La Qabalah cristiana, fenomeno peculiare del Rinascimento, ha numerosi prodromi. Raimondo Lullo, Arnaldo da Villanova hanno messo in rapporto le combinazioni di lettere e cifre con la lettura mistica delle scrittura; altri, come Nicola di Lira, Raimondo Martini, Pablo de Heredia hanno usato concetti e saperi riconducibili in qualche modo al mondo della teologia e della mistica ebraiche da detrattori, animati da spirito antigiudaico [...]

Così Paolo Edoardo Fornaciari introduce questa sua indagine sulle origini della cabala cristiana, che è stato estratta da Conclusioni Cabalistiche Ed. Mimesis (1994).

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© Paolo Edoardo Fornaciari

 

 

Sullo stesso argomento è possibile consultare in questa sezione:

 

La Qabalah nel Rinascimento

  Gli inizi della Qabalah cristiana


 

La Qabalah cristiana, fenomeno peculiare del Rinascimento, ha numerosi prodromi. Raimondo Lullo, Arnaldo da Villanova hanno messo in rapporto le combinazioni di lettere e cifre con la lettura mistica delle scrittura; altri, come Nicola di Lira, Raimondo Martini, Pablo de Heredia hanno usato concetti e saperi riconducibili in qualche modo al mondo della teologia e della mistica ebraiche da detrattori, animati da spirito antigiudaico. Per quanto concerne tali figure, nel migliore dei casi il loro sforzo (spesso motivato dal desiderio di farsi accettare pienamente dal mondo cristiano, in quanto ebrei convertiti) andava nel senso della cristianizzazione dell'ebraismo, e con esso di quel poco che immaginavano o sapevano della Qabalah. Nel caso più deteriore, era semplice uso a scopo polemico di dogmi o concetti ebraici allo scopo apertamente conversionistico da un lato e repressivo dall'altro.

Con Pico inizia un altro atteggiamento: quello della ricerca della sostanziale identità tra mistica ebraica e dottrina cristiana, realizzata mediante gli stessi metodi usati dai cabalisti per scoprire le verità nascoste della rivelazione. Tali metodi sono fondamentalmente di due tipi: la lettura anagogica della Scrittura e l'applicazione originale dell'operatività alfabetico-numerica sui testi.
In questo senso Pico è il vero fondatore della Qabalah cristiana, in quanto ritiene di scoprire conferme alla rivelazione cristiana nello stesso mondo della mistica ebraica e con i suoi stessi metodi esegetici: il suo epigono Arcangelo da Borgonovo arriverà ad operare cabalisticamente addirittura sul valore delle lettere della versione latina del nome di Gesù.
In effetti, l'ispirazione cristiana che ritrova nel messia pervenutoci il sacrificio che assicura all'uomo la vita eterna, mediante la corresponsione della grazia, si riconnette bene a certe individuazioni cabalistiche.
 

I punti di contatto sono importanti. Prima di tutto colpisce l'organizzazione trinitaria delle sephiroth e soprattutto l'identità tra unità divina e terne sephirothiche. Ma è fondamentale anche l'idea della vita eterna del giusto e del santo, premiata dal Signore col riconoscere permanente nel suo seno l'individualità del santo stesso (laddove per "santo" è da intendersi semplicemente, dal punto di vista cabalistico, colui che osserva i precetti) mediante il premio dello "specchio lucente" (Thiphereth, la quinta sephirâ) quel sole di bellezza e splendore che tanto ricorda l'immagine dantesca della luce eterna in cui si circonfondono i beati.
Pico è perfettamente cosciente della novità della sua intuizione. Più volte inoltre argomenta nel modo seguente: "quicquid dicant ceteri, alii cabalistae, ego...".


Primo pensatore cristiano di nascita a leggere nei libri di Qabalah, Pico si considera un qabbalista al pari degli altri "secretiores theologi", con i quali intende dialogare non tanto con scoperto o subdolo intento conversionistico (che peraltro talvolta riaffiora, non nelle Conclusiones, ma piuttosto nell'Heptaplus e nell'Apologia) quanto perché mosso dall'urgenza interiore di ricerca di quella superiore verità che può assicurare, con l'unità della conoscenza, il ricongiungimento con l'anima universale e la beatitudine che ne può scaturire.
Merita concludere queste note introduttive citando uno dei punti più alti della riflessione di Pico, il ricorso (poetico e mistico e filosofico insieme) al concetto, biblico e cabalistico e platonico, della "mors osculi", la "morte di bacio" che altro non è che una delle possibili definizioni dell'estasi. l'originalità dell'esperienza suggerita da Pico, negata nella mistica cristiana, soprattutto successiva al concilio tridentino, è la definizione dell'estasi come rapporto erotico tra due soggetti, concezione questa del tutto in accordo con quella cabalistica del matrimonio mistico tra Yesod (il fondamento, la virilità) e knesset Isra'el (la comunità dei fedeli) In grazia di tale concezione due amanti (uno celeste ed uno terreno, nel caso ripreso da Pico) muoiono misticamente insieme separandosi per un attimo dagli accidenti del mondo sensibile, nel trasporto erotico (sia nel senso più propriamente platonico, di piacere spirituale, che nel senso religioso, di distacco dell'anima dal corpo materiale) che li coglie nell'atto dello scambio del bacio mistico, tema sintetizzato da Pico nelle tesi 11 e 13 "secundum opinionem propriam" ed ampliato nel "Commento ad una canzona d'amore di Girolamo Benivieni". Il recupero ad una dimensione cristiana di questa vera e propria ierogamia insomma sembra essere uno degli apporti più originali che Pico mutua al cristianesimo dalla Qabalah, uno degli strumenti più efficaci della sua tanto ricercata ascensione alla "pax unifica".

 

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