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"Il nuovo centro si Safed"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL NUOVO CENTRO DI SAFED

 

Il 1492, con l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, segna un mutamento di enorme rilievo nella storia della Qabalah, la quale solo da questo momento diventa patrimonio comune in quanto, nonostante che si fosse diffusa nelle generazioni precedenti, era pur sempre rimasta patrimonio di circoli abbastanza chiusi.

La meditazione Cabalistica, infatti, aveva finora cercato di penetrare il problema della creazione del mondo e scarso o nullo era stato l’interesse per il problema della sua redenzione.

L’ideale da realizzare consisteva nel ritorno dell’uomo alla fonte della vita tramite i diversi metodi che abbiamo in precedenza accennato. La redenzione o la salvezza diventava pertanto una via assolutamente individuale, e priva d’ogni spinta messianica, in quanto chi riusciva a conoscere la via dalla quale era venuto poteva anche sperare di ripercorrerla.

È abbastanza evidente che, in questo contesto, la meditazione del singolo, resta incapace di determinare qualsiasi cambiamento negli eventi del mondo, ma se la Qabalah riprendeva in se il messianesimo e faceva valere come forza apocalittica la meditazione sui valori spirituali, la conseguenza poteva essere che la redenzione, la riconquista, la restaurazione, sarebbero sopravvenute grazie alla realizzazione di molti individui; in altre parole ove la meditazione dei mistici avesse potuto tramutarsi in un’attività’ religiosa di tutta la comunità avrebbe rivelato di essere un’arma contro il male, e quindi capace di operare la redenzione.

Gli insegnamenti Cabalistici restavano indubbiamente difficoltosi e talora astrusi, ma i "nuovi" fini si prestavano facilmente alla divulgazione e pertanto i Cabalisti cercarono di estenderne l’influenza in tutta la comunità.

Questo sviluppo assolutamente originale della Qabalah, dopo l’espulsione dalla Spagna, non ebbe inizio in Italia, dove esisteva forse il centro più fiorente di cultura giudaica e di attività Cabalistica, ma venne dal nuovo centro creato in Israele, Safed, che mentre da una parte diede vita ad un rinnovamento delle Qabalah, dall’altro fu anche l’ultimo movimento di vasta portata e di decisiva influenza.

Il più importante esponente ed il principale pensatore del centro di Safed, fu Moshè ben Yaaqov Cordovero (1522-1570).

La sua filosofia teoretica, soprattutto per quanto riguardava la teoria delle Sephiroth, era assolutamente diversa dalla Qabalah originaria, in quanto secondo la sua concezione vi è un principio formativo, soggetto ad una dialettica, che agisce sul processo di emanazione; ciò significa che i gradi dell’emanazione sono stadi del pensiero divino. Il Divino, peraltro, così come si rivela quando emerge dalla profondità del proprio essere, agisce come un organismo vivente. Cordovero fu anche il primo che tentò di risolvere il problema del rapporto della sostanza dell’Aïn-Soph con l’"organismo", con gli "strumenti" (kelim) recipienti od organi attraverso i quali si realizza. La sua opera principale è il Pardes Rimmonim (Il giardino dei melograni)

La figura centrale della "nuova" Qabalah di Safed fu una personalità ancora più grande del Cordovero: Ytzchaq Luria Ashkenazi (1534-72) spesso chiamato "ha Ari" (il sacro leone).

Vissuto in odore di santità e ben presto dopo la sua morte, circondato dalla leggenda, oltre che un "perfetto giusto" era anche uno studioso, sin dall’epoca giovanile del suo soggiorno in Egitto. Quando morì - a soli 38 anni - non aveva scritto nulla, un po’ per scelta (giacché affermava la propria incapacità di presentare i suoi insegnamenti in forma scritta, perché le sue idee traboccanti non si prestavano alla sistematizzazione) e un po’ perché, letterariamente non dotato, a differenza del Cordovero che aveva il dono di conferire a tutto un pregio letterario. A Luria è attribuita, (e sembra non a torto) un’opera che egli avrebbe tentato di scrivere nel primo periodo della sua permanenza a Safed: si tratta del commento ad una delle parti più difficili dello Zohar, il "Siphra de-Tzeniutha" (Il libro del Mistero Nascosto). Sono riconosciuti come autentici anche una serie di commenti a singoli brani dello Zohar e infine tre inni mistici per il pasto della Shabath, che sono inclusi in molti libri di preghiere dell’ebraismo orientale. Questi scritti, non contengono accenni al sistema Cabalistico che Luria espose verbalmente ai suoi discepoli, che lo hanno tramandato, in innumerevoli opere che spesso portano il suo nome.

