Il testo che si presenta è l’Idra de Maschanah, uno dei tredici capitoli sciolti del Sepher ha-Zohar, ovverosia il Libro della Radiosità o, come più comunemente noto, Libro dello Splendore, opera da sempre considerata nodale per la Qabalah, tanto da far proclamare uno degli ultimi cabalisti del nostro secolo stanchi di interpretazioni o letture non ortodosse: "Occorre, una volta per sempre, ricordare, rilevare ed evidenziare, che la Bibbia della Qabalah Ebraica è il Sepher ha-Zohar e che ogni idea che non può trovarvi la sua referenza è falsamente cabalista[1]".

Il Sepher ha-Zohar è, comunque, un testo di difficile acquisizione, anche se si deve registrare una ristampa anastatica nel 1970 (della traduzione francese a cura di Jean de Pauly, 1906-1911, in sei volumi), ormai esaurita da tempo e una pubblicazione, sempre in lingua francese (è giunta al quinto volume) assai più recente, traduzione dall’aramaico a cura di C. Mopsik e articolata in diciotto volumi.

Con esclusione di copie manoscritte che circolavano certamente già dal 1280 [2], le prime edizioni a stampa, in lingua aramaica, sono datate Mantova 1558 - 1560 e Cremona 1559 - 1560. Da dire che le due pubblicazioni furono eseguite a seguito di un recupero dei diversi manoscritti in circolazione, manoscritti contenenti differenze di dettaglio che, alla fine, diedero origine a due testi alquanto diversi sia in merito all’ordine dei capitoli sia al contenuto. Immanuel di Benevento editò il testo di Mantova effettuando una scelta personale operata su dieci manoscritti, mentre per l’edizione di Cremona, Vittorio Eliane l’organizzò procedendo al confronto di sei manoscritti.

Sephirâ, al singolare (Sephiroth al plurale), è tradotto con Numerazione. Il Sepher ha-Zohar le indica, a volte, con la parola Corone o Lampade. Questo perché la parola Lampada, include la nozione di strumento propagatore della luce; mentre Corona è il nome stesso della prima Sephirâ, quella che è la sorgente e la sintesi di tutte le altre.

Indicando con dei gradi o principi numerali gli stadi consecutivi del rapporto che salda l’Assoluto al Relativo e chiamando questi stadi consecutivi (Sephiroth) Numerazioni, la Qabalah suggerisce che l’essenza dei Numeri compartecipa delle due nature (relativa ed assoluta); il che testimonia un’elaborazione metafisica delle più profonde ed autorizza a ritenere la manifestazione primordiale, quella dall’Assoluto al Relativo, come fondata sui numeri. In effetti, la condizione concettuale di una possibile transizione dall’Assoluto al Relativo, è ipotizzabile soltanto dopo il deflusso dall’Uno-Uno, dall’Uno che non conta di plotiniana memoria, all’Uno inizio della molteplicità.

Non credo sia utile, al fine di evitare possibili confusioni, invadere la lezione della distribuzione delle Sephiroth (da ordine circolare in lineare), il che presupporrebbe conoscenze che hanno riferimento ad un prima e a un dopo (prima e dopo la rottura dei Vasi) e porterebbero inevitabilmente il nostro discorso al Tikkun (Riparazione).

In questa sede è sufficiente sapere che i due Visi (Grande Viso Arikh Anpim e Piccolo Viso Ze’eir Anpim) che raccolgono i cinque Parzuphim (tre Persone nel primo e due nel secondo) e le Sephiroth, sviluppano, nella Qabalah, due nozioni metafisiche vincolate e vincolanti.

Lo sviluppo lineare delle Sephiroth, infatti, presuppone una articolazione che richiama una gerarchia espletata nelle Persone dei due Visi; gerarchia che rende la sua immanenza nel Relativo. L’antinomia tra il Relativo e l’Assoluto (per la Qabalah) può essere risolta soltanto considerando queste due nozioni; con le Sephiroth l’Assoluto rende possibile la causa della Relatività, con le Persone la Relatività si trova compiuta all’interno dell’Assoluto.

