Accade, a volte, di poter confondere fra simboli, pentacoli e chiavi. E ciò è anche giusto, dal momento che quelli, questi e gli altri possono assumere, od avere, valori diversi.

Il documento che presentiamo ai nostri visitatori esoterici, è un lavoro di un Fratello, anonimo, della

Montesion scritto nel novembre del 1973.

 

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© Montesion

 

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Accade, a volte, di poter confondere fra simboli, pentacoli e chiavi. E ciò è anche giusto, dal momento che quelli, questi e gli altri possono assumere, od avere, valori diversi.

Il simbolo è, originariamente, la metà della moneta spezzata che veniva consegnata all'ospite o a colui con cui si intendeva mantenere relazioni amichevoli o contrarre una obbligazione. Quella mezza moneta poteva venir utilizzata dai congiunti o dai discendenti di quello a cui veniva affidata per farsi riconoscere dal donatore o dalla di lui famiglia in sua vece. Le due metà rappresentavano, pertanto, reciprocamente, due clans e, la ricostruzione del pezzo, seguendo le smagliature, la capacità di unione dei due clans. Anche in questo caso tipico, il valore del simbolo, oltre che quello intrinseco della moneta, dipendeva dalla considerazione in cui lo tenevano reciprocamente le due parti, dalle circostanze di luogo e tempo e da molti altri fattori.

 

Aveva quindi un valore materiale, un valore sociale affettivo, che riguardava cioè gli uomini, ed un valore che dipendeva da una Volontà superiore, il Fato, determinante le circostanze della riunione, cioè magico.

Nel caso specifico della simbologia massonica, considerando l'ipotesi che questa, più che ad una architettura reale, cioè operativa, si rifaccia alla architettura speculativa delle confraternite ermetico-cabalistiche che praticavano l'arte di memoria ipotesi certo più attendibile di altre, ci sembra doverosa l'impostazione di un discorso per una analisi, anche solo superficiale, dei simboli intesi come semplici loci, anche a prescindere da implicazioni magiche, come chiavi o pentacoli, che forse inizialmente avevano e che ancora molti oggi loro attribuiscono.

In altri termini, ci proponiamo di considerare la possibilità che il Tempio e tutto l'arredo possano servire anche come sistema - o metodo - per ricordare lo svolgimento del lavoro da compiere.

Il valore effettivo del lavoro compiuto, su ogni piano che la preparazione individuale consenta, anche eventualmente a prescindere dalla camera in cui viene svolto, resterà pur sempre nelle capacità e prerogative del singolo. E sempre nelle capacità e prerogative del singolo resterà l'utilizzazione dei simboli.

 

Gorel  Porciatti, a proposito delle colonne, dice: «Richiamandomi al pensiero di Casanova, secondo il quale in Massoneria non è possibile trovare se non quello che si è capaci di scoprire da sé medesimi, lascio ai Fratelli il dominio del vastissimo campo offerto dalle simboliche colonne da cui dovrà germogliare la loro maturazione massonica».

E ciò risponde perfettamente al principio di eguaglianza che, lungi dall'essere sinonimo di livellamento, affranca ognuno ai limiti delle proprie capacità, esclude il concetto profano di supremazia e non crea quindi, pur operando su un tessuto tipicamente umano, divisioni di categorie.

Nel rispetto dei gradi, che assolvono essi stessi ad una funzione simbolica, le capacità degli individui e la loro maturazione iniziatica non determinano una differenziazione in classi, nel senso che non possono esistere massoni di classe diversa a seconda della preparazione individuale o del grado raggiunto.

Il concetto è molto importante e non sarà mai convenientemente illustrato e diffuso. Esso appartiene al modo di pensare dei Massoni e spiega molti loro atteggiamenti. Esso è chiaramente rappresentato nel Tempio e nei simboli che lo adornano, anche se la chiave per interpretarli appartiene forse al segreto ed alla sua ineffabilità. È un segreto che può svelarsi ad ognuno che lo desideri ma che non può venir tradito, per mancanza di mezzo.

Ma il Tempio, anche nella sua struttura essenziale che è data dal pavimento e dalle Colonne, rivela un significato esteriore, che non è esattamente profano perché riguarda solo coloro che ne hanno varcata la soglia.

 

Ed è su ciò che ci vorremmo intrattenere.

