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Egli sorridente, pettoruto, sereno, dopo essersi accomodate le lenti sul naso, lisciata la grigia barbetta e stropicciate le mani, così cominciò:


Miei reverendi Padri, Signore e Signori.
Bisogna, anzitutto, che io ringrazi coloro, fra i miei colleghi della stampa cattolica, i quali intraprendendo improvvisamente, sei o sette mesi or sono, una campagna molto rumorosa contro di me, produssero un mirabile risultato; quello che noi questa sera constatiamo e che constateremo meglio domani: voglio dir lo splendore, col quale, del tutto eccezionalmente, si manifesta la verità in una questione, di cui lo scioglimento avrebbe potuto, senza di essi, passare assolutamente inosservato. A questi cari colleghi, dunque, le mie prime azioni di grazie! Fra poco comprenderanno quanto questi ringraziamenti siano sinceri e giustificati.

In questo discorso mi studierò di dimenticare tutto quanto si è pubblicato di ingiusto e di offensivo contro la mia persona durante il corso della polemica alla quale ho già fatto allusione; o almeno, se sarò costretto a rischiarare alcuni fatti di una tale luce che, per molti, sarà inattesa, dirò la verità mettendo da parte anche l'ombra del più lieve risentimento.
Forse, anche dopo le spiegazioni, di cui l'ora è alfine suonata, questi colleghi cattolici non deporranno le armi innanzi alla mia pacifica filosofia; ma, se il mio buon umore, in luogo di calmarli, li irrita, io li prevengo che niente mi farà abbandonare questa placidità d'animo che ho acquistata da dodici anni e della quale mi sento infinitamente felice.
D'altra parte, sebbene questo scelto uditorio sia composto degli elementi i più disparati (poiché fu fatto appello a tutte le opinioni indistintamente), esso non possiede meno per questo, ne sono convintissimo, il sentimento della più dolce tolleranza in fatto d'esame.
Diciamolo francamente; noi siamo qui fra persone di buona compagnia. Noi tutti sappiamo discernere le cose serie e le esaminiamo con la necessaria gravità e senza escandescenze; ma, quando ci si presenta un fatto che, sopra tutto, è divertente, non ce ne affliggiamo troppo.
Val meglio ridere che piangere, dice la saviezza delle nazioni.


Ora mi rivolgo ai cattolici, e dico loro. Quando sapeste che il Dott. Bataille, dicendosi devoto alla causa cattolica, aveva passato undici anni della sua vita a scrutare gli antri più tenebrosi delle società segrete, Logge e Retro-Logge e triangoli luciferani, voi l'avete altamente approvato, avete dichiarato la sua condotta ammirabile. Egli ricevette una vera pioggia di felicitazioni.
S'ebbe articoli pieni d'elogi anche da quegli stessi giornali del partito, che non posseggono oggi sufficienti fulmini per polverizzare miss Diana Vaughan, trattandola ora da mito, ora da avventuriera e da strega.
Possiamo, oggi, tornare su quelle acclamazioni che accolsero il Dott. Bataille; ma esse, ad ogni modo, vi furono e veramente clamorose. Illustri teologi, eloquenti predicatori, eminenti prelati fecero a gara nel congratularsi con lui: e non dico che costoro avessero torto: mi limito a constatare puramente e semplicemente un fatto al fine di permettermi di soggiungere: Non vi stizzite, miei reverendi padri, ma ridete, ridete di buon cuore, nell'apprendere che tutto ciò che avvenne è precisamente il contrario di quanto voi avete creduto! Non è stato affatto un cattolico che si è dedicato a scrutare, sotto una falsa maschera, l'Alta Massoneria del Palladismo; ma al contrario v'è stato un libero pensatore che per sua edificazione personale, non già per ostilità, venne a spiare nel vostro campo non per undici ma per dodici anni; ed è il vostro umilissimo servitore. (Movimenti diversi, mormorii, risate).

Non il minimo complotto massonico in questa storia, e voglio immediatamente provarvelo: lasciamo ad Omero, cantante le gesta di Ulisse, l'avventura del leggendario cavallo di legno: questo terribile cavallo non ha niente a che fare nel caso nostro: la storia d'oggi è assai meno complicata.
Un bel giorno il vostro servitore si disse che, essendo partito troppo giovane pel campo della irreligione e forse con troppo slancio, poteva probabilmente non possedere il sentimento esatto della situazione: e allora, agendo per proprio conto, e volendo rettificare il suo modo di vedere, se ne fosse stato il caso, non confidando da principio la sua risoluzione ad alcuno, pensò d'aver trovato il mezzo di meglio rendersi conto di tutto per sua propria istruzione.
Aggiungete a questo, se volete, un fondo di mistificazione nel suo proprio carattere; non per nulla si è figli di Marsiglia. (Risate).
Sì, aggiungete questo delizioso piacere che la maggior parte degli uomini ignora, ma che è veramente grande, questa gioia intima che si prova nell'aggiustare un bel tiro ad un avversario, senza scelleratezza, per divertirsi, per riderne un poco.
Ebbene, lo debbo dir subito, questa mistificazione di dodici anni m'ha arrecato, fin dal principio, dei preziosi insegnamenti: cioè, che veramente avevo agito senza misura; che avrei dovuto sempre rimanere sul terreno delle idee; che nella maggior parte dei casi avevo avuto torto d'attaccar le persone.

Questa dichiarazione ho il dovere di farla, e debbo anche confessare che non mi costa nulla. Nei dodici anni passati sotto la bandiera della Chiesa, e benché mi fossi arruolato per mistificare, acquistai la convinzione che si ha molto torto di imputare alle dottrine la malignità di alcuni individui. Questo fatto partecipa della umanità stessa: chi è cattivo, resta cattivo, come chi è buono agisce da buono, tanto se resta credente quanto se perde la fede. Ovunque si trovano persone oneste, ed ovunque persone disoneste. (Segni d'approvazione).

Ho fatto dunque, per me, uno studio che ha prodotti i suoi frutti; ed è in questo studio, che ho trovato quella serenità d'animo, quella filosofia intima di cui ho parlato in principio.
Cominciai la campagna con un po' di curiosità, ma proponendomi, ben inteso, di ritirarmi dopo fatta l'esperienza. Poi il dolce piacere della mistificazione prese il sopravvento, dominò ogni cosa, ed io mi intrattenei nel campo cattolico, sviluppando sempre più il mio piano, divertente ed istruttivo ad un tempo, e dandogli proporzioni sempre più vaste, a seconda degli avvenimenti.
Fu così che arrivai ad assicurarmi due collaboratori; due, non di più: l'uno un vecchio amico d'infanzia, che cominciai da principio a prendere in giro, ed a cui in seguito detti lo pseudonimo di dottor Bataille; l'altro Miss Diana Vaughan protestante francese, piuttosto libera pensatrice, dattilografa di professione e rappresentante di una delle fabbriche di macchine da scrivere degli Stati Uniti. - L'uno e l'altra erano necessari per assicurare il successo dell'ultimo episodio di questa allegra storiella che i giornali americani chiamano «la più grande mistificazione dei tempi moderni». (Grandi risate e rumori).

Quest'ultimo episodio, che doveva naturalmente terminare in aprile, mese delle facezie e delle farse (non dimentichiamo che la mistificazione cominciò appunto il 23 aprile 1885), quest'ultimo episodio è il solo che deve essere spiegato oggi, ma soltanto per sommi capi; perché se si dovesse raccontar tutto, mostrando il rovescio della medaglia dal principio dell'avventura, noi ne avremmo per parecchi giorni. Questo pesce d'aprile è stato una gigantesca balena (scoppio d'ilarità).

Però conviene rischiarare il punto di partenza con qualche raggio di tenuissima luce. Fra gli adagi dell'arte culinaria si cita sovente questo: «si diventa cuochi, ma si nasce rosticcieri». La perfezione della scienza di arrostire non s'impara: avviene lo stesso io credo per l'arte di prendere in giro la gente: raggira tori si nasce! Eccovi qualche confessione intorno agli esordi miei in questa nobile carriera.

Dapprima nella mia città natale. Nessuno ha dimenticato a Marsiglia la famosa storia della devastazione della rada per opera di una banda di pescicani. Da più località della costa arrivavano lettere di pescatori, che narravano come essi fossero scampati ai più tremendi pericoli. Il panico si impossessò dei bagnanti, e gli stabilimenti balneari, dai Catalani fino alla spiaggia di Prado, furono abbandonati per parecchie settimane. La Commissione municipale si commosse; il sindaco espose essere suo avviso che quei pescicani, terrore della rada, erano verosimilmente venuti dalla Corsica seguendo un naviglio che doveva aver gettato in mare qualche resto avariato di carne affumicata. La Commissione municipale votò un indirizzo al generale Espivent de la Villeboisnet - s'era allora sotto il regime dello stato d'assedio - in cui domandava d'avere a disposizione una compagnia di chassepots per una spedizione sopra un rimorchiatore.
Il bravo generale, che non desiderava che d'essere ben visto dagli amministratori scelti da lui stesso per la cara e buona città nella quale io ricevetti i natali (risate), il generale Espivent, oggi senatore, accordò, dunque cento uomini bene armati e con ampia provvigione di cartucce. La nave liberatrice lasciò il porto, salutata dai «bravo» dei marinai e della folla; la rada fu esplorata in tutti i sensi, ma il rimorchiatore se ne tornò con le pive nel sacco: non un maggior numero di pescicani nella rada di quanti ve ne siano qui dentro! (Risate generali).

