LE CIRCOSTANZE DELLA CONDANNA

Gli ispiratori immediati P. Francesco Pepe P. Gregorio Rocco S. Leonardo da Ponte Maurizio Il Clero transigente

 

L'enciclica «Providas Romanorum Pontificum» (28 maggio 1751).

Il tema massonico irrompe nella storia ecclesiastica settecentesca in termini iperbolici, a causa del sommovimento ideologico che, venuto di lontano, suscitava le ombre e le tensioni provenienti dai processi inquisitoriali che avevano avuto vittime illustri in Giordano Bruno, Galileo, e che avevano visto il risorgere delle antiche aspirazioni alla libertà e alla ricerca scientifica, filosofica, politica, sociologica.

Parve alle autorità, sia politiche che ecclesiali, che la Libera Muratoria coagulasse queste aspirazioni in termini funzionali e attraenti aggiungendovi l'aggravante della derivazione di grossi filoni suggestivi nei movimenti latitudinari e tolleranti della filosofia britannica e centroeuropea, come pure dalle commissioni che non paventavano e anzi a volte sembravano incoraggiare la pariteticità.

Come giustamente è stato osservato, mentre le origini latomistiche italiane hanno il loro epicentro in Firenze, a partire dal quarto decennio del Settecento il centro animatore di questi lavori è senza alcun dubbio Napoli, dove alla folta comunità cosmopolita dei funzionari statali e dei dirigenti militari, fanno corona alcuni «spiriti forti» di risonanza continentale, qual'è soprattutto il caso del Principe di S. Severo Raimondo di Sangro, credente cattolico, inventore di apparecchi ingegnosissimi, ricercatore fisiobiologico, occultista.

Il fermento che porterà alla fioritura delle scienze nuove, con Vico, Galiani, e poi Filangieri, Genovesi ed altri, completa un quadro di grande vivacità e suggestività.

Mentre la condanna di Clemente XII (In eminenti, 28 aprile 1738) si originava nelle ricerche e nei processi inquisitoriali fiorentini, ed aveva nel P. Ambrogio il suo motore, la condanna di Benedetto XIV (Providas Romanorum Pontificum, 18 maggio 1751) trova il suo humus nella situazione napoletana, e nel P. Francesco Pepe, gesuita, soprattutto, ma non esclusivamente, il martello antieretico di turno.

I primi dispacci relativi alle preoccupazioni antimassoniche della Curia e della Corte napoletana risalgono alla fine dell'anno santo 1750. In dicembre il Nunzio Gualtieri avverte ripetutamente il cardinale Valenti, Segretario di Stato, delle voci che corrono a proposito delle «conventicole» dei Liberi Muratori e dello zelo del P. Pepe che sommuove le autorità e offre anche al Nunzio spunti, denuncie e documenti per allarmare l'autorità ecclesiastica suprema. Con il trascorrere del tempo l'ondata antimassonica monta progressivamente e raggiunge anche le masse dei Lazzeri, che nelle mani del P. Pepe costituirono un deterrente costante e assai temuto.

Papa Lambertini esordisce affermando che per un documento così recente non sarebbe stato necessario intervenire nuovamente, ma vi si sente obbligato «justis gravibusque id exigentibus causis» (Romae, Typ. Rev. C. Ap., ASV, Bandi sciolti, I, 42, p. 3).

Queste cause in parte sono espresse dal testo stesso, in parte sono accennate; compito di questo studio è, fra l'altro, quello di illuminare il complesso di tali circostanze.

