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La prova massonica

[…] La storia di Seqnenrîe e dei suoi assassini è, al contempo, la storia dell'Egitto reincarnato e la storia di Hiram Abif. I due racconti si fondono in un tutto indivisibile, lontano da noi nientemeno che 3500 anni, ancora insufficienti però a cancellarlo per sempre. La Bibbia aveva fornito delle informazioni utili a colmare qualche lacuna, mentre le spoglie mummificate rappresentavano un'irrefutabile prova legale. […]

Ma dall’esame del rituale massonico emergono elementi di grande rilievo a suffragare questa storia.

 

L'analisi delle formule segrete utilizzate nella cerimonia muratoria del terzo grado, mormorate all'orecchio del fratello risorto e mai pronunciate ad alta voce, del tutto incomprensibili, sembrano essere composte, dal punto di vista sia sintattico che fonetico, da una sequela di brevi sillabe, proprio come nell'egiziano antico.

Scomponendo sillabicamente i vocaboli, con grande stupore, ci si ritrova tra le mani una frase di senso compiuto.

I suoni pronunciati in Loggia aperta sono i seguenti:

 

Mé 'e-neb-men-aa, Mé’ ‘e-ba-aa.

 

I Fratelli massoni, che certo avranno riconosciuto le parole rituali, si meraviglieranno nell'apprendere che si tratta di locuzioni in lingua egizia, il cui emozionante significato è:

 

Grande è il maestro massone eletto, Grande è lo spirito della massoneria.

 

Al termine Mé’ ‘e è stata fatta corrispondere la parola «massoneria», perché la lingua moderna è priva di un'espressione atta a convogliare il composito significato originale del termine, che racchiude in sé concetti quali «verità, giustizia, lealtà, armonia e rettitudine morale simboleggiati dalla regolare purezza delle fondamenta, perfettamente squadrate e diritte, di un tempio». Mé’ ‘e, si è detto, era un atteggiamento nei confronti della vita in cui si armonizzavano i tre valori fondamentali dell'umanità, segnatamente il sapere scientifico, la bellezza artistica e la spiritualità religiosa. Come l'arte massonica, appunto.

Per quanto riguarda il resto della frase, la traduzione è letterale.

Al fine di ribadirne l'origine egizia, si è provveduto a trascrivere le frasi con i caratteri geroglifici, quantunque sia del tutto improbabile che essi siano mai comparsi per iscritto prima di adesso.

A quel punto ci venne fatto di chiederci com'era stato possibile che le due frasi si fossero conservate inalterate nel corso dei millenni, senza mai essere tradotte nelle varie lingue (cananeo, aramaico). La risposta va forse ricercata nel carattere «magico, di incantesimo» attribuito a tali parole, che rendeva la resurrezione del candidato un fenomeno non limitatamente simbolico. Ai tempi di Salomone il senso originario doveva essere già da molto perduto.

Se ci spostiamo al principiare del Nuovo Regno e proviamo a immaginare l'ascesa al trono di Kamóśe dopo la morte del re (il personaggio in cui ormai riconosciamo Hiram Abif), possiamo ben comprendere il potere racchiuso in tale formula, riecheggiante forse l'espressione moderna: «il re è morto, lunga vita al re». Il candidato risorto è lo spirito di Mé’ ‘e (della massoneria), che continua a vivere dopo la scomparsa dei suoi predecessori.

Il particolare della formula magica fossilizzatasi nel tempo da’ maggior consistenza alla tesi.

Chi volesse ora mettere in dubbio la coincidenza dei personaggi di Seqnenrîe e di Hiram Abif, dovrebbe innanzitutto avanzare le argomentazioni necessarie a smantellare la prova delle frasi in egiziano antico, pronunciate nel cruciale momento della resurrezione nel moderno rituale massonico.

Gli antropologi da tempo sostengono che, per trasmettersi di generazione in generazione nei riti tribali, gli elementi di una cultura non necessitano obbligatoriamente della partecipazione consapevole degli individui, ma anzi che tali informazioni si perpetuano senza subire delle distorsioni proprio quando risultano incomprensibili all'utente. L'esempio classico è quello dei ritornelli infantili, che sopravvivono nel tempo mantenendo la purezza originaria a differenza, magari, di antichi racconti fissati per iscritto e infiorati da una lunga catena di autori, mossi dal buon proposito di volerli «perfezionare».

E ancora in voga in Gran Bretagna un ritornello infantile, (si tratta della conta “Eenie, meenie, minie, mo”, intraducibile in italiano) basato su un sistema di conteggio che potrebbe precedere l'occupazione romana se non, addirittura, l'insediamento celtico! Sopravvissuto per due o tremila anni senza subire alcuna modifica, esso potrebbe perdurarne altrettanti, conservando sempre la propria purezza linguistica.