 

Sul pavimento a scacchi consultare anche:

Il Pavimento a Scacchi

 

Il tappeto egiziano, che costituisce il pavimento del tempio, raffigura quello del Portico del Tempio di Gerusalemme ed è costituito da piastrelle quadrate di ugual dimensione e di colore diverso. I due colori - solitamente bianco e nero sono da molti autori interpretati come la virtù ed il vizio, il bene ed il male, il positivo ed il negativo, la legge dei contrari o l'armonia dei contrari ed accentuerebbero quel dualismo manicheo che si vuol emerga nei rituali della Massoneria Scozzese.

Tutto questo può anche essere e, per taluni, anche non essere. Non diciamo che non si possa giungere, alla fine del lavoro, a simili conclusioni. Escludiamo però che ciò debba essere imposto come premessa del lavoro da svolgere.

Poiché questo rilievo si ripeterà per le colonne e per altri simboli, riteniamo di dover chiarire i motivi del rifiuto a una tale interpretazione che, come dicemmo, è conclusiva e non lascia spazio ad altre ipotesi. E questa sarebbe, di per sé stessa, una ragione sufficientemente valida ma, non affrontando l'argomento, potrebbe sembrare pregiudiziale.

Se vogliamo invece addentrarci nel discorso, non possiamo non rilevare che, se vi sono autori che considerano la diade una armonia di contrapposti, non mancano altri che la ritengono, nel suo insieme, elemento negativo, effetto e causa di caducità, attributo della materia, peculiarità dell'angolo. La diade non avrebbe in sé alcuna qualità positiva e, solo nel Triangolo, potrebbe ricondursi e ricondurci alla Unità.

 

Le piastrelle, tutte uguali, ma di colore diverso, poste normalmente alle pareti del tempio assolvono a più funzioni: la principale è quella di dimostrare che il Tempio non ha limiti nemmeno in profondità perché è alto dal Nadir allo Zenit. Un pavimento uniforme potrebbe dare la sensazione della linea di terra cioè di una base che non bisogna invece considerare. Il bianco ed il nero, non sono, ovviamente, scelti a caso e più che rappresentare due poli contrari, sono l'assenza - o quasi - ed il massimo di intensità della luce. E, su questo punto, potremmo anche non essere tutti d'accordo.

L'altra funzione che riteniamo dover evidenziare e che è, in certo qual modo, la più importante - sempre che vi sia cosa più importante di altra e che si sia in condizione di accorgersene unanimemente - è la comodità che offre il reticolo, formato dalle piastrelle, che determina ogni possibilità di movimento ordinato lungo linee orizzontali e verticali ma, soprattutto, diagonali.

L'arredamento può venire, con estrema facilità, composto seguendo queste linee che, non esistendo come tali, non assolvono a funzioni di limite.

Ora, poiché, almeno virtualmente, il Tempio viene ricostituito ogni volta prima dell'inizio dei lavori, sarà facile ricordare come disporre gli oggetti che lo arredano. Iniziati i lavori, le marce dei fratelli avverranno regolarmente, anche in ambienti materialmente angusti, con più facilità e senza intralci. Ognuno troverà rapido il proprio posto come in una scacchiera.

Alle stesse funzioni assolveva infatti il pavimento a scacchi bianchi e neri del Globe di Shakespeare: far muovere i personaggi in modo che ognuno sapesse scegliere da sé stesso il proprio posto.

 

Tutto ciò potrà anche apparire semplicistico, ma non esclude altri significati. Storicamente - forse è più esatto parlare di sequenza cronologica - i primi Templi massonici succedono al Globe ed ai Theaters di Fludd, rivelando una continuità estetica con quelli.

Parlando del gioco degli scacchi, Ruggero Ferrara ricorda che la scacchiera costituisce il pavimento dei Templi delle associazioni iniziatiche e dà per scontato che il numero delle piastrelle sia fisso in sessantaquattro. Su questo numero, ci offre varie considerazioni di ordine aritmetico filosofico, o di riduzione teosofica che sia, senza tener in considerazione il fatto che di templi quadrati, almeno per quanto attiene le associazioni iniziatiche, poco si parla e che, se sono le piastrelle quadrate ed in numero di otto per lato, risulterebbe quadrato anche il tempio. Il numero sessantaquattro, essendo il quadrato di otto, sarebbe composto di otto e due che, sommati fra loro, darebbero dieci, cioè Uno.