Fra le ragioni che indussero il Pontefice a pubblicare il documento c'è la diceria della di lui appartenenza all'Ordine massonico. Ne parla brillantemente in una lettera al P. Pepe, col quale ebbe un rapporto cordiale e costante:

«Vi sarete più volte posto a ridere a cachinni, nel sentir dire che io ancora son Libero Muratore ed ascritto ad una delle principali Logge; e fu bello tempo fa che fummi portato a vedere un grosso libro manoscritto, di un morto (ma pentito) Libero Muratore, col catalogo esatto di tutti i soci, ed i Fratelli, tra quali soggetti molto rispettabili, ci ero io; ed io lessi il mio nome co' miei occhi, con avermi postu sul naso un nuovo occhiale: - Lambertino di Bologna, ora Papa col nome di Benedetto XIX. La volete più graziosa? Che ne dite mio caro P. Pepe? Ecco come tirano ad accreditar le loro Unioni, e Combriccole, per far sempre buon partito contro del Sacerdozio e del Principato» (maggio 1751) (1).

Nell'enciclica il richiamo a queste calunnie, e al peso avuto dai personaggi come i due religiosi napoletani, S. Leonardo e certamente anche altri a proposito dei quali sarà ancora opportuno far luce, è espresso senza mezzi termini. Una delle ragioni della pubblicazione della Providas, scrive Papa Lambertini è questa: «Cumque etiam a nonnullis pus ac Deum timentibus viris nobis insinuatum fuerit, ad omnia calumniantium subterfugia tollenda» (L. cit., p. 6).

Le basi della condanna sono, oltre a quelle clementine (2), l'abuso di associarsi senza il permesso del principe, così com'è codificato nel diritto romano ed in altre legislazioni posteriori.

Le cause della ripetizione della condanna e della scomunica sono accuratamente espresse nell'enciclica. Nell'abbozzo dell'ASV sono espresse già fedelmente:

«Tutta la Costituzione del nostro Predecessore che conserviamo, vari punti di gran rilievo.

- Il primo riguarda l'accoppiamento di persone di qualsivoglia religione e setta nelle adunanze: il che ognuno ben sa quanto possa esser nocivo alla nostra santa cattolica Religione.

- Il secondo l'inviolabile segreto di quanto in essa si va faciendo; appiccandosi qui giustamente quanto ingiustamente disse Cecilio Natale appresso a Minucio Felice: Honesta semper pubblico gaudent; scelera segreta sunt.

- Il terzo il giuramento di nulla manifestare di quello che si fa anche con giuramento manifestarlo a chi con legittima autorità interroga, per movimento ideologico che, venuto di sapere se v'è cosa contro la Religione e contra il Governo e lo Stato della Repubblica.

- Il quarto la contranventione anche di leggi de' Principi, giusta le quali non ha luogo verun collegio e veruna radunanza, come si vede nel titolo dei Regesti De Collegiis et corporibus illicitis, nella celebrata lettera 97 di Caio Cecilio Secondo al LX parla de li heteria proibite, che è stesso che dire delle radunanze e società vietate, mancando l'autorità del Principe.

- Il quinto l'essere già in alcuni Principati proscritte e exterminate le radunanze di questi Liberi Muratori.

L'ultimo l'orrore e l'avversione di uomini prudenti e dabbene tante volte dimostrate ricusando d'entrare, benché invitati, nelle predette adunanze. Esorta finalmente il nostro Predecessore nella sua Costituzione ai Vescovi ed Ordinari ad implorare, quando ve ne sie bisogno; il potente aiuto del braccio secolare. Noi non solo approviamo il già detto ed anche questo passo, ma addirittura con ogni maggior efficacia prescriviamo l'aiuto delle Potestà secolari, essendo i Principi Cattolici prescelti da Dio per essere Protettori della Fede ed alla Chiesa, ed appartenendo perciò ad essi il far si che le Apostoliche Costituzioni sieno pienamente obbedite ed eseguite, come ben considerano i Padri del Concilio di Trento nel cap. 20 della sessio 20... » (ASV, Bullae Consistoriales Benedicti XIV, T. 9 ff. 175-178)

 

Gli ispiratori immediati

Se a livello di preparazione remota bisogna rifarsi alla crisi fiorentina ed alla In eminenti di Clemente XII, la preparazione prossima risale a un gruppo di ecclesiastici completamente chiusi al dialogo ed animati da uno spirito polemico nei confronti d'ogni tipo di aggiornamento culturale, anche quando sono eccellenti uomini di virtù e di zelo apostolico. Giudicati sul parametro del dialogo Chiesa Mondo, che anche in questo secolo ebbe uomini di rango, e un paio di nomi già li abbiamo citati, gli ispiratori di Papa Lambertini vanno indicati come conservatori, bigotti, e in qualche caso anche come fanatici.