La formula magica egizia relativa a Mé’ ‘e è sopraggiunta ai moderni massoni attraverso due lunghe tradizioni orali e dopo un periodo di «ibernazione» nelle fondamenta del tempio di Erode, non senza l'importante contributo offerto dal profondo senso di riverenza per le virtù magiche in essa racchiuse, protrattosi anche dopo la perdita del significato originale.

[…] Vi è forse una possibilità su qualche milione che la traduzione sensata della formula massonica sia dovuta a una mera coincidenza. Anzi. Lo zampino del caso è da escludersi proprio per il fatto che da quei suoni si è tratta una frase di senso compiuto di enorme rilievo.

Uno sguardo alla gerarchia della casta sacerdotale e dei quadri alti egizi nell'epoca del Nuovo Regno è sufficiente a raccogliere abbondanti paralleli con la massoneria.

Di colorito squisitamente massonico sono infatti le descrizioni dei ruoli sociali: il primo profeta della regina Hatśhepśòwe era soprannominato anche «sovrintendente alle opere», mentre il primo profeta di Ptah era detto «maestro artigiano» o «maestro artefice». Una volta di più è da scartarsi l'ipotesi che la massoneria abbia mutuato tali titoli dalla storia egizia, giacché questi erano già in uso nelle tornate di loggia prima della traduzione dei caratteri geroglifici.

Nell'antico Egitto ciascun lavoratore soleva prestare servizio nel tempio consacrato alla divinità protettrice della sua professione. Il dio della luna Thout, che in epoca tarda sarebbe diventato oggetto di interesse per i primi massoni, era il divino benefattore degli architetti e degli scribi. E non può sfuggire il parallelo tra le costumanze degli Esseni, i fondatori della chiesa di Gerusalemme, e dei sacerdoti egizi, anch'essi tenuti a indossare soltanto vesti bianche, a compiere lunghi bagni rituali e purificatori, ad astenersi dai rapporti sessuali, a praticare la circoncisione, a rifiutare determinati alimenti tra cui i molluschi. Come gli Esseni, i rappresentanti della casta sacerdotale egizia utilizzavano l'acqua per eseguire pratiche di carattere quasi battesimale e l'incenso per detergere gli abiti. Le osservanze degli Esseni rivelavano, insomma, origini arcaiche.

 

Nel rituale massonico, Hiram Abif è detto il «Figlio della Vedova», espressione questa a cui non si era mai data una spiegazione logica. Ora affiorano, con questa tesi, addirittura due possibili interpretazioni, tra loro strettamente correlate.

La madre di Hor, il primo della leggenda egizia, avendo concepito il figlio dopo la morte del suo sposo, rimase vedova prima di essere fecondata. Per conseguenza, è logico pensare che tutti i futuri Hor, ossia tutti i successivi faraoni d'Egitto, si definissero «Figli della Vedova», titolo questo che si confà in particolare a Kamòśe, figlio della vedova Ahmòśe-Inhò'pe, sposa di Seqnenrîe Te'o

 

Seqnenrîe Te'o l'Intrepido

La vicenda di Hiram Abif ha quindi valenza storica e non già simbolica, come generalmente si credeva in ambito massonico, autori compresi. Difatti, se prima si riteneva che questa storia ritualizzata fosse stata concepita per mettere in luce dei ragguardevoli concetti simbolici, con questa ipotesi non più, ossia il simbolismo era viceversa sbocciato sul tronco della realtà. Nell'apparato teologico egizio l'irreversibile scomparsa del culto astrale e dei riti magici legati alla intronizzazione del faraone segna una svolta decisiva di enorme rilievo. Che gli egizi considerassero re Seqnenrîe, ucciso all'età di trent'anni circa, un personaggio fuori dall'ordinario è testimoniato dal soprannome di «Intrepido» assegnatogli nelle cronache successive. Qualcuno ritiene che, per via della crudeltà delle ferite osservate sulla mummia del faraone, questi sia caduto in una battaglia combattuta contro gli Hyksôs; altrettanto numerosi sono i fautori della tesi dell'omicidio. Nel primo caso, però, non si tiene conto del fatto che la guerra con gli invasori non scoppiò prima dell'ascesa al trono di Kamòśe; e, comunque, se realmente Seqnenrîe fosse spirato da eroe sul campo di battaglia, alla testa delle sue truppe, gli annali egizi non avrebbero taciuto le modalità della sua morte. Doveva esserci un'altra ragione, certo più insolita, per la quale egli assurse a rango di eroe agli occhi del suo popolo.