Una inchiesta posteriore dimostrò che le lettere di lagnanza giunte dai diversi pescatori della costa erano assolutamente fantastiche: nelle località ove esse furono impostate i pescatori, che in apparenza avrebbero dovuto scriverle, non esistevano, e confrontando le lettere si notò che sembravano scritte tutte dalla stessa mano. L'autore della mistificazione non fu scoperto: ora lo vedete innanzi a voi. Eravamo allora nel 1873, io avevo 19 anni.

Spero che il generale Espivent mi perdonerà d'avere, con una barca, compromesso un momento il suo prestigio agli occhi della popolazione. Egli aveva soppresso il mio giornale, La Marotte, giornale dei pazzi. L'affare dei pescicani fu una ben innocente vendetta; non è vero?

Qualche anno dopo mi trovavo a Ginevra per sottrarmi ad una condanna di stampa. La Fronde, e dopo il Frondeur, erano successi a La Marotte.
Un bel giorno il mondo dotto fu sorpreso nell'apprendere una meravigliosa scoperta. Forse qualcuno in questo uditorio ricorderà il fatto: si trattava della città sottolacustre che si scorgeva, dicevano, assai confusamente, in fondo al lago Lemano fra Nyon e Coppet.
Da tutti gli angoli di Europa furono inviati corrispondenti per tenere al corrente i giornali dei pretesi scavi.
Una spiegazione scientifica era stata data appoggiandosi ai Commentari di Giulio Cesare: questa città doveva essere stata costruita nell'epoca della conquista romana, in quel tempo in cui il lago era sì stretto, che il Rodano lo attraversava senza che le acque si mescolassero. Breve; la scoperta fece ovunque gran chiasso; da per tutto, eccetto in Svizzera, ben inteso. Gli abitanti di Nyon e di Coppet, rimasero molto meravigliati dell'arrivo di alcuni viaggiatori che a mano a mano giungendo, domandavano di vedere la città sottolacustre. I barcaioli del luogo finirono per decidersi a condurre sul lago i gitanti più insistenti. Si gettava dell'olio sull'acqua per vederci meglio; infatti vi fu chi giunse a vedere qualche cosa... (Risate generali) dei resti di strade molto bene allineate, dei crocevia, e che so io? ...
Un archeologo polacco che aveva fatto, apposta, il viaggio, se ne tornò soddisfattissimo, e pubblicò un rapporto, nel quale affermava di aver visto chiaramente i ruderi di una piazza pubblica, con qualche cosa di informe che poteva ben essere un resto di statua equestre (Nuove risate).
Un Istituto delegò due suoi membri, ma questi, appena giunti, ebbero un colloquio con le autorità, e avendo saputo da esse che la città sottolacustre era una pura mistificazione, se ne ritornarono come erano venuti e non videro nulla! La città sottolacustre non sopravvisse a questa spedizione scientifica! (Risa prolungate).
Il padre di questa città, che è qui presente, ebbe un prezioso ausiliario, per la propagazione della leggenda, nella persona di uno dei suoi compagni di esilio - c'è bisogno che aggiunga che è anch'egli un marsigliese? - alludo al mio collega ed amico Enrico Chabrier, stabilito adesso come me sulle rive della Senna.
Questi due aneddoti, fra cento che ne potrei citare, ve li ho raccontati al fine di stabilire che il piacere del vostro servitore per la grande, brillante mistificazione, risale a più di dodici anni.

Ed eccomi alla più grande mistificazione della vita mia, a quella che finisce oggi e che sarà evidentemente l'ultima, perché dopo questa, mi domando, quale collega, sia pure della stampa di Islanda o della Patagonia, accoglierebbe, dietro la raccomandazione mia o dei miei amici, la confidenza di un avvenimento straordinario qualunque?

Una voce: Evidentemente. (Risate).

Leo Taxil: Comprenderete facilmente che, con un bagaglio così formidabile come il mio, di scritti antireligiosi, non era molto facile d'esser ricevuti nel grembo della Chiesa senza trovare una diffidenza ancor più formidabile.
Mi bisognava, nonostante, arrivare là ed esservi accolto perché, allorquando le diffidenze si fossero completamente dissipate, almeno in alto luogo, io avessi potuto organizzare e dirigere la fenomenale mistificazione della diavoleria contemporanea.

Una voce: È vergognoso di dichiararsi così mistificatore!

Leo Taxil: Per giungere al fine proposto mi era necessario, indispensabile, di non confidare il mio segreto a nessuno, assolutamente a nessuno, neanche ai miei più intimi amici, nemmeno a mia moglie, almeno nei primi tempi.
Era preferibile esser creduto matto da coloro che mi avvicinavano: la minima indiscrezione poteva rovinare ogni cosa: io m'ero arrischiato in un brutto giuoco: dovevo intavolare una difficile, tremenda partita.

Una voce: Oh! sicuro!

Leo Taxil: L'ostilità degli uni, la contrarietà spiacevole ed irritante degli altri, furono invece le mie migliori carte, giacché, come non poteva essere diversamente, io fui messo in stretta osservazione durante i primi anni.
I miei antichi amici saranno colpiti da qualche particolarità se io la ricorderò loro.
Dopo la pubblicazione della mia lettera, colla quale io rinnegavo tutte le mie opere anticlericali, i gruppi parigini della Lega anticlericale si riunirono in assemblea generale per votare la mia espulsione.
Furono sorpresi nel vedermi comparire: i soci non potevano persuadersene, ed in verità la mia presenza era incomprensibile, poiché io non andavo a sfidare coloro dai quali mi ero staccato, né dissi una parola per cercare di trascinarli con me, come avrebbe fatto un convertito nel suo ardore di neofita.
No; andai a quella adunanza col pretesto di fare i miei addii (ed allora erano tre mesi che avevo dato le mie dimissioni), ma, in realtà, per cercare e trovare l'occasione di buttar là una parola che io potessi ricordare quando fosse giunto il momento.
Nella maggioranza questi soci anticlericali erano miei amici. Alcuni piangevano; io stesso ero commosso...

Un giornalista cattolico: Voi commosso? Andiamo, via! Voi vi burlavate di loro come vi burlaste di noi!

Leo Taxil: Vi assicuro che non mi separai da loro senza rammarico.
Dopo tutto prendetela come volete. Sebbene commosso, io serbai il mio sangue freddo in mezzo ad una vera tempesta; riportatevi ai giornali del tempo.
Per chiudere la seduta, il presidente mise ai voti l'ordine del giorno seguente, che fu approvato all'unanimità:
«Considerando che il nominato Gabriel Jogand Pagès, detto Leo Taxil, uno dei fondatori della Lega anticlericale, ha rinnegato tutti i princìpi che aveva difeso, ha tradito il libero pensiero e tutti i suoi correligionari; i soci presenti alla riunione del 27 luglio 1885, senza fermarsi sulle cagioni che hanno spinto il nominato Leo Taxil al suo infame operato, lo espellono dalla Lega anticlericale, come traditore e rinnegato».
Allora protestai contro una parola, una sola parola, di quest'ordine del giorno.
Vi sono certamente nella sala alcuni dei miei amici che presero parte a quella riunione del luglio 1885. Ricorderò loro le parole della mia protesta.
Dissi così, colla voce la più pacifica: «Amici miei, io accetto questo ordine del giorno, meno una parola».
Il presidente m'interruppe gridandomi: «In verità ciò è troppo audace!».
Io continuai senza turbarmi: «Voi avete il diritto di dire che io sono un rinnegato, poiché io ho fatto pubblicare, or sono quattro giorni, una lettera nella quale io ritratto, rinnego chiaramente tutti i miei scritti contro la religione. Ma vi domando di cancellare la parola «traditore», che non si adatta affatto al mio caso; non vi è l'ombra del tradimento in quello che faccio oggi.
«Quello che ora vi dico, voi non lo potete comprendere in questo momento, ma lo comprenderete più tardi».
Mi guardai bene dal sottolineare troppo quest'ultima frase, poiché non bisognava far sospettare del mio segreto. Ma la dissi assai chiaramente, perché potesse restare nella mente di tutti, pur prestandosi a varie interpretazioni.
E quando ebbi l'occasione di pubblicare un rendiconto di questa seduta, posi grande attenzione nel tagliar fuori quella dichiarazione: avrebbe potuto dare l'allarme.

Secondo fatto: Tra il giorno di aprile nel quale io feci ad un prete la confidenza della mia conversione, ed il giorno della seduta della mia espulsione dalla Lega, si tenne in Roma un Congresso anticlericale, del quale io ero stato uno degli organizzatori. Niente mi era più facile che disorganizzarlo e farlo abortire completamente.
Questo Congresso ebbe luogo in uno dei primi giorni di giugno. Tutti i soci sapevano che fino alla fine io mi ero adoperato con tutte le mie forze per la riuscita; solo la morte di Victor Hugo, che accadde in quel tempo, allontanò l'attenzione pubblica da questo Congresso.
Più tardi, quando si seppe che io avevo consultato dei preti nel mese di aprile, si disse, si stampò che, con la scusa di questo Congresso, io ero andato a Roma a negoziare il mio tradimento, che ero stato ricevuto in segreto al Vaticano, e fu anche inserito nella mia biografia che io avevo ricevuto una forte somma; si disse un milione (Risate).
Io lasciai dire, perché tutto questo mi importava poco, e ridevo fra me. Ma adesso ho il diritto di dire che fu tutto il contrario.