Noi pensiamo che, se forma deve avere, sia pur simbolica, dovrebbe essere quella di un rettangolo il cui lato N-S sia la sezione aurea di quello E-W. E non mancano esempi.

Nel Globe Theater di Fludd, cioè in uno di quei teatri di memoria in cui abbiamo ipotizzato che la massoneria moderna abbia le sue radici, le piastrelle intere sono centoquaranta, cioè quattordici per dieci e danno un rettangolo abbastanza vicino al rettangolo aureo. L'abitudine di non far coincidere il lato della piastrella con l'angolo della muratura, ha lo scopo di offrire la sensazione che il pavimento continui oltre la parete togliendo a questa la caratteristica materiale di limite e rendendo anche il Tempio incommensurabile con l'unità piastrella.

 

Un Massone, interpellato sulle dimensioni del Tempio, risponderà infatti che è lungo da Oriente ad Occidente, largo da Settentrione a Mezzogiorno, alto e profondo dallo Zenit al Nadir.

Non avendo dimensioni, non dovrebbe avere una forma, ma noi sappiamo che esso è orientato. A dargli, in qualche modo, questa forma provvedono le dodici colonne, sei a Settentrione e sei a Mezzogiorno, a cui vengono dati i nomi delle Costellazioni dello Zodiaco. La colonna dell'Ariete è solitamente la più vicina al Sole. Le dodici colonne però non delimitano il Tempio. Non vi sono pareti fra le colonne di modo che il sole possa illuminarlo dal suo sorgere al suo tramonto. Le varie altezze delle colonne impediscono inoltre che vi si possano por sopra architravi.

 

Accanto o sull'Ara delle Luci, troviamo ancora altre colonne: una dorica, una ionica ed una corinzia, disposte in modo da formare fra loro un triangolo. Il valore simbolico di queste colonne appartiene al lavoro vero e proprio in quanto non hanno una posizione statica, ma vengono abbattute e rialzate a seconda dell'ora, cioè della posizione del Sole nel suo cammino nella volta celeste.

 

Ad Occidente, vi sono ancora due colonne. Qui si tratta di un vero e proprio limite, almeno per coloro che sono fuori della porta del Tempio.

 

Sulle Colonne del Tempio consultare anche:

Le due Colonne del Tempio

 

A tali colonne sono state riservate varie forme e dimensioni e significati i più disparati. Noi sappiamo che sono ambedue in bronzo, che sono cave e che hanno nome Jachin e Boaz. Molti attribuiscono a Boaz un capitello dorico ed a Jachin un capitello jonico, confondendole, a nostro avviso, con le colonnine dei due sorveglianti. Sopra a Jachin, al posto delle melagrane, viene messo un globo terraqueo. Per quanto ne sappiamo, sono sormontate da un capitello e da un certo numero di melagrane trattenute da una rete.

Esse hanno una tradizione antica, certo molto più antica del Tempio di Salomone.

Il reverendo James Anderson, Guglielmo Preston e Giorgio Oliver sono forse - oltre a quel Newton che si è sbizzarrito a trovar presunti templi nei postriboli di Pompei - i più insigni ricercatori per quanto attiene alle origini della Massoneria.

È ovvio che non siano riusciti a dimostrare niente, ma è sintomatico che, nei loro studi, si siano imbattuti, come primiera traccia, proprio nelle due colonne. Trascrivo da Eugen Lenn (1): «Iabal, il figlio di Lamec (o Enoc) (v. Genesi 4) è, in queste leggende, l'inventore della geometria, la maggiore delle sette arti libere, e rappresenta una gran parte come costruttore della prima casa di pietra, prima del diluvio universale; e così i suoi fratelli Iubal lo scopritore della musica, Tubalcain, il primo fabbro e sua sorella Naama, la prima tessitrice. Essi sapevano che l'ira di Dio sarebbe scesa sulla terra e incisero la loro sapienza su due colonne, una delle quali fu scoperta dopo il diluvio da Ermete Trismegisto, lo zio di Noah, e l'altra molto più tardi da Pitagora; questi, secondo Anderson, portò in Occidente la saggezza dell'Oriente, di un'accademia o di una Loggia di studiosi di geometria, ai quali egli comunicò un segreto cioè quel meraviglioso insegnamento che è a base di tutta la Massoneria».

