli ultimi anni di vita, Giacobbe, il padre di Giuseppe, ricevette un nome simbolico, «Israele», e che i suoi dodici figli andarono a costituire le tribù di Israele. É evidente qui il tentativo degli autori delle Scritture di stabilire con precisione una data di nascita formale della nazione. A ciascuno dei figli di Giacobbe-Israele furono profetizzate le circostanze storiche consentanee alle condizioni in cui versavano le tribù israelitiche ai tempi della stesura della Genesi, per cui la stirpe di Ruben sarebbe caduta in disgrazia, mentre quella di Giuda avrebbe rappresentato la nuova élite, motivo per cui chiamiamo «Giudei» e non «Rubianiti» i discendenti degli israeliti.

 

Esiste un passi di Genesi (XLIX, 6) assai curioso, privo di un senso apparente o di un minimo riferimento a vicende note. In punto di morte, Giacobbe ebbe a riflettere sulle singole azioni dei suoi discendenti, i nuovi capi delle tribù di Israele:

“Il loro segreto non penetri l'anima mia, al loro convegno non si unisca il mio onore. Perché con ira uccisero un uomo e con ostinazione abbatterono una parete. (1)

 

1 - Libera traduzione dalla versione inglese protestante. Diverse sono le opzioni consegnate dalle traduzioni della Vulgata. L'edizione citata propone: «Nel loro conciliabolo non entri l'anima mia, / al loro convegno non si unisca il mio cuore. / Perché con ira hanno ucciso gli uomini / e con passione hanno storpiato i tori». Forse più adatta alla riflessione degli autori la traduzione offerta da La Bibbia Concordata, introduzioni e note a cura della Società Biblica Italiana, I vol., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1968: «Nel loro conciliabolo non entri la mia anima, / alla loro adunanza non si unisca la mia gloria, / perché nel loro furore hanno ucciso l'uomo / e per loro gusto hanno snervato il bue». (NdT)

 

Si tratta qui di un riferimento a un omicidio sufficientemente importante da essere incluso nella Genesi, ma non altrettanto da meritare una spiegazione. Che tipo di segreto si cercava? Chi fu assassinato? Raffrontata con l'interpretazione poco credibile della Chiesa Cattolica, che riconosce in questo passaggio una chiara profezia dell'uccisione del Cristo da parte degli ebrei, la tesi che si è proposta è senz'altro più assennata. La prima parte del versetto non cela ambiguità di alcun genere. Tradotta in termini moderni l'espressione «il loro segreto non penetri l'anima mia» diventerebbe: «Non sei riuscito a conoscere il loro segreto»,  e l'accusa integrale sarebbe quindi la seguente: «Non solo non siete riusciti a carpire il segreto, ma, perdute le staffe, avete peggiorato le cose e l'avete ucciso. Così facendo avete messo in gioco tutto, facendo ricadere il mondo intero sul nostro capo!».

 

I due fratelli rappresentanti delle future tribù d'Israele accusati dal padre di essere responsabili dell'assassinio di questo personaggio ignoto sono Simeone e Levi, figli di Giacobbe-Israele e di Lia, la donna che costui disprezzava. Ma chi poteva essere la vittima innominata di quell'omicidio, per il quale due tribù si guadagnarono la maledizione del padre? Era alquanto improbabile che gli assassini di Hiram Abif si chiamassero Simeone e Levi e, tanto meno, che fossero fratelli di Giuseppe; probabilissimo, per contro, era che lo strano versetto biblico ritraesse la leggenda popolare dell'uccisione di uno sconosciuto, in seguito alla quale la disgrazia del cielo cadde su due delle tribù di Israele. Per dirla senza mezzi termini, perché si è voluto includere nella storia del popolo ebraico questo crimine, tacendo però l'identità della vittima?

Ecco che prende corpo la risposta a tale interrogativo, ossia che dietro a tutto si celasse la vicenda di Seqnenrîe Te'o.

Consideriamo in maggior dettaglio gli eventi che hanno portato al suo assassinio e le implicazioni di quest'ultimo, che grande rilievo hanno a sostegno in questa  tesi.

 

Apôpe era fuori di sé dalla collera. Ma chi si credeva d'essere questo regolo di Tebe? Non s'era forse accorto che il mondo aveva cambiato per sempre rotta, non s'avvedeva che il suo impero faceva parte oramai degli annali della storia, calpestato dal calcagno degli Hyksôs?

Il sovrano convocò il viceré Giuseppe, ch'egli aveva elevato a quella carica per la sua capacità di interpretare i sogni, e gli annunciò che si era concluso il tempo delle burle ed era giunta senz'altro l'ora di sottrarre a Seqnenrîe i suoi misteri. Di fronte all'incombere della vecchiaia, Apôpe smaniava di assicurarsi la vita ultraterrena dei sovrani egizi.

La responsabilità del piano fu affidata a Giuseppe, il quale non vide miglior soluzione che inviare a Tebe due dei propri fratelli, segnatamente Simeone e Levi? Se costoro fossero stati scoperti e uccisi, poco male, non si meritavano sorte migliore per aver venduto il fratello come schiavo molti anni prima. Se, al contrario, fossero riusciti nell'intento, tanto di guadagnato: essi avrebbero così ripagato un vecchio debito, mentre Giuseppe sarebbe assurto al rango di eroe.

