Qui di Bacco non son, di Giove,

o Marte,

Né d'altri Heroi, i lor pareggiati

vanti, Ma dell'alta, soblime, e stupend'arte

Del vero Lapis de Filofofanti,

Vedrà chi legge in queste nostre carte

Cose mai impresse per avanti.

E come per virtù tant'alto sale

Un'huomo, che divien quasi immortale.

 

 

L'Autore ritrova avanti le due porte già vedute ove vi entra, e trovava meraviglioso fonte

Già Febo salito era l'Orizzonte del Polo nostro a rasciugare le fresche lacrime della plorante aurora; ogni radiante stella era dall'Emisphero nostro smarrita, gli augelli per i frondosi arboscelli sollazzavano con armonioso canto, Filomena già cominciano il lamentabile pianto, e progne con una pietosa voce piangeva il suo tristo caso: Quando doppò un intenso pensiero causato per il passato sogno, venendomi un'ansia intollerabile desiderava qualche salutifero riposo; Perilché chiusi gli occhi fui da un tranquillo, e ameno sanno oppresso e vinto nel quale di nuovo mi ritrovai nella speculatione delle maravigliose porte, ove non sapendo che via tener mi defessi; Ecco da lungi venire verso la destra porta un amico mio, il quale entrato mi diede non poca consulatione: onde fattomi vicino alla oscura spelonca, e di novo considerato il grande artificio; la sublime fattura; la ben considerata fabricatione della virile figura, giacente sopra l'argentino arco, o frontispicio; il sententioso motto descritto sopra i politi piedestali, e l'honorata compositura delle notando figure hieroglifiche, mi veniva salendo un pensiero che questa fusse quella felice entrata, per dove passati erano Hermete, Moriene, Hali, Geber, Raimondo, Arnaldo, con Alberto Magno, e altri, cosi antichi come moderni filosofanti, già guidati dalla veridica Donzella; anci giudicai fusse prima da lor stata fabricata la maravigliosa Struttura, con la opaca, e oscura spelonca, acció che ogni Emulo furibondo e pazzo, mosso d'insatiabile ingordigia (veduta la tanta oscuraggine del Baratro) di terrore paventato non ardisce d'entrare. Fatto haveva una deliberatione di mettermi alla, fortuna, per seguire quello mio amico, poco avanti animosamente entrato, e già haveva mosso il curioso passo per entro caminare quando, che gionto sopra il limitare della oscura spelonca fui spaventato da una lacrimabile, e rauca voce, laquale giudicai essermi presaga di qualche male. Onde dal disio da una parte, e dal timore dall'altra gravemente tormentato, non sapeva seguire il principiato camino.Stando cosi in questi accidenti causati dalla compassionevole voce, fui da un ardir spinto di animosamente dare i curiosi passi alla incerta fortuna: Perilché postomi a caminare per entro la oscura spelonca non per un miglio caminato fui che ritrovai una spaciosa scala, per laquale con proportionati gradi andava salendo. Et gionto al fine, mi trovai un spacioso loco, dove era acceso un lume sotto il polito arco della tomba, laquale era tutta intorniata di preciosissime pietre, che con molta vaghezza risplendevano: quivi cominciai à considerare le sententiose admonitioni filosofali, sculte nel vivo sasso in tal modo.

SOLUS SAPIENS, SOLUS PATIENS, TRANSIBIT AD ASTRA, LUMINA MIRA.

Inoltre vidi, che nel centricale mezzo della segreta tomba, era una femminile figura di Marmo alto dieci cubiti: Questa per le mamelle gettava una limpida acqua, che cadeva in un grande catino di fino Alabastro, e era sopra una proportionata colonna di fina corniola, per laquale ascendeva, e occultamente descendeva l'acqua: Attorno di questo vaso erano isculte queste figure Hieroglifiche, cioè, un ramo di senapo, un altro di vite, un altro di moraro, e un altro di persico, liquali venivano concatenandosi l'un con l'altro, intorno intorno dell'Alabastrino vaso. Io doppo una hieroglifica consideratione giudicai che volessero significare, che l'efficacia dell'humano intelletto coriosa delle cose sublimi, con una fermezza di dottrina affaticasi di collocare sua felicità nella verità, e prudenza, però fra i detti rami erano queste lettere scolpite.

