Filosofia del Terzo Grado


 

Insomma, l'essenziale, per il valore delle nostre liturgie, riguardo questo punto come per molti altri, è meno di rintracciare l'origine archeologica dei loro elementi che di verificare fino a qual punto esse siano conformi alla spirito ed al metodo della Libera Muratòria. Importa dunque esaminare quale significato si può riferire ad un rituale di cui nessuno contesta le qualità drammatiche.

É certo che, per tutti i Muratòri d'un tempo, ed ancor oggi per la grande maggioranza dei Muratòri nei paesi germanici, il mito d'Hiram rappresenta, se non l'idea giudaico-cristiana della resurrezione del corpo, per lo meno la dottrina spiritualistica della sopravvivenza della persona.

Come, presso i Greci, Dionyso, il dio del vino, era divenuto, nei misteri orfici, il dio della linfa vegetale, poi il simbolo della vita universale ed il garante della sopravvivenza umana; come Osiride, il mitico fondatore della regalità egizia, aveva finito per simboleggiare, nelle sue tragiche avventure, il trionfo della vita sulla morte, al punto che tutti i defunti erano chiamati degli Osiridi; come Core, la personificazione ellenica del chicco di grano sotterrato per moltiplicare, si era trasformata in potenza dispensatrice dell'immortalità; così Hiram, per i Muratòri che, due secoli or sono, sviluppavano la sua leggenda, non era soltanto l'architetto del tempio ucciso da tre malvagi compagni e resuscitato per la virtù magica di talune formule; era anche il tipo del giusto che trionfava della morte e della corruzione. La passione d'Hiram diventava così il simbolo del destino riservato al Muratore che rispetta i suoi giuramenti e compie suoi doveri; il simbolismo della resurrezione dell'eroe ritornava al suo primitivo valore: il rinnovamento della vita individuale al di là della morte apparente.

Tuttavia, oggi, non c'è più, nel nostro continente unanimità di credenze nella vita postuma. Per gli uni, la preoccupazione d'una sopravvivenza non ha più ragione d'essere; per gli altri, è passata in secondo piano. L'idea filosofica che ci prende, credenti ed increduli, è l'idea di unità, di continuità, di progresso, d'evoluzione. Senza dubbio, come lo hanno riconosciuto degli eruditi contemporanei così liberi da pregiudizi come Huxley e James Sully, la filosofia dell'evoluzione ha lasciato il problema dell'immortalità presso a poco al punto in cui l'ha trovato (1); ma questa filosofia non scoraggia l'ipotesi d'una personalità che potrebbe persistere e sopravvivere al di fuori d'un substratum corporeo e continuo.

D'altra parte, l'evoluzione non sembra preoccuparsi che della conservazione delle specie e della vita in generale, senza troppo curarsi della preservazione degl'individui. Tutto quel che si può dire, è innanzitutto che di fronte alle recenti scoperte che tendono a rovesciare una volta di più tutte le nostre concezioni della materia per sostituirvi la nozione immateriale dell'energia, conviene di non dogmatizzare troppo, né di chiudere la porta a nuove conclusioni, scontando le scoperte dell'avvenire; e poi che la natura tende a sviluppare la vita sotto forme incessantemente più complesse e meglio coordinate, nei piano che ha già fatto uscire la pianta dal cristallo, l'animale dalla pianta, l'uomo dall'animale, il civilizzato dal selvaggio. La legge del progresso governa l'universo osservabile. Se dunque - dico se, perché l'argomento, per quanto sia onnipotente, poggia su di un'ipotesi - se la sopravvivenza della personalità, sotto una forma ed in una misura qualsiasi, in altri termini, se la soppressione della morte in taluni privilegiati dovesse essere una condizione necessaria affinché il progresso possa proseguire indefinitamente il suo cammino attraverso il mondo, noi potremmo essere certi che questa condizione, per quanto inconcepibile sia attualmente, si è realizzata o finirà un giorno per realizzarsi in qualche parte nell'universo.

Nell'attesa, il personaggio d'Hiram può prestarsi a delle interpretazione simboliche abbastanza larghe perché tutti i figli della Vedova vi comunichino con i loro predecessori dei tempi e dei culti più diversi (2).

Cerchiamo in lui, come già gli Egiziani in Osiride, oltre il simbolo della vita individuale, quello della vita nel suo fondo generale e senza posa rinnovato - o, meglio ancora, il simbolo dell'Energia misteriosa che, dopo aver costruito l'universo, si sforza d'introdurvi un poco più d'armonia, di giustizia e d'amore.

