CAPITOLO III
 

I PROCESSI DI TRASFORMAZIONE DEI METALLI
I metalli si possono trasmutare, mediante speciali procedimenti, in modo tale che l'essenza di uno di essi può trasformarsi nella essenza di un altro, per quanto Aristotele ed Avicenna avvertano i maestri di Alchimia che l'aspetto esteriore delle cose non si può mutare, al che però aggiungono, se prima non avviene la trasformazione del corpo nella sua materia prima. Pertanto la materia prossima di ogni metallo é il mercurio, quella remota è l'acqua, ma quando questo si trasforma, diventa senza dubbio unita alla natura, ed é possibile, anzi quasi naturale che avvenga questa connessione, perché all'opera della natura collabora quella dell'uomo. Essendo però difficile questo procedimento, molti diventarono matti per questa scienza e dopo aver speso la loro gioventù, i loro beni, dopo aver illuso, invano, re e potenti, alla fine, sfiduciati del potere di questa scienza, non continuarono più le ricerche ma la abbandonarono come una scienza imperfetta. Anch'io, riflettendo su tutte queste vicende e vedendo che i sovrani, pur avendo tanti maestri ingegnosi, non poterono giungere quasi mai a risultati concreti, fui indotto a perdere ogni fede in questa scienza. Ritornato però a considerare il problema esaminai i testi di Avicenna e di Aristotele nei segreti dei segreti e li trovai privi di fondamento per tutto quello che vanno esponendo confusamente ed enigmaticamente, esaminai quelli dei loro contraddittori e vi trovai le stesse astrazioni. Considerando invece i principi naturali mi convinsi che per essi la trasformazione é possibile.
Vidi infatti il mercurio penetrare negli altri metalli e trapassarli in modo che se si immerge rame in mercurio misto ad un poco di sangue umano od equino e all'argilla, ne rimane imbevuto internamente ed esternamente e diventa bianco. Tale colore però non dura. Il mercurio ha infatti il potere di penetrare e di trasformare i corpi. Ho constatato inoltre che, se non svaporasse e la sua azione sui corpi fosse stabile facendo in modo che il rame o gli altri corpi non fossero intaccati da quelli che intaccano il rame e non l'argento, come il piombo, avrebbe per noi potere medicinale. Distillai allora parecchie volte il mercurio in modo da rendere stabile la sua azione, per impedirgli cioè di volatilizzare dal fuoco, lo sciolsi in acqua per ridurlo alla materia prima, lo imbibii della calce di argento di cui ho parlato e di arsenico distillato fisso, lo dissolsi in fimo caldo di cavallo, lo condensai è mi risultò una pietra chiara come cristallo con la proprietà di fondere e di penetrare stabilmente nei corpi tanto che, gettandone una piccola quantità su rame purificato, lo trasforma in argento, e argento di buona lega. Sono riuscito anche a mutare in oro la ruggine dello zolfo, bollendolo a fuoco lento in acqua acuta che diventava rossa e distillata nell'alambicco, lasciava in fondo alla boccia pura ruggine di zolfo che condensavo con la pietra bianca di cui ho parlato la quale pure diventava rossa. Una piccola quantità di questa sostanza, versata su molto rame, si mutava in oro. Ho descritto soltanto il procedimento generale, non in modo tale da indurre qualcuno a tentarlo, a meno che non sia molto provetto nel modo di sublimare, di dissolvere, distillare, coagulare, non conosca le forme dei recipienti quali sono descritte nel “Retto Sentiero” di Alberto Magno, non sia esperto nella qualità ed intensità dei fuochi.
Vidi inoltre che il realgar sublimato, per quanto non fisso, versato sul rame lo rende bianco, in modo che, mescolato con mezza quantità di argento puro, diventa argento, ma questa volta non puro; infatti non esce bianco dal fuoco. Questo stesso risultato si ha con l'orpimento sublimato in bianco e scisso.
Quantunque però il procedimento descritto per mutare un metallo in un altro sia buono e provato, vi é un altro modo più famoso per trasformare il mercurio in oro e argento per l'azione dello zolfo bianco o rosso chiaro semplice, incombustibile, secondo ciò che dice Aristotele. Anche questo procedimento é però segreto agli stessi sapienti; di esso parla Aristotele nel libro sui segreti dei segreti in termini assai generali e confusi dicendo ad Alessandro: la divina provvidenza ti aiuti a riuscire nel tuo intento e a tener celato l'arcano. Per questa ragione anch'io ne parlerò velatamente, così, non nominando le sostanze da cui deriva quella natura tanto potente e famosa, non scrissi questo libro per i profani, ma per gli esperti. Non vi sia poi nessuno che presuma di tentare l'esperimento basandosi sui dati che dovrò svelare, senza essere già iniziato nei fondamenti della scienza supernaturale e molto esperto nel modo di distillare, di dissolvere, di condensare le sostanze e soprattutto di regolare il fuoco, né sia precipitoso, ma sappia agire con calma e precisione. Vi è dunque una pietra da cui deriva questo potere ed è lo zolfo bianco, rosso e chiaro che non brucia, e si ottiene per mezzo della separazione dei quattro elementi, della loro scissione e congiunzione.