FONS PLATONICAE SITIS.

 

Assalito da una spaventosa Hidra si fugge per un portello.

Trascorso l'artificioso loco, et messo il piede per entrar in una portella d'un'oscura via, o spelonca, ecco ch'io sentei per la lunga scala prima un rumore, come un fragar d'ossa, e di crepitanti frasche, il qual verso di me veniva, e poi di subito il sibillare di eccessivo serpe. Ohimè infelice, e di bona fortuna alieno, ecco ch'io vidi apertamente al limitare della sommità della scala giongere non quale ad Androdo il claudicante, e forte leone nell'antro; Ma una spaventevole, e rabbida Hidra, laquale mostrando la tremula lingua, con le pertinaci mascelle, e con i pungenti denti stridendo, veniva verso di me con la corpulentia del squamoso corio, che discorreva sopra l'astregata terra; haveva dico ruvido il dorso, e con la lunga coda facendo giri serpentini con torti nodi strettamente inglobava. Ohimè dico, che terrore, di spaventare il bellicoso, e armato Marte; da intemorire il terribile Hercule; e farli tralassar la sua ponderosa mazza; da rivocare Theseo dalla cominciata impresa; da dar terrore al gigante Tifone; da far paura a qualunque fermo, e ostinato cuore; e da ritrahere il celifero Atlante dal suo statuito ufficio, non che un uomo com'io ritrovandomi tra luoghi incogniti solo, e inerme; Onde io per campare il mortale pericolo, ciascuna divina protezione tremebondo devotamente invocai, e poi senza intervallo alcuno voltai le spalle, chiudendomi dietro la poderosa portella, e come meglio potei, mi sbrigai dal feroce animale. Solicitava per fuggire i già inviati passi, e con fretta nelle interiori parti del tenebroso loco penetrando, per diverse, e oblique rivolutioni (fuggendo) trascorreva. Perilché fermamente mi teneva essere pervenuto nell'intricabile fabrica di Dedalo, overo cubicolosa spelonca del spaventoso Ciclope, o nella tetra caverna del manigoldo Cacco: si che quantunque gli occhi fussero alquanto nell'oscuraggine assueti, non perciò per niun modo io infelice poteva alcuna cosa chiaramente vedere: Onde con le mani inanti alla faccia per non urtare correndo in qualche pietra andava come coclea ch'or manda, e hor tale a se i molli corvetti secondo la amenità e asprezza del viaggio: io somigliate faceva, e spesso porgeva l'orecchia per udire, se la crudele hidra dietro me venisse. Mi ritrovava adunque; nelle oscure viscere, e devij meati delle caverne, con maggior terrore, che Mercurio trasformandosi in Ibi augello, e Apolline in Corvo. In quelli apunto prenarrati terrori fatto pavidissimo, e ansio, veniva in frequente volato delli lucifugi pipistrelli intorno al capo a rindoppiare la timorosa angustia; e tal fiata per il suo pungere, senza indugio mi credeva di essere fra i denti della velenosa fera. In qua, e là vagabondo discorrendo stava con le vigilanti orecchie di presentire, se a me fusse arrivato l'orrendo mostro con il pericolo del pestifero veneno, e rabbioso morso, e ogni cosa che mi si offriva nel primo accesso sospettava di continuo, che fosse quello. Così ritrovandomi in quello loco privo d'ogni suffragio, e in si mortale angustia chiamava io la morte, e ben che naturalmente non sia per modo alcuno grata, in questa volta gratissima la estimava, laquale io bene poteva volere ma ella non volendo, nulla mi valeva: Ohimè quanto affanno sentiva considerando ch'ella sarebbe pur stata la mia vita, ma in quel caso udir non voleva le mie preghere. Per questa tale, e si fatta afflittione commosso, oltre ogni pensiero strugendomi, amaramente mi crucciava: e sopra tutto intentamente dava opra o di poter fuggire questo pericolo, e campare la vita, o per questa violentia senza intermedio alcuno dolorosamente ispasemando morire. Et hormai senza differire, che non sapeva io confusissimo che mi fare, vagabondo, e inesperto per certi lochi, e debilitate hormai le gambe, e conquassata ogni virtù corporale, era tutto di dolore essanimato. Condotto a questo passo supplichevolmente invocai la suprema Maestà, che di me in questo miserabile caso havesse qualche pietà. Ecco ch'io pervenni ad una grandissima tomba, laquale era illuminata da un grande spiracolo, o apertura, tendente verso il cielo a modo d'una profondissima cisterna. Condottomi in questo luminoso loco veruna guida, mi posi a sedere per pigliare riposo, e alzando ad alto gli occhi veder non poteva altro che cielo per lunga apertura, che poteva esser cinquanta passa, e più.