Hiram, è dunque prima di tutto la natura nelle sue trasformazioni periodiche. É l'astro del giorno che, ogni sera, sprofonda nel suolo o s'inabissa nelle onde, lasciando il mondo immerso nelle tenebre, immagine della tomba; ma che, al termine della sua corsa apparente sotto il globo, riappare, ogni mattina, per inondare di luce e di calore la terra ed i cieli. Hiram, è l'azzurro del cielo che si vela sotto l'assalto delle nubi nello strepito della folgore, per risplendere di nuovo, più fresco e puro, quando s'è allontanato od esaurito l'uragano devastatore. Hiram, sono i ricchi ornamenti ed i fertili doni dell'estate, che, nei nostri climi, si sfogliano ben presto per cedere il posto alla triste e fredda nudità dell'inverno, ma che rinascono, ogni primavera, con uno splendore ed un vigore ringiovanii. Hiram, è l'uomo che, in ogni età, vede avvicinarsi la morte e freme dinanzi al nulla, ma che si riassicura, pensando che nulla muore nella natura, qualunque sia l'idea, vera o falsa, che egli si faccia di questa enigmatica sopravvivenza. Hiram, in una parola, è l'Ordine cosmico che presiede all'armata dei cieli, è l'anima umana che palpita in ciascuno di noi; è l'Universo nella sua attività eterna; è anche la Forza inconoscibile alla quale si riferiscono tutte le cose e che noi possiamo soltanto cogliere nei suoi ritmi armoniosi.

Ma Hiram, per i Liberi Muratòri d'oggi, è soprattutto un simbolo morale. É l'uomo probo perseguitato, il pensatore imbavagliato, l'inventore misconosciuto. É Giobbe sul suo letamio, Prometeo sulla sua rupe, Gesù sulla croce, Molay sul suo rogo. Sono i martiri cristiani gettati alle fiere del circo nella Roma pagana; gli eretici ed i filosofi suppliziati dai carnefici dell'Inquisizione; gl'intellettuali precipitati nelle miniere della Siberia per aver sognato l'affrancamento dei loro concittadini. É sempre giusto colui che soffre per una causa giusta; ogni liberatore che soccombe per l'umanità. É tutti noi; da quando identificati, il giorno della nostra ammissione, con la vittima dei tre cattivi compagni, abbiamo avuto il cuore di ripetere quella bella parola del dio Osiride: Da quando ho ricevuta la grande ferita, io son ferito in ogni ferita.

Tuttavia Hiram non è soltanto il giusto, ma anche la giustizia, la libertà violata dagli attentati dall'alto e dal basso. É la civiltà annientata dall'invasione dei barbari. É la cultura intellettuale e morale d'un popolo combattuta dalla superstizione e dal fanatismo. É l'idea del progresso, sotto tutte le forme, inceppata dai sofismi come dalle persecuzioni.

Ora la giustizia e la libertà, la civiltà ed il progresso sono delle forze indistruttibili che, come Hiram, possono subire un'eclisse momentanea, ma che, come lui, vedranno levarsi il gran giorno della resurrezione. La religione degli antichi Persiani, quantunque essenzialmente dualista, nel senso che concepiva il cammino del mondo come una lotta incessante tra Ormuzd, il principio del bene, ed Ahrimane, il principio del male, ha tuttavia formulato questa conclusione profonda e consolante: Ormuzd è eterno, Ahrimane non è eterno. Là è forse la soluzione del problema del male, che ha resi vani fino ad ora gli sforzi di tante filosofie e religioni.

 

Sulla religione degli antichi Persiani è possibile consultare la sezione dedicata:

L’Avesta

 

Tali sono gl'insegnamenti che lascia intravedere in termini più sobri il rituale del grado di Maestro in vigore nell'obbedienza del Grande Oriente del Belgio.

Quale bel tema da sviluppare dall'oratore della Camera di Mezzo, nelle ore malinconiche di taluni paesi ove l'orizzonte sembra ancora restringersi dinanzi alle anime fiere che non intendono curvarsi né sotto la tirannia dei preti, né sotto la tirannia delle masse. Che tuttavia si rassicurino, coloro che sognano il trionfo d'Hiram nella luce, nella giustizia e nella libertà. A dispetto dei rallentamenti, degli arresti e dei ritorni, l'evoluzione prosegue verso un avvenire migliore.

La carne può ben lasciare le ossa, la linfa non è mai esaurita nel ramo d'acacia. I cattivi Compagni possono talvolta spandere la voce che Hiram è morto o moribondo. No! Hiram non morirà, perché Hiram non saprebbe morire, perché Hiram è eterno!

 

 


 

 

1. - Vedere l'articolo sull'Evolution ap. Encyclopaedia Brit.

2. - Una interpretazione iniziaticamente profonda trovasi nell'opera di Arturo Reghini, Le parole sacre e di passo dei primi tre grandi ed il massimo mistero massonico, Todi, 1922, cap. V.