In un breve lasso di tempo uno dei campi innegabilmente più ardui della ricerca storica  la ricostruzione cioè della fase primordiale della religiosità, si è arricchito di numerose teorie, che con varia fortuna si sono disputate il favore della critica. É accaduto così che il dominio dapprima incontrastato dell’animismo è stato vigorosamente conteso dalla magia, come qualche cosa di più primitivo ancora; e poi dall’enoteismo e dal totemismo: con questa differenza però, che laddove queste due ultime forme rientrano sempre nell’orbita del fatto religioso, la magia si è presentata come un’attitudine dello spirito radicalmente diversa, e che avrebbe preceduto dovunque nella storia il bisogno del divino.

La diffusione e il favore che ha avuto questa tesi così attraente, avanzata e sostenuta da F. G. Frazer nella sua monumentale opera The Golden Bough, e le conseguenze non lievi a cui essa conduce nella valutazione di tutta la vita religiosa, che verrebbe ad essere forzatamente null’altro che l’effetto transitorio di una crisi di delusione dell’anima di fronte alla natura, impongono una disamina molto attenta delle parole stesse del Frazer anzitutto, e una indagine poi sulla natura della magia: e ciò al lume dei risultati più sicuri conseguiti da quell’insieme di scienze novelle, che intendono allo studio genetico dello sviluppò della razza e dello spirito umano.

Partendo dalla definizione della magia, che «nella sua forma pura, ammette che, nella natura, un avvenimento ne segue un altro necessariamente e invariabilmente, senza l’intervento di agenti spirituali o personali», il Frazer giungeva a questi importanti sviluppi che contraddistinguano, a parer nostro molto esattamente, la conformazione mentale presupposta dalla magia. «La sua concezione fondamentale è identica a quella della scienza moderna, tutto il sistema riposa su la fede cieca senza dubbio, ma reale e ferma, nell’ordine o nella uniformità della natura.

Il mago è convinto che le stesse cause produrranno sempre gli stessi effetti; ma che la celebrazione della cerimonia che occorre, accompagnata dal necessario incanto, condurrà sempre al risultato voluto... Egli non supplica un essere più potente di lui; non si abbassa dinanzi ad alcuna divinità. Tuttavia il suo potere, per quanto grande egli lo proclami, non é né arbitrario né illimitato. Egli può esercitarlo in quanto segue strettamente le regole della sua arte o, in altri termini, le regole della natura, quali egli le concepisce... La sovranità alla quale pretende su la natura é una sovranità costituzionale, limitata rigorosamente nella sua applicazione e che deve esercitarsi conformemente alle antiche usanze... L’errore fatale della magia... risiede nella concezione totalmente falsa che ha della natura e delle leggi che regolano questa successione degli eventi naturali... E una applicazione mal fatta dell’una o dell’altra delle due leggi fondamentali del pensiero che sono l’associazione delle idee per somiglianza e la loro associazione per contiguità nello spazio e nel tempo.  Una falsa interpretazione della prima legge produce la magia imitativa; una falsa interpretazione della seconda produce la magia simpatica, nel senso stretto della parola»[1].

A questa penetrazione così obiettiva e fedele della magia non corrisponde però, né per esattezza né per profondità, la concezione che egli pone avanti della religione. A vero dire, é ben consapevole il Frazer stesso della difficoltà di poterne raggiungere una sotto ogni aspetto soddisfacente[2]; tuttavia, per stabilire la sua antitesi tra religione e magia, non esita a sostenere la seguente: «Io chiamo religione una propiziazione o conciliazione di poteri superiori all’uomo, che si crede essere occupati a dirigere e a sindacare il corso della natura e della vita umana. In questo senso, si vede chiaramente che la religione si oppone per principio alla magia e alla scienza insieme.

Ogni conciliazione implica, infatti, che l’essere che si vuole conciliare è un agente cosciente e personale, che la sua condotta é in qualche maniera soggetta a variare e che si può farla cangiare con un appello giudizioso ai suoi interessi, ai suoi appetiti e alle sue emozioni... La religione è dunque in opposizione con la magia e la scienza, che, tutte e due ritengono il corso della natura per diretto non dalle passioni o dai capricci di un essere personale, ma da leggi immutabili agenti meccanicamente».

A noi che intendiamo la religione come l’espressione storica e progressiva della reazione integrale dello spirito alla situazione umana nella realtà universa (reazione integrale perché sentimentale, intellettuale e volitiva-pratica insieme), non può non apparire ben ristretta e parziale questa definizione del fatto religioso come semplice atto propiziatorio o conciliativo di un essere personale. Con ciò non solo si viene a cogliere unicamente il terzo ed ultimo momento del problema religioso - id est quello pratico-volitivo -, ma ancora sono eliminate sostanzialmente tutte le fedi panteistiche, pur così essenzialmente religiose, per cui si giunge al punto di non poter accogliere nel campo della religiosità, pur essendo una delle più grandi religioni del mondo, il buddismo, dove non solo manca l’essere personale e non esiste quindi la propiziazione, ma ancor al suo posto si afferma l’atto redentivo da una legge appunto impersonale ed immutabile, che domina e governa l’universo e la vita: la legge del Karma. 

Ma forse sarebbe eccessivo da uno studioso come il Frazer, che si è specializzato nell’indagine di una particolare forma religiosa, quella cioè primitiva della natura, pretendere una concezione valevole per tutto lo sviluppo religioso. È dunque più opportuno procedere senz’altro all’esame dei singoli argomenti da lui addotti a sostegno e a dimostrazione della priorità della magia.

 


 

[1]  Le rameau d’or Etude sur la magie et la religion, trad. franc. Paris, 1902 1911, vol. I, p. 64-66. [Torna al Testo]

[2] Dice egli infatti: «Vi sono pochi argomenti al mondo sui quali le opinioni differiscono tanto come su la natura della religione; è impossibile di dare una definizione che possa tutti soddisfare. Non si può dunque dire chiaramente a bella prima, ciò che si intende per religione», pag. 66. Noi vediamo la causa di ciò nel fatto che i singoli ricercatori hanno sempre mirato a porre in rilievo un aspetto o un elemento della religione a detrimento di altri, ben osservati per contro da ricercatori opposti, pur senza saper assurgere ad un concetto così preciso e generale da poter abbracciare la religiosità in tutta la sua essenza integrale e permanente, e dal quale concetto poi tutti gli elementi costitutivi o solo anche storicamente transitori potessero sgorgare come conseguenze della sua applicazione alla vita e alle diverse fasi e forme di essa. [Torna al Testo]

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