 

Descrive ciò che vide nella tomba di Platone, oltre una bellissima Piramide.

Havendo per un pezzo dato quiete all'indebolito corpo, cominciai andar speculando l'artificioso loco ovatamente fabricato, dal cui pavimento pendevano infinite granate, carboni, e orientali diamanti, iquali come radianti stelle rendevano al loco un si inestimabile splendore, che parevami il stellato cielo; Perché quivi verso Aquilone vedeva L'Orsa minore, e maggiore; il Dracone; Cefeo; Caliopea; il Cigno; Andromedea, e il Cavallo pegaseo: Da Austro vedeva poi un diamante di tale grandezza, che risplendeva come in ciel Diana, di modo che veder si poteva il Pesce, la Corona, Orione, e altre infinite stelle. Nel mezzo della ovata tomba misteriosamente era fondata una base de diafano calcedonio in forma cubica, sopra laquale stava collocata una rotonda lastra di fino diaspro alto doi piedi, e de diametro passa doi. Sopra essa rotondità era un triangulo quanto era la capacità del Diaspro, di altezza de due passa, di negrissima pietra di parangone: Gli angoli del trigono si estendevano alla circonferentia del sottogiacente Diaspro. Nella perpolita, e espediente fronte loro scolpita era una bellissima imagine di procera statura (quanto alla negrissima pietra) e nell'aspetto divina, grave, e venerabile, che teneva i piedi sopra l'orlo del sottoposto rotondo; Et con il lor dorso appogiavansi alle faccie del trigono: ma questo appoggiamento era tale, che ciascuna figura con i brazzi stesi a gl'angoli conteneva un cornucopio di oro eminente da gl'angoli, e lungo quanto era l'altezza del trigono. I cornucopij e statue benessimo risplendevano, di modo che stando con le mani invilupate da certi legami per il piano della pietra volanti, e con habito Ninfale, non di humana, ma quasi di divina fabricatura, essere parevano. Nella superficie della circonferentia della circolare pietra vidi queste figure hieroglifiche isculte sotto i piedi di ciascuna imagine; e prima sotto una era la forma del Sole, sotto l'altra un'antico timone di Nave, e sotto la terza imagine appariva un vaso con una fiamma intorno: Sotto ciascuno protento de gli angoli della oscura pietra, vidi tre mostri Egittij aurei giacenti con quattro piedi, l'uno delliquali haveva la faccia tutta humana, l'altro mezza humana, e mezza di bestia, e il terzo d'un mostro, e pendeva una grande benda dalla fronte loro, laquale si divideva in tre parti, una dietro le spalle, e l'altre verso le orecchie, e sopra il petto pendevano certi ricchi monili, questi mostri stavano con il dorso verso il centro, e con la faccia verso la protensa circonferentia. Sopra le spalle adunque di ciascuno de i tre mostri era situata una bellissima, e intiera piramide aurea, di triangulare forma, e in qualunque fronte d'essa, era isculto uno circulo, e sopra il circulo questa lettera O; Nell'altra fronte un altro circulo, e di sopra questa lettera ?; Et nella terza fronte similmente un circulo, e questa altra lettera N; Et nella circonferentia della ovata tomba erano queste parole isculte.

PER NATURALIA PLATO DESCRIPSIT SUPRANATURALIA.

Veduto questo misterioso artificio, quasi non poteva tra me imaginare altro voler dimostrare, che celeste armonia: percioche ben considerando vidi che queste figure con perpetua affinità, e congiontione erano preclarissimi antiquarij, e hieroglifiche, le quali dimostravano questa sententia,

DIVINAE, ET INFINITAE AETERNITATI UNIUS ESSENTIAE.

