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Compariamo ora i contenuti dei diversi insegnamenti per scoprirne le assonanze.

Azriel Ezra, cabalista della scuola metafisica di Isacco il Cieco (1160-1238), dice a proposito: [Estratto da "Cabala Operativa" di R. Ambelain 1981 Genova (Edizione privata fuori commercio) ]:

Il concetto che riunisce l’insieme di queste negazioni, è la nozione di Aïn. L’Aïn è illimitato, uno in sé, senza attributi, senza volontà, senza idea, senza intenzione, senza parola, senza azione. Questi non può aver voluto la Creazione, poiché la volontà implica, nell’agente che desidera, un cambiamento, un’imperfezione, una mancanza.

Ma se questi è infinito, tutto è in lui, e nulla è fuori di lui. Ora, se tutto è in lui, ne segue che l’universo limitato, difettoso, è pure in lui, poiché se non avesse il potere di realizzare il finito, la sua potenza sarebbe delimitata e non sarebbe infinita.

L’Infinito è l’Essere perfetto senza lacuna. Dunque, allorché affermiamo che questo universo (che non è perfetto) deriva da lui direttamente, asseriamo che la sua potenza è imperfetta. Ora, poiché non è possibile attribuire alcuna lacuna alla sua perfezione, è necessario ammettere che Aïn abbia il potere di limitarsi, il quale potere è illimitato. D’altra parte, affermare che l’Assoluto dirige sull’Atto creatore la sua volontà senza una mediazione, significa esporsi ad obiezione, vale a sostenere che la volizione implica un’imperfezione nel soggetto che vuole. Al contrario, sostenere che la sua volontà non è stata diretta sull’Atto creatore, equivale ad affermare che la Creazione sarebbe opera del caso. Ora, tutto ciò che ha origine dal caso, non ha un ordine stabilito, nondimeno vediamo che le cose create hanno un criterio stabilito, che nascono, vivono e muoiono secondo quest’ordine. Ebbene! Quest’ordine è l’insieme delle Sephiroth. Esse sono la potenza d’essere di tutto ciò che è, che cade sotto il concetto di numero. Poiché l’esistenza delle cose create, è dovuta alla mediazione delle Sephiroth, esse si distinguono per necessità le une dalle altre ed in loro vi è una ragione, superiore, inferiore e mediana, sebbene tutte provengano da una sola Radice Fondamentale, l’Infinito, senza il quale nulla esisterebbe.

 

Plotino Enneadi III 9,9 usa quasi le stesse parole:

L’uno che è al di là dell’essere, non pensa; l’Intelligenza è l’essere stesso e in essa sono movimento e quiete. L’Uno non si riporta ad altro ma le altre cose si riportano a lui, e in lui si riposano cessando il loro movimento e verso di lui si muovono. Il movimento è un desiderio, ma l’Uno non desidera nulla; difatti cosa potrebbe desiderare chi è in cima a tutto?

Non pensa dunque nemmeno a se stesso? Forse in generale si afferma che esso, giacché possiede se stesso, pensi?

Ma possedersi non significa pensare, ma bensì contemplare l’Uno. E poi il pensiero stesso è l’atto primo. Se è il primo atto non ce ne deve essere un altro prima. L’uno che lo produce è al di là di esso, sicché secondo.

Ma così egli non avrà coscienza di se stesso.

E perché avrebbe coscienza di se? Nel senso di essere qualcosa? Se ha la coscienza d’essere qualcosa, egli è già la qualcosa anche prima di averne coscienza; e se questa coscienza lo rende tale, egli non era dunque quel qualcosa prima di quella ed allora del secondo si tratta e non dell’Uno.

E che dunque nemmeno egli vive?

Non bisogna dire che egli vive, poiché egli dà la vita. Ciò che ha coscienza di se e pensa se stesso è al secondo posto: esso, infatti, ha coscienza per unirsi a se stesso con questo atto. E se impara a conoscersi, necessariamente prima si trovava ad essere ignorante di sé e difettoso per la sua stessa natura, e col pensiero poi si perfeziona. Bisogna dunque togliere il pensiero all’Uno; questa aggiunta, infatti, annullerebbe la sua realtà e gli dà un difetto.

A Plotino e alla Qabalah fa eco l’insegnamento Vedantino.

 

Samkara scrive nel Vivekacudamani (Gran gioiello della discriminazione) Paragrafi 464-470:

Esiste solo Brahman, suprema pienezza, Uno senza secondo, senza inizio, senza fine, incomparabile e senza cambiamento; in esso non vi è alcuna traccia di dualità.

Esiste solo Brahman, uno senza secondo, soggetto di tutto, onnipervadente, pieno, senza fine; in Esso non vi è traccia alcuna di dualità.

Esiste solo Brahman, Uno senza secondo, la cui natura è inafferrabile perché non può essere accettato né rifiutato, in quanto è senza sostegno; in Esso non vi è traccia alcuna di dualità.

Esiste solo Brahman, Uno senza secondo, sottile incontaminato, senza pensiero o agitazione, senza qualità (nirguna) senza desiderio; in Esso non vi è traccia alcuna di dualità.

Esiste solo Brahman, uno senza secondo, la cui natura è incomprensibile, che è di là dalla mente e dalla parola; in Esso non vi è traccia alcuna di dualità.

Esiste solo Brahman, Uno senza secondo, senza volontà, senza creazione, senza paragone, autoesistente; in Esso non vi è traccia alcuna di dualità.

Appare evidente come questo ultra principio sia la base radicale di questi sentieri Tradizionali, e come i contenuti di riferimento siano identici per i tre, ciò che li distingue non è quindi l’origine, la radice, ma lo sviluppo che segue l’origine stessa, in altre parole la diversità, che però ad un’attenta analisi è soltanto dialettica, si coglie soltanto sul come rispondono alla domanda, può esistere il relativo di fronte all'Assoluto? Di che natura è il relativo?

 

Indice

L'Assoluto La Tradizione Ebraica Plotino e il Vedanta

     La natura del Relativo Il Relativo nella Qabalah