La Qabalah di Aleph

F   L   A

80  30  1

Slancio, movimento (30) creatore (1), che è destinato a ricadere nel mondo degli oggetti (80).

 

 LA : Verso Dio.

 

 FL  : LF: radice LFN: cadere.

 

 LA  : Ascensione, la L sale verso il cielo.

 

  FL  : Caduta, la F discende al di sotto della terra.

 

  FLA: Lo slancio (LA) che ricade (F).

 

L'uno, da solo, è destinato a cadere. Senza il tre o il sette, è un fuoco di paglia. Esso si oggettiva.

 

 

L’Aleph [1]

(Secondo Berdiaev)

 

L’Aleph è libertà, l’Aleph è atto creatore.

É impossibile definire razionalmente l’Aleph, e questo tentativo è, per la ragione, una performance sterile. Ogni sforzo di definizione ucciderebbe l’Aleph, e la trasformerebbe in oggetto, negando la sua soggettività. Non è possibile elaborare alcun concetto di Aleph. Ma è possibile coglierne le peculiarità. Si può affermare che la libertà, il senso, l’attività creativa, l'integrità, l’amore, il valore, la tendenza verso il mondo superiore e divino e l’aspirazione all’aggregazione intima con quest’ultima, figurano tra le sue caratteristiche. Fin quando l’Aleph è libertà, si caratterizza principalmente per la sua indipendenza alle determinazioni della natura e della società. L’Aleph si oppone innanzi tutto al determinismo. Essa è interiore in rapporto a ciò che è formale, a tutto quello che dipende dall’esteriore. Il profondo è il simbolo dell’Aleph. Ugualmente si può definire il carattere dell’Aleph con dei simboli spaziali: come profondità ed altezza. É profondità infinita e altezza celeste. É una evasione al di fuori da questo mondo pesante, infatti rappresenta l’elemento dinamico, creatore, una sorta di avvio. L’Aleph è di origine celeste, cioè non proviene dal mondo naturale. É lei che rende l’uomo ad immagine di Dio. É l’elemento divino nell’uomo. Proprio grazie ad essa l'uomo può accedere alle sfere divine più alte. L’Aleph è l’atto creatore integrale dell’uomo. É la libertà che si perde nelle profondità preontiche del mondo. É l’atto creatore; l’Aleph crea un essere nuovo. Il principio di casualità non si usufruisce per l’Aleph. Esso appartiene a Dio, e conduce a Dio. L’uomo riceve tutto da Dio per mezzo dell’Aleph, ed è per suo tramite che esso, a sua volta, dona tutto a Dio; che moltiplica i doni che ha ricevuto, che crea ciò che non esisteva in precedenza. L’Aleph proviene da Dio, essa è versata, insufflata da Dio all’uomo. É l’immagine biblica dello spirito.

Tuttavia, essa non procede solamente da Dio, ma anche dalla libertà originale, preontica, dall’Ungrund. Qui risiede il paradosso fondamentale dell’Aleph: essa è una emanazione di Dio, ma può interagire con Dio senza che la sua risposta proceda da Dio. L’Aleph non è solamente divina, ma è divina-umana, divino-cosmica, è la libertà in Dio e con riferimento a Dio. Questa realtà sfugge ad ogni nozionismo; non potendo, quindi, rendere razionale questo mistero, non se ne può parlare che per miti e in simboli. É al contempo il mistero della creazione e il mistero del male; è contemporaneamente irrazionale, extra razionale, sopra razionale. La natura procede dal di fuori, l’Aleph dal di dentro. Non si giustifica Dio e l’uomo che per suo tramite. Essa umanizza l’ideazione che l’uomo si plasma di Dio e al contempo lo affranca da un antropomorfismo grossolano. L’Aleph è sempre verità, verità orientata verso l’eterno. Sfugge al tempo e allo spazio; con il suo carattere integrale, si oppone al frazionamento temporale e spaziale. Non è essere, ma è il senso dell’essere, la verità dell’essere; è ugualmente intelligenza, ma un'intelligenza integrale. Essa è al contempo sia trascendente sia immanente, in essa il trascendente diviene immanente e viceversa. L’Aleph non è equipollente alla coscienza, ma la coscienza si determina con l’Aleph, ed è in siffatta maniera che l’Aleph trascende i limiti della coscienza, che consegue il super cosciente. Essa presenta un aspetto prometeico, si ribella contro gli dei della natura, contro il determinismo del destino umano; è una evasione, una evasione verso un mondo superiore e libero. 