La inferiore figura è consacrata alla divinitade, perche dalla unità è produtta, e per ogni lato è una, e di qualunque figura è primario stabilimento, e in ogni base mostra perpetuità. La circulare sopragiacente è senza principio, e senza fine, nella piana circonferentia della quale quelli tre lineamenti sono stabiliti, diretti all'aspetto di ciascuna imagine secondo ch'è alla sua proprietà attribuito: Però il detto Sole giocodissima luce può ogni cosa, e la sua natura è l'istesso eterno Dio, la seconda è il navigabile timone, che è il provido governo dell'universo pieno d'infinita sapienza, il terzo è il vaso igneo, ch'è una participatione d'amore, e carità; Et quantunque siano le tre imagini distinte, nondimeno è una cosa insieme complessa, e congionta in una per sua conditione, e natura, che benignamente và communicando il suo bene, come si può vedere per i cornucopij. Alle mani della figura collocata alla imagine del detto Sole, era notata questa parola greca ADIGITOS. Laquale significa inenarrabile, o indicibile. Alla imagine del timone io vidi quest'altra ADI ACHORISTOS. Cioè, inseparabile, e alla terza era questa tale ADIEREYNIS. Laquale è interpretata non ricercato. Quelli tre animali sotto l'aureo obelisco fabricati, sono le tre grandissime, e celebri opinioni, però che così come l'humana effige, da elle altre cose sembianza, né più, né meno fa la cogitatione. Venendo poi alla consideratione dell'altre parti fermai sopra di me per essere più ardue, e più difficili.

 

Segue a narrare la esposizione della sodetta piramide.

Doppo un lungo pensamento volendo venire alla cognitione del resto di questa fabricatura, tra me diceva, e proponeva così. Nella preciosa "Piramide sonnovi tre lati piani, lincati di tre circoli,e tre lettere, cioè uno per ciascuno, significanti tempo preterito,presente, e futuro, e compresi che niuna altra figura (che quella) poteva contener quelli tre circoli, perché niuno de mortali può perfettamente discerner, né vedere insieme dui lati della detta figura, ma solo il presente. Però sapientemente furono isculti quelli tre caratteri O. Ω. N. liquali uniti significano ovum,vel fimbria, cioé ovo o orlo di veste. Più oltre considerando giudicai che la prima basale figura, era solamente a sé cognita, e ad un tanto humano era diaphana; Ma a noi non di tanta chiarezza; ma colui ch'è poi d'ingegno dottato, ascende più alto, e solertemente considera della figura il coloramento. Investigando più, alla terza ascende, la quale di sua coloratione è oscura, e di quelle tre imagini d'oro circondata. Ultimamente più salendo di parte in parte, e considerando una tale Piramide in trina figura, conobbi che quanto alla più acuta sommità saliva contemplando, io restava fra me stupefatto: quivi quantunque fussi in una suprema consideratione, non potei però altro acquisto fare, che veder cose tant'alte, ch'ingegno humano redirle non può. Perilche no senza qualche consideratione il peritissimo architetto fabricando questo inescogitabile loco, lo dedicò al Divino Platone, volendo dimostrare per questa misteriosa fabricatione, che convenga a gl'ingredienti peregrini, che entrano in questa tomba del mondo, haver cognitione della naturale, e sopranaturale Filosofia, si come il divino Platone ha proseguito, della qual cosa (quanto alla sopranaturale) si può comprendere che dall'huomo deve esser riverita e amata la eterna, e somma divinità: Quanto poi alla naturale, con quanta cura si deve custodire l'animo nostro, in fraterno amore, in un vivere regolato, buono, e honesto, per che il principio della sapienza è il timore d'lddio, dalquale depende ogni bene.

 

Pervenne alla Tomba dell'ara del nume di Hermete.