In quale maniera la causa della Relatività è resa possibile attraverso le Sephiroth, l’Idra non lo esplicita, ma il racconto è contenuto nel Sepher ha-Zohar I° foglio 14a, nelle quindici righe che introducono la Parascha del Berechith (la sezione biblica di concordanza). Alcuni commentatori hanno inteso, per altro, leggervi anche un’indicazione all’antefatto della creazione, da qua l’ipotesi di un capitolo mancante al Genesi, quello dell’Antecedente il Principio[6]. Il passo che segue è una traduzione della versione aramaica, che ne fa Moïse Cordovero.

Nel tempo primordiale, vale a dire quello del Re nel suo zenit supremo, Egli incise un punto [Kether, la prima sephirah] nella sfera celeste.

Una Fiamma oscura zampillò all’interno del Chiuso che iniziava dai confini dell’Infinito; forma nell’informe (materia primordiale) fissata al centro dell’anello. Non bianco, non nero, non rosso, non verde, di nessun colore. Quando egli misurò esattamente [7]  fece apparire dei colori per illuminare l’interno [le altre nove Sephiroth]. Al centro della Fiamma sgorgò una sorgente, a iniziare dalla quale, giungendo in basso, i colori presero le loro sfumature. Il Chiuso del Chiuso dell’enigma dell’Infinito, tentò di perforare, ma non perforò la propria aria circondante, dimora sconosciuta. Fino a quando, a causa della potenza della sua apertura, un punto si illuminò, chiusura suprema. Al di sopra di questo punto nulla è generato, per questo è chiamato Rechith, inizio, prima parola di ogni parola.

Dieci Sephiroth, due Volti, cinque Persone, trentadue Sentieri della Saggezza, cinquanta Porte dell’Intelligenza, quattro Mondi, quattro classi di Nomi divini, ecc. ecc. potrebbero, in realtà, generare qualche perplessità e confusione. In realtà è soltanto nell’analisi che la Qabalah moltiplica, quantifica, seleziona e distingue; nella sintesi TUTTO è sempre una cosa sola.

Le differenze si concretizzarono nel numero di tomi, tre per l’edizione di Mantova, uno per quella di Cremona; tali differenze di taglio spinsero gli studiosi a distinguere il Sepher ha-Zohar Hakatan (Piccolo Zohar) dal Sepher ha-Zohar Hagadol (Grande Zohar) di Mantova, testo, quest’ultimo, utilizzato dai Cabalisti Hassidici Polacchi e Tedeschi fino al diciottesimo secolo. Entrambe le edizioni furono raccolte e pubblicate, dopo essere state integrate con altri manoscritti ritrovati nelle bibioteche europee, in ventidue volumi a Tel-Aviv tra il 1945 e il 1958, edizione in lingua aramaica curata da Yehuda Achlag.

L’Idra de-Maschanah (ardya o Idra, deriva dalla parola ebraica rdh, e significa, camera, sala di riunione, e per estensione assemblea o riunione, concilio) è riportata nel Sepher ha-Zohar II^ alle pagine 471 – 478 ai fogli 122b – 123b [3].

Come sopra si diceva, è uno dei tredici capitoli sciolti, così indicati dagli studiosi perché non seguono la logica consequenzialità di quanto è esposto nelle pagine che li precedono, trattando argomenti che nulla hanno di comune con il tema soggetto della sezione.

Il Pauly, onestamente ammette che si ignora del perché questa Idra porti il nome di Maschanah (Santuario), considerato che non vi è contenuto nessun riferimento in tal senso. É ipotesi accettata, che il titolo sia stato aggiunto da qualche copista, in considerazione del fatto che la parascha, vale a dire la sezione biblica dove l’Idra è intercalata tratta, appunto, dell’erezione del Santuario (Tabernacolo). O forse, come lo stesso de Pauly suggerisce e alcuni commentatori ipotizzano, il Sepher ha-Zohar contiene soltanto dei frammenti di queste Idra, per cui nulla vieta di pensare che nei manoscritti originali, l’Idra de-Maschanah trattasse proprio del Santuario e che noi si sia in possesso soltanto di un frammento.