 

Il P. Francesco Pepe, SJ

Nato a Civitacampomarano (Campobasso), che avrebbe dato i natali anche a Vincenzo Cuoco, il 17 febbraio 1684, morì a Napoli il 19 maggio 1759. Fu missionario popolare del Regno, soprattutto per la Capitale; acquistò un prestigio straordinario, diventando consigliere tanto di Re Carlo III che di Benedetto XIV (3).

Nella primavera-estate del 1751 si trovò per un lungo periodo in Roma, come vocale per la congregazione generale da cui sarebbe uscito eletto il penultimo generale anteriore alla soppressione della Compagna, il P. Visconti. Fu ricevuto più volte dal Papa, sia in Roma che in Castel Gandolfo, latore di messaggi fra i due sovrani.

Scrivendo a Carlo III il 14 settembre del 1751, il Pontefice ne tratteggiava un ritratto bonario grondante simpatia:

«Il nostro buon P. Pepe é stato ammalato, né sappiamo, se la malattia sia proceduta o dal tedio delle congregazioni dei PP. Gesuiti, o dalle gran fatiche fatte in Piazza Navona, predicando con frutto ed applauso, al popolo, o pel disgusto di non vedere i suoi Lazzeri. Il Padre é un uomo molto da bene, molto amante dell'anima e gloria della M.V. Partirà subito che potrà; e da esso la M.V. intenderà per ordine nostro molte cose» (ASV, Principi, v. 236, ff. 541-542).

Il Tanucci scrivendo al principe Corsini offre la valutazione laica, anch'essa ironica, ma certo assai amara (13 febbraio 1751):

«Il P. Pepe grida in Palazzo che tra poco sarem subissati, perché i Liberi Muratori (abbreviazione LL.MM.) ànno lo spirito folletto, e vanno ogni settimana invisibilmente in Inghilterra, e tornano e portano discorsi e massime contrarie alla religione e alla monarchia» (Ach. Gen. di Simancas, Estado, Lib. 211, f. 100).

Ma: «Il P. Pepe lesse in pulpito l'ultima lettera scrittagli da N.S. sopra il grande accompagnamento che gli fece il popolo allorché andò a visitare le Chiese per il Giubileo, pretendendo che chi andava con lui valesse per dieci visite» (ASV, Napoli, ff. 64-65).

Anche i personaggi più qualificati e altolocati temevano l'irruenza e la capacità deterrente del gesuita. Il principe S. Severo, notoriamente Gran Maestro della Massoneria Napoletana, secondo un rapporto del Gualtieri (10 luglio 1751) «medita giustificarsi anche appresso la S. Sede, sì per tal setta, che per il noto libro da lui dato alle stampe intitolato Quippu, temendo che il P. Pepe, che costà si trova, abbia dato di lui sinistre informazioni; ed in questa mattina egli mi ha detto che voleva venirmi a trovarmi per discorrerla meco su tal particolare» (ASV, Napoli, vol. 234, ff. 245-246).

Mons. Celestino Galiani zio dell'Ab. Ferdinando, scrivendo a Monsignor Bottari il 20 luglio 1751 diceva:

«Dal P. Concina ella ha potuto sentire cose bellissime del fanatismo del P. Pepe. Egli può fare e dire qui impunemente tutto quel che vuole, perché tutti lo temiamo. Uno che ad nutum dispone di un popolaccio numeroso di molte migliaia, e che ad un suo cenno può farvi, come eretico o empio, lapidare o strascinare, se non altro, obbliga tutti a condursi verso di lui con molta circospezione» (Bibl. Corsiniana, Acc. dei Lincei, Mss. Cd. 1581, 32-E-2, ff. 224-225).