Avendo trapassato alquanto di tempo in questa speculatione, dalla quale non sapendo punto ritrovar modo d'indi partirmi per contemplare il misterioso loco, feci ferma deliberatione di più oltre seguire. Date le spalle a questo felicissimo loco, entrai in una altra ritorta spelonca priva d'ogni lume. Quivi giudicai di dover finire, e passar la mia tormentata vita fra oscurissime spelonche, e mai più non poter revocar gli occhi miei alla tanta desiderata luce. Con travagliata imaginatione caminando, e sempre salendo ritrovai la lunga spelonca reuscire alquanto placida, e tranquilla per un solenne saligamento, per ilquale senza punto poter tenermi con più frequentati passi per quella trascorreva. Havendo quasi per un miglio seguito tal via, ecco ch'io cominciai scoprire un poco di lume, alquale con molta allegrezza vidi una sospesa lampeda ardente avanti un marmoreo altare, sopra ilquale era una preciosa figura di Mercurio di finissima pietra fabricata. Questo Altare era collocato in una grande concavità testudinale di larghezza di dodici cubiti. Perilche considerando il loco, giudicai che quivi fusse il culto di Mercurio dal Padre Hermete posto fra queste oscure spelonche, nelle quali a niuno è lecito entrare che prima dalla invidiosa Hidra non sia gravemente assalitto, e felice si può tenere colui che con ingegno, e valore sa dalla sua venenosa e rabbida ingordigia campare. Et poi riposarsene nella artificiosa tomba del divo Plotone: stando in questa consideratione, e trascorrendo il loco per la maravigliosa speculatione della artificiosa figura partir d'indi non sapeva, perché essa era di tale proportione fabricata, che se viva imagine fusse stata non tanto bene con gl'apparenti musculi, non con tanta vivacità la propria natura a fabricarla havrebbe posto cura. Percio che tale era la eccellente figura di finissima pietra isculta ch'invaghito sarebbe Zenodo lo fabbricatore del gran Colosso di Nerone, che si scrive che fu alto, CX piedi, Pyrgotele, Prasitele, e Myrone con Lysippo, iquali vedendola havriano giudicato non altro mancargli che 'l spirito. Con tale dilettatione andava io considerando la soprema figura, e l'ornato altare che tener non poteva gl'occhi, e già deliberato haveva di più oltre andare vagando, quado rivolti gl'occhi vidi nel vivo sasso isculte queste parole.

HIC PATER HOC ERMES IAM STRUXIT TEMPORE LONGO, ET ITER AD LVMEN HAC SUB HOC DUXIT NUMINE.

Le quali parole non poco di pensare mi diedero, Conciosia che per questo motto dimostrava qual fusse stato il culto del divino Hermete, con ilquale passò a quella divina scienza, vera imitatrice di Natura. La preciosissima pietra con laquale era fabricata questa tale mercuriale figura non poteva discernere per essere vario il suo colore, cociosia che il moto mio hor di qua, hor di là trascorrendo, e hor davanti stando diversi colori mi s'appresentovano, Perilche hor colore nero, hor un bianco, un rosso, un citrino, e hor un color cinericio venivami variando la vista di poter discernere il vero colore. Hor più ben volendo vedere la mirabile figura, vidi ch'esso Mercurio haveva un de suoi testicoli d'oro, e l'altro di puro argento, e simili erano l'ale de talari, e capello con le complesse serpi del scettro suo, cioè d'oro, e d'argento, per lequali cose compresi la virtù di questo mercurio essere biforme, e di natura hermafrodita. Dalla destra parte pendeva nel sommo arco della escavata nicchia un grosso carbone, alla similitudine del celeste, e radiante Sole. Ilquale mandava, verso la stabilita figura i suoi splendenti lumi, e dalla sinistra maravigliar mi faceva uno pendente, e orientale diamante in forma lunare, ilquale con maravigliosi lampi illuminava la sottogiacente figura di modo che tutto questo lume delle preciose pietre procedeva dall'eccelsa e permanente lampada pendente dal soblime arco. Tale e tanta era la vaghezza, e la soprema significatione di questa scultura, che ogn'hor più considerandola, invaghire mi faceva.

 

Lasciata la tomba ascende per una scala sopra un monte, ove ritrova una Sfinge.