L’Aleph è una qualità che rimane esteriore a tutto l’utilitarismo che vizia la vita di questo mondo, ad ogni mezzo eterogeneo ai fini desiderati, ad ogni scopo e ad ogni realizzazione esteriore, ad ogni strumento in uso “nel mondo” nelle sue lotte, ad ogni “opinione pubblica”, ad ogni quotidianità sociale. L’Aleph agisce ovunque e in ogni cosa; essa illumina, trasfigura, libera, mai coarta. É una forza che libera dal giogo degli elementi, dall’oppressione della terra e del sangue, dalle forze cosmo-telluriche, cosa che esegue senza distruggerle, ma elevandosi al di sopra di esse. É una energia attiva immanente ad ogni realtà, e quantunque proceda da una sfera superiore; è concreta ed intera, non disgrega nulla e nulla astrae. S.Tommaso d’Aquino doveva certamente sospettare tale enunciato quando affermava che la Grazia, lungi dal negare la natura, la trasfigura. Però l’Aleph configura un altro regno che non quello della natura, ritrae un successo conseguito sulla natura stessa. Nell’ordine della natura regna il determinismo, l’impersonale; non vi si potrebbe distinguere una vittoria sulla significazione: nell’ordine dell’Aleph, al contrario, è la libertà che domina, e tutto fonda sul personale, sui rapporti personali, il costrutto vi domina la natura decaduta. Questa vittoria non rappresenta, tuttavia, la negazione e la distruzione del cosmo, ma la liberazione, l’illuminazione di quest’ultimo. L’Aleph accenna sempre che l’uomo non è schiavo, ma il padrone delle forze cosmiche, un signore amico e liberatore.

L’Aleph non è la natura, neanche una natura psichica: è, al contrario, la verità, la bellezza, la bontà, il significato, la libertà.

 

 

Oggettivazione dell’ Aleph (I)

(Secondo Berdiaev)

 

La creazione sottintende due atti distinti; per cui la descriveremo in maniera dissimile secondo il punto di vista sotto la quale la considereremo.

Essa ha due sembianze, una esteriore (F), l’altra interiore (A). Innanzi tutto l’atto originale, nel quale l’uomo, in qualche maniera, si colloca di fronte a Dio (LA); in seguito l’azione secondaria nel quale esso si pone dinanzi ai suoi simili e al mondo (F - LA). La prima manifestazione equivale all’intuizione originale, quella stessa che l’artista percepisce, prima ancora che le opere siano attualizzate. Quando, cioè, la sinfonia risuona nelle sue orecchie, quando afferra i ritmi del suo poema, quando, per la prima volta, contempla l’evocazione del suo quadro destata con l’intuizione e l’invenzione interiore, o con l’atto d’amore verso il prossimo. É L’istante più profondo della creazione, sprofondata nel seno dell’incosciente, dove l’uomo non è ancora afflitto dall’attuazione del suo atto creatore nel mondo.

Se mi è dato di conoscere, questa conoscenza non proviene da una opera scritta o da una formulazione di una scoperta scientifica, che mi riporterebbe nel dominio culturale. Essa è, e deve essere, innanzi tutto una conoscenza interiore, intima, sconosciuta al mondo oggettivato e ancora inesprimibile per esso. La conoscenza originale non esiste che nel momento in cui mi pongo dinanzi al mistero dell’essere (LA); è là e soltanto là che si trova la mia vera filosofia. In seguito si interpola l’atto creatore secondario, la realizzazione della creazione (FLA) che rivela l’uomo quale essere sociale. Allora l’opera si scrive, il quadro si dipinge, e quanto è indicato come “arte” è chiamata ad oggettivarsi.