Al P. Pepe il Pontefice si rivolgeva domandandogli buoni uffici anche in questioni politiche, com'é il caso dei rifugiati militari a Benevento, a causa dei quali l'esercito regnicolo applicava ritorsioni e blocchi di derrate.

  

P. Gregorio Rocco, OP

Missionario apostolico, morto in Napoli il 2 agosto 1782, autore di 82 opere manoscritte, tra cui una Istoria de' Liberi Muratori e de la loro Setta scoperta l'anno 1751, etc. Aveva ingresso libero in Palazzo reale a qualsiasi ora del giorno e della notte. S'intratteneva col Re sui temi sia politici che ecclesiastici: impose l'abolizione delle case di gioco d'azzardo e la concentrazione delle prostitute (P. Degli Onofri, Elogi storici..., Napoli 1803). In un dispaccio del Nunzio Gualtieri al cardinale Segretario di Stato (29 maggio 1751) si legge:

«L'impetuoso domenicano P. Rocco diede un memoriale alla Regina, acciò s'infierisca contro questi Liberi Muratori; il medesimo é stato rimesso alla Camera Reale. Molti ora si mostrano persuasi che di tal Setta ce ne siano di meno di quello che si diceva; e che quelli che quasi dicono ascritti all'istessa, non ne sappiano, e non ne abbiano il vero segreto, e con ciò sempre più s'adulano, che non vi sia male, e che dopo qualche mese non si parlerà più dell'affare» (ASV, Napoli, vol. 234, f. 150).

In un altro rapporto, del 24 luglio seguente, scrive:

«Il Padre Rocco dell'Ordine dei Predicatori, di questa Congregazione detta della sanità, che ha avuto gran mano nell'affare di questi Liberi Muratori, mi ha consegnato gli annessi fogli intitolati Catechismo di tal Setta, statigli dati, per quanto dice, da un aggregato alla medesima; pretende ancora l'istesso religioso d'aver scoperto da uno dei settari che l'unico motivo per cui cercano di ascrivere alla loro compagnia Potentati e gran signori sia per essere avvisati a tempo, ogni qual volta gli sovrani qualche male, e che ciò consiste parte del gran segreto...» (ASV, Napoli, v. 234, f. 337).

  

S. Leonardo da Porto Maurizio, OFM.

L'epistolario intercorso fra Benedetto XIV e il famoso predicatore popolare francescano é contenuto nelle opere complete del santo e nella raccolta del P. Innocenti.

In una lettera del 3 luglio 1751 il Pontefice si congratula per il buon lavoro svolto in Lucca, e lo invita a fare la stessa cosa «nelle nostre montagne di Bologna». Lo rassicura circa la composizione della lite per il convento di Montecitorio, e prosegue:

«Speriamo pure nella misericordia di Dio d'aver aperti gli occhi al buon re di Napoli contro la setta dei Liberi Muratori, che improvvisamente aveva lasciato introdurre nella gran città di Napoli, ove erano cresciuti sino al numero di novantamila per guanto si dice. Bisogna combattere per Dio, perché Iddio non abbandona chi combatte per lui. Terminiamo col dare al nostro buon padre Leonardo ed a tutta la sua comitiva l'Apostolica Benedizione». (S. Leonardo, Opere complete, vol. IV, Venezia, 1868, p. 538).