Per dar sine al mio viaggio rivolsi i passi per una spaciosa scala a similitudine di vera lumaca fabricata, per la quale ascendendo con giocondo animo per la veduta luce pervenni alla sommità d'un eccelso monte (che da 0riente tendeva in Occidente) precipitoso e privo d'ogni via, perilche necessario era di rivolger i passi per la lunga costiera. No quasi due miglia haveva caminato che ecco verso me venire un tremebondo mostro sibillando, e gridando con voce pietosa.Onde io non sapeva se oltre andare doveva o dietro nella oscura tomba ritornare, appressandosi la maravigliosa bestia con gridi e orrida voce, mostrava una rabbiosa, e ingorda voglia di divorarmi. Hor fattasi vicina, conobbi nella fatezza essere una malitiosa Sfinge, che veniva verso me per assalirmi con le sue figurate dimande. Allhora invocai la Maestà divina, che mi concedesse la sapienza di Edippo filosofo, acciò fuggisse questa iniqua bestia laquale haveva Le penne ale, e onghie a modo dì crudel Arpia con la fazza di Vergine,e i piedi di Leone. Fattami appresso io tutto tremulo, e pauroso stava aspettando il sententioso enigma ilquale la viciosa Sfinge così proponendolo disse. Peregrino il tuo andar più oltre ti sarà da me troncato, se prima non mi risolvi questo enigma, e sopra ciò ti concedo di star sopra questa costiera di morte a tuo piacere per fina alla resolutione, onero ti convenirà ritornar per dove sei venuto; Et odi, l'enigma mio è questo, ilquale propongo a tutti i pari tuoi. Ritrovami una cosa, laquale sia uno in quattro, uno in tre,e uno in due,e non tanto siano quattro tre, e doi, ma quattro in uno, in tre,e in doi; e non solamente siano tre in uno, e in doi, ma quattro, tre e doi in uno, ilquale generi un'altro che sia la matina nero, da mezzogiorno bianco,e la sera rosso, e questo sia Signore sopra tutti i mondani Signori. Udito l'occulto Enigma rimasi tutto attonito, e postomi a sedere sopra d'un vicino sasso, con le lacrime stava io dicendo o Edippo, ma questo poco mi valeva; poi cominciando a trascorrere la espositione delle figurate parole modo trovar non poteva, con ilquale mi potesse sciogliere da questo pernicioso passo, dove il dolore sempre più crescendo mi premeva gl'afflitti sensi imitali con dolorosa perturbatione conquassano il giudicio,e discorso mio. Ma ohimè sospirando diceva, con quale risposta, con quale espositione risolverò io la figurata dimanda? ohimè debbo io ritornare fra le fauci della venenosa Hidra? debbo misero me essere cosi delaniato dal vitioso mostro? ohimè debbo io quivi senza veruno aiuto finire la mia sfortunata vita? o debbo precipitarme più presto per questo monte? Cosi stanco de la mente per queste considerationi, la sola patienza mi risvegliava; Di modo che tra me stesso confortando mi deliberai di risolvere il prenarrato enigma, con quest'altro fantastico figuramento.

SOLUTIO TUAE FIGURATAE PETITIONIS EST NUMEM HERMETIS.

Questo per meglio serbarlo a memoria con uno acuto stile mi duro sasso impressi, Fatto poi un buon animo presi il viaggio verso la Sfinge, laquale per cento passa oltre, stava rinchiusa in una oscura tomba: apena gionto fui vicino per pochi passi dalle calpestrate mie fui scoperto,onde uscita la bestia con gridi, mi instava a dar la resolutione, o morire; e io con rauca voce risposi. Nel ventre del nume dell'ara d'Hermete, troverai la resolutione del tuo enigma, e se con quello passarono Arnaldo, Rimondo, e altri, con l'istesso passerò ancor io non ostante i tuoi figurati proponimenti. La crudel bestia ciò vedendo, di rabbia si graffiava il viso, però che no si pensava di havere questa tale occulta resolutione, e fattasi tutta con le acute onghie sanguinosa piangeva la sua sorte, per non saper che cosa fusse quello Nume d'Hermete, percioche quando Arnaldo passò d'indi, diversa fu la sua resolutione. Perilche rispondendo disse, Peregrino perché mai vidi questo nume d'Hermete, questa tua risposta non mi assicura che essa sia l'aspettata risolutione: Et io se questo non sai, tu men fai quello che vai chiedendo; perciocché se tu sapesti la natura di questo, tu sapresti quello che vai dimandando.

 

La sfinge si attrista per tale resolutione: poi esso pervenne ad una fabricatura nel cui mezzo era uno albero.