 

L'ipotesi di Anderson è indubbiamente suggestiva.

Comunque, la prima apparizione - diciamo - storica, in senso biblico, delle due colonne noi l'abbiamo nel Tempio di Salomone a cui si rifà specificamente la tradizione massonica.

Nel secondo Libro delle Cronache, al capo terzo, leggiamo: «Davanti alla casa eresse due colonne lunghe trentacinque cubiti: il capitello posto sopra la loro cima era di cinque cubiti. Fece delle catenelle a mo' di collana e le mise in cima alle colonne; fece pure cento melagrane sospese alle catenelle. Rizzò le colonne davanti al tempio, una a destra e l'altra a sinistra. Chiamò poi quella di destra Jachin e quella di sinistra Boaz».

Nel primo Libro dei Re, al capo sette, le colonne, sostanzialmente uguali, sono alte diciotto cubiti e circondate da un filo di dodici cubiti. I capitelli sono sempre di cinque cubiti di altezza. Vengono descritte più minuziosamente. Si specifica comunque che erano in bronzo e, anche se le altezze ed il numero delle melagrane non concordano col Libro delle Cronache, non vi è alcun elemento che permetta di attribuir loro un significato simbolico e rituale diverso.

È indubbio che erano costruite ed arredate in modo tale da non permettere che vi si potessero metter sopra delle architravi.

 

È altrettanto certo che avevano basamenti e capitelli uguali e che ambedue avevano melagrane. D'altronde l'identità fra le due colonne possiamo constatarla anche in tutte le stampe ed i quadri riproducenti il Tempio o varie allegorie massoniche, nonché nella descrizione di essi. Serge Hutin (2) così ne parla: «Le due colonne Jachin e Boaz sorgono ai lati della porta del Tempio ciascuna di esse è cava, del colore del bronzo, con un capitello sormontato da melagrane semiaperte». E ancora: «Il presidente di una Loggia si dice che occupa la cattedra di Re Salomone, e quasi tutte le leggende massoniche fondamentali sono basate sugli avvenimenti che hanno preceduto o seguito la costruzione del Tempio di Gerusalemme». Quest'ultimo, tale com'è descritto nella Bibbia, ha fornito alla Massoneria un simbolo binario: quello delle due colonne Jachin e Boaz. Il canonico Crampon fa osservare a proposito del significato ebraico delle due parole, che Jachin, cioè Egli (Dio), stabilirà; Booz (in ebraico Boaz) cioè forza; le due parole riunite significano dunque: Dio stabilì nella forza il tempio e la religione di cui Egli è il centro.

La colonna  Jachin è maschile, attiva, infuocata; la colonna  Boaz è passiva, femminea, aerea. Riguardo alla loro posizione nel tempio, Hutin annota: «Il Sole corrisponde alla colonna  Jachin; la luna alla colonna  Boaz , ciò che accentua il loro simbolismo. Si ritrova la vecchia opposizione complementare del fallo e del ctéis, del lingam e della Yoni, la cui unione genera tutto ciò che esiste».

 

La sessualizzazione delle due colonne sarebbe rivelata - secondo alcuni - nelle antiche stampe, oltre che dalle lettere J e B, anche dalla decorazione dei basamenti su cui sono scolpiti o dipinti i triangoli equilateri: con il vertice verso l'alto nella colonna Jachin e con il vertice verso il basso nella  Boaz.

B.Z. Goldberg ha trattato ampiamente nel «Rapporto fra sesso e religione» del significato fallico della colonna e della sua divinizzazione da parte degli antichi.

Secondo la sua ipotesi, la colonna è il lingam e la yoni è la terra in generale: «Vi erano la colonna ed il pilastro universalmente considerati sacri non ad una divinità particolare ma a tutti gli dei». E ancora, più specificamente: «All'entrata del tempio di re Salomone, ad ornamento del portico, vi erano due pilastri, detti Jachin, che significa egli preparerà e Boaz che significa in lui è la forza. I commentari tradizionali sostengono che questi pilastri sono il simbolo del principio generatore maschile».