Fra tutti i discepoli il più importante ed autentico espositore delle teorie luriane fu Chayyim Vital Calabrese (1543-1620) che espose il sistema in ben cinque volumi: si tratta delle "Otto Porte" (Shemonà Shèarim), nelle quali egli aveva diviso il lavoro di tutta la sua vita "Etz Chayyim" (l’Albero della Vita). Vital fu gelosissimo degli insegnamenti ricevuti e non permise mai la diffusione delle sue opere che tali insegnamenti contenevano. Possediamo addirittura un documento nel quale i discepoli s’impegnavano a riconoscere l’autorità di Vital e a non comunicare a nessuno, senza il suo permesso, gli insegnamenti ricevuti. Durante una sua malattia gran parte degli scritti fu ricopiata e fu questo il veicolo che consentì la diffusione delle dottrine di Luria

Se finora abbiamo incontrato non poche difficoltà nel cercare di concentrare in poche parole la caratteristica fondamentale di questa o quella corrente, di questo o quell’autore, dobbiamo ora dire che, di fronte al problema di indicare l’idea guida della Qabalah luriana, tutti i problemi che abbiamo incontrato non ci sembrano così importanti.

È difficile, infatti, esporre in breve il sistema luriano, il quale peraltro, per una vasta area, non si presta ad una completa penetrazione intellettuale, che in molti casi può essere raggiunta solo mediante la meditazione individuale.

La teoria della creazione, infatti, (che ora cercheremo di esporre) sin dall’inizio si associa al misticismo del linguaggio e ai Nomi Sacri in cui è concentrato il potere divino e quindi perveniamo rapidamente al punto che trascende la portata della percezione intellettuale.

Ciò premesso e ricordato che per l’antica Qabalah, il processo creativo si svolge, per così dire, dall’alto in basso: cioè il primo momento è quello in cui Dio, dall’esterno, proietta la sua forza creativa; analogamente in ogni atto successivo, c’è sempre questo processo di esteriorizzazione, la concezione di Luria, invece, la cosiddetta dottrina dello Tzimtzum (che vuol dire "concentrazione" o "contrazione") esprime l’opposto di quest’idea. Infatti non c’è più la concentrazione di Dio in un luogo, ma al contrario il suo "ritirarsi" da ogni luogo. L’esistenza dell’universo fu quindi resa possibile dalla contrazione di Dio. Insomma per creare il mondo, Dio dovette creare uno spazio dal quale Egli si ritrasse, diversamente non sarebbe stato possibile creare dal nulla (giacché Dio è in tutto) qualche cosa di diverso da Dio stesso.

Pertanto il primo movimento non è più verso l’esterno, ma verso l’interno, nel quale Dio restringe se stesso e anziché produrre un’emanazione all’infuori si sprofonda e si concentra in se stesso; solo nel secondo atto Dio, con un raggio della sua essenza, dà inizio al suo dispiegarsi come Dio creatore.

Tutti gli studiosi di Luria anche i più critici, hanno dovuto riconoscere che questa teoria è stata l’unico serio tentativo di spiegazione della creazione dal nulla, e, possiamo aggiungere che, a nostro avviso, sminuisce il panteismo della concezione emanazionistica.

Accanto, ma non seconda all’idea dello Tzimtzum, Luria pose la dottrina della " Schevirath ha-kelim" (la rottura dei vasi) e del "Tiqqun" (guarigione o riparazione).

Come abbiamo detto, dopo il Tzimtzum, la Luce divina si dispiega nei più svariati aspetti, ma la prima configurazione della luce, in un unico raggio, dà inizio all’"Adam Qadmon", all’uomo primordiale che resta pertanto come la prima e la più alta forma, con la quale la divinità comincia a manifestarsi. Dopo di che dagli occhi, dalla bocca, dalle orecchie, dal naso proruppe la luce delle Sephiroth, le quali furono accolte dai "recipienti" emanati per contenerle e preservarle. Purtroppo solo i recipienti delle prime tre Sephiroth superiori ressero la luce, mentre quelli delle altre sei Sephiroth inferiori, essendo la luce troppo forte ed essi troppo deboli per contenerla, si ruppero, analogamente a quanto poi avvenne, ma in misura più modesta con il vaso dell’ultima Sephirâ.

