Su un foglio bianco una mano traduce in simboli un'idea. Linee sottili racchiudono porzioni di spazio, qualificandolo e quello spazio racchiuso assume una precisa configurazione, delle proprietà, una vita a se stante...

In questo lavoro sono riportate alcune riflessioni del carissimo Fratello Federico P. Lo scritto costituisce un opera della maestria del Fratello. Il suo contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I.

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Su un foglio bianco una mano traduce in simboli un'idea. Linee sottili racchiudono porzioni di spazio, qualificandolo e quello spazio racchiuso assume una precisa configurazione, delle proprietà, una vita a se stante.

Ma può lo spazio essere circoscritto? Noi pensiamo che lo spazio possa racchiudersi entro confini e ci esprimiamo, quindi, in tal senso, ma esso è quello che è e la sua natura non cambia. Illimitato, inalterato, libero, lo spazio - per sua natura - è privo di contenuti, di immagini, di perimetri; lo spazio è... vuoto. Tutte le forme alle quali diamo vita non sono altro che profili sovrapposti ad esso. Il vuoto è dovunque, dentro e fuori quelle immagini, eternamente identico a se stesso.

La scienza ci dice che nell'atomo - microscopico sistema solare - predomina il vuoto. Più atomi formano una molecola, più molecole formano un tessuto. Il corpo umano è fatto di tessuti, di molecole, di atomi, di... vuoto. Quello che appare denso, compatto ai nostri occhi non è altro che la risultante di un movimento elettronico che non riusciamo a percepire. Crediamo reale ciò che vediamo e, di conseguenza, assolutizziamo la forma e tutto quello che la riguarda. Ogni contorno diviene, così, una netta linea di separazione, nascono la frammentarietà, l'individuazione, l'antagonismo.

Ma la forma, abbiamo detto, non è altro che un pensiero reso visibile da segni convenzionali ideali, un profilo, sovrapposto ad un sostrato, che esiste fino a quando permane nella nostra mente.

In questo mondo illusorio i sensi predominano sull'intelletto e gli uomini considerano solide, reali e insormontabili le barriere che essi stessi hanno costruito. Ma quando questi confini ideali vengono abbattuti e la dualità sparisce, come si può più parlare di mio e tuo? L'apparente separazione tra me e te non esiste più, il mio profilo e il tuo si riassorbono nel tutto lasciando un unico sottofondo di realtà.

Ogni sovrapposizione è un limite, una contingenza, un'illusione, qualcosa che appare e scompare nello stesso tempo. Esiste e non esiste, dipende da noi.

Un'immagine di sogno nasce nella spazialità psichica del dormiente, vive e si dissolve. Possiamo dire che la forma esiste fin tanto che permane come causa-idea nella mente del sognatore. L'idea e la sua materializzazione coesistono, come il seme e la pianta che apparentemente compaiono in successione di tempo, ma che in realtà sono simultanei.

Abbiamo detto che un limite è un segno convenzionale ideale. Come possiamo, allora, considerarlo concreto, sostanziale? Quando materializziamo un'idea, circoscriviamo lo spazio entro linee. Ma che cos'è una linea? Niente altro che lo spazio compreso tra due punti. E il punto? Essendo senza dimensioni è anche senza forma. Ponendosi di fronte a se stesso esso produce il tempo e la distanza. Il punto, quindi, costituisce la causa della dualità. Ma causa ed effetto, oltre a coesistere, come abbiamo visto prima, non sono che la stessa cosa. Il simbolo che disegno su un foglio e l'idea di esso nella mia mente sono fatti della stessa sostanza. La linea che traccio è, in effetti, insostanziale quanto il punto in movimento che l'ha prodotta. Ecco che la causa, l'effetto e lo spazio - sostrato del tutto - sono della stessa, identica natura.

R.W. Emerson nel suo lavoro "Saggi" ( Ed. Boringhieri) dice: Noi viviamo in momenti successivi, divisi in parti e in particelle. Nello stesso tempo esiste nell'uomo l'anima del tutto, il saggio silenzio, l'universale bellezza a cui ogni parte e ogni particella è riferita, l'eterno Uno. E questa potenza profonda nella quale noi esistiamo e la cui beatitudine è completamente accessibile a noi, è non soltanto autosufficiente e perfetta, in ogni momento, ma in essa l'atto di vedere e la cosa vista, lo spettatore e lo spettacolo, il soggetto e l'oggetto sono tutt'uno.

Tutti i profili-oggetti che ci circondano, compreso il nostro corpo, non sono altro che linee ideali alle quali ci identifichiamo e crediamo. Nel momento in cui cesseremo di credere alle apparenze, nel preciso istante in cui l'impressione degli oggetti si cancellerà dalla nostra mente, tutti i perimetri si dissolveranno con essa e ritroveremo lo spazio nella sua omogeneità, purezza e libertà. Condizione questa che mai ha cessato di essere.

 

 

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