S. Leonardo plaude cordialmente all'opera antimassonica pontificia, scrivendo da Valle Buia il 9 luglio:

«La grazia dello Spirito Santo sia sempre colla Santità vostra. Non mi posso saziare di ripetere più volte. Benedetto sia Dio! Benedetto sia Dio per due punti di gran conseguenza di che si é compiaciuta di ragguargliarmi colla sua amorevolissima, cioè l'accomodamento delle differenze insorte tra i religiosi francesi ed italiani della Missione, e destrezza con cui si é accattivato il re di Napoli per dare addosso ai Liberi Miiratori che son veri ateisti e la peste del mondo cattolico. In guanto al primo... In quanto al secondo vorrei potermi disfare per estirpare questa gramigna che va servendo per la nostra Italia, con tanto danno per le povere anime. In Nizza, in Provenza, avevano fatto il nido, e fui condotto a vedere il luogo dove facevano le loro conventicole: sul pavimento v'erano alcune figure stravananti, e si conosce che si servono della magia ed hanno corrispondenza con l'inferno. Mi é stato detto che la Santità vostra abbia fatto una nuova Bolla contra questi perfidi, ed avrei molto caro di vederla. Spero che Iddio aprirà gli occhi a' Principi cristiani, acciò facciano una sacra Lega per distruggerli affatto. In Nizza si crede che loro operassero in modo che quel Vescovo a ciò non si facesse la missione. E infatti loro riuscirono; e ci convenne partire con le trombe nel sacco; il che dispiacque al re Sardo, che già mi aveva dato il placet, e mi mandò dire che avevo fatto male a non scrivere a lui, perché avrebbe dato tutta la mano» (Benedetto Innocenti, Leonardo da Porto Maurizio. Prediche e lettere inedite, Quaracchi, 1915, pp. 301-302)

Il Pontefice risponde il 17 luglio inviando un secondo esemplare della Bolla e annunciando che in proposito «abbiamo da Napoli ottime nuove, avendo il Re delle due Sicilie preso tutto l'impegno per estirpare ed abolire affatto nei suoi Stati quella infame Setta» (Opere -complete, vol. IV, p. 538).

Il 7 agosto si rallegra per il felice arrivo della Bolla e per il fatto che il pio religioso non é stato contento.

 

Il clero transigente

In una Chiesa tanto polarizzata e clericale, come era quella napoletana del Settecento, non mancarono incredibilmente, rappresentanti del clero confessori, dirigenti ecclesiastici che mantennero una notevole serenità di giudizio nei confronti del tema massonico, già allora inquinato da leggende e da commistioni sataniche. Intanto bisogna dire che nel coro degli intransigenti non appare il più illustre ecclesiastico italiano dell'epoca, S. Alfonso de' Liguori, che pur essendosi battuto contro ogni genere di deviazioni ed eresie, non entrò mai nel tema massonico. Nè possiamo pensare ch'egli fosse informato circa le discussioni che appassionanvano la Chiesa e lo Stato tanto nel mondo che nel Regno.

Altra assenza clamorosa, nell'ondata antimassonica precedente, nel numero delle «consulenze» relative a questo problema, è quella del Muratori, nonché dei numerosi studiosi di teologia e di morale, che arricchirono la Chiesa Settecentesca.

In un rapporto di Gualfieri al cardinale Valenti (13 giugno 1751) leggiamo: «E vanno spargendo d'aver anche fra di loro de' preti e de' frati, come anche due Vescovi, senza nominargli» (ASV, Napoli, vol. 234, ff. 173-174). Che gli ecclesiastici partecipassero ai lavori di loggia é accertato, e nell'ASV ci sono diversi elenchi e testimonianze riferentisi a quest'epoca.

Un altro dispaccio del Nunzio, datato al giorno prima, 12 giugno, si legge: «Procuro d'andar spargendo la nuova condanna de' Liberi Muratori acclusami da V. Em.nza, ancorché alcuni di loro con i Teologi che trovano alla moda, dopo esaminata detta condanna, vadano sottomano seminando, che quella fatta da S.S. Clemente XII fu precipitosa, e che la presente non può cadere nel caso di supporre il positivo peccato» (ASV, Napoli, 234, f. 190).

Il 26 giugno il Gualtieri torna ancora sul tema rivelando che «mi é venuta anche appurata notizia d'aver detto due altri confessori, che mi sono stati nominati, e che non son soliti avere concorso specialmente di Militari oltramontani, di poter assolvere i Liberi Muratori, nonostante le replicate comminazioni di scomuniche, sul consueto pretesto che non vi sia male intrinseco, e fortemente temo, che ve ne sieno altri» (ASV, Napoli, v. 234, ff. 208-9).