L’atto creatore originale (A) non configura, nella maniera più assoluta, un “arte”, la quale, poiché sottomessa ad una legge, raffredda il fuoco creatore (LA)[2], mitiga la grazia e la libertà. Nella esecuzione della sua opera, l’uomo si trova obbligato con i materiali del mondo (FLA), e condizionato dagli altri uomini; è già oppresso e ha perduto l’ardore primigenio. Così, esiste una sproporzione tragica tra l’incandescenza creatrice, nella quale il disegno, l’intuizione, la forma, si generano, e l’atmosfera glaciale della realizzazione legalista. E questa eclissi è presente in ogni opera, quadro, statua, in ciascuna buona azione, in ciascuna istituzione sociale, come anche nella vita della Chiesa, quando essa si organizza con i suoi canoni. Al contrario, raggiunge il suo apice nella creazione “classica”. Mentre gli uomini valutano come creazioni le sole produzioni “raffreddate”, questa creazione “classica” esiste, ed esisterà nonostante tutto, in maniera apparente, nel mondo della creatività, dominio nel quale il fuoco interiore e l’atto creatore, domicili inespressi, non si sono manifestati in modo tangibile né materializzati. L’incandescenza e lo slancio creatore (LA) sono sempre protesi verso la creazione di una nuova vita, di un nuovo essere, ma ne derivano solo dei prodotti “raffreddati” (FLA), che assumono forma di valori culturali, libri, quadri, di istituzioni o di buone opere. Infatti, se l’opera filosofica testimonia una contrazione del fuoco creatore della conoscenza, ugualmente le “buone opere” testimoniano una riduzione della fiamma creatrice dell’amore nel cuore umano. L’atto creatore sottintende, comunque, una gran tristezza e una profonda amarezza, perché i suoi più perfetti modelli non raggiungeranno mai la sublimità del disegno originale, scaturendone, quindi, una frustrazione.

Qui risiede il dramma e la limitazione di ogni creazione umana, per la quale questo confine costituisce un temibile meccanismo. L’atto creatore interiore, (A), nel suo movimento (L) incandescente (1-30) dovrebbe liberarsi (LA) della pesantezza del “mondo” (F) e superarlo. Mentre nella sua realizzazione esteriore (FLA), si trova in subordine e a lui obbligato. Non bisogna tuttavia dimenticare, che se è destinato a librarsi (LA) è anche chiamato a discendere (F) e a comunicare agli uomini e al mondo ciò che vede la luce in questo istante di perfetta chiaroveggenza, in questo disegno, in questa immagine che è destinata, conseguentemente, a sottomettersi alle leggi della attuazione: quelle del dominio e dell’arte. (“Destinazione dell’uomo” pag.170-172)

 

 

Oggettivazione dell’Aleph (II)

(Secondo Berdiaev)

 

Lo spirito (A) è una attività creatrice. Ogni atto dello spirito (A) è una estrinsecazione creatrice. Ma l’atto creatore dello spirito soggettivo (A) consiste nella manifestazione di se nel mondo (F). Ad ogni atto creatore viene ad associarsi un elemento di libertà originale dello spirito soggettivo (LA) elemento che non è determinato dal mondo, il quale non determina nulla. L’atto creatore dell’uomo (LA), che procede sempre dallo spirito e non dalla natura, presuppone la materia del mondo, (F), la molteplicità del cosmo umano; esso procede dal principio immateriale (LA) ed entra nel materiale (F) apportandovi qualcosa di nuovo, che non esiste ancora. L’atto creatore dello spirito presenta, quindi, due aspetti; quello ascendente (LA) e un aspetto discendente. (F). Tramite il suo slancio, il suo involo creatore (LA), lo spirito si eleva al di sopra del mondo, lo trascende, ma vi discende ugualmente (F), è richiamato verso il basso e crea, nella sua produzione, con la condizione del mondo. Lo spirito (A), si rende oggettivo nei prodotti (F) della sua creazione, e grazie a questa oggettivazione comunica con la molteplicità cosmica nella maniera in cui questa si offre a lui (F). Lo spirito è il fuoco (1-3(00)), e la sua creazione è di fuoco. Ora l’oggettivazione (F) raffredda il fuoco creatore dello spirito (LA). Oggettivazione nella cultura significa sempre un compromesso con altri, con il livello del mondo, con lo strumento sociale. L’oggettivazione dello spirito nella cultura è la sua socializzazione. La cultura è di natura sociale. Da qui l’importanza delle tradizioni. Il principio aristocratico della cultura, che unico può renderla possibile, non esclude minimamente il suo carattere socializzato. Tuttavia la cultura ha un carattere simbolico, ogni sua conquista è simbolica e non reale. L’ideale classico tende ad una oggettivazione perfetta dello spirito nella cultura, nella conoscenza scientifica e filosofica, nell’arte e nell’ordine morale e sociale. Il classicismo nella creazione, si traduce con una oggettivazione perfetta, con l’inaridimento dello spirito nel finito, in un finito tendente alla perfezione. Il soggettivo (A) si perde nello oggettivo (F), l’infinito (LA) nel finito (F), il fuoco (1-3) nel prodotto raffreddato (8). Tutto si manifesta come se la realtà sociale (F) incatenasse lo spirito con il suo carattere bollente e teso verso l’infinito (LA). Questo asservimento all’oggettivazione si manifesta tanto nella Chiesa storica, come nelle istituzioni sociali. Presso i farisei e scriba, nelle ortodossie stereotipate, nello Stato che vuole organizzare lo spirito, nella moralizzazione legiferante, nell’arte formalista che afferma tendere al classicismo, nello spirito accademico che organizza e normalizza la conoscenza, nella famiglia legale che opprime l’amore ecc...

