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"L’Epoca" del 20-21 settembre 1882 dedica la prima pagina alle imminenti elezioni. Protagonista della vignetta e della campagna elettorale è il ‘camaleonte’ De Pretis variamente abbigliato con i simboli del potere e dell’opportunismo: la corona in capo, cioè intesa con la monarchia, la toga, simbolo di austerità, dignità e dirittura morale, l’abito talare, come ammiccamento al clero. L’esecuzione musicale, ovvero «il grande sconcerto giornalistico in occasione delle prossime elezioni», offerta dalla banda musicale diretta dal tamburino-pagliaccio non può che essere stonata. Troppo eterogenei appaiono i suonatori, come si nota dalle varie testate cui appartengono, per offrire un adeguato arrangiamento di un tema obbligato.
C’erano tutti, o quasi, per appoggiare il governo alle elezioni e il risultato ne fu una conferma.
Anche la questione della riforma elettorale era in quell’anno al centro dell’attenzione del Paese. Le condizioni necessarie e sufficienti per disporre di un elettorato attivo erano alquanto tiranniche sino al 1882. Nel maggio 1880 gli elettori con diritto di voto costituivano il 2,2 per cento della popolazione residente, pochi eletti quindi per un suffragio più che ristretto. La riforma introdotta dal gabinetto De Pretis apportò modifiche scarsamente innovatrici, soprattutto se valutate alla luce del concetto di democrazia d’oggi. Infatti alle elezioni del 29 ottobre e del 5 novembre si votò a suffragio allargato: ebbero diritto al voto 2 milioni d’Italiani al di sopra dei 21 anni d’età, che potevano vantare l’istruzione elementare o che avevano pagato una tassa annuale di almeno 19,80 lire. L’8 ottobre 1882, in uno dei suoi discorsi di Stradella, De Pretis aveva già detto tutto: «Noi siamo un ministero progressista e se qualcuno vuol trasformarsi e diventare progressista, se vuole accettare il mio moderatissimo programma, posso respingerlo?».


"L’Epoca", 21 settembre 1882