La disperata Sfinge non sapendo che rispondere, tra se prese partito, se con lusinghevoli parole havesse potuto divertire la mente mia, di darli un'altra più spedita resolutione; Et io, per qual causa mi richiedi questo? Et essa disse, sappi peregrino che doppo la entrata d'Hermete passando io per alcune occulte spelonche di queste piaggie, ritrovai a caso questo enigma scritto; Perilché poi non potendo ritrovar alcuno che lo sapesse risolvere, io feci volo sopra questa sommità di monte: E fin'ora resto poco sodisfatta; Però che Hermete con una figura, Raimondo con una oscura risposta, Gever con altro Enigma, e così tutti gli altri passarono oltre senza timore de i miei artificiosi motti; E così con questa vado per moltissimi anni pascendo la ignoranza mia. Appena finite hebbe queste parole, ecco uno amico mio comparire sopra l'ardua costiera, il quale vedendomi con la viciosa bestia, con abbondanti lacrime si pose a seder sopra il sasso da me per avanti iscultavi la risposta, stando egli in tale agonia e di continuo invocando la superna maestà, a caso vide la isculta esposizione, onde non poca giocondità ne prese. Io curioso di vedere più oltre, segui il mio destinato camino verso una discendente via, laquale si per i frondosi arboscelli, e per odoriferi pomi, era gioconda, e dilettevole, come per il soave canto delli augelli era piacevole, e amena. Già disceso haveva questa montagna, quando al basso in una pianura fra doi altissimi monti, vidi un loco con una grande cinta di grosse mure, nel cui centro vidi un grande albero, dai rami del quale era coperto tutto il meraviglioso loco. Avicinatomi all'aperta porta, cominciai considerare l'artificioso magisterio di quella entrata, laquale con dorica fabricazione era fondata da peritissimo Maestro: Alla destra di questa patente porta, vidi un finissimo diaspro isculto con queste lettere.

INTROITUS HAC DATUR OMNIBUS.

Le quali parole dimostravano qualche misterioso loco. Fattomi buon coraggio, entrai per la maravigliosa porta, per la quale seguendo il mio viaggio, mi ritrovai entro un laberinto di altissime mura construtto; nel quale non sapeva che mi fare, ne sperava mai più poterne uscire, anzi miseramente finire la mia sfortunata vita. Havendo trascorso questo intricabile loco, modo alcuno ritrovar non sapeva per uscirne. Per un pezzo stata era fra me tutto pauroso, per ritrovarmi alieno da ogni suffragio, e solo, e senza guida. Quando ch'io vidi per un di quelli stretti calli, verso di me venire una Donzella con habito signorile, e carico di gioie di molto valore, la quale haveva un diamante legato in oro, e pendente con una catenetta dal collo, e giacente sopra il delicato petto: Questa con la sua venuta non poca speranza di bene mi diede. Hor giontami appresso, e vedendomi travagliato con benigne parole cominciò darmi un soave conforto, e doppo cominciò dire. Peregrino sappi che vana era la tua speranza di poter uscire di questo intricoso loco, s'io mossa a pietà non fussi venuta ad esserti scorta. Io doppo che per alquanto hebbi remirato il divino aspetto della honorata Donzella, alla cui Maestà, alla presenza, alli gentili gesti, e alli grati ricordi suoi svegliandomi l'animo, conobbi che essa era la mia tanto cara, e veridica Ninfa, laquale fin da principio perdei per la stolta gente, sopra la via tendente verso la frequentata porta della pazza frenesia del vulgo: Per il che ristaurate le perdute forze, e rifocillati debilitati sensi, tanto gaudio sentei che pensai di seguir i vestigij, e norme di Chilone Lacedemone, di Sofocle, e di Diagora Rodiano, il quale vedendo i cari figliuoli coronati dell'acquistata vittoria, di gaudio e allegrezza si morì in presenza del Populo. Restituito io nella pristina forza de i perturbati membri, cominciai con parole melliflue, e grate a referirli gratie: perilche la benigna giovine vera figliuola di Filosofia, e Regina di questa ricca e preciosa regione, rispose queste parole: Doppo ch'io ti vedo si curioso di conoscere questo mio Regno, il quale dal solo Iddio è dato a gl'ingredienti, e da esso tolto come dice il nostro maestro Geber, disposta son di esserti scorta: e condurti fuori, anzi nel centro di questo tanto intricoso loco, se meco vorrai, laquale a seguir non fui tardo.

Trasmutazione Metallica Sogni Tre

Il Terzo Sogno

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