Lo spirito si incarna in modo reale, esistenziale solo nella persona umana (LYA) che unica può concepire la vita in maniera intuitiva e creatrice, nei rapporti fraterni tra uomini; ma assolutamente nella società oggettivata, nello Stato, nella esistenza storica delle nazioni. Lo spirito (A) si trova facilmente imprigionato (F) quando vuole oggettivarsi nella cultura o nella vita sociale. Esso (A) non può riconoscersi in quello che si chiama “spirito oggettivo”. Se lo si postula (come per esempio fa Hégel), si finisce invariabilmente al monismo, alla tirannide del generale sull’individuale, ai sistemi totalitari. Non esiste nulla di più inesatto che il panteismo storico. La storia non è la rivelazione dello spirito oggettivo. Essa è discontinua. La storia è, al contrario, la tragedia dello spirito. Sarebbe come affermare che, l’oggettivazione storica trasforma lo spirito in qualche cosa che non assomiglia più allo spirito. Lo spirito soggettivo creatore non può rivelarsi nelle sue oggettivazioni storiche. Non si può localizzare la Rivelazione cristiana nelle oggettivazioni storiche del cristianesimo. Non si può raffigurare Lutero nelle oggettivazioni storiche del protestantesimo. Non si può ravvisare Leonardo da Vinci nell’oggettivazione del genio tecnico. Non si può riconoscere lo spirito della rivoluzione nelle sue conseguenze storiche. Non si può trovare Marx nella oggettivazione storica del Marxismo. Non si può identificare il motto “Libertà, uguaglianza, fraternità” nelle società che lo hanno oggettivato. Lo spirito creatore incandescente (LA) non potrebbe riconoscersi nelle sue produzioni (F), nei suoli libri, nelle sue teorie, nei suoi sistemi, nelle sue opere d’arte, nelle sue istituzioni. L’oggettivazione (F) nella storia, nella cultura, è la grande opera dello spirito attivo e creatore (LA), ma è, al contempo, anche un grande insuccesso. Questo, però, non significa che lo spirito deve rifiutarsi ad ogni oggettivazione, ma soltanto che il mondo deve finire, che la storia deve terminarsi, che la manifestazione oggettiva deve estinguersi per cedere il posto al mondo dell’esistenza, al mondo delle autentiche realtà, al mondo della libertà. Il desiderio profondo di questo fuoco creatore ($A) che caratterizza il genio ($YA) fa sempre intravedere ardere il mondo della determinazione e dell’oggettività (F), e di vederlo sostituito con il mondo della libertà e dell’involo creatore (LA). Nella oggettivazione, nella cultura, nella storia, non si trovano che dei simboli, dei segni, dei prototipi della trasfigurazione reale. (“Spirito e Realtà” pag.73-76).

 

 

[1] - Come accennato nell’introduzione, in questo brano di Nicolas Berdiaev, estratto da “Spirito e Realtà” (Edizioni Aubier, pag.41-43), abbiamo sostituito ovunque presente, la parola Spirito con Aleph, perché nell’immagine di questa lettera A e nella struttura di questo termine FLA si ritrova, esattamente, quanto Berdiaev scrive a proposito dello Spirito. Questa operazione di sostituzione commenta con chiarezza il pensiero creativo dell’autore. Ugualmente, per i due estratti che seguono, descriviamo, evidenziando con delle parentesi contenenti le lettere ebraiche, la sua esposizione dello FLA.

[2] - Il fuoco creatore $A :1-3(00) è della stessa radice cabalistica di LA : 1-3(0). Dio nella Qabalah ebraica assume il significato di: fuoco creatore, movimento creatore.

 

 

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