L’intelligibilità del tema contenuto in questo scritto, non è di quelli che si suole dire della più immediata e agevole comprensione e le note che seguono, certamente incomplete e mutile, se pur di aiuto, non potranno rendere in maniera completa l’intero sistema metafisico delle Sephiroth [4], dei due Visi e delle cinque Persone, enunciato nel de-Maschanah.

Lo studio di tali sistemi, così importanti nella Qabalah, non potranno quindi, essere portati a termine soltanto con quanto esposto nel testo e in questa breve introduzione, ma dovranno trovare riferimenti su altri elaborati di più scorrevole esposizione. Le pagine che seguono, tenteranno in ogni caso, di introdurre alla lettura dello scritto fornendo alcuni elementi fondamentali sul sistema metafisico degli stessi, presentando anche taluni commenti di noti pensatori.

Fin dagli inizi, gli studiosi si chiedono se l’insegnamento della Qabalah sostenga che tutte le cose emanino dall’Assoluto stesso. Questa è la sintesi di tutto l’insegnamento. Per onestà intellettuale occorre registrare che tale peculiare problema non ha trovato, nel corso dei secoli, una codifica universale nelle varie accademie. Ecco che allora emerge un grande arruffio. Alcune scuole, nel tentativo di rivelare l’Assoluto quale principio della Relatività, hanno letto il sistema sephirotico come una pura dottrina emanatista e autori, allora, l’hanno considerata una parente molto stretta del Panteismo e hanno teorizzato le Sephiroth come un'irradiazione consustanziale della divinità non manifesta confutandole, conseguentemente, il ruolo di mero potere dell'Emanatore. Altri autori vi hanno letto l’archetipo dell’ex nihilo, vale a dire la libera creazione della sostanza primordiale; altri ancora, nel tentativo di riconciliare nel divino non manifesto l’antinomia che emerge tra l'Assoluto e la Creazione, hanno ipotizzato l'emanazione delle Sephiroth all'interno dello stesso divino, imputando ai Mondi, in cui queste si dispiegano, la missione di legittimare e giustificare il Relativo stesso. Alcune scuole, al contrario, hanno inteso ricomporre questa antinomia riconducendola al potere dell'Emanatore manifestato nelle Sephiroth create ex nihilo. In breve vi è stato letto tutto e il contrario di tutto; emanazione, creazione ex nihilo, consustanzialità, potere divino creatore, elemento mediatore, ipostasi.

Nonostante le divergenze sostanziali che la gnoseologia del sistema ci consegna, la Qabalah affida il compito di sondare il rapporto tra Dio e mondo, tra Assoluto e relativo alle Sephiroth, con la funzione di rivelare l’Assoluto come principio della relatività, e ai due Visi e ai cinque Parzuphim (Persone) per spiegare l’adattamento graduale della natura assoluta della divinità alla relatività.

Francis Warrain rilevava nel 1931 come il Sepher ha-Zohar accennasse alle Sephiroth come dieci gradi del divino.

[5] Sono veli attraverso i quali l’essenza divina si rivela; sono i dieci gradi per mezzo dei quali l’Assoluto manifesta qualcosa della propria realtà inaccessibile. Non sono delle creature, ma delle nozioni e dei raggi dell’Infinito, che per varie digressioni discendono dalla sorgente suprema, senza tuttavia separarsene. Aderiscono alla Causa delle Cause, interamente occulta in se, da cui ne emanano direttamente, e grazie alla virtù di questa Causa delle Cause, Radice delle Radici, producono e governano tutto il resto.

Le Sephiroth non sono, quindi, delle entità, non sono neanche delle ipostasi divine, benché le prime tre siano con una certa frequenza (ma erroneamente) associate alla manifestazione della Trinità cristiana, tentativo articolato soprattutto nel Rinascimento, non sono degli elementi distinti dalla Radice dell’Essenza ed emanati da Lei.

Esse costituirebbero il fondamento del Mondo dei Principi Divini (Olam Atziluth); Principi tramite i quali il Pensiero Divino si rende origine di una creazione possibile.