A questo punto "la rottura dei vasi" diventa un evento decisivo nel processo cosmico, poiché a causa di essa tutte le cose, in qualche misura portano in se una frattura ed ogni cosa che esiste presenta un che di manchevole; inoltre, dai frammenti dispersi dei vasi derivarono le demoniache forze del male, che finirono con l’annidarsi in tutti i possibili stadi del processo cosmico.

La restaurazione della condizione ideale, cui originariamente mirava la creazione, diventa ora la meta segreta d’ogni avvenimento. La redenzione significa appunto ristabilire il tutto originario (Tiqqun), attraverso un complicatissimo processo nel quale Dio concepisce, genera e sviluppa se stesso.

Considerato, però, che nella Qabalah luriana la concezione dell’uomo come microcosmo e quella di Dio come un macroantropo sono portate alle estreme conseguenze, si perviene alla conclusione che il processo di restituzione non è solo compito di Dio, ma anche dell’uomo, al quale spetta altresì insediare Dio come Re e mistico Fattore di tutte le cose nel suo regno celeste. È cioè l’uomo che dà l’ultima forma al suo stesso Fattore. Pertanto dipende dalla libera decisione dell’ebreo che, grazie alla Thorah, all’osservanza della Legge e alla preghiera, è in intima relazione con la vita divina, accelerare questo processo o prolungarlo. Ogni azione dell’uomo è in relazione con questo compito finale che Dio ha attribuito alla sua creatura. La venuta del Messia pertanto non è altro, secondo Luria, che il sigillo definitivo di questo processo di restaurazione del Tiqqun.

L’uomo quindi, in ogni sua azione, deve rivolgere il suo intimo proposito al compito della restaurazione dell’unità originaria. Ciò stante si comprende come nel sistema luriano la preghiera è molto più della effusione di un sentimento religioso, ma la Kavanah, l’intenzione mistica va oltre il ruolo di un semplice volano di quella forza che possiamo chiamare "magia interiore".

In questo contesto storico e di pensiero l’antica idea dell’esilio della Shekhinah è particolarmente sentita, in quanto l’esilio non è più solo metafora ma si prospetta in tutta la sua drammatica attualità.

Al riguardo, come già abbiamo notato in altra occasione, la Shekhinah è vista distinta dalla divinità e quindi occorre che l’azione mistica si adopri "per riunire il Santo e la sua Shekhinah nel timore e nell’amore". Il Tiqqun, con la creazione dell’Adamo terreno, era sul punto di ottenere la completa riunione, ma purtroppo la caduta di Adamo nuovamente distrusse l’armonia. Quest’atto, (indicato come la diminuzione della luna) funzionò allo stesso modo della rottura dei vasi e ancora una volta costrinse in esilio la Shekhinah.

Prima di concludere queste brevissime note sulla Qabalah luriana, per interezza d’informazione dobbiamo accennare al considerevole sviluppo della dottrina della metempsicosi che fu posta in stretta relazione con il compito dell’uomo.

Vital Calabrese nel Sepher ha-Gilgulim ha esposto la dottrina di Luria sull’argomento, che in definitiva rappresenta la conclusione di una lunga evoluzione nel pensiero Cabalistico.

Cominciamo con il considerare che l’anima umana, contenuta in Adamo e poi distribuitasi in tutto il genere umano, è condannata al Gilgul - alla trasmigrazione - giacché deve espiare il fallo originario con l’esilio. La peregrinazione delle anime, quindi, è in ultima analisi la vagabondaggio dell’unica anima originaria che deve espiare la sua colpa.

L’anima individuale intanto esiste come configurazione singola, fin quando non ha compiuto la sua rigenerazione spirituale: compito dell’uomo pertanto è liberarsi dalla legge della trasmigrazione con l’osservanza dei precetti divini, siano quelli dati a tutta l’umanità, siano, nel caso degli ebrei, i 613 precetti della Thorah.

In conclusione dunque la trasmigrazione delle anime si presenta come una legge cosmica, e, in altre parole, una parte del processo di restituzione del Tiqqun.

Per approfondimenti sulla meditazione ebraica visita in questa stessa sezione:

Per approfondimenti sulle Sephiroth visita in questa stessa sezione

Per approfondimenti sulla "Rottura dei Vasi" visita in questa stessa sezione