Tra gli inviti distribuiti per questa conferenza si trova quello ad un vecchio amico che fece con me quel viaggio, che mi accompagnò dappertutto, che non si staccò mai da me. Egli è qui e non mi smentirà. Mi ha egli lasciato un secondo? Mi sono allontanato dalla sua compagnia per una ragione sospetta qualunque? No!
Questo non è tutto. Durante il medesimo viaggio, ritornando in Francia, ci fermammo a Genova. Volevo far visita a persona con la quale ero in stretti legami d'amicizia, al generale Canzio Garibaldi, il genero di Garibaldi.
In questa visita io fui accompagnato dall'amico di cui vi ho parlato e da un altro che ancora è vivo e sta con noi, il dottor Baudon, che è stato recentemente eletto deputato di Beauvais.
Ambedue possono attestare che durante questa visita, io mi ritirai un momento a parte con Canzio. E Canzio potrà a sua volta affermare che io gli dissi: «Mio caro Canzio, io vi devo dichiarare, ma sotto il suggello del segreto, che da un po' di tempo io ho fatto una ritrattazione completa e pubblica. Non vi stupite di niente e continuate ad accordarmi la vostra fiducia».
Anche con lui non insistetti, e più tardi temetti di avergli detto troppo. Canzio, per due o tre anni mi mandò la sua carta da visita il primo dell'anno, malgrado la nostra rottura. Poi giudicò senza dubbio che la faccenda durava un po' troppo: si stancò, e non mi dette più segno di vita. Infine, poi, uno dei miei vecchi collaboratori, che mi voleva molto bene, continuò malgrado tutto a frequentarmi.
Egli è morto: è Alfredo Paulon; che fu consigliere ed uomo probo...

Una voce: È morto? allora non vi smentirà!

Leo Taxil: Attendete, vi prego. Lo so che il risultato della sua osservazione, perspicace e costante, fu che tutti erano mistificati da me. (Movimenti diversi).

Una voce: Allora voi vi vantate di esservi burlato dei cattolici? ... È scandaloso! ...

Leo Taxil: Paulon, il mio vecchio collega, che continuò a frequentarmi, aveva una maniera di difendermi che qualche volta mi infastidiva.
Ecco in quali termini parlava di me ai suoi amici:
«Leo è incomprensibile. In principio ho creduto che fosse diventato pazzo, ma quando mi sono riconciliato con lui, ho constatato che egli gode di tutto il suo buon senso. lo non comprendo nulla: vi è qualche cosa che mi dice che egli è sempre col cuore e con lo spirito con noi; lo sento. Non parlo mai con lui di questioni religiose, perché vedo bene che non si vuole lasciar capire, ma metterei la mano sul fuoco che egli non lavora per i clericali; un giorno o l'altro avremo qualche grande sorpresa».
Alfredo Paulon non mi può rendere testimonianza delle sue osservazioni, ma egli le comunicò a numerosi amici. E se ve ne sono nella sala, io domando loro: È vero che, parlando di me, Paulon si esprimeva così?

Voci diverse: È vero, è vero!

Leo Taxil: Ed ora veniamo alla mistificazione in se stessa; a questa mistificazione che è insieme divertente ed istruttiva.

In alto luogo non credettero a quel brav’uomo di un vicario, prete dall'anima semplice, che aveva avuto la prima confidenza del colpo di grazia da me ricevuto, come Saulo sulla via di Damasco. «Questa zucca incipriata non ci dirà nulla di serio», pensavano i grossi papaveri della Chiesa (Risate).
Fu dunque deciso, il giorno dopo quello in cui pubblicai la mia lettera di ritrattazione, che mi avrebbero fatto fare una buona meditazione presso i reverendi padri gesuiti, fra cui scelsero uno dei più esperti nell'arte di scandagliare un'anima. La scelta non fu fatta su due piedi: mi fecero attendere più di una settimana il grande scrutatore che mi era stato destinato. Un antico elemosiniere militare fattosi gesuita: un furbone fra i furbi! Il suo giudizio avrebbe avuto un grande valore.

Ah! fu una fiera partita quella che giocammo ambedue!... mi torna ancora il mal di capo quando ci ripenso! Il caro direttore mi fece fare, fra le altre cose, gli esercizi spirituali di Sant'Ignazio. Io non pensavo affatto a quegli esercizi, ma bisognava almeno scorrerne le pagine alfine di mostrarmi tutto assorto in quelle straordinarie meditazioni. Non era il momento di lasciarmi cogliere in fallo.
La confessione generale mi fece vincere la battaglia. Non durò meno di tre giorni (Risa prolungate). Avevo serbato per la fine un colpo di fulmine.
Dissi tutto e dell'altro ancora: ma il mio confidente comprendeva che vi era tuttavia un grande peccato, grande, grandissimo; un peccato penoso a palesarsi più che la confessione di mille e mille empietà.
Alla fine bisognava decidersi a farlo uscir fuori, quel mostruoso peccato.
Né io, signore e signori, voglio farvi aspettar tanto; il mio peccato era un delitto di prim'ordine, un assassinio dei meglio combinati (Scoppio di risa). Io non avevo strangolata tutta una intera famiglia, no; ma, senza essere stato un Tropmann o un Dumolard, la ghigliottina mi era dovuta senza dubbio se fossi stato scoperto.
Avevo avuto la precauzione di ricercare alcune sparizioni riportate dai giornali tre anni avanti, e su una di esse avevo stabilito il mio piccolo romanzo; ma il mio reverendo padre non volle lasciarmelo esporre in tutti i suoi particolari. Egli mi aveva giudicato capace dei più orribili sacrilegi, e in ciò io gli avevo cagionato delle piacevoli sorprese, ma non si attendeva certo di vedersi genuflesso innanzi un assassino. (Nuove risate).

Appena le prime parole di questa confessione caddero dalle mie labbra, il reverendo padre fece un balzo indietro significantissimo. Ah! egli allora comprendeva il mio imbarazzo, le mie difficoltà, la cura di protrarre a lungo la confessione di certi peccati meno grossi... io mi ero vergognato di confessare il mio delitto! Non solamente ero vergognoso, ma turbato, spaventato!... Vi era una vedova in questo affare; il reverendo mi fece promettere di assegnare alla vedova, per via indiretta, una rendita: in fede mia una buona trovata. Non volle conoscere nomi; ma ciò che l'interessava era sapere se ero stato assassino con o senza premeditazione. Dopo lunghe esitazioni, ed umiliandomi sotto il peso della vergogna, confessai la premeditazione, un vero agguato.

Un ecclesiastico: Ciò che dite in questo momento è abominevole!

Un altro spettatore: Per vostro castigo nessun prete vorrà più sentire le vostre confessioni. Voi siete il più miserabile dei bricconi! (Tumulto.

Un altro del pubblico: I preti che sono qui presenti non dovrebbero restarvi ancora un istante!

L'abate Garnier: No, noi dobbiamo ascoltare questo furfante fino alla fine. (Alcune persone si alzano ed abbandonano la sala).

Leo Taxil: Che ve n'andiate o che restiate, poco m'importa: continuo.
È mio dovere rendere omaggio a questo reverendo padre gesuita. lo non sono stato mai molestato dalla giustizia. Questa mia mariuoleria mi ha messo nel caso di provare il segreto della confessione. Se io narrerò un giorno per intero la storia di questi dodici anni, lo farò come oggi, con la più stretta imparzialità e calma, signor abate Garnier (Approvazione). Ciò che io constato ora è il fatto della mia prima vittoria come entrata in campagna. Se qualcuno avesse osato dire al reverendo padre che io non ero il più serio dei convertiti, sarebbe stato malamente messo alla porta! (Risa).

Non era nei miei piani di affrettarmi per poter vedere il Sommo Pontefice.
Certo, la confessione del mio assassinio aveva avuto un magnifico successo; ma il direttore del mio ritiro a Clamart lo teneva segreto. Esso non avrebbe potuto che dire al suo capo gerarchico, il quale lo aveva incaricato di scandagliare la profondità dell'anima mia: «Leo Taxil?... Rispondo di lui!».
Le diffidenze del Vaticano erano vinte. Come rendermi gradevole? Perché per portare la mistificazione al punto massimo ch'io avevo sognato e che ho avuto l'indicibile gioia di raggiungere, m'occorreva realizzare alcuni dei punti del programma della Chiesa, i più graditi alla Santa Sede.

Questa parte del mio piano l'avevo fissata fin dal principio, fin dalla mia prima risoluzione di rendermi un conto esatto del cattolicesimo.
Il Sovrano Pontefice si era pronunciato un anno prima con l'Enciclica Humanum genus, e questa rispondeva ad una idea ben definita dei cattolici militanti. Gambetta aveva detto: «il Clericalismo, ecco il nemico!»; la Chiesa dall'altro canto diceva: «il nemico è la Massoneria!».
Sparlare dei massoni era dunque il migliore mezzo di preparare le vie alla colossale mariuoleria di cui io in antecedenza assaporavo tutta la gioia.