A proposito del Piccolo e del Grande Volto, per ritornare ai contenuti dell’Idra, il Sepher ha-Zohar III^ ai fogli 141a 141b (Idra Rabba) afferma: l’Antico degli Antichi [Grande Viso] e il Piccolo Volto è una sola e medesima cosa; tutto era e tutto sarà. Non è suscettibile di trasformazione, non è mai modificato e mai lo sarà, è il centro di ogni perfezione. È l’immagine di tutte le immagini, l’immagine di tutti i nomi, l’immagine che si vede ovunque e sotto tutti gli aspetti, ma soltanto come riproduzione e disegno, poiché nessuno ha visto o può vedere l’immagine reale ed autentica. La riproduzione più simile all’originale è quella dell’uomo. Tutti i mondi, in alto e in basso, sono compresi nell’immagine di Dio. L’Antico Sacro [Grande Viso] e il Piccolo Volto sono la stessa cosa. Ma ci si chiederà, quale è dunque la differenza fra l’uno e l’altro? Il tutto è una bilancia, dove un piatto contiene la Clemenza e l’altro il Rigore. I piatti formano due bilance? Assolutamente…

Le Sephiroth i due Visi, i Parzuphim (le Persone) sono quindi i soggetti dell’Idra, tali temi sono sviluppati dal punto di vista dei diversi aspetti sotto i quali la divinità si manifesta. Nel testo l’esposizione segue il punto di vista del Non-Essere (Aïn), e descrive l’adattamento dell’Assoluto alle condizioni della Relatività in funzione della Ragione.

Locuzioni come: La Testa del Re, i Capelli del Re, la Fronte del Re, il Naso del Re sacro, le Orecchie, ecc. che si incontrano nella lettura del de-Maschanah, non vanno, ovviamente, considerate in senso restrittivo, poiché, termini come Testa, Fronte, Occhi, Orecchie ecc. non sottintendono, assolutamente, delle forme materiali i cui antecedenti si trovano, per altro, nell’antica dottrina del Shi’ur Qomah (la misura della statura divina) che tanto imbarazzo provocò ai filosofi ebrei del medio evo, ma sottintendono gradi dell’essenza divina in manifestazione.

Scorrendo il testo dell’Idra, emerge assai chiaramente, che l'incommensurabilità è uno degli attributi della divinità in manifestazione, la quale è, indefinita in tempo e spazio. La cosa è di per se assai illuminante. É agevole comprendere, infatti, che l'incommensurabilità indefinita collocata nel tempo-spazio è cosa assai differente dall’infinità a-spaziale e a-temporale di Aïn o del Non-Essere.

L’indefinito, infatti, è soltanto una successione di dati, i quali, per quanto spinti allo indeterminato sono in ogni caso finiti e conseguentemente subordinati alla legge della necessità quaternaria. Il principio o, per dirla con l’Idra, Kether è simile al punto geometrico il quale anche se considerato privo di dimensione e spazio, produce tuttavia la linea, il piano e il volume; ma pur rappresentandosi in indefinite modalità, il punto può produrre soltanto linee, piani o volumi. Esso quantunque elemento di origine, ricade nella sfera dello spazio-temporale, con tutte le implicanze d'ordine metafisico che ne possono scaturire.

L’infinito a-spaziale e a-temporale di Aïn, del Non-Essere, è di altro ordine e grado. Esso è privo di ogni relazione, estraneo ad ogni condizionamento e progressione, ad ogni origine ed estremo, a tutti i numeri e numerazioni, indifferente ad ogni punto linea e volume. Cosa ci suggerisce allora il de-Maschanah? Che al di là della stessa essenzialità di cui tutte le cose sono fatte, esiste la radice di questa stessa essenza.

L’Idra, ben comprendendo ogni limite dialettico, colloca la radice di tutte le radici, l’essenza di tutte le essenze, il principio di tutti i principi, al di fuori della portata del pensiero e della conoscenza quale effetto di una relazione soggetto - oggetto. Questo, però, non significa che la via del ritorno al Non-Essere sia, nella Qabalah, preclusa o negata, al contrario ne è testimoniata l’esistenza per... contrasto. La tecnica insegnata in alcune Accademie e conosciuta con il nome di Bittul ha-Yesh (svuotare per riempire) aveva questo scopo; tramite una conoscenza non di relazione ma frutto di una identità con il divino, ritornare al Non Essere.