Ai fratelli furono impartite tutte le istruzioni del caso e fu consegnata loro una piantina della città. Prima di varcare le porte di Tebe è probabile che costoro si siano rasi la barba, segno evidente dell'appartenenza all'etnia hyksôs, sì da evitare di attirare l'attenzione. Una volta penetrati in città essi presero contatto con un giovane sacerdote reale del tempio di Amon-Rî’e, un uomo ambizioso e pertanto facilmente corruttibile. Dai due quest'ultimo (che chiameremo Jubelo) apprese che il potentissimo Apôpe avrebbe distrutto Tebe se non fosse riuscito a entrare in possesso dei misteri di Seqnenrîe. Soltanto il giovane sacerdote avrebbe potuto scongiurare l'assalto di Apôpe ed evitare il massacro dell'intera popolazione, unendosi ai due fratelli nella congiura contro il sovrano egizio e ponendo fine, in tal modo, alla lotta politica tra i due regnanti.

Atterrito dall'aggressività degli asiatici, memore dei tristi accadimenti di Menfi per opera degli Hyksôs, Jubelo si vide costretto a tradire la fiducia riposta in lui, fatto questo che non avrebbe avuto, nei suoi calcoli, implicazioni negative: nella peggiore delle ipotesi egli sarebbe divenuto sommo sacerdote del malvagio Apôpe. Jubelo rivelò quindi a Simeone e Levi il nome dei due sacerdoti depositari del segreto di Osiride, consigliando loro anche il luogo e il momento ideali per metterli con le spalle al muro. Fu forse lo stesso Jubelo ad attirare nella trappola i propri colleghi, che si rifiutarono di fornire ai cospiratori il minimo dettaglio sui misteri in questione e furono pertanto eliminati perché rimanesse protetta l'identità dei malfattori. Ai quali non restava che un'unica, disperata soluzione: assalire il sovrano in persona.

Per quanto profondo potesse essere il suo terrore, Jubelo si era ormai spinto troppo oltre e non aveva alternativa. Condusse quindi i compagni congiurati nel tempio di Amon-Rî’e quando il sole stava per raggiungere lo zenit. Di lì a poco il faraone comparve all'ingresso dell'edificio, dove gli fu intimato di rivelare i segreti di Osiride e dove, in seguito al suo rifiuto, gli fu inferto il primo colpo. Nel giro di pochi minuti Seqnenrîe giaceva esanime sul pavimento del tempio, immerso in una pozza di sangue. Accecato dalla furia e dalla frustrazione, uno dei due fratelli colpì il corpo prono altre due volte, sotto lo sguardo atterrito di Jubelo.

Da un istante all'altro i tre si ritrovarono soli al mondo, senza un amico su cui fare affidamento. I tebani avrebbero dato loro la caccia; Giuseppe non avrebbe avuto per loro un briciolo di pietà; in quanto ad Apôpe, alla notizia dell'irrimediabile smarrimento dei grandi misteri egli sarebbe esploso in un'ira selvaggia. La loro missione s'era risolta in un vistoso smacco. Per vendicare il padre assassinato, Kamóśe e Ahmôśe, figli di Seqnenrîe, avrebbero in breve avviato una guerra accanita, un conflitto che avrebbe segnato la definitiva cacciata degli Hyksôs dalle terre d'Egitto. I tre ribaldi dovettero sentirsi schiacciare dalle pareti del tempio!

E che ne fu dell'infido sacerdote? Scovato qualche giorno più tardi nascosto nelle sabbie del deserto alle spalle di Tebe, in un luogo oggigiorno denominato Valle dei Re, egli fu ricondotto al tempio e obbligato a confessare la sua parte nella congiura, nonché a riferire nei dettagli il piano tratteggiato da Apôpe e dal suo viceré asiatico Giuseppe. Nell'apprendere l'indegna azione degli Hyksôs, un moto di estrema indignazione dovette cogliere il primogenito di Seqnenrîe, Kamóśe, al contempo profondamente turbato dal fatto che il trono d'Egitto gli sarebbe stato d'ora innanzi precluso, avendo egli perduto assieme ai segreti del padre anche la possibilità di incarnarsi in Hor. Era questa, per lui e per i suoi sostenitori, una sciagura senza pari.

Kamóśe convocò l'assemblea degli eminenti sacerdoti sopravvissuti. Uno di loro, destinato a diventare il nuovo sommo sacerdote, tracciò una lucida analisi della situazione e avanzò un'eccellente, fortunatissima soluzione al dilemma. Ai convenuti ricordò che l'Egitto era nato migliaia di anni prima, al tempo degli dèi, e che l'unione delle due terre era avvenuta in seguito all'omicidio di Osiride per mano del fratello Seth. Accantonate le ambasce, la dea Iside aveva fatto risorgere il corpo smembrato del suo sposo, si era fatta da lui fecondare e aveva partorito un bimbo, figlio di dio, cui aveva messo il nome di Hor. Egli stesso era essere divino fattosi uomo per combattere il malvagio Seth in un imponente duello, che costò a Hor un occhio e al suo avversario i testicoli. Benché il principe fosse dichiarato vincitore, la sua fu una vittoria incerta, che non aveva posto fine all'inimicizia tra le forze del male e quelle del bene.