Nei primi tempi, i massoni si sono indignati; essi non prevedevano che la conclusione, pazientemente preparata, sarebbe stata un universale scoppio d'ilarità. Essi mi credevano sinceramente arruolato. Si diceva e si ripeteva che questa era una maniera di vendicarmi della radiazione dalla mia Loggia, radiazione che datava dal 1881 e della quale tutta la storia, niente affatto disonorante per me, è molto ben conosciuta; meschina querela sollevata da due uomini oggi spariti, e spariti in condizioni deplorevoli.
No, io non mi vendicavo, mi divertivo; e se oggi si esaminano i retroscena di questa campagna, si riconoscerà, anche dai massoni che mi furono più avversi, ch'io non ho recato danno ad alcuno. Dirò anzi che ho reso servigio alla Massoneria francese...

Interruzioni: Voi esagerate!

Leo Taxil: Di grazia, permettete che mi spieghi ed sono certo che la penserete come me. Voglio dire che la mia pubblicazione dei Rituali non è stata estranea alle riforme che hanno soppresso pratiche antiquate, divenute ridicole per ogni massone amico del progresso.
Ma lasciamo ciò, e riassumiamo i fatti. Essendo il mio scopo quello di creare di sana pianta la diavoleria contemporanea - ciò che è molto più difficile che non la città sottolacustre del Lemano - bisognava procedere con ordine, bisognava saper prender bene le misure, e covare l'uovo dal quale sarebbe nato il Palladismo. Una mistificazione di questa sorta non si fabbrica in un giorno.

Una voce: Si comprende.

Leo Taxil: Mi ero accertato dai primi giorni della mia conversione che un certo numero di cattolici è convinto che il nome di «Grande Architetto dell'Universo» - adottato dai massoni per designare l'Essere Supremo, senza pronunciarsi nel senso particolare di alcuna religione - è convinto, dicevo, che questo nome non serve in realtà che a velare abilmente Lucifero o Satana, il diavolo.

Diverse voci: Basta, basta, è ritornato massone! (Risate)

Altri: Continuate, è interessante.

Leo Taxil: Si citano qua e là degli aneddoti che il diavolo ha fatto all'improvviso la sua apparizione in una Loggia massonica ed ha presieduto l'adunanza. Ciò è ammesso dai cattolici.
In maggior numero che non si creda vi son brave persone che s'immaginano che le leggi della natura sono alcune volte alterate dagli spiriti buoni o cattivi e anche dai semplici mortali. Io stesso ho avuto la sorpresa di sentirmi domandare un miracolo. Un buon canonico di Friburgo, piombandomi in casa come una bomba, mi disse testualmente:
«Ah signor Taxil, voi siete un santo, voi! Perché Dio vi abbia ritirato da un abisso così profondo, bisogna che abbiate una montagna di grazie sulla testa (sic). Da quando ho appresa la vostra conversione sono montato in treno ed eccomi qui. Al mio ritorno bisogna ch'io dica, non solamente di avervi veduto, ma che voi avete operato un miracolo alla mia presenza» (Risa).
Io non mi aspettavo una simile domanda.
«Un miracolo? - risposi – non vi capisco, signor canonico».
«Si, un miracolo; ma non importa quale: purché io possa renderne testimonianza. Il miracolo che voi vorrete... Che so io? Per esempio, questa sedia cangiatela in un bastone, in un ombrello» (risa prolungate).
Io rimasi di sasso! Rifiutai dolcemente di compiere un tal prodigio; il mio canonico ripartì per Friburgo dicendo che se io non facevo miracoli era per umiltà. Alcuni giorni dopo mi mandò un immenso formaggio gruviera, sopra la crosta del quale aveva disegnato col coltello delle parole pie e dei geroglifici d'un misticismo stravagante; un formaggio eccellente, però, che non arrivava mai alla fine, e che io ho mangiato con molto rispetto. (Le risa raddoppiano; alcuni cattolici protestano).

I primi libri sulla Massoneria furono dunque una miscela di rituali con delle piccole aggiunte, che avevano l'aria di niente, con delle annotazioni in apparenza insignificanti; ogni volta che un passaggio era oscuro io lo delucidavo nel senso gradito ai cattolici, che vedono in Lucifero il supremo Gran Maestro dei Massoni. Ma ciò era appena accennato. Io spianavo da principio, e molto dolcemente, il terreno, salvo a lavorare poi e a gettare la semente mistificatrice che doveva tanto bene germogliare.
Dopo due anni di questo lavoro preparatorio io sono andato a Roma.

Una voce: Ah, ci siamo!

Leo Taxil: Ricevuto prima dal Cardinal Rampolla e dal Cardinal Parocchi, ho avuto l'onore di udirli dire, l'uno e l'altro, che i miei libri erano perfetti. Ah sì, essi svelavano molto esattamente ciò che si conosceva benissimo al Vaticano, ed era veramente un bene grandissimo che un convertito avesse pubblicato questi famosi rituali (Risa).
Il Cardinal Rampolla mi dava del «mio caro» con vera espansione.
E come era dispiacente che io non fossi stato che un semplice apprendista nella Massoneria! Ma dal momento che io ero riuscito ad avere i rituali, niente era più legittimo che il pubblicarli. Vi ritrovava tutto ciò che aveva letto nei documenti che la Santa Sede possiede, diceva; vi ritrovava tutto, anche quello che, per opera mia, aveva il medesimo valore dei pescicani di Marsiglia, o della città sottolacustre.

Una voce: Briccone, canaglia, furfante!

Leo Taxil: Quanto al Cardinal Parocchi, ciò che lo interessava particolarmente erano le Sorelle massone; anche a lui le mie preziose rivelazioni non insegnavano nulla di nuovo. (Mormorii da una parte; risa dall'altra).
Ero arrivato a Roma all'improvviso, non ignorando che bisognava perdere molto tempo prima di ottenere una particolare udienza dal Sommo Pontefice; ma ebbi la gradita sorpresa di non aspettare, ed il Santo Padre mi ricevette per tre quarti d'ora.

Una voce: Voi siete un bandito!

Leo Taxil: Per vincere questa nuova partita io avevo prese le mie precauzioni sin dalla sera antecedente che passai in intimo colloquio col Cardinale Segretario di Stato. È evidente che egli era stato incaricato di studiarmi in antecedenza. Così, l'impressione che mi ero sforzato di produrgli sul conto mio, era ch'io fossi un cervello alquanto esaltato, senza andare però fino al grado del buon canonico di Friburgo (Risa). Il rapporto verbale del Cardinal Rampolla fatto al Santo Padre mi procurò l'accoglienza che io desideravo.
Dalla mia ammissione sotto la bandiera della Chiesa mi ero ben convinto di una verità, che cioè non si può essere un buon attore, se non entrando nella pelle del personaggio che si deve rappresentare, se non si crede - almeno momentaneamente – che ciò che si rappresenta è reale. Se al teatro si recita una scena di disperazione, non bisogna simulare le lacrime: l'istrione strofina col suo fazzoletto gli occhi asciutti; l'artista piange realmente.

Una voce: Briccone! briccone!

Leo Taxil: Perciò tutta la mattina che precedette il mio ricevimento mi penetrai della situazione, in un modo così vero e completo che ero preparato a tutto, che ero incapace di tradirmi a dispetto di qualunque sorpresa.

(La voce dell' oratore si perde un momento in mezzo al tumulto).

Leo Taxil: Quando il Papa mi domandò: «Figlio mio, che desiderate?» gli risposi: «Santo Padre, morire ai vostri piedi, in questo momento, sarebbe la mia più grande felicità!»
(Risa).

Un ascoltatore: Rispettate Leone XIII; non avete il diritto di pronunziare il suo nome!

Leo Taxil: Leone XIII si degnò di dirmi sorridendo che la mia vita era molto utile ancora per i combattimenti della fede. E abbordò la questione della Massoneria: egli aveva tutti i miei nuovi lavori nella sua biblioteca particolare, li aveva letti da un capo all'altro ed insisté sulla direzione satanica della Setta. Non essendo stato io che un apprendista, avevo un gran merito ad aver compreso che «il diavolo è là!». Ed il Pontefice appoggiava sopra questa parola «il diavolo» con una intonazione che non mi è facile di rendere; mi sembra d'intenderlo ancora ripetermi: «il diavolo, il diavolo!».
Quando partii di là acquistai la certezza che il mio piano avrebbe potuto esser eseguito sino alla fine. L'importante era di non mettermi più in evidenza personalmente, ma soltanto quando il frutto fosse stato maturo.

L'albero del luciferanismo contemporaneo cominciava a crescere. Gli prestai tutte le mie cure per qualche anno ancora. Infine rifeci uno dei miei libri introducendovi un rituale palladico, di mia intera fabbricazione, dalla prima all'ultima riga.

Uno spettatore: E noi ascoltiamo tutto ciò? È ributtante!

Leo Taxil: Questa volta il palladismo o alta Massoneria luciferana aveva veduto la luce. Il nuovo libro ebbe le più entusiastiche approvazioni, comprese quelle di tutte le riviste redatte dai padri della Compagnia di Gesù.
Era giunto il momento di ritirarmi: senza di che la più fantastica mistificazione dei tempi moderni sarebbe caduta miseramente.