Sempre il Gualtieri, riferisce in seguito di due francescani espulsi da Napoli e inviati in Calabria perché sospetti di appartenenza alla Massoneria.

In una relazione anonima che dovrebbe risalire a maggio giugno 1751, é detto che «a questi miseri ingannati mancano dei falsi Profeti, li quali non intendono li sei capi, che accenna Nostro Signore nella sua dottissima Costituzione, quali con eterna fortezza appoggiano la scomunica, li persuadono li Consultori iniqui, che sia nulla ogni scomunica abbenché centuplicata dalla S. Sede per non esservi alcun male nel Ceto dei Franc Maçon né contro la religione, né del buon costume, né del Principe e soprattutto perché non v'é colpa mortale certa, come dicono, senza cui non sussiste il fulmine della scomunica». (ASV, Napoli, ASV, 234, ff. 209210).

Un rapporto anch'esso anonimo, inviato da Napoli al Marchese di P. (15 agosto 1761) si offre addirittura una pista di lettura del fenomeno, che é di grande attualità anche oggi, e che sarebbe stato splendida occasione per sbloccare molto prima la plurisecolare inimicizia Chiesa Massoneria:

«Ma non perché egli l'ha fatto sotto pena di scomunica de inferirsene che la cosa sia in se stessa male; perché non sempre questa illazione vale; né s'appartiene ad ognuno di penetrare troppo a dentro nella mente, e ne' giudici del Vice Dio in terra. E di fatto ditemi in grazia qual male contiene in se stesso il cortese atto di prestare e leggere altrui un libro non proibito? E pure noi sappiamo che in molte pubbliche biblioteche si trova vietato il praticarlo sotto pena di scomunica; oltre a mille altri esempi di questa fatta, che potrei anche addurvi». (G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, Napoli, De Simone, 1753,-54, T.I. pp. 352-364).

 

 

 

 

Note 

1 Rif. in P. DEGLI ONOFRI, Elogi storici di alcuni Servi di Dio, Napoli, 1803, p. 215. [Torna al Testo]

2 Cfr. B. BISOGNI, Alcune considerazioni sulla bolla «In Eminenti Apostolatus Specula». MNHMH, Mélanges a la memoire de Michel A. Dendius. Ahènes-Paris, 1978, pp. 1007-13. [Torna al Testo]

3 Come il P. Papa informa (Art. cit., 308). oltre agli Elogi del Degli Onofri, esistono due vite manoscritte del P. Pepe, di cui una, breve, è conservata presso l'Arch. Romano dei Gesuiti, ed una seconda, più diffusa, del P. Luigi Salas, che è andata perduta all'epoca della soppressione della Compagnia. Sul P. Pepe e sul P. Rocco, di cui infra, cfr. B. CROCE, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari, Laterza, III, 118 ss.; Napoli nobilissima, IV, 81 ss. 172; per il P. Rocco, Ivi, V, 144; VI 81, 87; A. CAPECELATRO, Vita del P. Rocco, Roma, 1891. La storiografia laica evidentemente è molto critica nei confronti dei due religiosi. Il Colletta nel famoso ritratto spirituale di Carlo III ne accentua il clericalismo: vestiva volentieri l'abito dei canonici di Bari, si preoccupava di indulgenze e privilegi spirituali, modellava personalmente i «pastori» del presepio, lavava i piedi ai poveri il Giovedì Santo, e, last but not least, «crede alla santità vivente del Padre Pepe gesuita e del Padre Rocco domenicano, frati scaltri ed ambiziosi» (Storia del Reame di Napoli, L. I, cap. 32, Milano, Notari, 1930, v. I, p. 93). [Torna al Testo]

 

Indice

Le circostanze della condanna Il carteggio con Carlo III La Massoneria Napoletana

Un esame giuridico della condanna Bibliografia

 

Chiesa e Massoneria