A nostro avviso tale titolo fu conferito al faraone in segno di riconoscenza dopo che questi pagò con la vita il silenzio riguardo al supremo mistero delle due terre. La morte di Seqnenrîe l'Intrepido segnò senza ombra di dubbio l'inizio dell'emancipazione egizia dagli invasori, quando Tebe cominciò ad armarsi contro gli Hyksôs per vendicare l'obbrobrioso assassinio. In seguito alle schiaccianti sconfitte inflitte dall'erede del faraone, re Kamóśe, ai «miserabili asiatici», questi ultimi furono costretti a lasciare Menfi. Le donne dell'ultimo sovrano hyksôs, il successore di Apôpe, Apôpe II, vissero la terribile esperienza di vedere la flotta tebana, capitanata dal generale Aahmas, risalire lungo il canale di Pat'etku su su fino alle mura della capitale del regno straniero Avaris. Toccò ad Ahmóśe, fratello minore di Kamóśe e suo successore al trono, sconfiggere definitivamente gli invasori e ricacciarli dall'Egitto verso Gerusalemme. Impossibilitate a prendere la via del mare, si dice che almeno 240.000 famiglie si avviarono in direzione dei deserti del Sinai e del Negev. Fatto quanto meno curioso: il tragitto prescelto portava il nome di Wat Hor, ovvero «la via di Hor».

In conclusione l'evento drammatico che ebbe luogo a Tebe sul finire della prima metà del II millennio a.C. rappresentò un momento cruciale nella storia dell'Egitto. Esso era l'evidente replica del conflitto tra il bene e il male che, duemila anni prima, aveva dato i natali alla nazione egizia. L'antico regno egizio era sorto, cresciuto, aveva raggiunto la maturità, si era incamminato sul viale del tramonto per scomparire infine per mano del malvagio dio Seth, che puntualmente seppe inviare sulla terra i propri seguaci, facendoli piombare come un flagello sulle genti d'Egitto. Come Osiride, l'Egitto rimase per qualche tempo privo di vita. Terminato questo periodo Amon-Rî’e si accinse a combattere una battaglia contro Apôpe, l'antico dio serpente, la potenza delle tenebre discesa sulla terra nelle sembianze di un sovrano hyksôs. Quest'ultimo, subodorando forse l'incipiente resurrezione dell'Egitto, aveva tentato invano di impossessarsi dei misteri di Osiride. Il fallimento del suo progetto si deve al coraggio di Seqnenrîe Te'o, che preferì la morte al tradimento dei supremi segreti. Di lui si disse che fu «il re perduto» per due motivi: da un lato, perché il suo corpo fu ritrovato troppo tardi per dargli una resurrezione personale; e dall'altro perché il segreto osiriano andò per sempre smarrito con lui. Da allora, dal momento cioè in cui i segreti originari che permisero a Iside di risuscitare Osiride andarono dispersi e rimpiazzati con segreti sostituiti, nessun monarca d'Egitto avrebbe mai più potuto unirsi nella morte agli astri celesti.

Nessun regnante d'Egitto sarebbe stato più un re, ma un semplice faraone, traduzione dell'egizio per-a'a, eufemismo con il quale si indicava, appunto, il re e che significa «grande casa» (un po' come gli statunitensi si riferiscono al proprio capo di stato con la metafora «la Casa Bianca»).

Il diritto divino assoluto goduto dal singolo individuo era perduto. E irrimediabilmente perduti erano anche tutti i re, non soltanto Seqnenrîe!

La resurrezione dell'Egitto, nonostante il disgraziato smarrimento dei misteri divini, ebbe un grande successo: il Nuovo Regno coincise con l'ultimo periodo di grandezza di quel popolo. La morte e la resurrezione avevano dato luogo a una rinascita, apportatrice di rinnovata energia e vigoria.

A offrire la definitiva conferma del legame esistente tra le figure di Hiram Abif e Seqnenrîe Te'o sarebbero state le risposte a due ulteriori interrogativi: Perché Seqnenrîe passò alla storia come un costruttore? E qual è il parallelo tra lui e il tempio di re Salomone? Replichiamo subito alla prima domanda: Seqnenrîe era il sommo protettore di Mé’ ‘e, il principio della verità e della giustizia con cui si costruiscono le fondamenta squadrate e diritte di un tempio. Riguardo al secondo interrogativo, dimostreremo che gli israeliti, che avevano avuto accesso diretto a questi drammatici eventi, li usarono nella dimora regale di Davide per darsi un'impalcatura segreta di cui la loro neonata monarchia difettava completamente. Giunto il momento di trascrivere questa leggenda, gli ebrei dissimularono l'origine egizia, collocandola nell'epoca storica di più alto splendore della nazione israelitica, vale a dire l'epoca della costruzione del tempio salomonico. L'eroe della versione ebraica non poteva essere il re, di cui si conoscevano perfettamente le gesta. Ecco, quindi, che il ruolo preminente spettò all'altro personaggio di rilievo, l'architetto del grande tempio. E poiché i segreti murari e la saggezza del maestro artefice erano facilmente comprensibili a tutti, quale migliore «resurrezione» poteva esserci per Seqnenrîe l'Intrepido?