Spiegò ancora il savio sacerdote che, in seguito alla battaglia, l'Egitto era cresciuto sì in potenza, ma che le due terre avevano iniziato a decadere, imboccando lentamente la via del declino. Il potere del dio Seth si accrebbe con la venuta degli Hyksôs, che lo avevano eletto divinità nazionale, portandogli adorazione assieme al serpente Apôpe. Ciò che era accaduto era evidente: la battaglia tra Hor e Seth si era ripetuta sulla terra, ma questa volta il vincitore era Seth e Hor lo sconfitto. Anche in questo secondo duello il sovrano (Hor) era stato colpito all'occhio prima di morire. Memori della saggezza di Iside, non bisognava a questo punto gettare la spugna soltanto perché un sovrano era stato assassinato. Così dicendo, il sacerdote sollevò lentamente il braccio e, puntando il dito contro il traditore tremante, gridò: «Ecco l'incarnazione di Seth. Egli ci aiuterà a sconfiggere il maligno».

Si riuscì nell'opera di imbalsamare il corpo di Seqnenrîe Te'o, nonostante questo si trovasse in pessime condizioni per aver trascorso già diversi giorni inumato alla bell'e meglio. Nel frattempo Jubelo, come parte della sua condanna, fu immerso più e più volte in latte acido ed esposto alla calura del deserto, di modo che, per l'effetto delle proteine marcescenti, egli cominciò presto a emanare un fetore nauseante, segno della sua natura di «essere maligno». Giunto il giorno della cerimonia di Osiride-Seqnenrîe, nonché di Kamóśe-Hor, i preparativi si erano conclusi, ma le bare approntate erano due. Il primo sarcofago, di splendida fattura, conveniva in tutto e per tutto a un dio-re sprigionante una delicata fragranza; la seconda era una bara bianca, priva di iscrizione.

Approssimatosi il momento della cerimonia, un Jubelo maleodorante e in preda al delirio fu condotto nudo al cospetto degli imbalsamatori, con le braccia bloccate lungo i fianchi. Fu Kamóśe stesso, il futuro Hor, a tranciar via di netto i genitali al sacerdote con un preciso fendente, gettandoli poi a terra. Mugolante, Jubelo fu avvolto in bende e mummificato partendo dai piedi. Gli fu concesso di tenere le mani sulla dolorosa ferita, così che il punto in cui la perfida creatura era stata punita sarebbe stato evidente a chiunque. Gli imbalsamatori raggiunsero, infine, il capo di Jubelo, che ravvolsero ben stretto con le bende, coprendolo per intero. Quando fu deposto nella bara, allentandosi la stretta, il traditore stirò indietro il capo per stendere la trachea e spalancò la bocca, nel disperato tentativo di respirare attraverso le bende soffocanti. Mori nel giro di qualche minuto, dopo che il coperchio della bara fu sigillato.

Jubelo pagò il proprio tradimento a caro prezzo.

Il saggio sommo sacerdote aveva suggerito a Kamôśe la necessità di creare dei segreti al posto di quelli autentici, scomparsi con la morte del sovrano. L'antico rituale venne pertanto rimpiazzato con una nuova cerimonia di resurrezione, durante la quale il futuro re sarebbe risorto da una morte metaforica per ascendere allo status di Hor grazie a delle formule magiche congegnate appositamente per l'occasione. Nel cerimoniale in questione si sarebbe narrata la storia del decesso dell'ultimo faraone del primo Egitto e, nel contempo, inaugurata la nascita di una nuova nazione, capeggiata dal sovrano appena incoronato.

Il corpo di Jubelo avrebbe accompagnato Seqnenrîe nel regno dei morti, per consentire ai due avversari Seth (nelle sembianze di Jubelo), evirato, e il nuovo Osiride, accecato come il vero Hor, di continuare ancora la propria battaglia nell'oltretomba. Con notevole arguzia i sacerdoti avevano approntato la cerimonia affinché la lotta tra le potenze potesse essere ripresa proprio dal punto in cui si era interrotta nella notte dei tempi. La guerra era appena incominciata.

Un chiaro segnale lanciato alla volta di Apôpe da parte di Kamóśe fu il nome da costui scelto una volta asceso al trono, e cioè a dire Wadj-kheper-Rî’e, che significa «Rigogliosa è la manifestazione di Rî’e», un modo per ribadire il concetto: «Tu hai fallito; io invece me la cavo benissimo con i segreti reali».

Assieme a Kamóśe anche l'Egitto risorse dalla morte metaforica: non doveva trascorrere molto tempo prima dell'inizio del periodo cosiddetto del Nuovo Regno, contraddistinto da un rigurgito di orgoglio nazionale. [...]

 

Indice

La scoperta di Hiram Abif La prova Biblica L'assassinio di Hiram Abif

La prova Massonica

 

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