Nella sua prima manifestazione unitaria e superiore Aïn, il Non-Essere, è la Sephirâ Kether, che l’Idra chiama Antico degli Antichi, Antico dei Tempi, Mistero dei Misteri, Segreto dei Segreti. Questo supremo grado è anche indicato con Grande Viso o Grande Figura. È il Neqouda hada (Punto primordiale), la Corona, il testimone-protagonista della transizione fra l’Assoluto e il Relativo. Come prima manifestazione unisce, quindi, intimamente i punti di vista del Non-Essere (Aïn) e quello dell’Essere (rappresentato nell’Idra dallo stesso Albero Sephirotico), e come ogni confine, come tutti gli estremi, può essere intuito soltanto proiettato in questi due termini, di cui esso è la frontiera.

Come avviene, secondo il de-Maschanah, questo passaggio, questa transizione dall’immanifesto al manifesto? In verità l'Idra non ne parla, lasciando al lettore interessato la gioia di scoprirlo con la riflessione sugli abbondanti simboli e immagini del testo; ma in un altro passo del Sepher ha-Zohar, al foglio 268b del primo volume, il problema è affrontato e proposto a soluzione nella maniera che segue: ...[268b] Rabbi Shimon continuò: alzo le mie mani al cielo, in segno di preghiera.

Quando la Volontà Suprema [Aïn] aleggiava in alto nell’alto, in maniera sconosciuta e inconcepibile, la Testa Misteriosa [Aïn Soph] proiettò una tale Luce [Aïn Soph Aur] da essere a sua volta impenetrabile. Era un "Pensiero di Luce" [269a]. Un velo fu tirato e attraverso di esso, inizialmente in maniera fioca, questa luce iniziò a mostrarsi (Kether), in seguito altri veli furono tesi, ed emersero, così i nove Heikhaloth celesti [vale a dire le successive nove Sephiroth da H'cmâ a Malcouth].

Questi non sono luce, non sono spiriti e neanche delle anime, non sono delle forme definite. Tutti sono Aïn [il Non Essere] percepito attraverso i differenti veli. Non considerate Aïn [il Non Essere] e tutti gli Heikhaloth [le Sephiroth] spariranno.

Tutti i misteri della Fede sono compresi in questo insegnamento, secondo il quale tutto ciò che esiste in alto e in basso è la Luce del Non Essere, l’Infinito [Aïn]. Sollevate un velo, e tutta la materia vi apparirà immateriale; alzatene ancora un altro, e il mondo etereo superiore si manifesterà ancora più spirituale e sottile, e così di seguito [fino alla Volontà suprema].

Lo stesso sacrificio sull’altare, il fumo che se ne innalza e tutto ciò che serve al suo uffizio, altro non è che Aïn [il Non Essere] osservato attraverso la materia. Beato il destino dei Giusti che scorgono Aïn in tutto! Felice la loro sorte, in questo e nel mondo a venire!

Per il Sepher ha-Zohar, quindi, il manifesto transitorio è lo stesso Assoluto immanifesto percepito per contrasto attraverso dei veli. Per la manifestazione del transitorio, poiché esso non sarebbe esistente al di fuori o in contrapposizione all’Assoluto, un velo è inizialmente tirato (tra la manifestazione e la non manifestazione), su cui lo stesso Aïn inizia a mostrarsi prendendo il nome di Grande Viso, questi a sua volta, tira dinanzi a se un altra cortina, su cui inizia a tracciarsi il Piccolo Viso (le altre Sephiroth). Non si intende qui, sollevare il problema della realtà o meno della manifestazione di fronte all’unicità reale dell’immanifesto, certo è che la creazione intesa come semplice riflesso è un insegnamento chiaramente formulato ed è chiamato nella Qabalah, Eidolon.