E che così sia è fuor di dubbio se ci soffermiamo sul significato che possono assumere le erme e le statue in genere. Col trascorrere del tempo e col progredire delle civiltà e dei mezzi che queste offrivano, vediamo che il culto dell'albero - meglio se colpito da fulmine o comunque sfrondato - si trasferisce al palo reciso e piantato nella terra. È presumibile - e constatabile dai graffiti e da rinvenimenti di materiale fossilizzato - che questi pali avessero rudimentali forme di lingam. È certo che le avevano le prime erme che sostituirono i legni. Solo in un secondo tempo, con la maggiore spiritualizzazione del sentimento religioso, le pietre dedicate agli dei conservano l'originale significato solo nelle iscrizioni.

 

Poi vi è la tendenza a simulacrizzare il dio a cui la pietra è dedicata.

Secondo Goldberg, la presenza delle due colonne innanzi al Tempio di Re Salomone è un tentativo di simulacrizzare la divinità e di obbedire contemporaneamente all'imperativo divino che lo proibiva.

Da queste due concezioni, riaffiora la diversità di interpretazione che abbiamo rilevata a proposito del tappeto egizio.

Se le colonne rappresentano le vestigia di un culto fallico, la colonna Boaz non può avere attributi femminili, il che sarebbe perlomeno una contraddizione in termini.


È molto facile che non siano una diade ma due simboli della divinità, uno per i Fratelli del Mezzogiorno ed uno per quelli del Settentrione, il che spiegherebbe il significato dei due triangoli che troviamo sul basamento delle colonne in alcune antiche stampe.

Sulla colonna Boaz, cui fanno capo gli apprendisti, è infatti inciso il triangolo rovesciato ad indicare che si opera sulla pietra grezza con la sola ragione rappresentata dalla squadra. Non sarebbe la colonna ad avere attributi femminili, passivi, aerei, pertanto, ma sarebbe femminile il lavoro di sgrossatura della pietra grezza che vi si svolge.

Anche se una tale argomentazione può sembrare quasi futile, non apparirà più tale se teniamo presente il ruolo modesto che la femmina, in quanto tale, aveva nel tempio ebraico ed alle particolari mansioni cui era destinata nella società sacerdotale di allora.

Un discorso simile merita il triangolo della colonna Jachin, rappresentazione dell'elemento maschile, più o meno divinizzato o in anelito di identificarsi con la divinità o di partecipare ad essa.

 

L'elemento femminile nel tempio, continuamente ricordato in concomitanza con l'elemento maschile - sia nei simboli materiali come in quelli concettuali - lungi dall'interpretare una contrapposizione, simbolizza l'aspirazione all'androgino in una concezione escatologica del mito del ritorno.

Anche il Sole e la Luna, la Squadra e il Compasso, la ragione e lo spirito, i triangoli nelle due posizioni, non rappresentano conflittualità - che è bandita dal tempio - ma sono elementi di un triangolo che ognuno è impegnato a costruire ed a cercare nel suo interiore per ristabilire l'Unità.

Il Sole e la Luna possono ricordarci la Stella Fiammeggiante che è simbolo di rigenerazione; la ragione e lo spirito, il soffio divino che ognuno ha in sé; la squadra e il compasso sovrastano il Libro della sacra Legge; i due triangoli intrecciati producono il Sigillo di Salomone.

Se, come e fino a quanto siano loci di memoria ognuno può constatarlo da sé. II lavoro si svolge ad ogni livello: per memorizzazione diretta, per similitudini e per analogia.

Non bisogna dimenticare che i triangoli - solo per fare un esempio - possono assumere anche la figura di una losanga od opporsi al vertice e che, quasi sicuramente, anche gli altri simboli si possono comportare similmente ed analogamente e che ogni grado di perfezione raggiunto non è altro che una iniziazione, un inizio per un nuovo più difficile cammino.

 

È ancora l'opera di Giordano Bruno che si proietta sul Tempio, quello che la Yates chiama lo «spettacolo delle statue degli dèi e delle dèe assimilati agli astri ruotanti, come immagini di memoria comprendenti tutti i possibili concetti, sulla ruota di Statue... Il suo obiettivo? Arrivare a un sapere universale, combinando immagini significative della realtà».

 

 

 

1. Il Libero Muratore. Trad. di Paolo Goldschmied. U. Bastogi Editore, Livorno, piazza Matteotti, 50.

2. La Massoneria. Trad. di Natalia Soffiantini. Ed. Mondadori, Milano.