Mi misi in cerca del primo collaboratore necessario. Mi abbisognava qualcuno che avendo molto viaggiato potesse raccontare una misteriosa inchiesta nei Triangoli luciferani, negli antri del Palladismo, presentato come dirigente in segreto tutte le Logge e retro-Logge del mondo. Fortunatamente un vecchio compagno di collegio, che io ritrovai a Parigi, era stato medico della Marina. Da principio non lo misi al corrente della mistificazione. Gli feci leggere i diversi libri di autori che seguirono alle mie stupefacenti rivelazioni. La più straordinaria di queste opere è quella di un vescovo gesuita, monsignor Meurin, vescovo di Port Louis (Isole Maurizio), che venne a vedermi a Parigi e mi consultò. Figuratevi se ebbe delle buone informazioni!! (Risa). Questo eccellente monsignore, erudito orientalista, non potrebbe esser meglio paragonato che all'archeologo Polacco che aveva sì ben distinto un avanzo di statua equestre nel mezzo di un resto di piazza pubblica della mia città sottolacustre (Nuove risate).

Partendo da questa idea ben fissa che i massoni adorino il diavolo e convinto dell'esistenza del Palladismo, egli ha scoperto cose straordinarie in fondo alle parole ebraiche che servono da parole di passo negli innumerevoli gradi dei riti massonici.
Cordoni, grembiali, accessori rituali, - egli conosce tutto, ha tutto scrutato; ha esaminato fino i più piccoli ricami fatti sopra il più insignificante pezzo di stoffa che abbia appartenuto ad un massone, e con la miglior buona fede del mondo egli ritrovò il mio Palladismo da per tutto.
Ricorderò sempre fra le più dilettevoli ore della mia vita, quelle in cui mi leggeva il suo manoscritto. Il suo grosso volume "La Massoneria Sinagoga di Satana", mi servi mirabilmente a convincere il dottore mio amico, ch'egli possedeva realmente l'arcano segreto luciferano di tutto il simbolismo massonico.
In fondo il dottore ne rideva come di una burla. Ma aveva realmente studiato lo spiritismo; come un dilettante curioso; sapeva che nel mondo esistono delle persone che credono alle manifestazioni soprannaturali, ai fantasmi, alle ombre ed ai lupi mannari.
Sapeva che in alcuni piccoli gruppi di occultisti, di amabili mistificatori, si fanno vedere degli spettri alle buone persone troppo dimentiche di Roberto Houdin. Ma ignorava che nella Massoneria ci si abbandonasse ad operazioni simili; ignorava che vi fosse un rito speciale di occultismo luciferano e massonico; ignorava il Palladismo ed i suoi triangoli; i magi Eletti e le maestre Templari e tutta questa straordinaria organizzazione suprema che io avevo immaginato e di cui il dott. Meurin ed altri avevano prodotto la scientifica conferma.

Nel mio libro: «Vi sono donne nella Massoneria?» avevo fatto campeggiare il personaggio di una certa grande maestra del Palladismo, una Sofia Saffo, di cui davo solamente una iniziale del preteso vero nome: un W. Al dottore mio amico, in tutta confidenza, avevo detto l'intero nome: si chiamava Sofia Walder.
Intendiamoci bene: in conseguenza di libri come quello del sig. Meurin, il dottore credeva al Palladismo ed ai diversi personaggi che cominciavano di già ad apparire, eroi della mia mistificazione. Ma non tentai, nemmeno lontanamente, di fargli creder vere le manifestazioni soprannaturali che si trattava di raccontare.

(Nuovo tumulto; un religioso scoppia a ridere e si mette ad applaudire. Profonda stupefazione dei preti che sono intorno a lui).

Leo Taxil: Breve; ecco come chiesi la collaborazione del mio amico dottore:
«Vuoi aiutarmi nello scrivere un'opera sopra il Palladismo? Io conosco a fondo la questione, ma il pubblicare dei rituali non offre lo stesso interesse, che il raccontare delle avventure come testimonio, in ispecie se queste avventure sono stupefacenti. Di più, per commuovere meglio le credule anime, bisogna che il narratore sia egli stesso un eroe; non già un palladista convertito, ma uno zelante cattolico che abbia preso la maschera luciferana, per fare questa tenebrosa scoperta anche a rischio della sua vita. Io ti do uno pseudonimo, poiché noi diremo che per tante e tante ragioni l'autore non può render noto il suo nome; per esempio perché gli rimane ancora da fare una inchiesta presso i nichilisti... (Risa) Non ti farai conoscere che da un piccolo gruppo di ecclesiastici: questo basterà... Mi rimetterai gli itinerari dei tuoi viaggi, ed io, con questa guida, ti preparerò un canovaccio su cui tu non dovrai che ricamare... Al più io ricopierò il tuo manoscritto con lo scopo di correggere, di togliere, ma soprattutto di aggiungere.
«A te la parte che concerne la scienza medica, la descrizione delle città, ed un certo numero di narrazioni. Quanto a me m'incarico della parte tecnica del Palladismo, dei connotati delle persone che faremo comparire, e della maggior parte degli episodi complementari. Insomma ho bisogno della tua collaborazione per trenta o quaranta puntate. Intanto sta' tranquillo a proposito di smentite.
«Come ti sarai reso conto scorrendo le opere che t'ho dato a leggere, il Palladismo consta di due elementi: alcuni esaltati che credono realmente che Lucifero sia il Dio-Bono e che il suo culto debba restare segreto per un certo numero di anni; ed alcuni intriganti che si servono di questi esaltati, come eccellenti soggetti per le loro esperienze di spiritismo occulto... Né gli uni, né gli altri potranno protestare pubblicamente, poiché la prima condizione che impone il Palladismo è il segreto rigorosissimo; d'altronde se anche protestassero, le loro smentite sarebbero senza effetto, dal momento che sembrerebbero interessate».

L'amico dottore accettò; e al fine di fargli realmente credere che questo Palladismo esisteva, malgrado la mistificazione dei fatti soprannaturali da noi attribuiti ai suoi Triangoli, gli feci pervenire qualche lettera di Sofia Walder; Sofia si mostrava indignata contro colui che pretendeva conoscerla.
Il dottore mi riportava fedelmente queste lettere. Alla terza o alla quarta che ricevette, mi disse: «Temo che questa donna faccia uno scandalo e dimostri per filo e per segno che in ciò che noi le attribuiamo, non v'è ombra di vero» (Risa). «Tranquillizzati, gli risposi, ella protesta pro forma, ma in fondo si diverte leggendo che possiede il dono di passare attraverso i muri, e che ha un serpente che con la punta della coda le scrive delle profezie sul dorso! (Si ride). Mi son fatto mettere in rapporto con lei; le fui presentato: è una buona figliuola. È una palladista mistificatrice, ride a crepapelle di tutto ciò. Vuoi che te la presenti?».
«Come? Sarei così fortunato di poter stringer conoscenza con Sofia Walder?! ...».
Qualche giorno dopo inviai al mio amico una lettera della gran maestra palladista; Sofia acconsentiva alla presentazione. Prendemmo convegno in casa mia; di là dovevamo poi recarci a trovarla, anzi ci aveva anche offerto di pranzare da lei. Il dottore mi si presenta in grande tenuta da cerimonia, come se fosse stato invitato allo Eliseo. Gli mostro la tavola imbandita in casa mia e, questa volta, gli racconto tutto... o meglio quasi tutto.
Sofia Walder, un mito! Il Palladismo, la mia più bella invenzione, non esisteva che sulla carta ed in qualche migliaio di cervelli! Rimase attonito... bisognò che gli dessi delle prove... Quando fu convinto, trovò che la mistificazione era veramente geniale e mi conservò il suo appoggio.
Fra le cose che dimenticai di dirgli ce n'è una che conoscerà da questa conferenza: perché gli avessi fatto prendere lo pseudonimo di Dr. Bataille?
In apparenza, per meglio caratterizzare l'attacco, la guerra al Palladismo; ma il vero motivo per me, la ragione intima dell'amatore di mistificazioni, fu questa: uno dei miei vecchi amici, oggi defunto, fu un mistificatore di prima forza, l'illustre Sapeck, principe della mistificazione nel Quartiere Latino; io lo facevo rivivere, in certo modo, senza che se ne accorgessero. Infatti il vero nome di Sapeck era Bataille. (Scroscio di risa).

Ma il dottore mio amico non bastava alla realizzazione del mio piano. Il Diavolo nel XIX secolo doveva preparare, secondo il mio progetto, l'entrata in scena di una gran maestra luciferana che si convertiva.
L'opera citata aveva presentato Sofia Saffo, ma sotto i colori più foschi: m'ero studiato di renderla, ai cattolici, più antipatica che mi fosse stato possibile: era il tipo completo della diavola incarnata, raggirantesi nel sacrilegio; una vera satanista, come quelle che si trovano nei romanzi di Huysmans.
Sofia Saffo, o madamigella Sofia Walder, non era là che per servirmi a cacciar fuori un'altra luciferana: questa, però, una simpatica, angelica, creatura, vivente in quell'inferno palladista per triste caso della sua nascita; ed io riservavo all'opera firmata Bataille il compito di farla conoscere al pubblico cattolico.

Una voce: Oh!... il briccone! Oh!... l'immonda orgia!