L'origine egizia di Hiram Abif risolveva il problema connesso alla divinità da lui venerata, che non era Jahvè ma il dio del sole Rî’e (letteralmente, «l'altissimo»), chiarendo anche in maniera definitiva il motivo per cui l'ora prescelta per la pratica devota dovesse essere il mezzodì.

I massoni moderni giustificano il fatto che, a tutt'oggi, i lavori di Loggia sono aperti a mezzogiorno con il carattere universale dell'ordine, rispetto al quale «il sole si trova sempre al suo meridiano». Il riferimento massonico a Dio con il termine «Altissimo» sarebbe invece riconducibile al dio egizio Rî’e nella sua posizione più eccelsa, lo zenit dell'astro a mezzodì. A ciò si aggiunge un altro fattore comprovante la tesi di un possibile nesso tra la storia egizia originaria e la versione giudaica da questa derivata, un fattore rinvenuto nel testo biblico stesso, laddove è scritto che prima dell'introduzione del nome di Jahvè, il «dio dei padri» d'Israele era chiamato 'el 'elyon, vocabolo cananeo che significa «Dio, l'altissimo».

 

Un ulteriore argomento privo di valore probatorio, ma comunque assai significativo, riguardava la persona di re Tuthmóśe III, il quale ascese al trono per volere di dio, dopo che questi lo elesse nel tempio come erede indiscusso, rendendo l'imbarcazione sulla quale era trasportato talmente pesante da costringere i portatori a posarla in terra al cospetto del giovane. Tuthmóśe III fu il quarto faraone a salire al trono dopo la cacciata degli Hyksôs. Tutte le notizie pervenuteci sulla sua persona lasciano intendere che, in quell'epoca, i segreti della religione astrale e dell'immedesimazione dei sovrani in Osiride e Hor erano già stati perduti. A tradire l'incertezza di Tuthmóśe riguardo al diritto divino assoluto a governare è proprio la necessità di dare credito alla sua elevazione al trono con la storia dell'«arca», necessità questa mai condivisa dai precedenti sovrani. Non solo. La natura non divina del faraone è ribadita anche dal fatto che gli fu usurpato il potere.

Tuthmóśe II era morto senza lasciare un successore maschio legittimo, figlio cioè della moglie e sorellastra Hatshepśówe. Ecco, invece, che un ragazzo, nato da una relazione del faraone con una concubina, si era arrogato il diritto di sedere al trono, senza essersi identificato con Hor attraverso la tradizionale cerimonia segreta. Dapprima Tuthmóśe III riuscì a stabilire la propria autorità senza incontrare difficoltà, ma con l'andar del tempo le cose si complicarono in maniera impreveduta. Dalle traduzioni dei geroglifici risulta chiaramente che Hatshepśówe cominciò a rivendicare un pari diritto allo scettro rispetto a Tuthmóśe III, finché non riuscì in breve a travolgerlo definitivamente, prima donna della storia egizia ad aggiudicarsi legittima discendenza dal dio Amon-Rî’e. Il faraone usurpato fu costretto ad arruolarsi nell'esercito, perché non vi fossero dubbi su chi detenesse l'autorità e il controllo del paese. Come spesso accade alle donne che emergono ai vertici del potere, la regina fu una persona estremamente influente, che riuscì a ottenere grandi successi. Il monumento funebre eretto in suo onore, situato sulla sponda occidentale del Nilo, rimane a tutt'oggi uno degli edifici più sbalorditivi e mirabili di tutti i tempi.

Si è detto che la nobile morte di Seqnenrîe Te'o segnò la resurrezione della più maestosa civiltà mai esistita, nonché l'irrimediabile smarrimento degli autentici misteri della casa reale d'Egitto. Con essi era perduto anche il diritto assoluto a governare, un diritto che i segreti sostituiti non potevano trasmettere, pur offrendo ai futuri faraoni e al loro entourage tutto il materiale necessario per il rito di passaggio. […]

 

Indice

La scoperta di Hiram Abif La prova Biblica L'assassinio di Hiram Abif

La prova Massonica

 

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