Non nascondo di aver subito, inizialmente, la tentazione di presentare l’Idra in chiave alchemica, cosa possibile e altamente suggestiva. Troppo indicativi i passaggi nella seconda parte del testo, latte della Madre, il rosso stemperato nel bianco, il bianco fuoriesce dal rosso, il monte della mirra e quello dell’incenso, spirito che fuoriesce dalla bocca di Dio, le nobili sorgenti dissetano lo Tsaddîq (Giusto), succo di potenza ecc. ecc. La verità è che in questa tentazione ha prevalso la necessità di una presentazione ortodossa, ma entrambi i punti di vista raccontano la stessa corsa degli eventi. Comunque è assai agevole per chi sa, ritrovare tutti gli elementi di attinenza all’Opera. Di indicazione possa essere questo passaggio del capitolo sciolto ha-Bahir al paragrafo ottavo: "Il settimo cielo costituisce l’Oriente del mondo... è da là che proviene il seme... perché è il midollo spinale... o se preferite l’Asse... che trasferisce la materia dal cervello a quel membro... o se preferite a quell’Albero... in cui essa si trasforma in seme, così come è riferito in Isaia XLIII,5: io radunerò dall’Oriente il tuo seme". Ed ancora al paragrafo trentaduesimo: "É scritto [8] (Isaia LV,1): venite, acquistate senza denaro e senza alcun baratto, il vino e il latte. Che cosa significano le parole vino e latte? E quale rapporto esiste fra questi due liquidi? ... Possiamo ipotizzare che la Scrittura voglia indicare in senso stretto il vino e il latte? No di certo! Essa indica, piuttosto, le cose di cui questi due liquidi sono il simbolo.

Desidero chiudere questa breve introduzione con le parole di Gershom Scholem: L’Idra de-Maschanah avrà raggiunto il suo scopo se riuscirà a trasmettere al lettore l’idea del potere della fantasia contemplativa e della creatività del linguaggio figurato che il pensiero, apparentemente astruso, dei cabalisti nasconde.

Le note che, nel testo sono contrassegnate da numeri arabi appartengono al lavoro di Jean de Pauly, quelle segnate da lettere romane sono quelle contenute nel VI^ volume ed eseguite dal saggio revisore voluto da Emile Bertrand nel 1905.

Federico Pignatelli

 

 

[1] Emmanuel Lévyne “Le mystère du Nom divin Èlohim” Tsédek 1980. [Torna al testo]

[2] Gershom Scholem “Lo splendore della Qabbalà” pag. 24. [Torna al testo]

[3] Il riferimento è inteso per la pubblicazione del 1906, traduzione di Jean de Pauly in sei volumi, edizioni Maisonneve et Larose. [Torna al testo]

[4] La parola Sephiroth non è riconducibile al greco sfera, ma, come emerge dal Sepher ha Bahir (il Libro della Chiarezza), è relato all’ebraico sappir (zaffiro), perché sottintende lo splendore di Dio simile, appunto, a quello dello zaffiro. [Torna al testo]

[5] Francis Warrain “ Les Sephiroth”  Edizioni Chacornac Parigi 1931. [Torna al testo]

[6] Alcuni studiosi, ed anche il sottoscrittone è convinto, indicano il commento a tale capitolo mancante in un altro brano sciolto del Sepher ha-Zohar, nel Sepher de Zenioutha in cui è trattato della morte dei Re di Edom (distruzione di una precedente creazione) della restituzione dei Vasi e dell’istituzione del Regime della Metheqela [Bilancia] (presupposto di equilibrio alla creazione attuale). [Torna al testo]

[7] Parola per parola: Quando egli tracciò una corda (ahycm dydm). La parola corda non deve essere intesa nel senso stretto del termine, trattandosi di sartia di piccolissimo diametro che si tende fra due punti per tracciare una linea dritta, quindi il passo è da intendersi: quando allineò degli elementi. In altre parole, nel tempo in cui le Sephiroth passarono, dopo la rottura dei Vasi, dalla disposizione circolare primordiale a quella lineare (N.d.T.). [Torna al testo]

[8] Tutto questo passo è estratto dal Midrasch Ruth, del Sepher ha-Zohar Hadasch, foglio 63b; mentre nell’edizione di Venezia si trova al foglio 35a. [Torna al testo]

 

Indice

Introduzione Il Testo

 

Torna ad indice Sepher ha-Zohar