Leo Taxil: Ora, siccome questa luciferana doveva in un dato momento convertirsi, bisognava ben avere una persona in carne ed ossa, pel caso di qualche indispensabile presentazione.
Poco prima che ritrovassi il dottore mio amico, le esigenze della mia professione m'avevano fatto imbattere in una copista dattilografa che era la rappresentante di una fabbrica di macchine da scrivere degli Stati Uniti.
Le detti a ricopiare parecchi manoscritti in quell'epoca. La conobbi donna intelligente, attiva, che viaggiava talvolta per suoi affari, spiritosa, e di elegante semplicità come, in generale, è nelle nostre famiglie protestanti: è noto che Luterane e Calviniste, benché proscrivano il lusso dal loro abbigliamento, fanno pur tuttavia qualche concessione alla moda.
La sua famiglia è francese, suo padre e sua madre sono francesi, ma morti: la sua origine americana rimonta al bisavolo. Malgrado la somiglianza di nome, non ha alcun vincolo di parentela con Ernesto Vaughan, l'ex-amministratore dell'Intransigeant. In Francia questo è un cognome abbastanza diffuso, ma in Inghilterra e negli Stati Uniti i Vaughan sono innumerevoli.
Dico queste cose perché si potrebbe credere che il signor Ernesto Vaughan, col quale ero, in tempi passati, in buoni rapporti d'amicizia, fosse più o meno indirettamente complice della mia mistificazione. Bisogna togliere ogni equivoco: Miss Diana Vaughan non è affatto sua parente; l'omonimia è effetto del caso.

Ma certo non potevo imbattermi in meglio. Nessuno sarebbe stato atto a secondarmi come Miss Diana.
La questione si riduceva a questo: accetterebbe? Non le feci la proposta a bruciapelo. Cominciai a studiarla; l'interessai a poco a poco alla diavoleria, cosa che grandemente la divertiva.
Ella è, l'ho già detto, piuttosto libera pensatrice che protestante; perciò rimase stupefatta nel constatare che in questo secolo di progresso v'è ancora chi crede seriamente a tutte le frottole della stregoneria medioevale.

Una voce: Ma non siamo venuti per sentire queste cose!

Altre voci: Continuate, continuate.

Leo Taxil: È sorprendente che coloro che vanno sulle furie siano proprio gli stessi che nei loro giornali mi invitavano a parlare!

Continuo.
Le prime trattative che intavolai con Miss Diana ebbero a soggetto le lettere di Sofia Walder. Ella acconsenti a farle scrivere da una sua amica. Ebbi così la prova che le donne son meno ciarliere di quel che si creda, e che, quantunque abbiano il difettuccio della curiosità, si può contare sulla loro discrezione. L'amica di Miss Vaughan non s'è vantata mai con alcuno d'aver scritto le lettere di Sofia Walder. Ad ogni modo queste non furono numerose.
Infine feci decidere Miss Diana a diventare mia complice per il successo finale della grande mistificazione.
Le fissai 150 lire al mese per la copia dei miei manoscritti in dattilografia e per le lettere che avrebbe dovuto ricopiare a mano. Fu stabilito che, naturalmente, in caso di un viaggio indispensabile, ella sarebbe stata rimborsata di ogni spesa: ma non volle mai accettare alcuna somma in regalo.
In realtà si divertiva grandemente a questa brillante mariuoleria; ci prendeva gusto: corrispondere con vescovi e cardinali, ricever lettere dal segretario particolare del Sommo Pontefice e raccontar loro delle favole da dirsi a notte bianca, informare il Vaticano dei neri complotti luciferani, tutto ciò la metteva di buon'umore, di una festività indescrivibile. (Risate).

Mi ringraziò d'averla associata a questa colossale mistificazione e se avesse posseduto realmente le ricchezze che noi le attribuimmo per aumentare il di lei prestigio, non solamente non avrebbe accettato il prezzo convenuto per la sua collaborazione, ma avrebbe di cuore pagato ogni spesa.
Fu essa che ci fece conoscere, a fine di diminuire le spese, l'esistenza delle agenzie di posta privata: aveva avuto occasione di rivolgersi, a Londra, ad una di esse, e ce la indicò come pure mi suggerì l'Alibi-Office di New-York.
Il Diavolo nel XIX secolo fu, dunque scritto principalmente per accreditare Miss Vaughan, alla quale destinai sì grande parte nella mistificazione.
Se ella si fosse chiamata Campbell o Thompson, noi avremmo dato alla nostra simpatica luciferana il nome di Miss Campbell o quello di Miss Thompson. Ci limitammo a dirla americana anch'essa, senza tener conto della sua nascita accidentale a Parigi, e stabilimmo la sua famiglia nel Kentucky. Questo ci permise di renderla interessante al massimo grado, attribuendole innumerevoli fenomeni straordinari che non potevano essere controllati da alcuno (Risa). Ci fu anche un'altra ragione, questa: che noi avevamo posto a Charleston il centro del Palladismo facendone fondatore il defunto generale Alberto Pike, Gran Maestro del Rito Scozzese nella Carolina del Sud. Questo celebre massone, dotato d'una erudizione straordinaria, era stato uno dei grandi luminari dell'Ordine; noi ne facemmo il primo papa luciferano, capo supremo di tutti i massoni della terra, il quale conferiva regolarmente, ogni venerdì, a tre ore dopo mezzo giorno, con messer Satanasso in persona. (Esplosioni di risa).

Il più curioso si è che anche alcuni massoni montarono nel mio battello, senza esservi affatto invitati; e questo battello del Palladismo, diventò una vera corazzata in confronto del rimorchiatore che io, negli esordi della carriera, feci inviare alla caccia dei pescicani nella rada di Marsiglia. Col concorso del dottor Bataille la corazzata divenne una squadra, e quando Miss Diana Vaughan si fece mia ausiliaria, la squadra si cangiò in flotta (Nuove risate).

Si, abbiamo visto dei giornali massonici, come la "Renaissance Symbolique", abboccare ad una circolare dogmatica nel senso dell'occultismo luciferano, circolare in data del 14 giugno 1889, scritta da me a Parigi, e gabellata come giunta da Charleston in Europa per mezzo di Miss Diana Vaughan da parte del suo autore Alberto Pike.
Quando nominai Adriano Lemmi secondo successore d'Alberto Pike al supremo pontificato luciferano - poiché egli non è stato eletto papa dei massoni a palazzo Borghese, ma a Parigi nel mio ufficio - (Risa); quando, dicevo, questa elezione immaginaria fu conosciuta, dei massoni italiani, fra i quali un deputato al Parlamento, la hanno presa sul serio.
Essi s'inquietarono nel conoscere, dalle indiscrezioni della stampa profana, come Lemmi facesse il misterioso verso di loro, e li tenesse al buio intorno a questo famoso Palladismo di cui si parlava già nel mondo intero.
Si riunirono in congresso a Palermo: costituirono in Sicilia, a Napoli e a Firenze tre Supremi consigli indipendenti e nominarono Miss Vaughan membro d'onore e protettrice della loro federazione.

Una voce: Come mistificazione è riuscita.

Un'altra: Quei massoni erano vostri complici!

Leo Taxil: Andiamo!... Ve lo ripeto, non ebbi che due ausiliari messi a parte del mio segreto: il Dottore e miss Diana Vaughan.
Un aiuto inatteso, ma che non fu affatto mio complice, checché se ne sia detto, è il sig. Margiotta, massone di Palmi in Calabria. Arruolatosi fra i mistificati, lo fu più degli altri; e, cosa divertente più di ogni altra, egli ci raccontò che aveva conosciuto la gran maestra palladista in uno dei suoi viaggi in Italia (Risa). Vero è che io l'avevo condotto assai dolcemente a farmi questa confidenza. Gli avevo messo in testa che questo viaggio aveva avuto luogo; avevo creato attorno a lui una atmosfera di palladismo; lo avevo fatto incontrare a Roma con un ciambellano di Leone XIII che avevo fatto pranzare con miss Diana qualche tempo innanzi (Risa, rumori, atti di protesta). Poi insinuai che miss Diana, al tempo del suo preteso viaggio del 1889, quando portò in Europa la sedicente circolare dogmatica di Alberto Pike, aveva ricevuto, in due serate, a Napoli, all'Hotel Vittoria, per gruppi, numerosi massoni.

Sapevo che il signor Margiotta, che è poeta, aveva dedicato a Bovio un volume di versi, ed avevo avuto cura di dire che i massoni presentati a miss Vaughan nel 1889 lo furono per mezzo di Bovio e di Cosma Panunzi. Aggiunsi che questi fratelli ai quali essa aveva offerto il the erano tanto numerosi che non ricordava né i loro nomi né le loro fisionomie. Il sig. Margiotta rischiò da principio timidamente qualche allusione a questo antico incontro, poi, vedendo la buona piega che prendeva la cosa, constatando che miss Diana non lo smentiva, ci cadde dentro: ed andò anche troppo lontano.

Più tardi quando giudicai che bisognava impedire che la mistificazione indovinata in Germania, crollasse nel silenzio di una Commissione; quando m'intesi col dottore per gettare un suono d'allarme in mezzo alla esaltazione dei cardinali mistificati; quando io e Bataille, sempre d'accordo, fingevamo di tirarci contro, a palle infuocate, il signor Margiotta, avendo finalmente aperti gli occhi, temette il ridicolo, e preferì dichiararsi complice, piuttosto che cieco, e volontariamente arruolato nella nostra flotta.
Ma non ci conviene mostrarci più numerosi di quel che fummo in realtà: fummo in tre soli, e ce n'era d'avanzo!
Gli editori stessi sono stati mistificati dai prezzi elevati, ma oggi non hanno a dolersene; prima perché le nostre coraggiose pubblicazioni hanno valso loro le più incoraggianti felicitazioni episcopali, senza contare quelle dei gravi teologi che non si stupirono né del nostro coccodrillo che suona il piano, né dei viaggi di Miss Vaughan nei diversi pianeti (Risa); quindi perché questa triplice collaborazione ha permesso loro di pubblicare delle opere che possono rivaleggiare con le Mille ed una notte, che sono state divorate con delizia, e che ancora si leggeranno, non più, forse, per convinzione, ma per curiosità.

