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Il termine di lingua ebraica non é antico nella Bibbia: lo troviamo soltanto verso il 130 a.C. nel Prologo dell'Ecclesiastico; l'ebraico prima si chiamava «lingua di Canan» (Is. 19,18) e «lingua giudaica» (Is. 36,13).

L'ebraico appartiene al gruppo di lingue che dal 1781 (Lud. Schlözer) si cominciarono a chiamare semitiche, perché parlate dai popoli discendenti da Sem (Gen. 10, 21-31). La loro zona di diffusione sono le regioni asiatiche che vanno dal Tigri al Mediterraneo, e dai monti d'Armenia all'Arabia meridionale. In seguito le lingue semitiche si estesero fino alle regioni settentrionali dell'Africa e all'Etiopia.

Non é possibile, allo stato attuale della scienza, conoscere o ricostituire la lingua primitiva dei Semiti. Anche le lingue, come gli individui e i popoli, nascono, prosperano, poi decadono e muoiono. Spesso la loro stessa fecondità le destina all'esaurimento. Una lingua che s'impone a gruppi umani diversi, é obbligata a frazionarsi, in seguito alla reazione differente degli stessi gruppi, in idiomi differenti che finiscono per sostituirsi, in dati luoghi con l'andare del tempo, alla lingua madre, accantonandola sul binario morto. È avvenuto, così, alla lingua semitica, il fenomeno verificatosi nel latino quando i suoi derivati, Italiano, Provenzale, Francese, Spagnolo, Catalano, Portoghese e Romeno furono in grado di fornire ai popoli i sussidi necessari alla espressione dei loro bisogni, dei loro sentimenti, delle loro idea.

Ci sfugge perciò la lingua originaria semitica, ma conosciamo le derivate, alcune vive, altre morte.

Esse possono dividesi in tre gruppi principali o grandi famiglie, secondo alcune loro caratteristiche e secondo la zona geografica occupata da coloro che le hanno parlate nei periodi storici meglio conosciuti.

 

L'EBRAICO BIBLICO

L'ebraico, come l'intendiamo qui, é la lingua parlata dagli Israeliti dalla conquista della Terra promessa fino ai primi secoli anteriori all'era cristiana. In essa furono redatti quasi tutti i libri dell'A. T. durante un periodo di oltre 10 secoli.

Non é facile però determinarne la evoluzione storica, certamente avvenuta nel lungo scarto di tempo che decorre dalla composizione del primo libro sacro a quella dell'ultimo. I libri sacri si presentano in un aspetto pressoché uniforme sia nel lessico che nel frasario e nella sintassi, sebbene non manchino indizi di modifiche avvenute nell'elemento consonantico e nel vocalico, come si rileva dal confronto dei nomi dell'attuale testo ebraico con quelli trascritti nei documenti assiri e greci, e nelle opere di Origene e di S. Girolamo. Varie cause concorsero a tale uniformità.

 

1) La volontà degli scrittori biblici. Essi generalmente hanno preferito attenersi al tipo sacro e classico dei libri antichi, invece di seguire l'evoluzione della lingua parlata contemporanea. Così, mentre da una parte ammiriamo la rassomiglianza di lingua tra i primi e gli ultimi scritti sacri, avvertiamo il netto contrasto tra la lingua biblica e quella degli scritti rabbinici di poco posteriori (II sec. d.C.).

2) L'attività degli scribi posteriori. Data la venerazione immensa di cui era circondato il testo sacro, gli scribi si preoccuparono di premunirlo contro qualsiasi alterazione. Verso il sec. II d.C. s'era già arrivati a fissare il testo sacro consonantico.

 

Durante il periodo talmudico (sec. II-V) proseguì e fu completato il lavoro di fissaggio mediante la cura paziente e tenace dei rabbini svoltasi attorno ai più minuti particolari del testo.

Tra il VI e l'VIII secolo i «puntatori» (naqdanîm) fissarono la pronunzia tradizionale anche negli clementi che sono i meno solidi e più fluttuanti, le vocali. Ai naqdanîm si attribuisce pure il complicato sistema di accentuazione che figura nelle odierne bibbie ebraiche.

Seguì infine l'opera dei massoreti che introdussero nel testo sacro tutto quel complesso di note e osservazioni che erano state accumulate dalla tradizione, e che vanno sotto il nome di «massora parva, magna et finalis».

Nonostante l'aspetto fisso e costante dell'ebraico biblico, possiamo distinguere nella storia della lingua due grandi periodi, il pre-esilico e il post-esilico.

Il periodo pre-esilico vien chiamato il periodo aureo, l'età classica della lingua: vi predomina l'armonia, la vivacità, la concisione, la regolarità del parallelismo poetico, l'assenza di elementi estranei.

Il post-esilico é il periodo della decadenza: mentre l'aramaico diventa sempre più il linguaggio familiare, l'ebraico si va restringendo alla cerchia dei letterati, non senza accusare gli inevitabili urti della nuova lingua che s'impone. Comincia già ad alterarsi, vi penetrano gli aramaismi, si accentua man mano la prolissità dello stile. Basta leggere p. es. Esdra, Nehemia, Ezechiele.

 

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