Invero, non è cosa da poco aver fatto accettare nel secolo XIX le nostre storie meravigliose. Tuttavia io mi domando quanto diritto abbiano oggi di adirarsi gli alti approvatori del Palladismo svelato. Quando ci si accorge di essere stati mistificati, il meglio che ci resti a fare è riderne con la platea. Sì, signor abate Garnier: adirandovi farete ridere troppo di voi.

L'abate Garnier: Siete una canaglia! (Si cerca di calmarlo).

Leo Taxil (Quando il tumulto si è calmato): I mistificati del Palladismo si possono dividere in due categorie: quelli che lo sono stati in buona fede, interamente in buona fede. Questi furono vittime della loro scienza teologica e dei loro studi, accaniti contro tutto ciò che abbia relazione colla Massoneria. E mi convenne immergermi fino al collo in queste scienze, per immaginare ogni cosa in modo che non si scoprisse l'inganno. Credete, per esempio, che mi sia stato facile di darla ad intendere al sig. De la Rive, il quale è l'indagine incarnata, che sezionerebbe al microscopio gl'invisibili, e che darebbe dei punti ai nostri migliori giudici d'istruzione? Può vantarsi di avermi dato del filo da torcere!
Tutto il mio Palladismo era stato solidamente costruito, quanto alla parte massonica propriamente detta, dal momento che dei massoni, dei 33, non hanno creduto l'edificio un vano miraggio e hanno domandato di entrarvi (Risa).
L'impossibilità del Palladismo non si rivela che per il soprannaturale di cui l'abbiamo riempito. Ora queste cose diaboliche non potevano mettere in guardia che coloro che non credono alle diavolerie raccontate da altri libri, dai libri ascetici.
Asmodeo trasportante Miss Diana Vaughan al paradiso terrestre, non è certo più straordinario di messer Satana che trasporta Gesù Cristo stesso sulla cima di una montagna, da cui gli mostra tutti i regni della terra... che è tonda!

Voci diverse: Bravo!

Leo Taxil: O si ha la fede o non si ha! (Risa).

Ma oltre a questa prima categoria di mistificati ve n'è un'altra: per questa non vi fu mistificazione assoluta.
I buoni abati e religiosi che hanno ammirato in Miss Diana Vaughan una sorella massona luciferana convertita, hanno il diritto di credere che esistano di queste massone. Non ne hanno mai viste, mai incontrate; ma questo è accaduto, possono credere, perché non ve ne sono nelle loro diocesi. A Roma non è più così; a Roma tutte le notizie sono centralizzate; a Roma non si può ignorare che non vi sono altre massone che le spose, le figlie, le sorelle dei massoni, ammesse ai banchetti, alle feste o che si riuniscono tra di loro a parte, onestissimamente, in società particolari composte di soli elementi femminili, come avviene negli Stati Uniti per le Sorelle della Stella d'Oriente o le Dame della Rivoluzione (Approvazioni).
Con un po' di riflessione è facile comprendere che, se esistessero delle sorelle massone come gli antimassoni se le immaginano, avrebbero dovuto esservi delle conversioni e delle confessioni da molto tempo! La premura colla quale fu accolta a Roma la pretesa conversione di Miss Vaughan è significativa. Pensate che Monsignor Lazzareschi, delegato della Santa Sede presso il Comitato centrale dell'Unione antimassonica, fece celebrare un triduo di ringraziamento nella chiesa del Sacro Cuore di Roma.
L'inno a Giovanna d'Arco, attribuito a Miss Diana Vaughan, parole e musica, è stato eseguito alle feste antimassoniche del Comitato Romano; questa musica, divenuta quasi sacra, si è intesa nelle grandi solennità nelle basiliche della Città Santa. È l'aria della Seringue philarmonique, operetta musicale che un mio amico, maestro di musica, direttore d'orchestra del Sultano Abdul-Aziz, aveva composto per i divertimenti del serraglio (Risa prolungate).

Grida: È abominevole! Oh l'impostore!

Leo Taxil: Questo entusiasmo romano dava molto a riflettere.
Citerò due fatti caratteristici: sotto la firma Dr. Bataille ho raccontato, e col nome di miss Diana Vaughan ho confermato, che il tempio massonico di Charleston racchiude un labirinto nel centro del quale esiste la cappella di Lucifero.

Mons. Oscar Havard: Il vescovo di Charleston ha dichiarato esser questa una impostura.

Leo Taxil: Perfettamente. È quello che vi dirò fra breve; ma non avrete di che gloriarvi. Attendete un poco! ... Ho dunque raccontato che nel tempio massonico di Charleston una delle sale di forma triangolare, e che porta il nome di Sanctum Regnum, ha per principale ornamento la mostruosa statua di Baphomet, alla quale gli alti massoni rendono culto; che un'altra sala contiene una statua d'Eva che si anima quando una Maestra Templare è particolarmente gradita a Mastro Satana, e che questa statua diviene allora la diavola Astarté, che prende corpo e vive un momento, per dare un bacio alla Maestra Templare privilegiata. Ho pubblicato la pretesa pianta del tempio massonico in discorso: quei rilievi erano stati disegnati da me.
Ciò posto, il vescovo cattolico di Charleston, mons. Northrop, si è recato apposta a Roma per assicurare il Pontefice che questi racconti erano assolutamente fantastici. Tutti avrebbero ignorato il viaggio se mons. Northrop non si fosse lasciato intervistare per via: così si seppe ciò che egli veniva a dire al Papa: «È falso, son le sue parole, assolutamente falso che i massoni di Charleston siano i capi di un rito supremo luciferano. Io conosco benissimo i principali fra loro: sono protestanti animati dalle migliori intenzioni; neanche uno che sogni abbandonarsi a pratiche d'occultismo. Ho visto il loro tempio: non esiste colà neanche una delle sale descritte dal dott. Bataille e da miss Diana Vaughan. Questa pianta è una burla».
Il Vescovo di ritorno da Roma non ha più protestato; rimase in silenzio: miss Diana Vaughan al contrario rispose alla intervista dicendo che il vescovo di Charleston era lui stesso un massone, e s'ebbe così la benedizione del Papa.

Secondo fatto. Con le firme Bataille e Vaughan ho raccontato e confermato che a Gibilterra, sotto la fortezza inglese, si trovavano delle grandi officine segrete nelle quali alcuni uomini-mostri fabbricavano tutti gli strumenti che dovevano usarsi nelle cerimonie del Palladismo; e miss Vaughan, interrogata su questo punto da alti dignitari ecclesiastici di Roma, si divertì a risponder loro che era vero e che i forni di queste misteriose Officine di Gibilterra sono alimentati dal fuoco medesimo dell'inferno (Risa). Monsignor Vicario apostolico di Gibilterra scrisse che confermava ciò che aveva dovuto, per necessità, confidare anche agli altri: cioè, che la storia di questi segreti laboratori era una audace invenzione, che non aveva base assolutamente su nulla, e che era indignato di veder create tali leggende. Il Vaticano non pubblicò la lettera del Vicario apostolico di Gibilterra, e Miss Diana si ebbe la benedizione del papa. (Applausi).

Più voci: Bravo Taxil!

Leo Taxil: Fa bisogno citare qualcuna delle lettere d'approvazione che ha ricevuto miss Diana Vaughan?

Voci diverse tra i giornalisti cattolici: Non è vero; non ha ricevuto approvazioni!

Leo Taxil: Come! osereste negarlo? Ebbene, eccovene una di queste lettere d'approvazione, ed ha molto valore!... È del cardinale Parocchi, Vicario di Sua Santità: è datata il 16 dicembre 1895:

Signorina e cara figlia in N. S.
È con viva ma dolcissima emozione che ho ricevuto la vostra gradita lettera del 29 novembre, con l'esemplare della «Novena Eucaristica...».
Sua Santità m'ha incaricato d'inviarvi da parte sua una benedizione del tutto speciale...
Da molto tempo le mie simpatie vi accompagnano. La conversione vostra è uno fra i più magnifici trionfi della grazia che io mi conosca. Sto ora leggendo le vostre Memorie, che sono d'un interesse palpitante...
Credete, intanto, che non vi dimenticherò nelle mie preghiere e specialmente nel Santo Sacrifizio. Dal canto vostro non cessate di ringraziare Nostro Signore Gesù Cristo della grande misericordia che ebbe per voi e della testimonianza risplendente d'amore che vi ha dato.
Accettate la mia benedizione e credetemi
Tutto vostro nel cuore di Gesù
Cardinale Vicario

Ed ecco un'altra lettera su carta ufficiale del Consiglio direttivo generale della Unione antimassonica, che è quanto dire del più alto Comitato di azione contro la Massoneria, Comitato istituito dallo stesso Papa, e che ha alla testa un rappresentante ufficiale della Santa Sede, Monsignor Lazzareschi. Ascoltate:

Roma, 27 maggio 1896
Signorina
Monsignor Vincenzo Sardi, uno dei segretari particolari del Santo Padre, mi ha incaricato di scrivervi per ordine di Sua Santità.
Debbo anche dirvi che il Sommo Pontefice ha letto con grande piacere la vostra Novena eucaristica.
Il signor commendatore Alliata, ha tenuto una intervista col Cardinal Vicario intorno alla veracità della vostra conversione; Sua Eminenza ne è convinta, ma ha detto al nostro presidente che non può renderne pubblica testimonianza. «Non posso tradire i segreti del Sant'Uffizio» ha risposto Sua Eminenza al commendatore Alliata.
Sempre vostro devotissimo in Nostro Signore
Rodolfo Verzichi Segretario generale

Il segretario particolare di Leone XIII, quello stesso monsignor Sardi poc'anzi citato, scrisse a sua volta, fra le altre cose:

Roma, 11 giugno 1896
Signorina
Mi affretto ad esprimervi i ringraziamenti che vi sono dovuti per l'invio del vostro ultimo volume su Crispi … [Si tratta di un libro, in cui, sotto la firma di Miss Diana Vaughan ho raccontato che Crispi aveva un patto con un diavolo chiamato Haborym: che Crispi aveva assistito nel 1885 ad una seduta palladica nella quale un diavolo chiamato Bitru, presentando Sofia Walder ad alcuni uomini politici italiani, aveva annunciato loro che essa avrebbe partorito il 29 settembre 1896, una figlia che diverrebbe la nonna dell'Anticristo. Avevo inviato questo libro al Vaticano. Il segretario del Papa ringraziava dunque ed aggiungeva:]
Continuate, signorina, continuate a scrivere ed a smascherare l'iniqua setta! È solo per questo che la Provvidenza ha permesso che voi vi abbiate appartenuto per tanto tempo.
Mi raccomando caldamente alle vostre preghiere e con perfetta stima mi dichiaro
vostro devotissimo
Monsig. Vincenzo Sardi

La Civiltà Cattolica, la più importante fra tutte le riviste clericali del mondo, l'organo ufficiale del generale dei Gesuiti, che si pubblica a Roma, stampava queste righe nel N. 11 del 10 del settembre 1896:

«Ci vogliamo concedere almeno una volta il piacere di benedire pubblicamente i nomi dei valorosi campioni che entrarono primi nell'arena gloriosa, fra i quali la nobile Miss Diana Vaughan.
«Miss Vaughan, chiamata dal profondo delle tenebre alla luce di Dio, preparata dalla Provvidenza Divina, armata di scienza e di esperienza personale, si volge verso la Chiesa per servirla, ed apparisce inesauribile nelle sue pubblicazioni, che non hanno rivali per esattezza ed utilità».

E coloro che circondano il Santo Padre non consideravano Miss Vaughan soltanto come una eroica polemista, ma la paragonavano ai Santi. Quando essa cominciò ad essere attaccata, il segretario del Cardinal Parocchi le scrisse da Roma in data 19 ottobre 1896:

«Continuate, signorina, con la vostra penna e con la vostra pietà, a fornire, malgrado gli sforzi dell'inferno, le armi per atterrare il nemico del genere umano.
«Tutti i Santi videro le loro opere combattute; e non v'è quindi da meravigliarsi se la vostra non viene risparmiata...
«Vogliate gradire, signorina, i miei più alti sentimenti d'ammirazione e di rispetto.
«A. Villard
«Prelato della Casa di S. Santità Segretario di S.E. il Cardinal Parocchi»

Voi, giornalisti cattolici, sapete bene che queste lettere sono state realmente trasmesse a Miss Vaughan.
È possibile che oggi ve ne dispiaccia; ma questi sono documenti storici; questi non sono stati inventati, ed i loro eminenti autori non li rinnegheranno. E non solamente patrocinavano questa mistificazione, ma eccitavano la loro corrispondente, credendola una esaltata, ad entrare nel loro giuoco per la preparazione dei loro miracoli.

Il tempo oggi mi manca: nondimeno voglio raccontarvi un fatto in questo ordine d'idee.
Ognuno sa che, secondo la leggenda cattolica, quando Giovanna d'Arco fu arsa, il carnefice rimase stupefatto nel constatare che solamente il cuore dell'eroina non era stato consunto; ci gettò sopra, invano, della pece e dello zolfo infiammati: il cuore non bruciò. Allora, sotto l'ingiunzione degli ordinatori del supplizio, il cuore di Giovanna fu gettato nella Senna.
Ora il clero francese domanda la canonizzazione di Giovanna d'Arco: ma è Roma che canonizza, e Roma sta in Italia. Il clero francese ha già trovato una reliquia di colei che giustiziò: è una costola carbonizzata. In Italia si preparano ad aver qualche cosa di meglio. Un terziario è preso da un'idea straordinaria: quella di ritrovare il cuore di Giovanna d'Arco: senza dubbio glielo porterà un angelo. Questo terziario ultra-mistico scrisse tutto ciò a Miss Vaughan, e lo stesso segretario del Cardinal Vicario ha raccomandato a Miss Diana di corrispondere con questa persona pia, e di ricambiarle le sue impressioni intorno ai fatti soprannaturali relativi a Giovanna d'Arco. È facile comprendere a che si voglia arrivare; siatene certi: un bel giorno un angelo porterà il cuore, di Giovanna d'Arco, non in Francia, ma in Italia, nello stesso modo col quale gli angeli trasportarono a Loreto la casa di Nazareth. Giovanna d'Arco sarà canonizzata, e tutti i pellegrini francesi che andranno in Italia non mancheranno di render visita al convento italiano, possessore del cuore così miracolosamente ritrovato: e la visite saranno fruttuose, non è vero? (Risa).

Miss Diana Vaughan ha dunque visto piovere in casa sua i favori dei principi della Chiesa.
I massoni di Francia, d'Italia, d'Inghilterra sogghignavano ed avevano ragione. Al contrario un massone tedesco, Findel, si è straordinariamente inquietato ed ha fulminato un opuscolo molto ben fatto. Grande agitazione: l'opuscolo produsse l'effetto di una sassata in una palude piena di ranocchie.
Bisognava prendere una risoluzione energica. Findel comprometteva il successo finale della mia mistificazione: il suo errore fu di credere che si trattasse di una macchina montata dai gesuiti. Sfortunati gesuiti! Avevo loro mandato un pezzo della coda di Moloch, per convincerli della esistenza del palladismo! (Esplosione di risa).

Al Vaticano si inquietavano. Passavano da un estremo all'altro, impazzivano. Si domandavano se non si fossero per caso trovati nelle reti di una mistificazione che sarebbe ridondata a danno della Chiesa, invece che a suo vantaggio. Si nominò una Commissione di inchiesta che lavorava in segreto per sapere esattamente a cosa attenersi.
Da allora le difficoltà divennero grandi. L'opera mia era in pericolo e non volevo naufragare in porto. Il pericolo era nel silenzio, era nel soffocamento della mistificazione, entro i trabocchetti della Commissione romana, era nell'interdizione ai giornali cattolici di farne parola.
Il dotto Bataille si recò a Colonia; di là mi fece conoscere la situazione. Partii prevenuto per il Congresso di Trento, molto ben prevenuto. Ritornando, la prima persona che vidi fu il mio amico dottore: lo misi a parte dei miei timori d'un soffocamento nel silenzio.
Allora noi concordammo tutto ciò che è stato scritto e fatto. Se i redattori dell'Univers ne dubitano, posso dir loro quali siano i passaggi che vennero soppressi nelle lettere del dott. Bataille. Sono io che così ho attizzato il fuoco, poiché bisognava che la stampa del mondo intero fosse messa al corrente di questa grande e bizzarra avventura. Ed era necessario molto tempo, perché lo strepito dei cattolici furiosi, e la polemica con i partigiani di Miss Vaughan potessero attirare la attenzione della grande stampa, della stampa che cammina col progresso e che conta i suoi lettori a milioni!

Prima di terminare debbo inviare un saluto ad un mistificatore sconosciuto, ad un perspicace collega americano; fra mistificatori ci s'intende da un punto all'altro della terra senza bisogno di scambiarsi delle lettere, senza ricorrere neanche al telefono. Saluto dunque un caro cittadino del Kentucky che ebbe l'amabile pensiero di aiutarci senza alcun doppio fine, e che confermò nel "Courier Journal di Louisville" le rivelazioni di miss Diana Vaughan, che attestò, a chi volle saperlo, che egli aveva conosciuto la cara Miss molto intimamente per sette od otto anni, e che l'aveva spesso incontrata nelle diverse società segrete d'Europa e d'America... dove ella non ha posto mai piede.

Signore e Signori
Vi annunciai che il Palladismo sarebbe stato atterrato quest'oggi; è successo di più: è stato annientato: esso più non esiste!
Mi ero accusato di un assassinio immaginario nella mia confessione generale al padre gesuita di Clamart. Ebbene, mi accuso a voi d'un altro delitto. Ho commesso un infanticidio: il Palladismo ora è morto e ben morto; suo padre l'ha assassinato.
 


* * *


Un tumulto indescrivibile accoglie questa conclusione: gli uni ridono a crepapelle ed applaudono fragorosamente il conferenziere: i cattolici gridano e fischiano.
L'abate Garnier monta sopra una sedia e tenta arringare i presenti; ma la sua voce è coperta dagli urli, parecchi intonano la canzone comica di Musy: «O sacro cor di Gesù».
Cala la tela. - Plaudite, cives!

FINE DELLA COMMEDIA
 

Indice

Leo Taxil l'impostore L'Intolleranza Massonica La confessione di Leo Taxil

L'edizione Italiana Le Immagini della mistificazione

 

 

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